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domenica 31 marzo 2013

Paola D’Orazio e Roberto Tersigni: sulle orme degli artigiani ciociari


Memorie e Suoni di Terra
conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore
Cavalluccio di Ferentino (P. D'Orazio e R. Tersigni)
 “Il fischietto popolare deve stare in piazza, non chiuso dentro un museo!” Ecco come può essere riassunto in poche parole un impegno ormai trentennale: quello di Paola D’Orazio e di suo marito Roberto Tersigni, che insieme hanno fondato l’associazione culturale J’Api - Arti e tradizioni popolari della Ciociaria.[1]
Sono infatti ormai 3 decadi che questi due ceramisti di Sora hanno riscoperto i fischietti e gli altri oggetti della tradizione figula ciociara e li hanno riproposti ad un pubblico vasto. La particolarità ed il valore dell’operazione culturale da loro portata avanti sta proprio in questo: Paola e Roberto non si sono rivolti alla piccola cerchia degli appassionati e dei collezionisti di ceramiche popolari. Al contrario, sono riusciti a coinvolgere e interessare moltissime persone comuni a questo lavoro di riscoperta della tradizione. Ci sono riusciti riportando la ceramica popolare nelle fiere di paese. Ed a pensarci bene si è trattato di una idea di una semplicità disarmante: fino al recente passato ed alla crisi dell’artigianato, queste fiere avevano rappresentato per secoli i principali luoghi deputati allo smercio delle terrecotte.

Ma facciamo un passo indietro: la Ciociaria è stata storicamente un territorio ricco di centri di produzione di ceramiche di uso popolare, come Arpino, Broccostella, Ceprano, Ceccano, Ferentino, Pontecorvo, Veroli. Poi - a partire dal secondo dopoguerra - vi è stato un veloce declino delle botteghe artigiane, che già a fine anni ’80 erano completamente scomparse.
All’inizio di quel decennio, Paola e Roberto erano due giovani affascinati dalla ceramica popolare. Si rendevano conto che questa tradizione produttiva andava rapidamente scomparendo dal loro territorio, e prima che fosse troppo tardi decisero di intraprendere una ricerca: visitarono i luoghi di produzione e di smercio, individuarono gli ultimi artigiani, e iniziarono a frequentarne le botteghe.

Per ripercorrere la storia dei fischietti e delle terrecotte ciociare ci siamo quindi affidati a questa coppia. In mancanza di testimonianze dirette da parte degli artigiani tradizionali - gli ultimi di loro sono scomparsi già da molti anni –  si tratta senz’altro dei principali depositari della tradizione figula del Sud del Lazio.

Paola: “La ricerca che abbiamo fatto è stata molto, molto interessante. Ormai sono 30 anni che giriamo. Non ci siamo limitati a ricercare gli oggetti, ma ci siamo chiesti perché erano fatti in un certo modo, siamo andati a cercare le motivazioni.
Siamo arrivati appena in tempo! Abbiamo trovato ancora qualcuno che stava ancora lì lì per chiudere l’attività. Poi questi personaggi sono morti ed è finito tutto li!”

Roberto: “Broccostella e Arpino sono stati gli ultimi centri a cessare la produzione di terracotta popolare. E allora noi ci siamo concentrati su questi centri, abbiamo conosciuto gli artigiani e abbiamo riscoperto la loro produzione.”

Paola: “Poi abbiamo fatto il giro delle fiere, e anche da queste abbiamo colto un pochino quella che è la tradizione nostra.”


Alla scoperta delle ultime botteghe

Durante la loro ricerca Paola e Roberto hanno avuto l’opportunità di visitare sia le botteghe dei pignatari - che producevano con il tornio tegami e altri utensili di uso domestico - sia quelle dei figurinai - che realizzavano figure a stampo come statuine devozionali e presepi. Conoscere e veder lavorare gli ultimi artigiani figuli della Ciociaria ha rappresentato per loro un’esperienza fondamentale che ne ha rafforzato l’amore per la ceramica popolare. Frequentare le loro botteghe li ha motivati a raccogliere le memorie e le tradizioni di cui questi artigiani erano custodi e tramandarle ad altri.
Si trattava di botteghe mai toccate da un processo di modernizzazione produttiva, e che  utilizzavano strumenti e tecniche di lavoro particolarmente tradizionali: la creta veniva cavata a mano e depurata battendola con mazze di legno e setacciata grazie a lastre di stagno bucate. I pezzi venivano poi lavorati con il tornio a pedale oppure con stampi di gesso. La cottura avveniva ancora in grandi fornaci alimentate a legna, e per la decorazione venivano utilizzati esclusivamente smalti e pennelli autoprodotti dagli stesi artigiani.

Roberto: “La pubblicazione Ceramica Popolare del Lazio[2] è stata fondamentale per il nostro lavoro. Ci abbiamo trovato moltissimi spunti per le nostre ricerche. Ad esempio abbiamo ricavato da lì indicazioni sui luoghi di produzione e sulle genealogie dei pignatari.”

Paola: “A  Broccostella una volta c’era una strada che si chiama via di Pignataro, dove lavoravano gli artigiani. Lì abbiamo conosciuto Antonio Di Cresci, l’ultimo torniante. Usava ancora il tornio a pedale.
La moglie invece faceva questi fischietti modellati tutti a mano. Riproducevano animali da cortile più che altro, come galline e pavoni.

Ad Arpino c’era Emilio Mastroianni, l’ultimo della dinastia di artigiani figurinai di questa famiglia. Faceva oggetti piccoli come i fischietti, le statuine del presepe, e il Peppino che piscia.”

Roberto: “Abbiamo conosciuto un po’ anche  Rocco Abbatangeli di Ceprano. Lui non faceva fischietti, però, solo le pignatte. Al tornio era velocissimo.

A Cascano[3] c’era Biagio Di Cresci, che ha lo stesso cognome di quello di Broccostella. Siamo andati a trovarlo che era già vecchio. Prendemmo da lui una serie di cocci.”

Paola: “L’ultima è stata Maria. Era una signora di Broccostella che ci ha aiutato molto a capire quali erano le tradizioni locali. Questa Maria venne proprio nel nostro laboratorio, e ci fece vedere come faceva i fischietti. Con quelle mani era incredibile!
Faceva soprattutto il fischietto del cavaliere con il cavallo a tre zampe, ed anche un uccello con una coda lunga lunga, che lei chiamava pavone.
Spesso lavorava con la terra più grezza, proprio quella di Broccostella”

Roberto: “Ora sono tutti scomparsi, non ci sta più nessuno né a Ceprano, né a Arpino, nè a Broccostella.
In generale ne è rimasto pochissimo di artigianato in queste zone. C’è giusto qualche anziano che fa i canestri o le ciocie.”


I fischietti fatti a mano di Broccostella e Ferentino

I fischietti in terracotta sono senz’altro tra i prodotti della tradizione ceramica ciociara che hanno suscitato maggiormente l’interesse di Paola e Roberto. Ed anche nelle fiere da loro frequentate sono tra gli oggetti sui quali si concentra l’attenzione del pubblico.
Ciufolitt (R. Tersigni)
Ciufolitt (R. Tersigni)

 
Probabilmente la cosa che conferisce a questi fischietti un fascino ed un’espressività particolare è la loro primitività. D'altronde è possibile individuare una ragione storica precisa della semplicità di questi fischietti: come abbiamo visto, in Ciociaria le botteghe che li producevano hanno cessato la loro attività non più tardi dei primi anni ‘80.  In altre aree di produzione le cose sono andate diversamente: ad esempio in Puglia e Veneto era in corso proprio in quegli anni una riscoperta dei fischietti e più in generale della ceramica popolare. Si è trattato di un processo che ha valorizzato questi oggetti, ma al tempo stesso ne ha incoraggiato una rielaborazione e un adattamento ai gusti del pubblico moderno. In questo modo l’originaria semplicità dei fischietti è stata alterata, ed alle forme autenticamente tradizionali ne sono subentrate altre  progressivamente più complesse e raffinate.


Nella tradizione produttiva ciociara sono presenti due diverse tipologie di fischietti: quelli  modellati a mano nelle botteghe dei pignatari e quelli realizzati a stampo dagli artigiani figurinai.
Alla prima tipologia appartiene quello che probabilmente è il fischietto più conosciuto e riconoscibile della tradizione ciociara: quello proveniente dall’area di Broccostella che rappresenta il cavaliere a cavallo. L’animale è sempre rigorosamente modellato con tre sole zampe: due anteriori e una sola posteriore. Paola e Roberto hanno verificato come questo fischietto venisse regalato alle spose di Broccostella, che lo conservavano nella camera da letto. Per questa ragione si pensa che la gamba posteriore del cavallo rappresentasse un simbolo fallico, e che il dono avesse per la coppia di sposi un significato augurale di fertilità e felicità coniugale.

Paola: “Secondo me il cavallo a tre zampe è il personaggio più bello della nostra tradizione. Perché ha una sua storia, una collocazione. Si sa quale origine e che significato ha.
Era un regalo che si faceva alle spose di Broccostella. Ci diceva Maria che le spose lo mettevano sopra il comò della camera da letto. E ci raccontava che più il cavallo era grande e più era forte il suo significato, quindi si faceva quasi a gara a regalare alle spose questi cavalloni sempre più grandi.”

Roberto: “Anche gli artigiani facevano a gara a chi lo faceva più alto e più lungo, era una specie di virtuosismo. E per farli più belli mettevano sulla base del cavallo degli animali: cagnolini, pecorelle, galline.”[4]

E’ interessante notare che in occasione della fiera di Balsorano, gli artigiani di Broccostella ritoccavano la figura del cavaliere per fargli assumere le sembianze di San Giorgio. Con poche modifiche, questo soggetto decisamente profano assumeva quindi una valenza religiosa e devozionale.

Roberto: “Per la fiera di Balsorano il cavalluccio a tre zampe di Broccostella diventava San Giorgio e il drago. Era la festa dei fischietti, e quelli di Broccostella andavano lì a vendere i loro oggetti.”

Paola: “E’ sempre lo stesso personaggio, però lo facevano diventare San Giorgio, perché a Balsorano si venerava questo santo patrono.”

Viene da Ferentino un altro fischietto tradizionale che riproduce le sembianze di un cavallo. In questo caso il cavalluccio è privo di cavaliere, e le sue forme sono molto essenziali, quasi stilizzate. In questo caso Paola e Roberto non hanno trovato alcun artigiano in attività che ancora producesse i cavallucci, e si sono quindi rifatti ai pezzi della collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari . [5]

Il fischietto più semplice di tutti era però probabilmente il ciufolitt, le cui fattezze riproducevano sommariamente le sembianze di un uccellino. Nonostante la sua semplicità, il fischietto era dotato di un foro digitale che permetteva di ottenere un suono bitonale e di una piccola appendice alla base, che faceva da impugnatura.

Roberto: “Il ciufolitt è invece il fischietto più piccolo. Si regalava ai ragazzini, perché poi era il fischietto che costava di meno. Viene sempre da Broccostella.

Ciufolitt (R. Tersigni) 
Una volta, mentre stavamo facendo una fiera, un vecchio mi raccontò una storia su questi ciufolitt. Era il 1946, e questo vecchio c’avrà avuto una decina d’anni. Col nonno erano andati da Sora a San Donato dove c’era la fiera di Santa Costanza. Erano andati a piedi, e considera che sono una ventina di km di cammino. Una volta arrivati andarono alla messa e poi a vedere il mercato con le cuccetelle,[6] i fischietti, le cannate, eccetera. E allora il nipote diceva: Tatò, accatteme i ceufelitt! - Nonno, comprami i ciufolitt. E il Nonno gli rispose: “Tramentime e ce ne jàme! – guardiamo solamente e poi ce ne andiamo!”.

Ci sono testimonianze del fatto che per lo meno a Broccostella fossero normalmente le donne della famiglia ad occuparsi della produzione dei fischietti.[7] Gli uomini - gli unici in grado di effettuare la lavorazione al tornio - si occupavano invece della modellatura di un fischietto noto con il nome di cucurro e della brocca con il fischio.[8]


I fischietti a stampo di Veroli ed Arpino

Nella Ciociaria vi erano anche altri centri di produzione – come Veroli e Arpino - nei quali i fischietti erano realizzati nelle botteghe dei figurinai. Abbiamo già accennato come questi artigiani  non erano soliti modellare i singoli pezzi a mano, ma realizzavano un unico prototipo dal quale ricavavano poi il calco in gesso. Questo permetteva loro di realizzare pezzi più raffinati, dato che la riproduzione in serie permetteva una maggiore accuratezza sia nelle forme che nella decorazione.
Cavaliere (Maria - Broccostella)

Ad Arpino erano attive due famiglie di figurinai, i Mastroianni e i Palma. In questo centro la produzione di fischietti è cessata da decenni, ma fortunatamente possiamo rifarci alla collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari per avere una idea della tipologia di pezzi realizzati dagli artigiani di Arpino nei primi anni del ‘900. In questa collezione sono presenti in particolare alcuni fischietti realizzati da Felice Mastroianni (1860-1937). In alcuni casi si tratta di pezzi a tema religioso, come Gesù Bambino e San Cataldo. Vi sono poi alcuni esemplari di un fischietto ad acqua, composto da un vasetto - modellato al tornio - sormontato da un uccellino -  ricavato da uno stampo.
La bottega dei Palma produceva invece fischietti con le sembianze di paperelle, soldati, pesci.[9]
Ci sono in fine testimonianze della realizzazione di fischietti a stampo anche a Veroli da parte dell’artigiano Barno, detto Carniccio. [10]

Fischietti a parte, Paola e Roberto hanno indagato sulla produzione di una serie di altri oggetti, come le campanelle, le pipe di coccio, le brocche, e una figura satirica nota come il “Peppino che piscia”.

Rispetto alle campanelle, il già citato libro “Ceramica Popolare del Lazio” nota come questi oggetti avessero nella tradizione ciociara una valenza diversa da quella magica-apotropaica a loro attribuita in altre are geografiche. Le scritte rinvenute su molte campanelle sembrano infatti indicare che queste fossero utilizzate come dono di corteggiamento.

Paola: “I campanelli si regalavano alle ragazze. Era una specie di dichiarazione d’amore. E poi se la ragazza accettava la corte regalava al ragazzo una pipa di quelle di coccio.”

Roberto: “Il Peppino che piscia invece è una statuetta che raffigura appunto un bambino che fa pipì in un vasetto, ed è originario di Isola del Liri. Qualcuno che incontriamo alle fiere ci dice che era un fischietto, ma io penso che si confondano. Anche perchè lo faceva Emilio Mastroianni di Arpino, e lui non ha mai fatto fischietti. Probabilmente stava solo sulle bancarelle in mezzo i fischietti, e per questo qualcuno crede di ricordare che fischiava.”


Rubando il mestiere con gli occhi

Abbiamo già detto come Paola e Roberto non si siano accontentati di svolgere un lavoro di ricerca fine a se stesso: si tratta di due bravi produttori di ceramiche che hanno dato nuova vita agli oggetti della tradizione figula ciociara. In questo modo, dopo aver raccolto il testimone dalle mani degli ultimi artigiani, hanno poi proseguito il loro lavoro. Nel loro laboratorio di Sora si realizzano a tutt’oggi una serie di oggetti della tradizione figula ciociara che altrimenti sarebbero solamente un ricordo del passato.

Roberto: “Messe insieme tutte le notizie possibili abbiamo ricominciato la produzione, perchè ormai praticamente era finito tutto.
Per imparare a fare questi oggetti abbiamo osservato gli artigiani che lavoravano. Perché nessuno di loro ti insegna niente, sono gelosi!

Abbiamo visto come facevano i fischietti a Broccostella, le campanelle ad Arpino, e come Abbatangeli lavorava al tornio. E quindi abbiamo messo insieme queste tecniche e le abbiamo messe in pratica. E poi, per molti degli oggetti che abbiamo rifatto ci siamo ispirati a “Ceramiche Popolari del Lazio”. Abbiamo preso da quel libro tante forme.

pietre di manganese utilizzate per gli smalti





Paola: “Roberto lavora anche al tornio, ad esempio fa le campanelle. Ed io mi sono un po’ più specializzata sulla decorazione, oltre che sulla modellazione di oggetti particolari. Io sono più perfezionista nel modellare, mentre lui ha la mano più rapida. D’altronde per gli oggetti popolari dovrebbe essere così.”

Nel riprodurre questi oggetti, i due ceramisti-ricercatori pongono la massima attenzione al rispetto delle forme, ma anche delle tecniche produttive degli artigiani tradizionali. Non è infrequente per loro utilizzare materiali desueti come la terra grezza raccolta in un campo e depurata a mano, o sgretolare le pietre di manganese per ricavarne il caratteristico colore marrone, e persino adoperare l’ossido di piombo per l’invetriatura dei pezzi.

Paola: “Abbiamo preso un po’ di creta proprio a Broccostella. E’ molto impura, e prima di utilizzarla per fare questi oggetti si deve lavorare, pulire, battere. Però è bellissima: rossa, ruvida. E’ la terra proprio delle pignatte.
Ad esempio questi fischietti li ho rifatti uguali come li faceva Maria, usando la creta rossa di Broccostella. La creta pirofila ci assomiglia, ma questa è un'altra cosa.” 

Roberto: “A Broccostella la decorazione era proprio una cosa primitiva: tutti questi oggetti venivano lasciati grezzi, oppure si decoravano con appena e un po’ di manganese e  piombo. O magari si ricoprivano solo con il piombo, per farli venire lucidi.

E anche noi la decorazione la facciamo tutta con il manganese. Sono queste pietre qui, che io sbriciolo e faccio diventare polvere. E poi la mischio al piombo e la cuocio a 900 gradi. E’ un lavoro che si fa solo ogni tanto, tanto ne serve talmente poco…”

Paola: “In alcuni dei nostri pezzi si vede proprio la scolatura del manganese, che fa una serie di effetti strani. Perché ad alte temperature fonde e a volte vengono fuori delle cose bellissime.”
Oppure usiamo solo piombo. Certo, il piombo è tossico, quindi lo usiamo su pochissimi oggetti, soltanto per i fischietti.”

Roberto: “Anche i legnetti per fare i buchi al fischietto te li devi fare da solo, non è che si comprano. E io ogni tanto me li faccio.
Sono di bosso, che poi è una siepe con quelle foglioline ovali. Il bosso va bene perché è un legno compatto, abbastanza elastico, durissimo. Il loro nome tradizionale è cautature.”

Paola: “Cautature viene da cautare, che significa appunto scavare. Perché erano gli arnesi per scavare l’argilla, no?”


Fare cultura in nelle piazze

La partecipazione alle fiere rappresentava per gli artigiani ciociari un’imprescindibile fonte di reddito, alla quale ci si preparava con mesi di anticipo. Anche per la popolazione si trattava di appuntamenti importanti da diversi punti di vista: come occasione di socializzazione, per il loro significato religioso, e anche per aspetti pratici come la possibilità di acquistare prodotti altrimenti difficili da reperire.

Bisogna sottolineare che il Sud del Lazio vanta in questo campo una tradizione antichissima: le fiere di Sora, Arpino, Pontecorvo sono documentate addirittura sin dal medioevo.

Sulle bancarelle non mancavano utensili e giocattoli in terracotta. In alcuni casi questi prodotti finivano anzi per caratterizzare la fiera tanto da darle il nome: è il caso della “Fiera dei coccetti” che si teneva a Ceccano i primi di agosto di ogni anno, o di quella “delle Campanelle” che si teneva la prima domenica di settembre ad Arpino.
Le cautature per fare i fori ai fischietti

In queste stesse fiere anticamente frequentate da pignatari e figurinai Paola e Roberto sono tornati a proporre gli oggetti della tradizione artigianale.
Per loro le fiere non rappresentano solamente una occasione di vendita, ma sono parte integrante del lavoro di ricerca. Spesso capita soprattutto che gli anziani si avvicinino al loro banchetto stimolati dalla presenza di un determinato oggetto che non vedevano più da tempo. Ne scaturiscono discussioni che rappresentano una preziosa fonte di informazioni.

Roberto: “Facciamo ogni anno la fiera del Crocificco di Isola Liri, quella del Perdono di Balsorano che si tiene il 2 di agosto, quella di Santa Costanza a San Donato, quella di Arpino. Queste sono le fiere più importanti.
A Balsorano non c’era più la fiera dei fischietti ed a Arpino non c’era più la fiera delle campanelle. E noi siamo tornati li per riportare i fischietti e le campanelle, e la gente si ricordava di questi oggetti.”

Paola: “Proprio a partire da quello che la gente ci diceva durante le fiere noi abbiamo fatto un passo indietro e ci siamo attrezzati a rifare gli oggetti che ci chiedevano. Perché le persone ci dicevano: ah si, un tempo sulle bancarelle si vendeva questo, si vendeva quell’altro. E noi abbiamo rifatto tutti questi soggetti.

Quando la gente si ricorda è una grande emozione. L’esperienza più bella è stata quando siamo tornati a Isola Liri la seconda domenica di luglio, quando loro fanno la festa del Crocifisso. Era una fiera importantissima, e gli artigiani portavano i cocci, le coccinelle, i fischietti, il Peppino che piscia.
Noi siamo tornati lì invitati dal comitato dei festeggiamenti e ci hanno detto: rifate il Peppino perché non lo troviamo più. Noi ne facemmo un centinaio di esemplari,  e ci sembravano pure tanti. Dopo mezz’ora tutti gli abitanti del paese stavano davanti alla nostra bancarella: erano impazziti! Le signore tutte a comprare le cuccetelle!
Insomma, la fiera si fa il sabato e la domenica, e il sabato alle 8 di sera erano finiti tutti i Peppini.  Quella è stata una esperienza proprio bella, le persone volevano proprio rivedere queste cose. Ora ci torniamo ogni anno, ed ogni anno è sempre un successo.”

L’allestimento della bancarella dell’ Associazione J’Api è molto curato, e nulla è lasciato al caso. Numerosi pannelli illustrati e volantini servono a fornire alcune nozioni di base sulle terrecotte ciociare.
Anche i singoli prodotti in vendita sono accompagnati da un breve testo che spiega in maniera sintetica origine, significato, nome tradizionale dell’oggetto.
Volta per volta si pone una particolare attenzione proprio alla storia di quella particolare fiera o degli oggetti artigianali prodotti nell’area.

Al di là del riscontro ottenuto in termini di vendite  -  di solito positivo - la partecipazione alle fiere ha insomma un indubbio valore culturale e divulgativo rispetto alle tradizioni locali.
Uno dei pannelli didattici per le fiere

Roberto: “Quando andiamo in giro siamo – diciamo così - tirati a lucido. Facciamo sempre un allestimento di 10 – 12 cartelli. Uno spiega le fasi della lavorazione al tornio, uno il funzionamento del forno, eccetera. Sono tutte cose che incuriosiscono, e la gente si ferma.
E ogni oggetto venduto è accompagnato da un libricino che ne racconta l’origine e la storia.

Non ci interessa fare un prototipo di fischietto e tenerlo chiuso in una bacheca, o fare una semplice rievocazione. Noi quando usciamo ci portiamo appresso 1.000 fischietti e magari ne riportiamo indietro 500. Noi a questo teniamo: a riproporre quell’oggetto, a vendere un grande numero di fischietti. A parte che noi vendiamo a prezzi molto bassi, abbiamo fischietti da 2 o 3 euro. E allora la gente se li compra.

Ora c’è un'altra fiera che vogliamo fare, quella di San Giuseppe, che si tiene a Marzo ad Atina. Si  faceva anticamente una fiera sempre di fischietti e di cuccetelle. E noi vorremmo ritornare in questo paese e fare rivivere questa tradizione.
Dovremmo fare qualche cartellone, ritrovare qualche immagine di com’era. Ritrovare e rifare qualche oggetto tipico del posto.”

Il laboratorio di via Marsicana

Non sarà la bottega di un artigiano tradizionale, ma visitare il laboratorio dell’associazione J’Api a Sora, in via Marsicana, è una esperienza molto interessante. Qui Paola e Roberto, oggi aiutati dalla figlia, realizzano ancora le ceramiche tradizionali ciociare. Lo fanno nel tempo libero, dato che di sole ceramiche popolari non si vive.

Paola: “Questo era proprio il nostro lavoro fino a una decina di anni fa, poi abbiamo cominciato a fare anche altre cose. Io sono assistente sociale al Comune di Sora, e Roberto insegna italiano e storia a scuola. Mia figlia continua la produzione ma con grande difficoltà, non è facile. Si è dovuta orientare sulle bomboniere e su un discorso più commerciale.

Adesso abbiamo meno tempo di una volta, ma non pensiamo di lasciare perdere, è troppo interessante. E poi c’è soddisfazione, perché queste cose hanno successo. E allora te ne rendi conto e vai avanti.”

Nel laboratorio è anche possibile – magari insistendo un po’ – vedere alcuni oggetti storici, quelli che Paola e Roberto hanno raccolto  all’inizio della loro ricerca e che oggi custodiscono gelosamente.

Paola: “I pezzi antichi che ci sono rimasti sono sacri per noi: anche se ce li chiedono non li diamo a nessuno. Di questa signora Maria abbiamo ad esempio una cassetta di fischietti. Qualcosa addirittura la teniamo nascosta. Anche perché più passa il tempo più queste cose sono impossibili da trovare. A dire la verità a volte le cose che abbiamo nascosto non ci ricordiamo neanche più bene dove si trovano… Insomma siamo diventati un po’ fissati!”

La "preziosa" cassetta dei fischietti di Maria
  

I testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata


[1] J’Api, Via Marsicana, 104, 03039 – Sora (Frosinone), tel. 0776 825561. Alcune informazioni sintetiche sulla ricerca svolta sono visibili al sito http://fischiettidellaciociaria.wordpress.com/about/
[2] Elisabetta Silvestrini (curatrice), Ceramica Popolare del Lazio, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari, Quasar 1982
[3] Cascano si trova nella Provincia di Caserta, ma nella produzione delle botteghe di questo paese è rilevabile una notevole omogeneità produttiva con quella del basso Lazio.
[4] Nell’articolo di Roberto Biagi ed Anna Rita Pontremolesi “Fischietti del Lazio - contenuto in Salvatore Cardello (curatore), SIBILUS 4, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Caltagirone, 2004 -  si fa l’ipotesi che oltre alla funzione ornamentale, il cane posto alla base del fischietto simboleggi la fedeltà tra i coniugi, rafforzando così il significato beneaugurale del fischietto.
[5] Esemplari di questi fischietti sono presenti - oltre che nel già citato testo di E. Silvestrini - anche in: Paola Piangerelli (curatrice) La Terra, il Fuoco, L’Acqua, il Soffio – la collezione dei fischietti di terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1994.
[6] Si tratta di miniature delle stoviglie in terracotta. Venivano realizzate con le stesse tecniche delle stoviglie vere e proprie e regalate come giocattoli alle bambine.
[7] Oltre alla testimonianza di Paola e Roberto – di cui abbiamo già detto - lo si afferma anche in P. Piangerelli, op. cit.
[8] Le informazioni sono tratte da E. Silvestrini, op. cit.
[9] Questi ultimi erano per la verità realizzati a mano, a testimonianza del fatto che la dicotomia tra le tecniche produttive non sia da intendersi in maniera rigida. Si veda E. Silvestrini, op. cit.
[10] E. Silvestrini, op. cit.

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