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venerdì 28 maggio 2010

Le ceramiche fischianti di Antonio Navanzino tra fiaba e devozione

E’ un piacere stare ad ascoltare Antonio Navanzino che racconta delle sue ceramiche e dei suoi fischietti. Spesso gli artigiani della terra cotta sono uomini abituati a far parlare soprattutto le loro mani, ma meno avvezzi a raccontare a parole di sé e del loro mestiere. Non è il caso di Antonio, che riesce ad appassionare il suo interlocutore. Sarà forse una dote che ha appreso lavorando come docente all’Accademia delle Belle Arti, o scrivendo come ceramologo sulle riviste specializzate. O forse è semplicemente frutto della grande passione che ha per il suo mestiere e per le tradizioni della sua terra, la Sicilia. Questa passione traspare ad esempio quando ci parla della magia del fischietto:

“E’ una cosa bellissima: il fischietto è fatto di 4 semplici elementi: aria, terra, acqua, fuoco. Ma quando ci soffi l’aria dentro, con questo gesto banale tu gli dai vita all’argilla, perché la fai suonare! E’ quasi come riprodurre l’atto divino con il quale Dio soffiò sulla materia e creò l’uomo.”

La nostra chiacchierata ha luogo nella bottega gestita dal giovane ceramista a Caltagirone. Antonio ha solo 32 anni, ma può essere considerato a pieno titolo erede della tradizione antichissima che questa città vanta nel settore della ceramica e nella produzione dei fischietti. Il Padre Francesco, ceramista anche lui, ha appreso il mestiere nell’antica bottega Iudici, e Antonio stesso ha imparato a fare i fischietti da Salvatore Leone.[1]
“Quella è una foto di Papà a 10 anni nel laboratorio della famiglia Iudici – ci spiega indicando una foto degli anni ’40 che tiene incorniciata nel suo studio. Gli Iudici sono ceramisti da generazioni. Già nell’800 esisteva la bottega Judici - con la “J” lunga, che poi col tempo si è trasformata in “I “ all’anagrafe.”

“A Caltagirone, come in tutta l’Italia del Neorealismo, i bambini dovevano lavorare, dovevano imparare un mestiere. Papà scelse proprio quello di ceramista perché gli piaceva disegnare. Quindi andava a scuola, all’istituto d’arte, e il pomeriggio - ed in estate tutta la giornata - frequentava la bottega Iudici e la fabbrica Vella.”

Totò Leone e gli altri maestri di Antonio

Parlando dei suoi esordi nel mondo della ceramica sonora, Antonio non dimentica di tributare un omaggio a una serie di artigiani ed amici che gli hanno trasmesso la passione per i fischietti. Persone che lo hanno arricchito sia umanamente che dal punto di vista tecnico, e gli hanno permesso di diventare il ceramista raffinato che è oggi.
“I fischietti miei ho iniziato tardi a farli. Papà comprava i fischietti da Salvatore Leone, un semplice muratore che, ormai settantenne, realizzava questi che in Sicilia sono chiamati pasturi , e li vendeva in giro. Io avevo 16, 17 anni, e rimanevo affascinato da questi oggetti così popolari, strani, che mi davano il senso della cultura che ho sempre amato, la cultura nostra. Rubavo uno alla volta a Papà i fischietti che lui metteva sullo scaffale. Se ne è accorto quando quelli miei sono diventati 200!”

“Una volta chiesi a Migliore, un ceramista che ospitava Leone, di farmelo incontrare, perché avevo voglia di capire come si realizzava questo fischietto. E Salvatore Leone con molta umiltà, con molta semplicità, mi disse: ma che ci vuole? Niente: prendi due stecche, un po’ di argilla. E d’un colpo mi ha mostrato la tecnica.
La cosa più importante che mi spiegò lui è di perseverare nel fare il fischietto a modo tuo. Ognuno di noi ha una sua tradizione. Invece capita di vedere un po’ ovunque questi fischietti commerciali tutti uguali. Questo è il commercio!"

"Ma io volevo fare proprio il fischietto popolare siciliano, quello di Leone, questo contadino che non sapeva nemmeno parlare correttamente in italiano, ma che aveva scoperto il segreto di come l’aria poteva passare attraverso l’argilla producendo un suono." Ed in effetti i primi fischietti fatti da Antonio circa 10 anni fa e che lui ancora conserva nel suo studio ricordano molto da vicino quelli di Leone.
“Conservai la lezione di Leone e di questo suo modo di fare i fischietti. E a quel suo messaggio - il fischietto fattelo a modo tuo! - rimango fedele tutt’oggi.”

“Devo ringraziare mio Padre, perché mi ha dato la bottega in mano e non mi ha detto mai: ma che minchia stai facendo? (scusate se uso questa parola). Qualcun’altro avrebbe potuto dire: sono minchiate, stai sprecando argilla! Invece lui – che fa parte dei vecchi artigiani - ha sempre compreso le mie scelte. Ed io ho sempre chiesto consiglio a lui.”

“Ma più di tutti, però, devo ringraziare Totò Cardello,[2] perché io avevo già imparato il fischietto, ma l’avevo un po’ accantonato. Con Cardello ci siamo trovati una notte all’aeroporto di Bologna ed abbiamo passato insieme 12 ore ad aspettare l’aereo. In 12 ore si raccontano tante cose, e lui mi ha raccontato di questo mondo dei fischietti. E mi ha invitato a partecipare alle varie mostre.”

Proporzioni e “sproporzioni” nell’arte popolare

Antonio ci spiega come il suo particolare stile nasca in realtà dalla fusione di varie suggestioni: l’amore viscerale per la cultura popolare, l’interesse per stili e scuole diverse, la sperimentazione continua nel campo della tecnica ceramica. E ci spiega anche come l’imprecisione e la mancanza di proporzioni che sono proprie dell’arte popolare, a volte, possano conferire particolare espressività ad un soggetto.
“Non cerco necessariamente la bellezza in un fischietto, perché non voglio che si perda quel messaggio di fischietto popolare, di popolarità.
La tradizione Siciliana è grandissima. E’ così vasta che penso non mi basterà la vita intera per analizzala. E quindi spesso io trasporto nei fischietti quello che imparo sulla cultura popolare.
Analizzando i fischietti popolari ho capito quanta parte conservino della cultura contadina. Li modellavano artigiani che non conoscevano le proporzioni e non sapevano realizzare una figura utilizzando le proporzioni corrette, ma comunque riuscivano a realizzare lavori molto espressivi.
Io non posso fare come loro. Ovvero: potrei anche farla una riproduzione di questi fischietti tradizionali, come scelta commerciale. Ma metterei un vestito che non mi appartiene, e sarebbe anche ingiusto nei confronti di queste persone che avevano quel tipo di cultura. Io ne ho un’altra.
Quindi il mio fischietto nasce da una trasformazione, alla Dragonball. Metto insieme il popolare, la cultura dell’artigiano, l’antropologia. Faccio un cocktail di tutto questo, miscelo, ed escono questi fischietti. Se devo realizzare un’opera di arte colta lo faccio rispettando le dovute proporzioni. Ma al fischietto voglio dare un senso diverso, popolare. Facendo capire che conosco la tecnica, che conosco le proporzioni, ma che le sproporziono volontariamente. I segreti del mestiere li ho rubati ai vecchi artigiani per poi applicarli a questo nuovo messaggio antico.”

“Penso al fischietto come se avesse un compressore dietro, che lo gonfia improvvisamente, come un palloncino. Improvvisamente prende delle proporzioni che non sono legate alla figura normale.
Lavoro un po’ miscelando in questi fischietti tutta una serie di aspetti: la tradizione del pupo siciliano, ma anche la colorazione delle barche nostre siciliane. Un’altra cosa che io amo molto è parlare con gli anziani, con gli anziani ultraottantenni, perché ancora mantengono – e possono trasmetterti - la cultura popolare. “

Soggetti religiosi e profani

Tra i fischietti di Antonio numerosi sono quelli a tema religioso. I cosiddetti santi con il fischio sono d’altronde una caratteristica di Caltagirone e della Sicilia, che Navanzino re-interpreta con grande rispetto, ma anche senza risparmiare la sua fantasia ed il suo estro.
“Non si tratta di mancanza di rispetto, ma il santo per me è una persona normale. Giacomo era un pescatore. Così, un San Giacomo è più facile pensarlo somigliante ad un pescatore di Cefalù - corto, nero, bassino - che ad un uomo alto, con gli occhi azzurri.”

"Nelle cappelline sparse per le contrade d’Italia, il contadino un po’ più bravo degli altri a disegnare, dipingeva delle figure di santi tutte sproporzionate. Ma perché? Perché rappresentava se stesso. Il contadino infondo faceva copia e incolla di se stesso sulle figure di questi santi. E’ come se volesse vestire se stesso con il vestito del santo. Pensiamo un attimo a Van Gogh, pensiamo a come vengono rappresentati i contadini nell’espressionismo.
Ad esempio, questi contadini provavano a immaginare gli angeli custodi con le ali. Ma il contadino in campagna quali ali aveva davanti agli occhi? Solo quelle del pollo! E poi magari per disegnare una faccia provava a immaginare la sua faccia – che era la faccia di un contadino che lavora la terra - con una parrucca bionda. E quindi l’angelo da lui disegnato aveva le ali della gallina, un sacco di farina bianca addosso, e della paglia per capelli.
Così è nato un pezzo a cui sono particolarmente legato e che non venderò mai. E’ una sorta di angelo-pollastrone. “

La creatività di Antonio si esprime molto anche in soggetti e temi presi dalla mitologia o dalle favole.
“Leggo molte favole. La fantasia esce da li: la rubo dalle favole.
Un'altra cosa che mi piace rappresentare sono le figure della mitologia: il mito di Ulisse, ad esempio. Ma anche figure letterarie come Pinocchio e Don Chisciotte per me sono ormai entrate nell’immaginario collettivo e possono essere considerate un mito, che può essere rappresentato in migliaia di modi.
Mi è piaciuto molto rappresentare Adamo, Eva e il serpente, ironizzando alla siciliana sulla cosa. Li ho rappresentati come un uomo ed una donna goffi, normali, messi a nudo. Ed attorno ad un albero c’è questo serpente umanizzato che con la lingua arriva nel seno di Eva, gli sta sbavando dietro. E dall’albero esce la mano di Dio che fa le corna ad Adamo.”

“Un'altra cosa importante: io non lo rivelo mai a nessuno, neanche a mia moglie, ma per fare le facce copio la gente che conosco. Oggi sto parlando con voi e può darsi che un domani uno di voi sarà messo là dentro, ma non lo dirò mai.“

Il presepe francescano

Ad un’opera Antonio è particolarmente attaccato. Ci lavora già da 3 anni e preferisce non azzardare previsioni rispetto a quando riuscirà a concluderla. Si tratta in qualche modo di un’opera monumentale: un grande presepe che man mano lui arricchisce di nuove statue fischianti. Per ospitare i personaggi ha costruito una struttura fatta con tavole e tubi di ferro, che occupa un’intera stanza del suo laboratorio.
“Ho voluto dedicare a San Francesco d’Assisi questo presepe che costruirò negli anni. Non so quando lo finirò, nel 2100 forse, perché voglio campare a lungo.
Ho voluto rappresentare questi frati bonaccioni, con un faccione bello grosso. Quindi brutti, frati brutti. Ma frati celestiali, che comunque ormai appartengono al mondo degli angeli. E questi frati - ormai volati in cielo, con le ali del pollo - hanno gesti e atteggiamenti da hippy, da punkabbestia. Mi sono ispirato a questi gruppi hippy che ho visto a San Gimignano. Mi hanno colpito: stavano tutti assieme, madri, padri, figli. Con questo senso della comunità, di gioia collettiva. Avevano un atteggiamento di grande libertà, ma anche di rispetto per i turisti. Quindi mi è piaciuto questo loro messaggio di allegria, di pace.
In questo presepe ho messo quindi tutti questi frati attorno a Gesù che ballano, ridono, scherzano. Hanno una grande libertà, ma comunque perseguono la santificazione di Gesù.
Non amo la bestemmia. Scherzare si, ma con il giusto rispetto. Vi garantisco che i miei fischietti li ho fatti vedere a dei francescani e si sono divertiti da impazzire.”

“Per me la nascita di Gesù, il Natale, è la favola più bella del mondo. E questo a prescindere dall’essere credenti o meno. Io ci credo, nella nascita di Cristo, ma il Natale probabilmente è la “storia delle storie”. Porta con se una grande positività, fa rinascere la speranza. E poi contiene un messaggio importante, un messaggio filosofico, che è il messaggio del mito dell’eterno ritorno. L’eterno ritorno significa allora che se io rivedo il mestiere del ceramista nel presepe, rivedo me stesso. Quindi io faccio parte della nascita di Cristo. Ogni anno il 25 dicembre tutti noi siamo complici di questa favola.”

Un percorso di sperimentazione continua

Passiamo a parlare con Antonio delle tecniche che usa per realizzare i suoi fischietti. E diviene subito chiaro che è il tipo di persona sempre alla ricerca di nuove soluzioni, per il quale ogni risultato è più un punto di partenza per inventare qualcosa di diverso che un punto di arrivo.
“A volte utilizzo il tornio per fare le strutture dei fischietti. Faccio dei cilindri e poi gli costruisco sopra il personaggio. Ultimamente mi sta seccando usare il tornio. Quindi butto argilla per terra, faccio delle sfoglie di argilla enormi, uso rotoli di cara igienica per dargli la struttura. Poi li metto al sole di Sicilia per una mezz’oretta, così si indurisce un po’ l’argilla. E poi via, ci lavoro sopra, così, con molta libertà.
Prima utilizzavo un atteggiamento diverso quando facevo i miei fischietti. Se volevo fare una mano mi sforzavo di farla per bene, con tutte le dita perfette, eccetera. Ora invece no: vado avanti proprio con espressione libera, perché mi sono convinto che se in quel pezzo di argilla quella piega è venuta in un certo modo, quella piega ha la sua storia.
A me piace l’espressionismo, quindi per questo dò dei solchi ai fischietti: Devono essere proprio solcati dal tempo. Ecco: un solco del tempo.”

“Solitamente, il fischietto in Sicilia è colorato a freddo. Io sono l’unico che fa sempre il fischietto in maiolica. Sempre per colpa di Totò Cardello. Perché ho visto tutte quelle rassegne che lui organizzava, ed ho analizzato tutti i lavori dei vari grandi artisti come Biavati, Poloniato.[3] Ho anche scoperto realtà che non immaginavo, come i fischietti russi. E quindi ho capito che utilizzando una tecnica più elaborata, l’opera acquista un senso diverso. Compreso l’uso della maiolica.”

“Realizzo i pezzi con argilla comune, argilla italiana. Ora ho comprato un forno per fare i fischietti in gres e porcellana. Perché 2 anni fa ho visitato la Bottega delle Stelle di Biavati, ho visto le sue opere fatte con questo materiale e mi hanno affascinato. Ma attenzione: il gres voglio utilizzarlo sempre mantenendola mia tradizione, il mio modo di fare il fischietto.
Il mio intento è questo, di arrivare a fare il fischietto con tutte le tecniche della terra, dell’argilla. Voglio metterci la maiolica, la porcellana, il gres, nel fischietto. In un unico fischietto”

“Vorrei fare dei fischietti giganti. Già ho in mente questi pupi siciliani, queste marionette giganti. O un Federico II su una poltrona enorme. Magari li farò a pezzi, perché il forno non consente di cuocerli tutti interi, però parlo di marionette che supereranno i 2 metri e mezzo, “

Che il rapporto di Antonio Navanzino con la ceramica sia di amore incondizionato lo conferma lui stesso raccontandoci di quando non riesce a staccarsi da un pezzo fino a quando non lo ha finito, o di quando lavora un’intera notte ad un fischietto.
“Abito sopra al mio laboratorio, e mi capita anche la notte di scendere a fare un fischietto. Oppure non vado a dormire finchè non lo completo. Purtroppo ho questo vizio, lo devo completare. Mia moglie mi sopporta. D’altronde già mi conosceva bene prima di sposarci. E prima che avessimo dei figli magari restava con me a farmi compagnia durante il lavoro.”

Fischietti "con la sorpresa"

Probabilmente la cosa che meglio sintetizza il modo di essere di Antonio, la sua ironia e il suo anticonformismo, è la spiegazione che da alla sua scelta di fare dei fischietti in modo che suonino solo se ci si soffia dentro a pieni polmoni.
“Il mio fischietto quando tu lo fischi normalmente non si sente bene, è quasi afono. Invece se lo suoni forte lo senti eccome. Tante volte quando ho partecipato ai concorsi mi hanno telefonato per dirmi: guardi, li dobbiamo rifiutare i suoi fischietti, perché non fischiano. Io rispondo di provare a suonarli con tutto il loro fiato, e allora scoprono che fischiano fortissimo.
Questo perché? Perché quando la membrana finale del fischietto è sottile la vita di quel fischietto è breve. Perché è fatto di argilla, quindi prima o poi cade e si rompe, oppure un bambino ci mette i denti e si rompe la membrana. Io voglio che quel fischietto resti sempre, quindi faccio la membrana più doppia. Avendo la membrana più doppia ci vuole più fiato. Quindi i miei fischietti fischiano, potete stare tranquilli!
Però è bella questa cosa, ormai li faccio sempre così, che tutti inizialmente dicono: ma è una truffa! E invece dopo scoprono che fischia fortissimo. Non ci metto le istruzioni, è bello che mi debba chiamare la persona per protestare e poi ri-scoprire la sorpresa. Io sono burlone, forse è anche per questo che faccio i fischietti!”

Più che un mestiere una passione

Come praticamente tutti gli autori di ceramica sonora anche affermati, Antonio ci conferma che i fischietti rappresentano più una passione che un mestiere sul quale contare dal punto di vista reddituale.
"Io non so fare i conti bene, ma i fischietti sono forse l’1% del mio reddito. Perché spesso non li voglio dar via. E poi ne faccio pochi. Una domenica ogni tanto, il sabato, così. Oppure, possibilmente, su quel fischietto che faccio ci sto sopra un mese. Perché dopo ho questa prigione mentale: ecco, l’ho fatto. Ed ora come lo coloro? E ora che tecnica uso? Quello è il casino! Certe volte mi fa dannare, ma ripeto reddito ne ricavo poco. E poi ho paura a far diventare un reddito questa cosa. “

“Non riproduco mai le stesse cose. Per mia scelta non faccio il calco di questi fischietti, perché se devo studiare la cultura popolare devo andare sempre avanti, non posso rifare le stesse cose.
A volte qualche collezionista mi dice: “ma costano troppo!” Ma la verità è che ci sto troppo tempo a farli!”

“Io oltre ad essere insegnante campo con la ceramica. Quindi quello è il mio mestiere. Ad esempio uscirò per l’anno nuovo con questa serie liberty.[4] Mi diverto a sperimentare con la ceramica, infatti il fischietto è frutto di questa ricerca, ne è una conseguenza. Le tecniche le sperimento prima sul mio lavoro quotidiano, quello della ceramica, e poi il fine settimana magari le applico ai fischietti perché mi è rimasta l’euforia di quello che ho fatto, che ho sperimentato durante la settimana. Quindi i fischietti sono figli della tecnica che io sperimento tutti i giorni. Non potrei da hobbista ottenere gli stessi effetti. E’ una continua sperimentazione. Non si deve mai dire: io già so fare. Serve una continua ricerca.”

“Devo ringraziare Dio perché sono nato in una realtà come Caltagirone. Un po’ di talento, quello ce lo mette Dio. E poi serve tanta volontà. La ceramica ti dà il pane, ma devi imparare a mangiarlo, a morderlo. Devi avere rispetto del dono che ti è stato dato, non devi abusarne. “

Con le sue radici saldamente ancorate alla tradizione siciliana e la sua continua tensione verso la sperimentazione, Antonio Navanzino può a nostro parere essere accostato a quegli artisti che – come Bonaldi, Biavati, Rigon, Paccagnella - hanno saputo rinnovare la tradizione del fischietto popolare elevandola a forma d’arte. E a nostro parere Antonio si avvia a diventare insieme a questi nomi uno degli autori di riferimento per gli amanti della ceramica sonora.


Massimiliano Trulli

NOTE

[1] A Mario Iudici e Salvatore Leone, i più noti ed apprezzati autori di fischietti tradizionali della Sicilia, abbiamo dedicato il post di questo blog pubblicato il 16/3/10
[2] Salvatore Cardello, grande intenditore e appassionato di ceramica sonora, è stato il principale artefice della Rassegna dei Fischietti che si è tenuta a Caltagirone tra il 1988 ed il 2003. Anche di lui abbiamo scritto nel post del 30/11/09
[3] Riccardo Biavati, ceramista ed autore di ceramiche sonore, vive ed opera a Ferrara. A Nove, in Veneto, sono invece attivi sia Domenico che Diego Poloniato, padre e figlio, autori di cuchi e di arciduchi di grandi dimensioni.
[4] La nostra conversazione è avvenuta nell’autunno del 2009, quindi stiamo parlando dell’anno in corso.

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