tag:blogger.com,1999:blog-87445815268591143072024-03-05T05:21:20.352+01:00GENIUS LOCIQuesto è il blog dell'Associazione Culturale GENIUS LOCI di Matera - Vi presentiamo gli eventi da noi curati a Matera e dintorni e nella CASA GROTTA del CASALNUOVO; notizie inerenti il mondo dei FISCHIETTI in terracotta ed informazioni sulla nostra meravigliosa terra.Genius Locihttp://www.blogger.com/profile/03212553811587045880noreply@blogger.comBlogger298125tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-80202529043249942442015-12-01T18:06:00.000+01:002015-12-04T19:21:04.314+01:00I fischietti di Mario Iudici in mostra al museo della ceramica di Caltagirone<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioP8eMWzc9_J4tkMI_gLoptmY6QZmu17uE9m5qLqfbA_aTVbCahFG8YhErkRdSTo6x3QBG7HCSwARfRt5QnH26QoUDW3hClOB14J56tzXpxo3eCXAm-R9bYpBbrF5DipbJ8jDeaD7egYqr/s1600/locandina.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEioP8eMWzc9_J4tkMI_gLoptmY6QZmu17uE9m5qLqfbA_aTVbCahFG8YhErkRdSTo6x3QBG7HCSwARfRt5QnH26QoUDW3hClOB14J56tzXpxo3eCXAm-R9bYpBbrF5DipbJ8jDeaD7egYqr/s320/locandina.png" width="226" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
Sarà visitabile ancora per alcuni mesi la mostra
dedicata ai fischietti in terracotta di Mario Iudici e inaugurata lo scorso 27
novembre a Caltagirone. L’esposizione è allestita all’interno del Museo
Regionale della Ceramica di Caltagirone, e rappresenta contemporaneamente un
omaggio ad uno dei più importanti ceramisti calatini e ad un oggetto – il
fischietto – fortemente legato alla tradizione artigianale locale.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
La mostra espone l’intera collezione di fischietti
del Maestro Iudici - oltre 170 pezzi tra soggetti tradizionali e creazioni
originali del Maestro Iudici – come quelli che rappresentano le teste di
paladini e quelli ispirati all’arte fenicia. Tra i fischietti della tradizione
sono ovviamente molto presenti i “santi col fischio” che rappresentano una
delle espressioni più caratteristiche e originali della ceramica popolare di
Caltagirone.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Per esporre i pezzi, i curatori della mostra hanno
realizzato un allestimento piuttosto originale: una sorta di gabbia luminosa
realizzata in metallo, mattoni di terracotta e luci led.
All<o:p></o:p></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ6XJygag0rvjG3GMiKqpANBhMGA6chotkqDIJ33PnRcmzoeZGadbtX6ITyDdH0NIEAvc07LsecKTw0Mv9JsR3UEI88Yn7zXrMDRy5Sn0f5wTNheI0-93WY9gyPwaKVPwSHrE-1QVo4o8q/s1600/allestimento.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZ6XJygag0rvjG3GMiKqpANBhMGA6chotkqDIJ33PnRcmzoeZGadbtX6ITyDdH0NIEAvc07LsecKTw0Mv9JsR3UEI88Yn7zXrMDRy5Sn0f5wTNheI0-93WY9gyPwaKVPwSHrE-1QVo4o8q/s320/allestimento.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'allestimento della mostra</td></tr>
</tbody></table>
’interno di questa gabbia di forma circolare è contenuta “l’anima dei
fischietti” - ovvero gli stampi di gesso con cui questi vengono realizzati –
mentre sul perimetro sono collocate le teche con le opere. <br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
In occasione dell’inaugurazione è stato organizzato
un convegno che si è tenuto alla presenza del Maestro Iudici. Si è trattato di
una opportunità per approfondire i significati del <i>frischittu </i>calatino, e più in generale per riflettere sulla
tradizione e sulle prospettive della ceramica locale. Particolarmente
interessante è stato l’intervento del Prof. Cilberto, ordinario di chimica
inorganica dell’Università di Catania, che ha parlato delle caratteristiche
uniche della creta di Caltagirone. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
La bellezza della creta locale depurata a mano può
essere ammirata anche nei fischietti esposti raffiguranti Sant’Agostino e
realizzati da Giacomo Iudici – figlio del Maestro. Per permettere ai visitatori
di ammirare venature e sfumature della creta non industriale, accanto al
Sant’Agostino decorato ve n’è uno in creta cruda e uno in terracotta grezza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4N8C5_XOcQn8zx-ZCFOnWyd097tFosySyBLdal3mtBi0EW8XbME9LvszFw_DnMhECm6fgZCX106-jIuOPR8wMmHkPd2c9KXA0PDuKucwB3fqgfnVgUbAIk6Z86cADj7swOgSFNqd8L2AR/s1600/P1020793.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4N8C5_XOcQn8zx-ZCFOnWyd097tFosySyBLdal3mtBi0EW8XbME9LvszFw_DnMhECm6fgZCX106-jIuOPR8wMmHkPd2c9KXA0PDuKucwB3fqgfnVgUbAIk6Z86cADj7swOgSFNqd8L2AR/s320/P1020793.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">una vetrina di fischietti</td></tr>
</tbody></table>
Oltre ad essere una occasione unica per vedere
l’intera collezione di bellissimi e coloratissimi <i>frischitti </i>calatini, visitare la mostra può rappresentare anche l’opportunità
per ammirare un Museo che raccoglie una delle collezioni di ceramica più
importanti a livello nazionale.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
C’è da sperare che questa bella mostra contribuisca
a rilanciare l’attenzione verso i fischietti in terracotta. Negli anni ’80 e
’90 Caltagirone è stata pioniera del movimento per la valorizzazione di questi
oggetti, grazie alle Rassegne internazionali organizzate con il contributo
decisivo del compianto Salvatore Cardello. In quegli anni fu anche acquisita una
eccezionale collezione di fischietti provenienti da tutto il mondo;
sorprendentemente questa collezione unica – di proprietà della Regione Sicilia
- da oltre 15 anni giace in un deposito.
E’ decisamente arrivato il momento di esporla e valorizzarla, magari
all’interno del nuovo museo della Ceramica che dovrebbe vedere la luce presso
la sede di Sant’Agostino.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaF1L3R8ruP-gK9_-Px7qKGFvyBc7FqEnSEeJM8kWir2ss2Dga-QuSMViAom4vgPkzCZ6ZFjWtrTWHzbr3m0CAByRocFhgddPk97PDvjnAcgUAXp4I9rYdLjryWrd-60p1NtqYjmJ4A7rD/s1600/maestro+2.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaF1L3R8ruP-gK9_-Px7qKGFvyBc7FqEnSEeJM8kWir2ss2Dga-QuSMViAom4vgPkzCZ6ZFjWtrTWHzbr3m0CAByRocFhgddPk97PDvjnAcgUAXp4I9rYdLjryWrd-60p1NtqYjmJ4A7rD/s320/maestro+2.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il Maestro Iudici</td></tr>
</tbody></table>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-86014627590585938842014-11-17T20:44:00.000+01:002014-11-29T11:45:48.274+01:00Cocci e Fischietti della Tuscia: le botteghe di Vetralla, Vasanello, Tuscania, Acquapendente<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div style="text-align: center;">
Memorie e Suoni di Terra - conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1niEJjM_jfG2r6-9emK1vH4_23Mq6JsYOx0Q6Hr9d6yVDxsyYXMFoqlW23_p9X4V9J-UoR-UgXYqVG1BuK0XYByMCLJZMsV6AfTV_qc-pi15z5M4eX92TH2sJb9WkmH65SwZKzEEqDbia/s1600/fischietti+vetralla.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1niEJjM_jfG2r6-9emK1vH4_23Mq6JsYOx0Q6Hr9d6yVDxsyYXMFoqlW23_p9X4V9J-UoR-UgXYqVG1BuK0XYByMCLJZMsV6AfTV_qc-pi15z5M4eX92TH2sJb9WkmH65SwZKzEEqDbia/s1600/fischietti+vetralla.jpg" height="240" width="320" /></a></div>
<br />
La Tuscia è stata terra di cocci
e fischietti fino agli anni ’50 del secolo scorso. In paesi come Vetralla,
Vasanello, Tuscania o Acquapendente le botteghe di ceramiche popolari erano così
numerose che vi erano intere strade e quartieri specializzati nella produzione delle
terrecotte. Lo testimoniano le parole di
alcuni degli ultimi cocciari attivi in questi paesi:<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Bisognava veni’ 60 anni fa. Ce n’erano tanti
(di cocciari). Di qui fino a su erano tutte grotte, e facevano tutte questo
mestiere. Avoglia! Saranno state 14. Anzi, prima della guerra saranno state
pure di più. C’erano i Pistella, i Paolocci, la Scimmia. Erano famiglie che ce
se campava.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco Ricci:
“<i>Prima era così, via dei Pilari era tutta
una via di pignattari. Ti parlo sempre di prima della guerra. C’erano anche
altri mestieri, ma la figura che proprio rappresentava Vetralla è stato sempre
il pignattaro, il cocciaro.”</i> <i><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Orlandi: <i>“(Il Paese si chiama Vasanello) perché prima
qui c’erano tutte botteghe, tutte fornaci. Se uno va negli scantinati, trova
tutte fornaci”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Che me ricordo io, subito dopo la guerra
c’erano 7 botteghe. 4 erano concentrate proprio quaggiù, in questa parte del
paese. Poi c’era un’altra verso l’Ortaccio e 2 alle Predicare.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Abbiamo chiesto ad alcuni artigiani
della zona di aiutarci a ricostruire come si svolgesse la vita del cocciaro e
quale fosse la produzione di queste botteghe. Le persone intervistate sono in
alcuni casi <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
anziani artigiani che hanno speso
tutta la vita lavorando nelle coccerie; in altri casi abbiamo parlato con i
figli di questi maestri, che dopo aver frequentato in gioventù la bottega
paterna si sono dedicati ad altre attività.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 9.0pt; mso-list: l1 level1 lfo1; tab-stops: list 9.0pt; text-align: justify; text-indent: -9.0pt;">
<br />
<ul>
<li>A Vetralla abbiamo raccolto le testimonianze di
Felice e Francesco Ricci. Il primo ha portato avanti il mestiere del cocciaro
fino a pochi anni fa; il nipote Francesco ha lasciato la bottega di famiglia da
ragazzo, ma ancora oggi continua per hobby a realizzare cocci e fischietti.</li>
<li>A Vasanello abbiamo parlato con Orlando Orlandi,
appartenente a quella che è probabilmente la famiglia locale con una maggiore
tradizione nel campo della ceramica popolare.</li>
<li>Per quanto riguarda Tuscania ci siamo rivolti a
due famiglie di produttori locali: i Pizzinelli ed i Lucchetti. Per quanto
riguarda i primi abbiamo parlato con Gianfranco Pizzinelli, che ha imparato il
mestiere da apprendista, ma poi ha lasciato la bottega di famiglia per
dedicarsi all’attività di restauratore. Rispetto ai Lucchietti abbiamo raccolto
la testimonianza di Valentina e Bruno – rispettivamente moglie e figlio di
Angelo, l’ultimo cociaro attivo nel paese.</li>
<li>Ad Acquapendente abbiamo intervistato Sergio
Polacco, ceramista oramai in pensione e figlio del cocciaro Osvaldo Polacco.</li>
</ul>
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 9.0pt; mso-list: l1 level1 lfo1; tab-stops: list 9.0pt; text-align: justify; text-indent: -9.0pt;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 9.0pt; mso-list: l1 level1 lfo1; tab-stops: list 9.0pt; text-align: justify; text-indent: -9.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Queste testimonianze dirette sono
arricchite da alcuni stralci di interviste ad artigiani ormai scomparsi
riportate dal bellissimo volume Ceramica Popolare del Lazio.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Molte di queste famiglie
rappresentano vere e proprie dinastie di pignattari, nelle quali il mestiere
veniva trasmesso di padre in figlio da molte generazioni.<o:p></o:p></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5yuMuUde9outsH929Q0nTt8DPzrHeXP1Ha_ZOrxrhYeGJeJdU5c5mwQvpCvQapiCMNZdLrOJsKQJHXvKrKkmAvPGJl6dzpPTj1fSC8MFhHtopHif24BgrKRpaVklr8KDVap5ZQmt1V6eM/s1600/orlandi+modella+3.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj5yuMuUde9outsH929Q0nTt8DPzrHeXP1Ha_ZOrxrhYeGJeJdU5c5mwQvpCvQapiCMNZdLrOJsKQJHXvKrKkmAvPGJl6dzpPTj1fSC8MFhHtopHif24BgrKRpaVklr8KDVap5ZQmt1V6eM/s1600/orlandi+modella+3.JPG" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Orlando Orlandi modella un fischietto (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Facevano i cocciari mio padre Alverio, e Ovidio
- che era mio zio. Poi c’era Linceo Orlandi e Bruno, che eravamo cugini. Facevano
questo mestiere nonno Giovanni e anche nonno Lanno, che era il mio bisnonno.“<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>In famiglia mia un po’ tutti facevano i
cocciari. Mio Bisnonno faceva il cocciaro a Cetona. Anche i miei Zii erano 7
fratelli e c’avevano una grossa fabbrica ad Acquapendente. Facevano mattoni,
laterizi, queste cose qui. Stavano sempre nel ramo. <a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[2]</span></b></span><!--[endif]--></span></a> <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Mio Bisnonno è morto di polmonite per una freddata, che è una cosa che
succedeva facilmente quando lavoravi alle fornaci. E allora mio Nonno - che era
figlio unico - è venuto da Cetona verso il 1908 per lavorare ad Acquapendente.
Aveva 17-18 anni ed è andato a lavorare subito da un certo Mezzetti che c’aveva
una cocceria.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>non so dire da quanto tempo la mia famiglia
lavora la terracotta: io ci ho trovato mio nonno Ilario e mio padre Francesco.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il più delle volte la cocceria
era strutturata come una piccola azienda nella quale tutta la famiglia del
cocciaro era impegnata nella produzione, comprese donne e bambini.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>A quel tempo tutte le famiglie davano ‘na
mano a fa’: marito, moglie, figli, cugini, nipoti...”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Valentina Lucchetti: “<i>Aiutavo sempre mio Marito, gli preparavo la
creta: la maneggiavo, la pulivo dai sassi, poi gli facevo tutte palle, e lui la
lavorava. Mi dolono le braccia per tutta la creta che ho maneggiato!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando siamo andati a lavorare da Mezzetti, lui vide che ero tanto
magra e mi disse: “ma questa non è buona
a niente!” Poi mi misero al forno a tirà su le fascine. Le assestavo bene e poi
le tiravo su. E a quel punto Mezzetti cambiò idea: “porca miseria, pareva che
non sapevi fà niente, invece sei mondiale!” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Poi c’era da prendere gli oggetti quando si sfornava. E allora gli
uomini sfornavano ‘ste cose dalla parte alta della fornace e io sotto le
pigliavo. E a volte dovevo dirgli: “fate piano, fate piano!” Ma una volta una
brocca mi finì sopra il ditone del piede. Mi toccò andà all’ospedale!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Andavamo anche a fa’ le fascine alla macchia. Si lavorava la notte
pure!” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Eravamo io, mio fratello e 3 sorelle. E da
ragazzetti lavoravamo tutti in bottega. Perché nelle famiglie artigiane
aiutavano tutti, ognuno con quello che poteva fare. Donne comprese.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Una particolarità dei cocciari -
e più in generale degli artigiani - del viterbese sta nel fatto che spesso ciascuna
famiglia veniva identificata da un soprannome.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: <i>“Qui si va tutti a soprannomi: Checco Lallo,
la Scimma, il Burica...”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Tutto il paese aveva il
soprannome, però in particolare il pignattaro, che era la figura che più rappresentava
Vetralla. Ogni pignattaro c’aveva il suo soprannome, e pe’ capisse dove avevi
preso la robba dicevi: questo pignatto l’ho preso da Cinque Ciocche, da Checco
Lallo, dalla Scimmia, dal Burica …Adesso neanche me li ricordo tutti. <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">A noi ci chiamavano Checco Lallo perché
il nonno se chiamava Francesco e il bisnonno Ilario: quindi Lallo e Checco.
Però gli altri soprannomi non so da dove venivano.” <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Nel viterbese tutti hanno un soprannome. Angelo
Lucchetti era er Ciappotta perché era il fijo de Ciappotta. Ora lo dicono anche
al fijo.</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Noi avevamo il soprannome cocciaretto, perché Nonno era venuto che
aveva 17 anni e faceva il cocciaro, quindi cocciaretto. </i><br />
<i>A Mezzetti invece je dicevano Zì Caco. Una
volta lì al paese c’erano i gabinetti pubblici. La bottega sua era giù di sotto,
e allora di corsa veniva su al paese per usare il gabinetto. Dicono che venne
di corsa e mentre veniva si sbottonava i pantaloni. Appena arrivato aprì la
porta, se girò e je dette giù. Solo che c’era già uno dentro, era occupato! Un
macello poraccio! Apposta da quella volta je dicevano er Zì Caco.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">Il mestiere del cocciaro tra fatica e orgoglio</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nei racconti dei cocciari torna
di frequente il tema della fatica, dei sacrifici richiesti dal loro mestiere.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Io non l’auguro a nessuno di lavora’ come si
faceva 100 -200 anni fa, ai tempi di mio Nonno. E come facevo io, piccoletto, 80 anni fa. Freddo, caldo, umidità...
Impasta’ la terra, annalla a scava’ con picco e pala, portarla col somaro. Mica è come
adesso che è tutto pronto: forno elettrico, smalti. Io ci ho preso la
polmonite. Ma mica solo io: l’hanno presa tutti questi cristiani. E mica c’era
l’assicurazione!”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Il mestiere nostro era che se c’era da fare toccava
lavorare pure la domenica. E non c’erano le ferie: io le ferie le ho fatte dopo
che ho smesso e sono venuto a Roma. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Feste ce n’erano poche, e poi era faticoso pure. Lì uno si doveva
alzare la mattina e dire: che cosa c’è da fare oggi? Oggi ci sono da fare 150
-200 vasi. E allora lì una giornata a fare la stessa cosa. Era un diversivo
quando si andava a fare la creta, che poi si fatica di più!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>A mio Padre gli dolevano anche le braccia, perché stai sempre con le
mani a bagno, no? Ci si ammalava pure perché le fornaci venivano sfornate calde
e bruciavano, poi dopo magari uno prendeva le freddate... era un po’ un casino!”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’impegno e l’abnegazione non garantivano
sempre un reddito sufficiente, tanto che a volte era necessario integrarlo
svolgendo altre attività, come l’agricoltura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Ovidio Orlandi: <i>“c’avevo
un po’ di terreno lasciato da mio Padre e insomma se abbuscava un po’ da ‘na
parte un po’ da ‘n’artra e si tirava avanti così, alla mejo.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Eppure, nonostante la
consapevolezza dei sacrifici, negli artigiani finisce sempre per prevalere
l’amore e l’orgoglio per il proprio mestiere.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Orlandi: <i>“Si soffre, si richiede un impegno che
farebbe piangere una persona normale…è pericoloso per queste malattie qua:
reumatismi, artrosi…è un mestiere orrendo; via, è bello, è bello perché uno
crea delle cose, con le stesse mani, con lo stesso ingegno.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovidio Orlandi: <i>“Era un mestiere sempre stimato, era un
mestiere degli unici; tra ragazzi quando sapevano che facevi il cocciaro, te
guardavano tutti: andavano tutti in campagna …andavi da n’a ragazza, non ce
potevi fa’ fiasco. Il padre diceva: con chi fai l’amore? Quello fa il cocciaro,
ah si, prendilo. Quello c’ha un mestiere
tra le mani, è un bel partito. Invece un contadino non lo guarda nessuno.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">Le grotte-laboratorio</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Fino ad anni recenti, i cocciari
della Tuscia hanno continuato ad usare le medesime tecniche produttive imparate
dai loro genitori e nonni senza l’introduzione di sostanziali innovazioni
tecnologiche:<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> preparavano da soli la
creta e gli smalti, modellavano i pezzi con il tornio a pedale, li cuocevano
nelle grandi fornaci a legna.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzFVOl1DctD3XVguRMGXJocDIq9cUk3vXV1h2N7_q1rc5UgpaUyMDseQ1qAsXLcK4NBmEPnjQzTzWbvWef1EjmJpYJ8RLkwCYUQMa0EmTWofX3WWsifmqN37sQGK7WGJiBomQvYCidFGtT/s1600/stampi+acquapendente.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjzFVOl1DctD3XVguRMGXJocDIq9cUk3vXV1h2N7_q1rc5UgpaUyMDseQ1qAsXLcK4NBmEPnjQzTzWbvWef1EjmJpYJ8RLkwCYUQMa0EmTWofX3WWsifmqN37sQGK7WGJiBomQvYCidFGtT/s1600/stampi+acquapendente.jpg" height="271" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">stampo di un fischietto di Sergio Polacco</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il fatto che le coccerie della
Tuscia fossero spesso collocate in grotte scavate nel tufo contribuiva a fornire
loro un fascino arcaico. E’ ad esempio il caso di Vetralla, dove le grotte
erano tutte concentrate in via dei Pilari. Ma anche le botteghe dei Pizzinelli
a Tuscania e di Alverio Orlandi a Vasanello erano ricavate nella roccia.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Questa è la grotta di Checco Lallo. Qui ci
sono solo grotte, non è che c’è qualche cosa di
fabbricato.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>La nostra bottega stava proprio dentro al
tufo, è scavata tutta nel tufo. Era umido e ci accendevamo un po’ de fuoco.
Babbo poi s’era fatto una stufetta de terracotta. La bottega di Zio invece no,
era costruita.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>La parte davanti - dove stavano i torni,
dove se lavorava - è costruita. Poi giù in fondo c’erano i forni. E questa parte
interna è di masso. Sta sotto alla montagna, sotto al poggio.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La grotta-laboratorio di Checco
Lallo è rimasta sostanzialmente intatta, e non è un’esagerazione dire che
entrarci significa fare un salto indietro nel tempo. Se non fosse per alcuni
indizi di modernità – come l’illuminazione al neon – si potrebbe trattare della
ricostruzione della bottega di un cocciaro fatta da un museo di arti e
tradizioni popolari. Due torni a pedale affiancati, tre fornaci a legna, la
macina in pietra per gli smalti, le rustiche scaffalature, la nicchia piena di
creta grezza, potrebbero tranquillamente essere l’arredo di una cocceria di 100
o 200 anni fa.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Questo attrezzo qui (il tornio a pedale) si
gira con il piede e via. Lo avrà costruito mio Nonno. Mica qui c’è quello a
elettricità, che si rovina. Era tutto a mano, ho lavorato sempre con questo. E
i forni erano tre: uno, due e tre. A quei tempi bisognava lavorare! Qui si
mettevano gli oggetti e qui con le mani si buttava la legna.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>I torni a pedale sono due: questo era de mio Zio, quello del mio Babbo.</i>
<i>Questo tornio tutto noi l’amo fatto, era
de mio Nonno. E’ 50 anni che c’è.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La grotta di Alverio Orlandi è
stata invece smantellata. Quando la visitiamo, il racconto del figlio Orlando
la fa tuttavia rivivere davanti ai nostri occhi:<i> “Questa era la parte dove si lavorava proprio. Qui c’era il tornio. Questa
è la tavola che ce se metteva a sede’ il torniante, e la ruota si girava
proprio col piede. Lì ce stipavamo l’argilla dentro. Qui c’erano…noi li chiamavamo
i catenieri. Sarebbero gli scaffali per appoggiare i pezzi, che erano in legno.
Qui c’era una pietra che girava pe’ macinare il piombo. Vedi, questo è il
bariletto dove ci tenevamo il piombo, il minio. Infatti vedi: è rosso. Gli
oggetti poi se portavano lì alla fornace per cuocerli. Quello era un pozzetto
pe’ la calce. Qui era un deposito per la legna, e ci mettevamo pure gli
oggetti. Quando era estate mettevamo qui fori gli oggetti ad asciugare.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">Estrazione e preparazione della creta</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Attraverso il racconto degli
artigiani seguiamo ora le varie fasi del ciclo produttivo, a cominciare
dall’approvvigionamento di creta. Ovviamente, i cocciari del viterbese
utilizzavano argilla locale: a Vasanello e Vetralla si estraeva creta rossa,
particolarmente adatta per realizzare pignatte e altri contenitori da fuoco; ad
Acquapendente si trovava una terra bianca, anche se ricca di ferro; a Tuscania erano
presenti sia l’argilla bianca che quella rossa – quest’ultima detta in gergo
locale il “porcino”. La materia prima veniva a volte cavata e trasportata fino
in paese dagli stessi artigiani, in altri casi da operai appositamente
ingaggiati. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: <i>“Un
tempo prendevamo l’argilla oltre il fiume Paglia. Ancora prima addirittura si
prendeva sulla via Cassia, dove c’è la fornace dei laterizi. Certe volte
andavamo noi a prenderla, altre la facevamo cavare. Ce la portavano e poi la
lavoravamo noi.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Nella zona c’è terra rossa, questo tipo di
argilla. Si prendeva verso Orte, c’erano delle cave di argilla e si cavava lì.
Non erano nostre le cave, però c’avevamo il diritto di cavare l’argilla e poi dovevamo
ripristinare il terreno. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per cavare l’argilla si usava il cavaciocco, un attrezzo che si teneva
in bottega. Era una zappa un po’ più stretta della zappa quella normale. Lo
facevamo l’estate, il mese di agosto. Bisognava togliere la parte sopra, il cappellaccio. Poi bisognava cavarla e
trasportarla. Si portava a casa con gli
asini, da li saranno tre chilometri. C’erano delle persone che avevano gli
asini e facevano proprio questo lavoro. Coi sacchi portavano la creta e si
stipava dentro la bottega.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: “<i>La creta era quella porcina. La andavamo a
prendere noi alla Macchia del Cerro.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Avevamo la terra bianca e anche la terra
rossa con cui facevamo pignatti, brocche. E’ di Tuscania anche quella, si
trovava alla macchia. C’è una macchia comunale e noi c’avevamo il permesso per
prende ’sto porcino, la terra rossa.</i> <i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando ce serviva la creta e non trovavamo nessuno che andava a prenderla,
lo facevamo da soli. La domenica mattina andavamo giù e si cavava un carro, due
carri, quello che poteva servì. Prima c’era il cappellaccio sopra. Era quella
terra sempre cretosa, però giallastra. Si levava tutta quella finché si trovava
la terra quella bella azzurra. Si cavava, si faceva a mucchi, ce la portavano.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La creta estratta dalla cava
doveva essere lasciata all’aria aperta e fatta asciugare. Questa operazione
avveniva a volte presso la bottega, altre presso lo stesso luogo di estrazione.
<o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i>“Se portava qui che era molla, e se
asciugava di fuori al sole. Se lasciava fuori due settimane in modo che se
asciugava bene.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi<i>: “Poi bisognava lasciarla asciugare, perché
sotto era un po’ fresca l’argilla. E allora si spandeva sul terreno e si
lasciava asciugare sul posto per qualche giorno.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">A
questo punto cominciava la depurazione e raffinazione dell’argilla. Il processo
comprendeva numerosi passaggi durante i quali la creta veniva frantumata, setacciata,
diluita e fatta decantare in vasche d’acqua, impastata fino a renderla uniforme
e pronta per essere modellata</span>.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: <i>“Veniva
spezzata con un martello, messa a bagno in delle vasche, e stava li qualche
giorno in modo che si macerava. Dopo quando era più dura veniva battuta con la
verga di ferro e maneggiata. Poi veniva messa in qualche locale fresco e
coperta con degli stracci, che allora la plastica non c’era. E mano mano che
serviva veniva presa.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Questa argilla asciugata si metteva dentro
una vasca e si bagnava di nuovo. Poi si passava dentro a questi due rulli che
girano per schiacciarla, per renderla più fine. Poi si metteva su un banco, si
batteva con un paletto di ferro, sempre per affinarla di più. E poi si lavorava
al tornio. Si faceva un mucchio grande e si prendeva man mano che serviva. Il
rullo già un innovazione, in un certo senso. Perché anticamente la impastavano
coi piedi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="color: windowtext; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco Ricci:<i> “Poi
una volta che era asciutta, che era secca, se setacciava con ‘sto passino qua,
e se pigliava solo quella fina fina. Poi lo scarto veniva messo a mollo, e poi
se passava di nuovo con questo setaccio più fino, così se toglieva tutto lo
scarto, tutti li sassi. E rimaneva solo la creta. Se impastava a mano e se
facevano dei blocchi.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Le
modalità di preparazione della creta potevano essere leggermente diverse a
seconda delle botteghe. I Ricci avevano ad esempio escogitato un metodo
rudimentale ma efficace per effettuare una prima raffinatura dell’argilla: le
zolle venivano sparse sul pavimento della bottega e polverizzate <table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEJlJvpTOTEKrAd45R7DQBZEWdWw9R2e2w2nMg9VXqGWr-ZeeqWLCsyarGkjcSgMlB-WsK3tsz-9gaqIO7cjv2yf3-z0PB_SIlzMUzwx_YU4CDuxz7h7Db6SLjeNVNW6FNvzsnVskx6ZNx/s1600/Felice+Ricci.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEJlJvpTOTEKrAd45R7DQBZEWdWw9R2e2w2nMg9VXqGWr-ZeeqWLCsyarGkjcSgMlB-WsK3tsz-9gaqIO7cjv2yf3-z0PB_SIlzMUzwx_YU4CDuxz7h7Db6SLjeNVNW6FNvzsnVskx6ZNx/s1600/Felice+Ricci.JPG" height="278" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Felice Ricci nella grotta-laboratorio</td></tr>
</tbody></table>
con i piedi
grazie al passaggio continuo di cocciari, apprendisti, famigliari. I Lucchetti
invece raffinavano l’argilla lasciandola nell’acqua e facendola decantare; in
questo modo si sfruttava il naturale processo di sedimentazione delle impurità,
che si depositavano sul fondo del contenitore.<o:p></o:p></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i> “Se metteva qui in modo che ce se passava sopra
e diventava fina. Passandoci sopra se raffinava. Perché adesso non c’è nessuno,
ma prima tra me, mio Padre, mio Zio, mio Fratello, mia Madre qui se passava
tutti quanti de qui.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchietti<i>: “Dopo averla setacciata l’argilla si
raffinava facendola decantare nell’acqua. Per gravità la parte sassosa, la
parte più pesante, va sul fondo, e quella più fina rimane sopra. Noi prendevamo
solo quella superficiale, basta aspirarla. E la mettevamo ad asciugare.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente per preparare la creta
– e successivamente per modellarla - era essenziale poter contare su un abbondante
approvvigionamento di acqua. Orlando Orlandi ci racconta che prima della
costruzione dell’acquedotto in paese, era necessario andarla a prendere alla
fonte e trasportarla fino alla bottega utilizzando i ripidi vicoli del paese.
Per limitare al massimo questa incombenza, la sua famiglia aveva costruito un impianto
di raccolta delle acque piovane. Le tubature utilizzate erano state realizzate
in terracotta da loro stessi: “<i>Qui c’era
la porta del paese. Era la porta occidentale che andava giù alla fontana per
prendere l’acqua. Prima non c’era l’acqua in paese e mio Padre e mio Nonno la
prendevano laggiù. Poi dopo nel ‘35 hanno fatto l’acquedotto.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Queste tubazioni erano pe’ raccoglie l’acqua. Siccome non c’era l’acqua
qui, allora quando pioveva qui sopra si raccoglieva l’acqua in questa
vaschetta. Le tubazioni so’ di terracotta, queste le faceva pure mio Padre.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">La modellatura</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Erano due le tecniche utilizzate
per modellare gli oggetti: il tornio o gli stampi di gesso. Ce ne parla Sergio
Polacco: “<i>Molto si faceva al tornio:
brocche, panatelle, boccali. Il tornio era di legno con una ruota grande sotto
che si girava con il piede. E poi c’era un asse e un piatto sopra dove si
poggiava la creta per fare l’oggetto. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Altre cose venivano stampate con gli stampi di gesso che si calcavano a
mano. Anche quella era una tradizione molto vecchia. A calco facevamo i
portaombrelli – che già avevano un mercato a Roma - e altre cose che non erano
rotonde. Poi bassorilievi, pannelli, queste cose.“<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Se alla raccolta e alla
preparazione della creta contribuiva tutta la famiglia dell’artigiano, la
tornitura era invece una abilità che rimaneva appannaggio del solo maestro
cocciaro. Bruno Lucchetti mantiene ancora in perfetta efficienza l’antico
tornio a pedale del padre Angelo, e ci spiega come avveniva la tornitura: <i>“Questo era il tornio di mio Padre, tutto
fatto in castagno. Lui diceva che era dei primi del ‘900, e va ancora bene! <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il segreto della tornitura è riuscire a mettere l’argilla al centro. Se
la pallina di argilla la metto perfettamente al centro del piatto riesco a
modellarla. Se invece la metto storta a fine vaso non ci arrivo. E’ tutta lì la
bravura: nel momento in cui gira il
tornio bisogna mantenere una mano ferma e con l’altra cercare di portare al
centro la pallina di argilla. Nel momento in cui uno la porta al centro vanno
giù i pollici per fare il foro centrale. E poi si riprende l’argilla e si tira su.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Gianfranco
Pizzinelli sottolinea che, dovendo gli artigiani produrre grandi quantità di
oggetti, il lavoro di tornitura poteva risultare faticoso e ripetitivo.
Francesco Ricci spiega invece come in una bottega di pignattai ci poteva essere
una sorta di specializzazione produttiva, con un maestro maggiormente dedito
alla tornitura ed un altro alla cottura. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“Io lavoravo sul tornio a pedale, perché per
imparare bisognava lavora’ con quello. Nel ‘55, o anche un po’ prima fecero quelli
elettrici, e mio Nonno e mio Padre lavoravano con quelli. A loro gli piaceva, erano
innamorati di quel mestiere. Di fatti lo avrebbero fatto pure la notte. Ma a me
non me piaceva, sarà perché ero giovane. Mi annoiavo a stare sempre sopra quel
tornio… Magari mi facevano fa’ 100 boccaletti, oppure 100 vasi, oppure 100
brocche…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “</span><i><span style="color: windowtext; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Mio Zio ce
lavorava pure sul tornio, ma era più per il forno. Lui infornava, combatteva
con la creta, e io lo aiutavo. E mio Babbo era più per lavora’ sul tornio.
Infatti il lavoro che faceva lui è tutta un’altra cosa.” <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gli oggetti realizzati dai
cocciari erano principalmente tegami e stoviglie semplici ed essenziali,
destinati alle case di contadini e pastori. Si trattava di un campionario di prodotti
limitato e ben definito, anche se prodotto da ciascun artigiano con un suo
stile particolare. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Nella fornace nostra, mio Padre,
generalmente faceva la stoviglieria più domestica: i pignatti, le casseruole,
tegami per forno. Si andava dal pignattello piccolo piccolo - che generalmente
si usava per scalda’ il vino - fino alla pignatta grande, con due manici. E
quelle generalmente le usavano le famiglie numerose, nei casali, nelle campagne.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: “Mio Padre faceva le scole – quelle per scolare
la pasta - i quartaroncelli, i quartaroni da cinque litri e le brocche da 5
litri.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: <i>“A Vetralla</i> s<i>i fanno piatti, vasi, orci, bicchieri, pignatti, tutto a mano. Le forme
erano sempre quelle, ma cambiava la mano: chi le faceva più panciute, chi con
la bocca più grande chi più piccola.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci:<i>“Ogni pignattaro c’aveva il modo suo de fa’
la robba. Qui sul tornio, ogni cocciaro c’aveva la mano sua, non è che potevi
di’ che erano tutti uguali.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Gli
artigiani intervistati ci parlano anche di alcune produzioni particolari da
tempo scomparse dalle nostre case, come i contenitori per cuocere la nociata
sulla stufa o le bettine - recipienti per alimenti così capienti che era
necessario realizzare separatamente le componenti e poi assemblarle insieme. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Facevamo anche dei grandi contenitori, qui
in dialetto le chiamano le bettine. Generalmente le usavano per l’olio, ma ci
mettevano pure i legumi. Quelle più grandi<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVRS5fWvVroz9RXUdYlVdEKJ1gh6ftj_JbaHL-tvj8WL_rEN83h8KVKfGysvjinif8XY4aNEuu21uaXgwAA2auKIj2wwsPpnECIKVKWOEiKy2kATwQymusAcWHBkco4S801d-1rnlz0QRw/s1600/patalocca.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVRS5fWvVroz9RXUdYlVdEKJ1gh6ftj_JbaHL-tvj8WL_rEN83h8KVKfGysvjinif8XY4aNEuu21uaXgwAA2auKIj2wwsPpnECIKVKWOEiKy2kATwQymusAcWHBkco4S801d-1rnlz0QRw/s1600/patalocca.JPG" height="320" width="217" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">patalocca di Alverio Orlandi (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
arrivavano a 60, 70, 80 litri. Le
facevano con il tornio in 2 pezzi e poi li accoppiavano. Sul bordo si faceva
una canalina per incastrarli insieme, erano maschio e femmina, diciamo. Poi si
incollava bene e in quel punto ci facevano una fascia sempre in terracotta. Era
una fascia a rilievo che poi ci facevano qualche decorazione sopra: o con le
ditate oppure col pettine.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Questo che ha il fondo stretto è
indicato per farci la nociata, un dolce che se usa l’inverno. Va messa dentro
la stufa. Qualche vecchietto ancora se ricorda di ‘ste cose e gliela fo.<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La roba che se faceva prima era tutta roba che s’addoprava: se andava a
prende l’acqua, il vino, se cuoceva il sugo. Ora se le prendono per bellezza.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Se buona parte della produzione
era dedicata agli utensili da cucina, non mancavano altri oggetti di uso
domestico – come gli scaldini – ma anche materiali per l’edilizia – come
mattoni e tubature.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi<i>: “Lo scaldino si faceva al tornio e poi si traforava. E con
questi stampi di gesso si facevano le decorazioni. Erano lavori che li facevano
la sera in casa, perché ci voleva molto tempo e le botteghe erano senza luce.
Allora durante il giorno lavoravano in bottega fino a una cert’ora, poi la sera
a casa facevano questi lavori che ci voleva più tempo.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ci facevamo anche i mattoni qui, quelli di terracotta per i forni, per
le costruzioni. La produzione era limitata perché era tutta fatta a mano. Questo
ad esempio era lo stampo de un mattone.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Se faceva tutto, anche i tubi pe’ i gabinetti de allora.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gli oggetti di argilla fresca
venivano esposti all’esterno della bottega per favorirne l’essiccazione. Bisognava
ruotarli periodicamente su se stessi perché l’asciugatura fosse omogenea,
evitando così la formazione di crepe. E soprattutto bisognava stare attenti
alla pioggia, che avrebbe rovinato irrimediabilmente la merce. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Bisognava mette fuori le brocche, i vasi,
quello che c’era, e falle secca’, perché sennò non si potevano inforna’. E
allora magari se mettevano fuori la mattina e a pranzo o la sera si rimettevano
dentro.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Qui sopra ce mettevamo le tavole con i
pignatti ad asciugare. Dalla bottega si portavano qui e si mettevano ad
asciugare. Ogni tanto se giravano un pochino. Se pioveva toccava corre! Tante
volte magari si andava a pranzo, si annuvolava, pioveva, e noi giù di corsa a
metterli dentro. Se no la pioggia li squagliava tutti!”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: #cc0000;">La Cottura<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La cottura era una delle fasi più
complesse del ciclo produttivo, e richiedeva notevole perizia ed esperienza. Le
abilità richieste agli artigiani comprendevano il saper costruire o restaurare le
fornaci, dato che si trattava di compiti svolti autonomamente da ciascuna
bottega. <o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i>“I forni li facevano tutti tra de
loro, tra pignattai. Potevano chiama’ qualche muratore pe’ fa il rivestimento -
perché fatto a una certa maniera durava
un po’ di più. Però l’archi e tutto il resto facevano tutto loro.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Quella piccola di fornace, quella l’ho
costruita proprio io. E questa era quella grande di mio Padre. C’è la data di
quando l’ha restaurata: 1935.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>La fornace nostra l’abbiamo fatta noi,
l’anno fatta mio Nonno e mio Padre.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci nota come quando si costruiva una nuova fornace non sempre era garantito
un risultato ottimale. Inoltre, l’avvento della cristallina - che sostituì gli
smalti a base di piombo - costrinse gli
artigiani ad aumentare la temperatura delle cotture e quindi anche a cambiare i
materiali di costruzione della fornace, passando ai più resistenti mattoni in
refrattario: “<i>Questa fornace tira senza
canna fumaria. Non ha lo sfogo sopra, non c’è il buco. Il fumo usciva da solo.
Forse è la spinta dell’aria che entra dentro la grotta, ma il fumo esce
direttamente. <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Quella invece è un'altra fornace. Non
cucina bene, perché non funzionava bene lo sfogo dell’aria. Praticamente sotto
se bruciava e sopra nun se coceva. Trovare il punto per fare le fornaci mica è
facile. Prima a tentativi facevano. <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">La cottura non si poteva fa’ più come
prima. Perché il piombo era tossico e allora è stato eliminato ed è stata messa
in commercio la cristallina. Prima le fornaci bastava farle con il peperino. Quando
se coceva arrivavano a 800 gradi ed era cotto, perché si adoperava il piombo.
Invece adesso tocca adopera’ la cristallina che deve arrivare a 950-960 gradi
per far si che diventi lucida. A quella temperatura il peperino se squaja. E
allora bisogna mettece il refrattario bono.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Ovviamente
le fornaci erano costruite con una struttura a più livelli. Alla base vi era la
camera di combustione - dove veniva bruciata la legna - e al livello superiore l’ambiente
dove veniva stipata la merce da cuocere. I due settori erano separati da un
solaio costruito in modo da permettere il passaggio del calore e allo stesso
tempo da limitare il contatto tra gli oggetti e la fiamma, che avrebbe causato
danni e rotture.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: “<i>Gli scompartimenti erano 2. La fornace dove
si mettevano i pezzi era 1 metro di profondità, 1 metro di altezza e 50 centimetri
di larghezza. La camera di combustione sotto era molto più bassa, sarà stata 30
centimetri per 30 per 1 metro di profondità.
In mezzo, dove passava il fuoco, c’erano degli archi. Tra un arco e un
altro c’era una distanza di 5 centimetri, erano archi distanziati.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOvVUd0fQKToqTE5Xe0y3h4N4QxxdE8v5j-PngIBP6KZEIepn8x6d3zWOrpxyzTonx3R6cwN1fFnNnwmtZ-uer1FlvadKeZ8GlIMkizBTW29Qqfye0J3MZO6OIGdqRaNCuhax-7PpzpKRa/s1600/sergio+polacco.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOvVUd0fQKToqTE5Xe0y3h4N4QxxdE8v5j-PngIBP6KZEIepn8x6d3zWOrpxyzTonx3R6cwN1fFnNnwmtZ-uer1FlvadKeZ8GlIMkizBTW29Qqfye0J3MZO6OIGdqRaNCuhax-7PpzpKRa/s1600/sergio+polacco.jpg" height="320" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Sergio Polacco</td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci:</span> “<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Se la fiamma va addosso al
pignatto te lo rompe, bisogna che il
fuoco gli passa tutto intorno. E allora se lasciano dei buchi e gli si mette
tutto intorno con il refrattario, in modo che il fuoco passa intorno. Praticamente
va dentro il calore. Anche se va dentro un po’ di fuoco non gli fa niente, però
non è che può piglia’ il fuoco diretto.” <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Caricare
la legna e la merce nella fornace prima di accendere il fuoco non era una
operazione banale. Per evitare rotture e sfruttare al massimo la capienza della
fornace bisognava rispettare una serie di regole: gli oggetti dovevano essere vicini
tra loro in maniera da non lasciare troppo spazi vuoti, il peso doveva essere
ben distribuito evitando un carico eccessivo sulla merce posta alla base, gli
oggetti più delicati andavano posizionati nella parte più interna per
proteggerli dalla fiamma, l’imboccatura dei pezzi doveva rimanere sempre aperta
per consentire il passaggio dell’aria, e così via.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“La nostra fornace era aperta, si scendevano
2-3 scalini. Si entrava proprio dentro a caricare la legna, e anche a caricare l’oggetti.
I pezzi più grandi si mettevano intorno intorno, e quelli piccoli dentro. Tutto
a incastro, la fornace doveva essere tutta piena. Se impilavano tutti i
pignatti della stessa misura. Generalmente da crudi non se mettevano proprio
impilati uno sull’altro, ma leggermente sfalsati. Invece per la seconda cottura
se impilavano proprio.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>L’accortezza dell’artigiano era mettere certi oggetti che erano
delicati al centro della fornace, o sopra, in modo che non stavano a contatto
diretto con la fiamma. E altri oggetti li mettevano sotto: i mattoni, queste
cose un po’ più grezze diciamo, anche se andavano a contatto con la fiamma non
succedeva nulla. Anche questi oggetti più grandi li mettevano attorno attorno alla
fornace. ” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i>“Inforna’ non è facile. I forni di
adesso hanno un carrello che carichi e metti dentro. Qui invece bisogna saperla
mette la robba. La robba che sta sotto deve esse sempre sollevata, perciò ce se
metteva qualche mattone, qualche cosa così. Poi se faceva un piano di pignatti.
Una volta fatto il piano se in mezzo c’era qualche buco, allora ce se metteva
una tazzina, un oggetto piccolo. E sopra ce mettevi un'altra fila di oggetti.<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Bisognava mettere i pezzi in modo che
rimanevano con la bocca aperta, perché si no se non passa l’aria se rompono.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ogni bottega aveva poi le sue
particolarità ed i suoi trucchi per ottimizzare al massimo le cotture. Ad
esempio nella bottega di Alverio Orlandi anche parte della camera di
combustione era utilizzata per stipare gli oggetti da cuocere. La fornaci dei
Pizzinelli a Tuscania, dei Ricci a Vetralla e dei Polacco ad Acquapendente erano
invece strutturate a 3 livelli, e questo permetteva loro di effettuare
contemporaneamente la prima e la seconda cottura dei pezzi: nella parte inferiore
si caricava ovviamente la legna e nelle due superiori rispettivamente i pezzi
che dovevano subire la prima e la seconda cottura.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Orlando Orlandi: “<i>Per
mettere gli oggetti noi sfruttavamo pure la parte di sotto, dove c’era il fuoco.
I pezzi si proteggevano dalla legna facendo una specie di muro con i mattoni o
con i pignatti rotti. Quindi gli oggetti non stavano a contatto proprio con la brace.
Si sfruttava al massimo lo spazio, e venivano cotti bene anche quelli.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“La fornace era divisa in due parti. Quella
sopra era più piccola e quella sotto più grande. Sotto la roba prendeva il
fuoco diretto, e allora fino all’altezza che c’erano le forate se metteva la
roba verniciata. La parte superiore - dove il fuoco ci arrivava di meno - si mettevano le cose che si dovevano
ricuocere. E allora non importava se si cuoceva poco, tanto si doveva
reinfornare.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sergio Polacco: “<i>Mio Padre aveva costruito un forno in
muratura dove si cuoceva tanto la prima che la seconda cottura. Era diviso in
una stanza più grande dove si mettevano gli oggetti smaltati e decorati, ed una
più piccola dove mettevi gli oggetti di argilla. Per gli oggetti smaltati
serviva più spazio perché quelli dovevano essere isolati uno dall’altro, altrimenti
quando lo smalto fonde si attaccano. Invece gli oggetti di argilla possono
stare accatastati, non succede niente.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Nella prima cottura l’argilla cuoce a una temperatura maggiore, nella
seconda gli smalti cuociono a meno. Di conseguenza nella camera dove stava la
roba in prima cottura salivano le fiamme, e con l’arrivo della fiamma gli
oggetti crudi raggiungevano una temperatura più alta.</i>” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A Tuscania, dove buona parte
delle fornaci si trovavano in una parte bassa del paese, il trasporto della
legna per effettuare le cotture era una operazione particolarmente faticosa. Ce
lo racconta Orlando Orlandi : “<i>Il
problema qui era per portare giù la legna per fare il fuoco. Solo l’argilla la
portavano giù i muli, perché con i sacchi passavano e scaricavano. Ma con le
ceste di legna neanche ci passava di qui il mulo. C’era uno stradello che
veniva giù de qui, ma qui mica era così: era tutto dissestato, sterrato. Bisognava
portare tutto a braccia, con la barella. Poi bisognava riportare su in piazza i
pezzi per venderli.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Una volta caricata la merce, per
evitare la dispersione del calore si murava l’imboccatura della fornace. Sulla
parte alta di questa parete veniva lasciata un’apertura – in caso di necessità tappata
con un pignatto o un altro oggetto – che serviva come sfiato per l’aria ma
anche per controllare a che punto era la cottura. Per capire a che temperatura
era giunta la fornace e quando la cottura poteva considerarsi completata gli
artigiani si orientavano osservando il colore dei pezzi.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[6]</span></span><!--[endif]--></span></a>
Inoltre in corrispondenza dell’apertura venivano inserite delle “spie” o
“provini”: dei piccoli oggetti che potevano essere estratti e osservati da
vicino per verificarne la cottura. <o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Qui praticamente era tutto
chiuso, veniva tutto murato, se continuava co’ li mattoni fino a che se
chiudeva. A una certa altezza se lasciava un buco che se tappava con un vaso
bucato. Se lasciava questo coso aperto in modo che se vedeva dentro. Quando dentro
quel buco sbiancava - da rosso diventava un po’ più chiaro - era cotto.”<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5UH8Fv0WveZqokFtAUSeQHJ6v1H95bhXXy7-ojH_dTeRMw_O-CjUGr3owXAZqVlalXz-9f8VS_sCNgJZKeUd6UeSIJgZFn8XPn4pbHN_yYLDoHoUUke-iNrM9TDHEU0u9XouIKoGGLqQb/s1600/bruno+lucchetti+modella.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5UH8Fv0WveZqokFtAUSeQHJ6v1H95bhXXy7-ojH_dTeRMw_O-CjUGr3owXAZqVlalXz-9f8VS_sCNgJZKeUd6UeSIJgZFn8XPn4pbHN_yYLDoHoUUke-iNrM9TDHEU0u9XouIKoGGLqQb/s1600/bruno+lucchetti+modella.JPG" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Bruno Lucchetti modella un fischietto</td></tr>
</tbody></table>
<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Si chiudeva davanti con i pignatti rotti
oppure con i mattoni. Si murava bene con la terra, con l’argilla grezza. Sopra
si lasciava una finestra, un buco così che si chiudeva con un pignatto davanti.
E poi c’era un altro sfiatatoio dietro, un altro tiraggio. Capivi che era cotto
a occhio, dal colore, dal rossore. E poi ci mettevano dentro delle spie: ci si
mettevano dentro dei pignattelli piccoli piccoli, che quando pensavano che
aveva raggiunto la temperatura ne tiravano fuori uno da là sopra.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“Da quel buco lì si vedevano i cocci, e
allora quando era tutto bello chiaro allora era cotto. Perché se era rosso
ancora non erano cotti bene. Se si vedeva qualche macchia bisognava insiste il
fuoco verso quella macchia perché ancora non era arrivata alla cottura.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: “Quando non c’erano più macchie nere era
finita la fornace. Infatti la fornace si faceva terminare a sera in modo che si
vedeva molto bene. In quel momento veniva murata la bocchetta e tornavamo dopo
2 giorni.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco<i>: “C’era
uno sportellino che si apriva per vedere la cottura e c’erano dei provini che
si modellavano come una campanella con un foro sulla pancia. Se ne mettevano 3
o 4. Si tiravano fuori per vedere se la cottura era arrivata o se serviva più
tempo. Si freddava e vedevi se lo smalto era fuso.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A seconda della grandezza del
forno, del tipo di legna utilizzata, e di altri fattori, la cottura poteva
durare da 8-10 a oltre 24 ore. Era un lavoro fisicamente impegnativo a causa
della sua durata e anche perché si era esposti a temperature elevate. Ma si
trattava anche un momento di socializzazione, durante il quale ad esempio gli
anziani condividevano le loro storie.<o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci:</span> <i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">“E’ un lavoro che non è facile. Bisogna
sta qui a butta’ i legni piano piano. Questa fornace ce vonno 7-8 ore di
cottura. E poi se non trovavi il legno bono ci voleva pure de più.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: </i>“<i>Fino
al ‘98 abbiamo fatto la cottura nella fornace a legna. Quel forno faceva la
cottura in 14 ore con 0,80 metri quadrati di legna.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“La cottura mio Nonno la cominciava sempre
verso le 2-3 de notte, e andava a finì verso le 11 di sera. Era fatica, era
caldo, specialmente d’estate. E allora facevamo 1 ora-2 ore per uno. A me mi
piaceva farlo perché io sono sempre stato un tipo che aveva freddo, e allora
magari facevo anche tutta la giornata. Pigliavo le fascine e infornavo. Oppure si
faceva con i trucioli del legname. Invece de buttarli li prendevamo noi e ci
facevamo il fuoco.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Orlandi: <i>“Io me so trovato a fa 18-20 ore davanti al
forno su 36 che ce ne impiega una cottura. E siccome so solo perché mio padre è
vecchio, alle volte me devo porta’ giù un pezzo de pane co’ qualche cosa e
stare tutto il giorno davanti al fuoco.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i>“So tante storie che mi
raccontavano i vecchi quando stavamo qui intorno al fuoco. Qui c’era sempre
pieno de gente grande e raccontavano le storie. Soprattutto questa grotta era
frequentata da gente anziana.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La cottura era un’operazione
delicata: la temperatura andava fatta salire in maniera molto graduale per
evitare di rovinare la merce. Gli errori potevano costare cari, perché potevano
significare mandare a monte il lavoro di settimane. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: “<i>All’inizio
davi la tempera, poi dopo diverse ore, quando cominciava a salire la
temperatura, cominciavi a mettere più legna. Toccava stare attenti a non
metterne troppa altrimenti poteva causare dei danni.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: “<i>Si cominciava la sera prima, appena riempito
il forno. Venivano messi dei ricci - i trucioli noi li chiamiamo ricci – che
venivano accesi piano piano. Poi veniva chiusa la parte di sotto della fornace
e si lasciavano consumare fino alla mattina. In questo modo i ricci levavano
tutta l’umidità ai vasi.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La mattina verso le 4 si riapriva la fornace e si iniziava a mettere
legna piano piano. La prima ora potevi arrivare intorno ai 100 gradi, la
seconda già arrivavamo intorno ai 300, e poi piano piano bisognava mettere i
ciocchi interi e si arrivava intorno ai 900. Ma non è che c’avevamo il
termostato.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci: “<i>All’inizio se mettono legna di ulivo e
segatura, che non fanno fiamma e la temperatura sale piano. Poi dopo qualche
ora, quando serve la fiamma, se usa legna di castagno.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ma nonostante tutte le cautele e
l’esperienza dei cocciari, a volte durante la cottura si poteva verificare un
incidente inprevisto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Qui sotto c’era la bottega di uno che
lavorava e c’aveva la fornace proprio sopra lo strapiombo. Si racconta che
mentre stava a tene’ fuoco gli si è scaricata la fornace, è franato tutto.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: “<i>Quando apri la fornace a legna trovi sempre
delle sorprese! Una volta abbiamo fatto una cottura con il legno di fico. Il
fico è una legna poco consistente ma che fa molto fumo. Quindi quando abbiamo
aperto la fornace i vasi erano venuti tutti neri. Ci siamo rimasti male, perché
la merce era rovinata! Però poi quando l’abbiamo esposta sugli scaffali -
perché in questo mestiere non si butta mai niente - è piaciuta, si sono comprati prima questa roba
dell’altra! Comunque sono tutti errori che si fanno quando usi la fornace a
legna.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci<i>: “Se dice che i cocciari boni sono quelli
che sanno coce, ed è vero! Però per quanto uno cercava di evitallo capitava
sempre qualche cottura che se rovinava la robba. Magari restava qualche fessura
aperta e entrava dentro il fumo, che anneriva tutto.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente dopo la cottura
bisognava aspettare che la fornace si freddasse prima di estrarre gli oggetti.
Eppure, come ci racconta Gianfranco Pizzinelli, a volte non ci si poteva
concedere questo “lusso”. Nei periodi in cui c’erano degli ordini da soddisfare
o c’era una fiera importante alla quale prepararsi, si scaricava la fornace
ancora bollente per poter effettuare subito la cottura successiva: “<i>Si aspettava un giorno – un giorno e mezzo e
se freddava. Dopo una giornata magari si demoliva quella chiusura che avevamo
fatto, levavamo qualche pezzo e allora entrava un po’ d’aria e si raffreddava
prima. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnm6WiK8HIsRqYi3VS1r-T3tLTogBe0XLXqdqo7TZGPRez8wht2Rx1dfW8zY2qSYOSutEvvKTzM-7pS2ckgZ1WoSwMLa2f-rgrdhu12KX-Qw_dc5nEZAz9kn-JAfkYrUQdhNC_HXsD9Tin/s1600/francesco+ricci+inforna.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhnm6WiK8HIsRqYi3VS1r-T3tLTogBe0XLXqdqo7TZGPRez8wht2Rx1dfW8zY2qSYOSutEvvKTzM-7pS2ckgZ1WoSwMLa2f-rgrdhu12KX-Qw_dc5nEZAz9kn-JAfkYrUQdhNC_HXsD9Tin/s1600/francesco+ricci+inforna.JPG" height="320" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Francesco Ricci carica la fornace</td></tr>
</tbody></table>
<i>A volte bisognava aprirlo e tirare giù la robba, perché c’era fretta. E
allora bisognava sfornarlo pure che era un po’ caldo. La catenina che avevo al
collo bisognava toglierla perché scottava, bruciava. Si stava 5 minuti e poi si
usciva e entrava ‘naltro. Non si faceva nemmeno a tenerle in mano le cose. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Apposta abbiamo fatto un altro forno noi. E allora si cuoceva in
continuazione, in una settimana si potevano fare 2 forni. Perchè a volte magari
serviva subito un carico di cose che ci avevano ordinato ma il forno era ancora
troppo caldo. E allora si cuoceva di là, ne avevamo sempre uno di riserva,
diciamo.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="color: windowtext; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco Ricci ci parla della differente resa dei forni
elettrici rispetto alle vecchie fornaci: i primi cuociono tutto in maniera uniforme, mentre i
secondi donavano ai pezzi una colorazione particolare e sempre diversa: “<i>Quando fai la cottura col fuoco il pezzo
cambia parecchio. Perché la cottura fatta elettrica è tutta pulita, mentre
invece fatta con il forno a legna queste venature risaltano parecchio. Per
quanto cerchi de non manna’ il fuoco addosso ai pezzi però, per quanto uno può
sta’ attento, un po’ di fuoco ce va. E fa cambia’ parecchio la robba. Se non
vedi come è la cottura nella fornace non te rendi conto: da sotto vedi una
nuvola de fuoco.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">La decorazione</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Come abbiamo visto, le botteghe del
viterbese producevano esclusivamente ceramiche di uso comune, e la loro
clientela era costituita dai ceti popolari. Di conseguenza, la decorazione dei
pezzi era piuttosto semplice. I soggetti rappresentanti erano principalmente
fiori e rami d’ulivo, e tradizionalmente erano le donne a dedicarsi a questo
lavoro. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I colori utilizzati erano quasi
esclusivamente il giallo – adoperato per i contorni – ed il verde – per la
riempitura. D’altronde, come nota Francesco Ricci, erano questi i colori più
adatti a risaltare sulla terra rossa di Vetralla e Vasanello. A Tuscania – dove
si adoperava prevalentemente terra bianca, si decoravano gli oggetti anche con il
manganese.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Le donne erano specializzate nella
decorazione. O meglio ancora nella riempitura, nella campitura: riempivano il
fiore che era stato disegnato dall’artigiano. Lo facevano di getto, così.
Bisognava fare veloci perché erano tanti gli oggetti.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Felice Ricci:<i>“ Praticamente
la cosa tipica del Viterbese, di Vetralla, (era) foglie e ulive; le vecchie facevano
questo lavoro e noi abbiamo imparato quello.” <a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[7]</span></b></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci<i>: “Il decoro che se faceva è questo qui,
solo il giallo e il verde. Che poi altri colori su ‘sto tipo de terra manco
verrebbero. Sulla creta rossa del luogo l’unica cosa che risaltava bene era il
giallo e il verde.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“Si schizzavano con il manganese oppure con
il verde rame. Quando li richiedevano si facevano anche dei piccoli disegni, altrimenti
era roba più dozzinale.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gli artigiani della Tuscia erano
abituati a produrre autonomamente gli smalti, spesso utilizzando materiali di
scarto come i residui della lavorazione del rame e del piombo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Li faceva mio Padre i colori, al tempo li
faceva ancora lui. Il giallo lo facevano loro con l’antimonio, ci mettevano dentro
un pochino di calce e il piombo. Il verde lo facevano con il ramato, quello che
si usa anche per la vigna. Lo mettevano a bagno e poi anche lì ci mettevano un
po’ di calce. La calce serviva per fissare il colore, per non farlo spolverare.
E il piombo naturalmente per renderlo un po’ più fusibile. Prima c’erano in
alcune botteghe i forni di calcinazione. Io mi ricordo che c’erano dei fornetti
piccolini a fianco alla fornace e calcinavano ‘sto piombo.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco<i>: “Mio
padre mi ha raccontato che quando era giovane gli smalti se li facevano.
Serviva un fornello per fare il marzacotto, poi bisognava tritarlo. Erano belli gli smalti antichi: venivano fuori
colori sempre diversi: più chiaro, più scuro, più grigetto, più giallo... Però
oggi non è conveniente farli.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Prima facevamo tutto noi. Il giallo che
facevamo noi a mano era antimonio e terra bianca. E il verde era la ramina, che
ci dava chi faceva il rame. Facendo gli oggetti di rame usciva fuori lo scarto
fine, si metteva a mollo, si passava e si faceva il colore.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhV9-lMRArR3Hj54owXHL5k-jhRkArSRrq2bw0ISnQSWQWqStt5kq_ADUXa98yz-Qp0INYaubdR3UDnUAVyiR6Pd4bhOFxzOKfblWHIaAt_eM7v4CGXw7xAq9FIQnCnJznqtZ1IKdfjfoM/s1600/angelo+lucchetti.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhV9-lMRArR3Hj54owXHL5k-jhRkArSRrq2bw0ISnQSWQWqStt5kq_ADUXa98yz-Qp0INYaubdR3UDnUAVyiR6Pd4bhOFxzOKfblWHIaAt_eM7v4CGXw7xAq9FIQnCnJznqtZ1IKdfjfoM/s1600/angelo+lucchetti.JPG" height="320" width="205" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">A. Lucchetti (foto Fam. Lucchetti)</td></tr>
</tbody></table>
Gianfranco Pizzinelli: <i>“Ce portavano il piombo con la carretta. E
poi col fuoco sotto se lavorava fino a che diventava polvere. Una volta che
diventava polvere se passava e poi dopo se faceva il minio. Il minio ce se
faceva la vernice per le brocche, sia l’interno che l’esterno. Mica c’erano
protezioni, si faceva tutto così.”</i> <i><o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci ricorda come il
processo di calcinazione degli smalti fosse una delle lavorazioni più faticose
della bottega. Sergio Polacco ricorda invece che per tritare gli smalti
venivano adoperati dei mulini che sfruttavano l’energia cinetiche di un vicino
corso d’acqua.<o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Io l’ho fatto: è un lavoraccio,
lassa perde! Si prendeva il piombo che buttavano gli stagnini, se squajava, lo
mettevano qui dentro squajato, liquido. E poi se girava finché se raffreddava e
diventava polvere. E io da fijo me mettevano qui sopra e giravo, giravo. C’avrò
avuto 7-8 anni, neanche ci arrivavo. E alla fine dicevo: me so’ stufato! E poi
la polvere se rimetteva a bagno e si dava sopra al pignatto, alla robba. Adesso
quando è che me serve la cristallina la compro bella che pronta.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: “<i>Prima
il marzacotto tritavano lungo un torrente che c’è giù ad Acquapendente, il
Quinta Luna. C’era un mulinetto che girando sempre lo
macinava.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">La vendita</span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Solo Felice Ricci, che è il
cocciaro più anziano tra quelli intervistati e probabilmente anche il più
legato alle antiche tradizioni, ha memoria di quando gli artigiani si occupavano
direttamente della commercializzazione dei loro prodotti: ci racconta infatti
di quando portava la merce a fiere e mercati di paese servendosi di un
carretto. Gli altri artigiani hanno appreso il mestiere dopo il secondo
dopoguerra, quando della vendita dei prodotti si occupavano ormai degli
intermediari.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Andavamo noi stessi a vendere. Ognuno andava
a un paese: chi Viterbo, chi Sutri, Monterosi, Civitavecchia, Monte Romano,
tutte le fiere e i mercati che si facevano una volta a settimana. Si andava via
con il carretto e toccava starci giù un giorno e una notte.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci: “<i>Io ai mercati non ce so andato mai. Ce
andavano mio Zio, mio Nonno, mio Padre. Ogni cocciaro c’aveva il paese suo, per
non fasse concorrenza. Per esempio mio Padre con mio Nonno c’aveva Viterbo.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkS7nlRtsW2qMPoAPnm48kc7cF8BwvYJd1LvrI8lXR6_Z3-zOnrGe3InUC8lkjWUanTOQZQOx7YCBBj5gHomjWge7KXPGCmCfxCeLEQsxDZxxlJZ05YTB6Q9rlNHWy8Ou9fz0U7abSAlLl/s1600/macina.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjkS7nlRtsW2qMPoAPnm48kc7cF8BwvYJd1LvrI8lXR6_Z3-zOnrGe3InUC8lkjWUanTOQZQOx7YCBBj5gHomjWge7KXPGCmCfxCeLEQsxDZxxlJZ05YTB6Q9rlNHWy8Ou9fz0U7abSAlLl/s1600/macina.JPG" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">macina per gli smalti nella bottega Ricci</td></tr>
</tbody></table>
Orlando Orlandi: “<i>Generalmente c’erano proprio quelli che
prendevano, compravano le cose da noi e poi andavano a fa’ le fiere. Allora li
chiamavamo i carrettieri, quelli che andavano con i carretti ai mercati. Arrivavano
addirittura ai Castelli o in Umbria, quando c’erano le fiere più importanti.
Caricavano con i carretti, e stavano fuori pure qualche giorno quando andavano
lontano.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Venivano col carretto col somarello.
Prendevano i boccaletti, un po’ di giocattoli, un po’ de vasi, de conchette pe’
lava’ i panni, queste cose qui. Caricavano ‘sta robba e la portavano in tutti
questi paesi lì intorno.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi<i> </i>ci spiega come funzionava il “conto”- l’unità di misura adottata a Vasanello come per regolare le
transazioni tra pignattari e grossisti:<i> “Questi
oggetti venivano venduti ai carrettieri a conti. Praticamente stabilivano un
prezzo a conto - per esempio 500 lire. Il conto era un unità di misura: per
esempio 2 conche erano un conto e anche 20 pignattelli piccoli era un conto.
Poi c’erano pignatti di varie misure, da 10, da 15, da 12. Quelli da 8 li
chiamavano gli ottaioli, che cominciavano a esse grandi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Vi era poi la vendita al
dettaglio presso la bottega, che nella Tuscia rurale e contadina di pochi
decenni fa assumeva spesso la forma del baratto di oggetti in terracotta con
prodotti agricoli. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Si vendeva anche direttamente: era il cosiddetto
mercato del baratto. Si vendeva così, al minuto, a chi serviva una bocchetta, a
chi una casseruola da fuoco…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">L’apprendistato dei cocciari<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gli artigiani intervistati –
tutti figli e nipoti di pignattai – hanno imparato il mestiere fin da
giovanissimi nella bottega di famiglia. Alcuni di loro sottolineano anzi come
per imparare tutti i trucchi del mestiere sia stato fondamentale crescere in
quell’ambiente: già da bambini si iniziava svolgendo le prime elementari
mansioni quasi come se fosse un gioco; poi si passava a compiti via via più
complessi in un processo di apprendimento che si può definire spontaneo. <o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Che mi sono messo proprio sopra
il tornio c’avrò avuto 13 anni. Però da piccoletto stavo sempre lì ad aiuta’ mio
Zio. Cioè giocavo, gli davo fastidio in realtà! Però stavo lì in bottega. Dopo,
a 13-14 anni ho iniziato proprio a mette’ al centro la creta. Mio Papà me
metteva un pezzo di creta e me diceva: adesso mettila al centro e facce questa
cosa qui. Quando ho iniziato facevo i coperchi. <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Alla fine ‘sto lavoro se lo impari come
gioco lo sai fa’. Io ho iniziato a gioca’ con la creta ed è diventata una cosa
normale. Solo che devi iniziare da piccolo, devi sta’ qui dentro da fijo a
impara’. Soprattutto a quei tempi,
perché adesso se vuoi fare questo mestiere compri un forno elettrico e
coci. Invece con la fornace a legna dovevi sapere pure come coce, e come
infornalla la robba. Devi pure sape’ fa’ la creta. E allora qui dentro se
imparava tutto, sempre giocando.” <o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Da quando io andavo alle elementari, quando
uscivo da scuola andavo giù alla bottega di mio Padre e mi mettevo lì sul
tornio. Poi a 15 anni sono andato a lavorare giù alla ceramica del marchese
Pisantelli.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: “<i>Questo
mestiere lo faccio da sempre, da quando sono nato. Quando ero ragazzino già
frequentavo l’ambiente, e sono andato avanti.”</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Orlandi: “<i>Ho iniziato a 12 anni, anzi prima, perché
anche quando si andava a scuola si usciva, e nel pomeriggio mio padre mi
portava qui a spostare le pignatte, le casseruole o a impastare l’argilla; e
poi ci faceva fare i coperchi, gli oggetti più elementari, poi i pignatti piccoli, poi quelli più grandi,
poi mano mano che passava il tempo facevo cose sempre più grandi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">I Fischietti della Tuscia</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella ricchissima tradizione di
ceramiche fischianti italiane, la Tuscia rappresenta una di quelle aree
caratterizzate da una produzione molto semplice ma dotata - forse proprio in
ragione della sua essenzialità - di
grande fascino ed espressività.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[8]</span></span><!--[endif]--></span></a> La
primitività di questi fischietti è attribuibile a varie ragioni, compresa la
necessità di non dedicare troppo tempo ad un singolo pezzo, ma anche all’abitudine
di riprodurre forme arcaiche e tramandate di generazione in generazione.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn9" name="_ftnref9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[9]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In ciascun centro di produzione
veniva realizzato un numero limitatissimo di soggetti, normalmente zoomorfi e
modellati a mano: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A Vetralla erano 3 le forme di
fischietto realizzate dagli artigiani: il bue, l’asino e il cavaliere a cavallo.
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Avevano la forma come gli animali: c’era la
vacca, il somarello, il cavalluccio con il cavaliere sopra. Le forme erano
sempre quelle, cambiava la mano.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco Ricci: <i>“I fischietti di Vetralla erano quelli: il
cavallo col fantino sopra, la mucca e il somaro con la capoccia storta. Veniva
fatto sempre con la testa girata, non so perché.</i><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A Vasanello il fischietto più
diffuso era il cavaliere, spesso identificato con San Lanno – un santo
guerriero. Veniva inoltre prodotta la patalocca - un fischietto di forma sferica
utilizzato come richiamo da caccia.<span class="MsoFootnoteReference"> <a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn10" name="_ftnref10" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[10]</span></span><!--[endif]--></a></span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Ovidio Orlandi: “<i>I
fischietti erano quelli cavalluzzi con il santo…fischiavano invece della coda.”
<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9vw-TEn7n3iE6hXFrclguwNU6K3V4Zi_slWqGbZ-Aqc_RoXUqdtI2i_qERN7kHBeqVOJGC5WZGb06cI8g6BwYE8MnbkMH-Z61WfI36npMjKi2VrxRB-y9BtUS26PTQUWwVYVKLLhlzAbb/s1600/fornace+vasanello.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh9vw-TEn7n3iE6hXFrclguwNU6K3V4Zi_slWqGbZ-Aqc_RoXUqdtI2i_qERN7kHBeqVOJGC5WZGb06cI8g6BwYE8MnbkMH-Z61WfI36npMjKi2VrxRB-y9BtUS26PTQUWwVYVKLLhlzAbb/s1600/fornace+vasanello.JPG" height="320" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">antica fornace di Vasanello (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
Orlando Orlandi: <i>“Generalmente qui facevano il cavalluccio,
sempre col cavaliere. E’ associato a San Lanno perché San Lanno era un
cavaliere romano, un cavaliere di Cristo. E allora dicevano: è il cavalluccio
di San Lanno - forse anche per una questione di devozione. C’era la festa del
Santo il 5 maggio. C’era sempre questo cappuccetto: boh, sarà l’elmo del
guerriero, non lo so. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i>E questa è la famosa
patalocca. Era per i cacciatori, per il richiamo delle tortore. Ha questo buco
per modulare il suono.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A Tuscania i fischietti avevano prevalentemente
forme di uccelli ed altri animali. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>De solito se facevano le paperelle, i
piccioncini, se facevano i galletti, queste cose qui. Anche i pesciolini che
fischiavano e qualche ocarina, però era difficile intonarle.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: “Mio Padre li faceva a forma di animale: torni,
cavalli, cigni, cinghiali<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In tutti e 3 questi centri
venivano inoltre prodotte delle elementari ocarine, anche se la loro diffusione
era limitata perchè – a quanto affermano gli stessi artigiani – la loro
realizzazione era lunga e complessa.<o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: <i>“Poi c’era anche l’ocarina, tipo
uccello con i buchi sopra. Però era un po’ più difficile farle sona’. Con un po’
di pazienza, parecchia pure, se riusciva.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>Il ciufoletto lo facevano, però non è che ne
facevano proprio tanti. A me ricordo che me l’aveva fatta una Babbo, quando ero
piccolino. Era a forma di trombetta con i buchetti sopra. Il suono lo potevi
modulare attraverso i buchi, come l’ocarina.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: “(Mio Padre) faceva anche l’ocarina
classica, che con i fori cambiava suono.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ad Acquapendente veniva prodotto
un maggior numero di soggetti: di questo centro si hanno testimonianze di
fischietti in forma antropomorfa – come il soldato e il marinaio – zoomorfa –
come galletti e cavallucci – ed anche di fischietti ad acqua. La maggiore
varietà di forme è probabilmente attribuibile al fatto che qui la tecnica
prevalente era quella dello stampo.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Osvaldo Polacco: “<i>Se
facevano a stampo il soldatino oppure c’era il gallo…se facevano pure con
l’acqua…era come un bicchierino</i>”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: “<i>Di
solito si faceva un galletto, un cavalluccio, un soldatino, qualcosa di genere</i>.”<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn11" name="_ftnref11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[11]</span></span><!--[endif]--></span></a> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella gran parte dei casi i
fischietti della Tuscia erano modellati a mano. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: <i>“E’ semplice farli: si faceva il fischietto
vuoto, poi dopo nella pancia si faceva un buchetto, e in fondo alla coda si
bucava e fischiava. Il galletto, il pesciolino, tutti dalla coda si facevano
fischià.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Ovidio Orlandi<i>: “(il
San Lanno) de dietro invece de faje la coda se lasciava un pezzetto così, poi
je se faceva un buco, un buco sopra e veniva il fischietto”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti<i>: “Io e mio Padre facevamo i fischietti assieme
quando io c’avevo 20 anni. Io gli facevo la forma dell’animale e lui faceva i
fori. Faceva il foro con il minerva, il cerino di legno.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Tuttavia, come già accennato, ad
Acquapendente si utilizzava invece la tecnica dello stampo di gesso. Bruno
Lucchetti riferisce che anche a Tuscania accanto agli animali modellati a mano
si realizzavano fischietti antropomorfi a stampo. In fine, Orlando Orlandi
spiega come a Vasanello il cavallo poteva essere modellato con l’aiuto del
tornio.<span class="MsoFootnoteReference"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Sergio Polacco: “<i>Questo
è lo stampino di gesso: si calcava e si faceva la figura. Il fischietto è fatto a mano, poi si attacca
dietro.”</i> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Angelo Lucchetti: <i>“Si
facevano quelli a forma di persona con lo stampo.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Orlando Orlandi: “<i>Mio
Padre il cavalluccio lo faceva al tornio. Tirava al tornio un cilindro così, in
modo che già con questo gli modellava il collo del cavallo e la testa. Il
cavaliere se faceva a mano e poi si incollava sopra.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I fischietti venivano cotti insieme
agli oggetti più grandi, disponendoli nelle fornaci in maniera da riempire gli
spazi rimasti vuoti. Erano inoltre oggetti che si prestavano a fare da spie – che
come abbiamo visto erano piccoli oggetti che servivano a verificare il
completamento della cottura.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn12" name="_ftnref12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[12]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Per cuocerli li mettevano nei pignatti
grandi. Per sfruttare gli spazi, nei pignatti grandi ci mettevano dentro un
pignattello piccolo, poi qualche coperchio e 2 o 3 cavallucci.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La decorazione dei fischietti –
quando non del tutto assente - era molto essenziale. A volte ci si limitava a invetriate
i pezzi, altre volte si riprendevano i motivi della decorazione dei pignatti,
ovviamente in versione semplificata: si tracciavano sull’oggetto alcuni
semplici segni o lo si schizzava con i caratteristici colori giallo e verde. Solo
una testimonianza – quella di Ovidio Orlandi – sembra indicare che gli smalti
colorati venissero usati per decorare l’abito della figura modellata – nello
specifico il mantello rosso del San Lanno. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Alcuni li facevano grezzi così, e alcuni
lucidi con la vetrina. Oppure gli davano una schizzata col giallo e col verde.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sergio Polacco: “<i>Si dipingevano a freddo con i colori che
c’erano prima. O addirittura si imbiancavano con la calce e poi si coloravano.
Era una cosa molto primitiva.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Il decoro che se faceva è questo
qui. Questi due segni qua gialli o verdi. Il verde col rame e il giallo con
l’antimonio.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovidio Orlandi<i>: “(San Lanno) c’aveva un manto rosso come
un arancia, tutto rosso come la vernice che se da”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Ovviamente
la funzione dei fischietti era quella di giocattoli per bambini. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Non c’erano i giochi come adesso, c’erano
questi di terracotta o quelli di legno, di cartone, sempre fatti a mano.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Che poi praticamente era il giocattolo dei
bambini questo. Più che altro era il giocattolo della befana.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La commercializzazione avveniva
con varie modalità. Alcuni cocciari riferiscono che i fischietti venivano
acquistati prevalentemente presso la bottega, altri che venivano venduti anche
nei mercati. Qualcuno ricorda che venivano comprati dai robivecchi che poi li
utilizzavano come merce di scambio. In fine, Gianfranco Pizzinelli ci offre uno
spunto curioso rispetto alla vendita di questi giocattolini: tra le altre cose
erano smerciati dai rivenditori di verdure.<o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Li vendevamo al mercato. Avoja
quanti se ne vendevano. Era ‘na cosa richiesta! Forse perché non c’era chi li
faceva.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Generalmente le famiglie compravano il
cavalluccio di San Lanno qui alla bottega. Perché non è ne facevano tanti. Li prendevano pure quelli che
andavano a fa’ i mercati, che vendevano la robba di stoviglieria. Li portavano
nei mercati, nelle fiere, e li vendevano così.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Angelo Lucchetti:<i> “Venivano i stracciaroli a prende
fischietti, campanelli e giocattoli, facevano a cambio co’ li stracci pe’ fa
gioca’ i ragazzini.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>C’erano le botteghe che vendevano la verdura
e c’avevano anche una cesta e dentro c’erano tutte queste cose qui, i
giocattolini. I bambini andavano li a prendere la verdura con i genitori, si
innammoravano e si compravano una bocchetta.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Il
margine di ricavo dei fischietti era comunque relativo, sia perché trattandosi
di giocattoli poveri il prezzo doveva essere molto contenuto, sia perché
modellare un fischietto e farlo suonare era una operazione relativamente lunga.
Per questa ragione i maestri si dedicavano a modellare i fischietti
prevalentemente nella stagione invernale – quando il freddo impediva di
dedicarsi alla tornitura – o a casa alla fine della giornata di lavoro.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Dai fischietti si guadagnava poca robba,
più che altro si vendevano le cose per
cucinare, per portarci l’acqua, per lavarsi. Per i fischietti a quei tempi non
avevano tanti soldi le famiglie. Adesso li comprano per ricordo, per ornamento.
Non solo i fischietti, anche oggetti di ceramica.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Ce vole tempo a fare i1
fischietto. Se ce indovini fischia subito, sinnò te fa’ ammattì. Ad esempio
oggi a fa’ questo fischietto ci ho messo 10 minuti, e a fa’ quel tegame 2
minuti. Prima dovevano lavora’ e ce dovevano campa’ con questo mestiere. Mio
Padre doveva fa’ la robba pe’ venderla e per tirare avanti la famiglia, non
poteva mettersi a fa’ i fischietti. Doveva fa’ il pignatto, la brocca.”<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyyhL171eAlprqAhwQvpsXOPiccpXVYJnKyw1ndh800czbf9vq4oobXe_SL1_LZdoPG0wYeRL6n1s-z_RD4fEhmNpVtCq8ro7jb0JRizwG-dKJX1zOe9hya-epF6xrOYztVVF5HMwxHKgV/s1600/francesco+ricci+tornisce.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyyhL171eAlprqAhwQvpsXOPiccpXVYJnKyw1ndh800czbf9vq4oobXe_SL1_LZdoPG0wYeRL6n1s-z_RD4fEhmNpVtCq8ro7jb0JRizwG-dKJX1zOe9hya-epF6xrOYztVVF5HMwxHKgV/s1600/francesco+ricci+tornisce.JPG" height="320" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Francesco Ricci sul tornio (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Giù alla bottega non potevano sta’ a perde
tempo a fare i fischietti, e allora le facevano in casa queste cose,
generalmente la sera. E non è che ne facevano tanti.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci<i>: “Queste vanno bene intorno al
fuoco, quando è freddo. Io l’inverno accendo la stufa e li fo.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
Orlando Orlandi: “<i>Ai
tempi di mio Padre li facevano durante il periodo invernale, li facevano.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ma soprattutto, erano le figure
meno produttive della bottega – come apprendisti e cocciari ormai anziani - a
occuparsi dei fischietti. Ai bambini era a volte consentito di tenere per sé il
ricavato della vendita dei fischietti.<a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftn13" name="_ftnref13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[13]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci<i>: “Il fischietto lo faceva il
ragazzetto oppure il pensionato. Per passare il tempo se metteva a fa’ sta
robba.” <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
Angelo Ricci: “<i>Roba
piccola a quel modo la facevano più che altro i ragazzini. L’omini anziani uno
doveva lavora’, fa’ il grosso, mica poteva perde la giornata a fa’ quelli li”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Da ragazzino facevo i fischietti, queste
cose qui. Erano soprattutto i ragazzi a fare i giocattoli. I soldi mio Padre me
li faceva pijà a me. Per avere qualche soldo in tasca, invece de darmi lui
qualcosa la domenica mi dava i soldi che
aveva venduto ‘sta roba qui.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oltre ai fischietti, nelle
botteghe della Tuscia si modellavano giocattoli di diverso tipo: le miniature
degli utensili da cucina – o coccetti, ma anche salvadanai, campanelle,
gobbetti portafortuna. L’occasione principale in cui venivano regalati questi
giocattoli era l’Epifania. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: <i>“Riproducevano gli oggetti per la cucina, che
erano il giocattolino per le bambine. Le miniature si facevano il periodo per
le feste dell’Epifania. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Facevano qualche presepe. Mio padre ad esempio faceva i pupazzetti per
il presepe quando eravamo ragazzini.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: “<i>Mio Padre faceva le campanelle. Le torniva
tagliandole da un mucchio di argilla e venivano sagomate proprio come le
campane. Da quello che mi ricordo si facevano per la festa di San Giovanni a
Roma.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Si facevano i dindaroli e il gobbetto che
portava fortuna, qualche campanella. E poi si facevano anche le bocchette, le
pentoline, le pignatte piccole. Per la Befana portavano ai bambini tutte queste
cosette qui, glie le mettevano sopra al camino come adesso si mettono sotto
all’albero. Quelli erano i giocattoli che si facevano di solito quando c’era la
Befana. Per Natale niente, non usava.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dalle testimonianze raccolte
appare chiaro che imparare a modellare i fischietti e gli altri giocattoli
fosse una parte importante dell’apprendistato dei cocciari. Francesco Ricci
racconta invece come per imparare a fare i fischietti dovette “rubare” la
tecnica ad un vecchio maestro.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Gianfranco Pizzinelli: “<i>Ad esempio a fa le brocchette, quelle cose
li, ci ho imparato. Poi mio Nonno alla domenica gli attaccava il beccuccio o i
manichetti.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Ovidio Orlandi: “<i>Cominciai
a fa qualche gingilletto piccoletto e in poco tempo ne imparai, via! ..tutti i
giocattoli pei ragazzini. Le concoline se facevano pure”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Io il fischietto l’ho imparato da
un altro pignattaro che lo faceva così, per hobby, che questo mestiere già
l’aveva smesso de fallo. Però non è che m’ha imparato, lo guardavo io mentre lo
faceva e ho imparato. Perché era geloso che sapeva fa’ sta robba e non ha
voluto mai imparà a nessuno. Quando era pensionato stava qui, e faceva ‘sti
cavallucci. Io guardavo, guardavo, guardavo, e alla fine, prova e riprova ce
sono riuscito anche io.”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #cc0000;">La crisi delle botteghe e la produzione attuale</span><o:p></o:p></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La crisi di questo sistema
produttivo ebbe inizio negli anni ’50, e i suoi effetti furono drastici. I
produttori di ceramiche di uso comune della Tuscia non riuscirono a
riconvertirsi nella produzione di ceramiche artistiche, e nel corso di
pochissimi decenni la copiosa produzione di cocci e fischietti della zona era
praticamente sparita.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Orlandi “<i>Purtroppo dopo la guerra, co’ l’avvento
dell’alluminio, ha messo in crisi questo artigianato quà, e tutti quelli che
avevano imparato o hanno cercato di incominciare hanno smesso tutti quanti…a
quell’epoca lì tutti hanno lasciato perdere, giovani ed anziani,
indistintamente”<o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Francesco
Ricci: “<i>Hanno cominciato a anda’ via dopo
la guerra parecchi pignattari. Hanno trovato altre strade. E l’unico che è
rimasto è mio Padre con mio Zio e mio Nonno. Quando ero ragazzetto qui già non
c’era più nessun altro. Ti parlo degli anni ’60.</i></span><span style="color: windowtext; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">”
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Felice Ricci: “<i>Ora le grotte sono tutte chiuse. Ormai lo
sanno tutti che qui a Vetralla non c’è più nessuno. E’ un mestiere finito, come
il fabbro o i tessitori che facevano i vestiti con la canapa. Ora ci sono cose
fatte a macchina, più rifinite, con terra migliore.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Orlando Orlandi: “<i>Nel giro degli anni ‘50 e inizi ’60 erano
finite parecchie botteghe. In poco tempo erano rimasti solo mio Padre, mio Zio,
e Vitaliano - che era un cugino de mio Padre, sempre un Orlandi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
Angelo Lucchetti<i>: “(Si
vendeva) fino al ’62, dopo è scappata fori la plastica, è scappata fori tutta
‘sta roba qui, alluminio…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche se il grosso delle botteghe
chiuse i battenti entro gli anni ’60 dello scorso secolo, bisogna sottolineare
che alcuni cocciari hanno continuato tenacemente a portare avanti la produzione
fino ad anni più recenti. A Tuscania, ad esempio, Angelo Lucchetti ha realizzato
i suoi cocci fino a una quindicina di anni fa.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
Angelo Lucchetti: <i>“A
Tuscania so’ rimasto unico e raro…perché tutti cercano un impiego, cercano una
mesata sicura, e purtroppo pe’ ‘sti lavori qui non c’è”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bruno Lucchetti: <i>“Fino al ’98 - ‘99 lui ha continuato a
tornire, anche se non era più la tornitura di quando aveva la cocceria. E la
cottura a legna fino al ‘98 l’abbiamo fatta.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ad Acquapendente, la famiglia
Polacco continua a gestire la BAMA, una fabbrica di ceramiche dotata di
impianti moderni. Sergio è andato in pensione, ma la continuità della tradizione
famigliare è garantita – dato che due suoi figli continuano a occuparsi
dell’attività. Purtroppo negli ultimi anni gli effetti della crisi economica si
sono fatti sentire in modo negativo. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sergio Polacco<i>: “Io mi sono ritirato ma hanno continuato i
miei figli. Prima avevamo dei dipendenti, ma ormai lavorano in tre. Prima il
lavoro era molto più manuale, l’attrezzatura non c’era. Però oggi nonostante
l’attrezzatura i problemi sono quelli del mercato. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Io invece mi diverto a fare riproduzioni del XIV o XV secolo. Lo faccio
con passione: anziché stare in paese al bar come tanti pensionati mi diverto a
fare queste cose.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">A
Tuscania, dopo la scomparsa del maestro Angelo, la famiglia Lucchetti è rimasta
nel settore della ceramica pur cambiando completamente tipologia di oggetti
realizzati. Nel negozio-laboratorio realizzano e vendono al pubblico ceramiche
in stile etrusco. La produzione è portata avanti principalmente da Elisa Danella,
nuora di Angelo e moglie di Bruno. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A Vetralla Felice Ricci, pur se
pensionato, ha continuato a tenere aperta l’ultima cocceria di via dei Pilari fino a pochi anni fa<i>: “Io sono ancora vivo ma non ce la fò più, gli anni passano! Sono 4
anni che non faccio più niente: ho smesso come hanno fatto tutti. Se vi fate
una passeggiata vedete tutto chiuso. E’ finito tutto e tutto abbandonato.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dopo la scomparsa di questo
anziano Maestro, il compito di tenere viva la tradizione dei cocci vetrallesi è
stato assunto dal nipote. Postino di professione, Francesco non ha mai
dimenticato il mestiere imparato nella grotta di famiglia, e qui continua a
realizzare per hobby cocci e fischietti: <i>“Ho
lavorato nella bottega di famiglia fino a 25 anni, fino a che non sono entrato
alle Poste. Però a questo lavoro ci ho sempre tenuto. A parte che mi piace
farlo, e poi chi ha imparato a fare quello resta sempre il suo mestiere. Non è
che faccio un grande quantitativo di roba. La porto alle manifestazioni che
fanno qui a Vetralla. Oppure se a uno gli serve qualcosa per coce sul fuoco,
qualche pignatto, qualche sugarola me la chiede e glie la faccio.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Francesco continua peraltro a
utilizzare metodi di produzione sorprendentemente tradizionali. Anzitutto si
serve esclusivamente di un vecchio tornio a pedale: “<i>Uso sempre questo tornio: ho provato anche quello elettrico ma se non
sai regolare la velocità va troppo veloce. Ma io me trovo bene con questo. Di
cose da fare non è che ce ne ho molte, ma sto qui così, me piace. Me dispiace
anche lascia’ perde.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I pezzi vengono cotti nella
fornace a legna della grotta, da lui appositamente restaurata: “<i>Il forno l’ho smontato giù tutto perché coci
e ricoci alla fine pure questi mattoni si consumano e non vanno più bene. E
allora tocca rimetterceli novi. E’ la quarta volta che utilizzo la fornace a
legna da quando l’ho restaurata. Solo che dove ci sono quegli archi ho chiuso con
dei cocci, così è diventata più piccola. Prima era tutto aperto e ci andava
molta più robba.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">A
volte<i> </i>anche la creta utilizzata è
quella locale:<i> “Alcune cose le faccio con
la terra raccolta, ancora ne ho una scorta. Questa l’ho fatta io, se la senti è
più granulosa di quella impastata con le macchine. La differenza se vede, è più
ruvida perché è passata tutta a mano, grossolanamente. <o:p></o:p></i></span></div>
<div class="normal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt;">Più che altro la uso per qualcuno che
gli piacciono le cose rustiche. Faccio qualche tegame, qualche piatto, qualche
bacinetta. E poi per i fischietti.”</span></i> </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOhO92G_OeCgtYpX-Gyyp17uoFRRkvViFebrp3oWVSFMBPecVVqY2g3eTg5Z1A2JpfJZX5i5JVjxk57EFfATyrLidU-pchHy2DO9b8WFzeB6IGX-6DHqLuk42zHI8a-67UNojRBAW3PtDE/s1600/san+lanno+3.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOhO92G_OeCgtYpX-Gyyp17uoFRRkvViFebrp3oWVSFMBPecVVqY2g3eTg5Z1A2JpfJZX5i5JVjxk57EFfATyrLidU-pchHy2DO9b8WFzeB6IGX-6DHqLuk42zHI8a-67UNojRBAW3PtDE/s1600/san+lanno+3.JPG" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">cavalluccio (San Lanno) di Orlando Orlandi (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: center;">
<!--[if !supportFootnotes]--><span style="color: #cc0000;">I testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata</span></div>
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<!--[endif]-->
<br />
<div id="ftn1">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></a> E.
Silvestrini (cur.), Ceramica popolare del Lazio, Museo Nazionale delle Arti e
Tradizioni Popolari, Edizioni Quasar, Roma 1982; i brani ripresi dal volume
sono quelli di Bruno e Ovidio Orlandi di Vasanello, Angelo Lucchetti di
Tuscania, Osvaldo Polacco di Acquapendente, Angelo e Felice Ricci di Vetralla
(per quanto riguarda quest’ultimo artigiano i brani sono presi da Ceramiche
Popolari del Lazio solo ove indicato; nei casi restanti si tratta dell’
intervista di prima mano realizzata nel 2009).<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn2">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> Succedeva spesso che gli
artigiani si spostassero da un paese all’altro in cerca di migliori prospettive
di guadagno. Se la famiglia Pizzinelli si trasferisce dalla Toscana al Lazio,
il contrario avviene per Luigino Porri, cocciaro originario della Tuscia che
trasferì la sua bottega a Sorano. Si vedano G. Morandi, Cocci e Fischietti -
l’arte di Luigino Porri nel solco della tradizione, 2003 e L. Porri, I cocci di
una vita, Stampalternativa, 2003.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn3">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> E. Silvestrini, op. cit.,
nota come i principali ruoli assegnati alle donne fossero preparare la creta,
spostare gli oggetti, ed effettuare la decorazione dei pezzi.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn4">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> E’ la
situazione rilevata nei primi anni ’80 dalla ricerca realizzata nell’articolo
di M. Trifoni “Tecniche Costruttive” e riportata in E. Silvestrini, Op. Cit.;
ma abbiamo verificato di persona che Felice Ricci ancora utilizzava analoghe
tecniche produttive nei primi anni del XXI° secolo. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn5">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a> Bisogna peraltro notare
una diversa prassi tra le diverse botteghe. I Pizzinelli e gli Orlandi
utilizzavano la camera superiore per cuocere i pezzi ancora crudi e quella
centrale – dove la temperatura era più alta - per effettuare la smaltatura. I
Polacco facevano il contrario.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn6">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[6]</span></span><!--[endif]--></span></a> Nell’articolo di M. Trifoni
“Tecniche Costruttive”, in E. Silvestrini, op. cit. si nota come a seconda
delle diverse tipologie di creta, la cottura si può considerare completata
quando il colore degli oggetti è rosso fuoco oppure quando schiarisce.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn7">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> Citazione ripresa da E.
Silvestrini, op. cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn8">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[8]</span></span><!--[endif]--></span></a> Analogo discorso può
essere fatto per i fischietti di Ficulle, Montelupo Fiorentino, Sorano;
similitudini fra i fischietti laziali, toscani e umbri sono state d’altronde
già notate da R. Biagi e A. Pontremolesi “Fischietti del Lazio”, in S. Cardello
(cur.) SIBILUS 4, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Caltagirone, 2004
e F. Scarsella “Centri di Produzione” in E. Silvestrini, op. cit. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn9">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref9" name="_ftn9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[9]</span></span><!--[endif]--></span></a> Si veda F. Sgrò
“Fischietti” in E. Silvestrini, op. cit. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn10">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref10" name="_ftn10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[10]</span></span><!--[endif]--></span></a> La pubblicazione di R.
Biagi, op. cit., riporta nel catalogo una serie di fischietti zoomorfi di
Linceo Orlandi diversi dal cavalluccio, ma precisa che si tratta di produzioni
recenti, probabilmente realizzate per soddisfare le richieste dei
collezionisti. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn11">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref11" name="_ftn11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[11]</span></span><!--[endif]--></span></a> Le testimonianze dei
cocciari di Acquapendente sono confermate anche da due fischietti in forma di
marinaio e figura antropomorfa risalenti agli anni ’60 ed appartenenti alla collezione
del Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari. Si veda MNTP, op. cit. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn12">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref12" name="_ftn12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[12]</span></span><!--[endif]--></span></a> Lo riferisce la
pubblicazione P. Piangerelli (cur), La Terra, il Fuoco, l’Aria, il Soffio – la
collezione di fischietti di terracotta del Museo Nazionale di Arti e Tradizioni
popolari, De Luca 1995.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn13">
<div class="MsoFootnoteText">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/PatPat/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/pezzo%20Tuscia.doc#_ftnref13" name="_ftn13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: 'Times New Roman', serif;">[13]</span></span><!--[endif]--></span></a> Secondo F. Sgro
“Fischietti” in E. Silvestrini, op. cit., anche le donne si dedicavano alla
realizzazione dei fischietti, circostanza che almeno per il Sud del Lazio è
confortata da varie testimonianze.</span><o:p></o:p></div>
</div>
</div>
<div>
<div id="ftn3">
<div class="MsoFootnoteText">
<o:p></o:p></div>
</div>
</div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-9840768824850475252014-10-31T22:02:00.000+01:002014-10-31T22:02:24.079+01:00I Maestri di Rapino: tra ceramica colta e galletti col fischio<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div align="center" class="MsoNormal">
<b><span style="color: #990000;">Memorie e Suoni di Terra - conversazioni
con i Maestri costruttori di ceramiche sonore <o:p></o:p></span></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgefaevdlXrluyeUW_vmnRjD3o5w51ofhDnQXNv5wcF_p9zV_dK63MrK3CRgUsgPl49h_ukc1Kb8vRutoP5AYoHk9Hf_jEyhUKVsFsdDtEYXJuqZ4H8RDbrRiSlz1LOloY16j9iZE9QIls2/s1600/giuseppe+d'amore.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgefaevdlXrluyeUW_vmnRjD3o5w51ofhDnQXNv5wcF_p9zV_dK63MrK3CRgUsgPl49h_ukc1Kb8vRutoP5AYoHk9Hf_jEyhUKVsFsdDtEYXJuqZ4H8RDbrRiSlz1LOloY16j9iZE9QIls2/s1600/giuseppe+d'amore.JPG" height="231" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietti di Giuseppe d'Amore (coll. Grosso)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“Ricordo che da bambini aiutavamo i ceramisti quando facevano i boccali
di San Rocco. Facevamo una specie di catena di montaggio per metterli fuori dalle
botteghe ad asciugare, e poi la sera li rimettevamo dentro. Ed alla fine i
ceramisti ci davano un fischietto, altre volte 10 lire, o magari un frutto. A
pensarci erano abbastanza taccagni! Ma noi lo facevamo comunque volentieri,
perché si trattava soprattutto di un gioco</i>.”<i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sono i ricordi di infanzia di Cesare
Grosso. Le sue parole testimoniamo come ancora negli anni ’50 del secolo scorso
Rapino fosse un vivace centro di produzione di ceramiche popolari e<o:p></o:p><br />
fischietti.
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Le botteghe ceramiche di questo paese
in provincia di Chieti cominciarono la loro produzione verso la metà del XIX
secolo, ed erano già in fase di declino nella seconda metà del XX. Una storia
produttiva relativamente breve, eppure poco più di 100 anni erano stati
sufficienti a farne uno dei centri di eccellenza per quanto riguarda la
ceramica abruzzese, secondo per fama solo a Castelli. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per ricostruire la vicenda di
queste botteghe ci siamo rivolti a due persone che la conoscono molto bene: Amato
Bontempo - ultimo discendente di una delle più importanti dinastie di
produttori locali – e Cesare Grosso – grande appassionato ed esperto di
ceramiche e fischietti rapinesi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: “<i>La ceramica fu portata a Rapino da uno dei Cappelletti, la nota
famiglia di ceramisti abruzzesi. Si trasferì a Rapino e cominciò a fare
ceramica ai primi dell’800. Di li sono nate diverse botteghe di ceramisti.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[1]</span></b></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Le famiglie principali di artigiani eravamo noi Bontempo, i Bozzelli, i
Vitacolonna, i De Nardis. Tutte famiglie con relativi parenti e discendenti. I
Bozzelli furono i primi: aprirono la bottega qualche anno prima di noi. Subito
dopo arrivarono i Bontempo. Peraltro noi e i Bozzelli eravamo parenti. Tanto è
vero che le botteghe erano attigue e c’erano degli ottimi rapporti.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: <i>“C’erano tre grosse famiglie di ceramisti: i Vitacolonna, i Bontempo e
i Bozzelli. Anche i De Nardis hanno fatto ceramica per 2 o 3 generazioni. E poi
si sono state tante altre botteghe che erano per lo più create da ex dipendenti
di queste famiglie che si erano messi in proprio.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: “<i>La famiglia Bontempo ha 150 anni di tradizione nella ceramica.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[2]</span></b></span><!--[endif]--></span></a> Il capostipite è stato
mio Bisnonno. Si chiamava Bontempo Lorenzo, e fondò la bottega nel 1862. Dopo
la morte di Lorenzo proseguì l’attività il figlio Giuseppe, che sarebbe mio
Nonno. Poi ci sono stati mio Padre Andrea – che era cavaliere del lavoro - con
gli zii Lorenzo e Alfredo. La mia è la quarta generazione.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La produzione di queste botteghe
era in bilico tra ceramica di uso comune - destinata ai ceti popolari - e
raffinata – ricercata della borghesia
agiata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo<i>: “Mio Bisnonno inizialmente faceva le stoviglierie, quelle da fuoco.
Poi piano piano, alla fine della sua attività, cominciarono a fare la maiolica,
la ceramica smaltata. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Si faceva anche ceramica raffinata a Rapino. In Abruzzo era il centro
ceramico più rinomato dopo Castelli.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4PNCZ2OFgdzFgQXJHfkLyJ6B-epGw5MKCPZCONJQ8T0BPaotbyQBYV0gdXNI036NU8JlcwhMj1ebpsYHJAol4WdJjDh-Sqyr84PI6yv1_3FAxKrveTOu51s__XdC8HKvsnBQCCJ0xJWcA/s1600/renato+di+federico.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4PNCZ2OFgdzFgQXJHfkLyJ6B-epGw5MKCPZCONJQ8T0BPaotbyQBYV0gdXNI036NU8JlcwhMj1ebpsYHJAol4WdJjDh-Sqyr84PI6yv1_3FAxKrveTOu51s__XdC8HKvsnBQCCJ0xJWcA/s1600/renato+di+federico.JPG" height="320" width="238" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di Renato di Federico (coll. Grosso)</td></tr>
</tbody></table>
Grosso: “<i>Ogni tanto da queste famiglie di artigiani emergeva un ceramista
eccelso, che si dedicava soltanto alla ceramica colta. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>I Bozzelli hanno avuto Raffaele Bozzelli, che sia dal punto di vista
decorativo sia per la foggiatura è stato uno dei più bravi ceramisti di Rapino,
se non il più bravo in assoluto. I Vitacolonna hanno avuto Antonino e Fedele,
mentre da parte dei Bontempo il più bravo è stato Alfredo, che ha lasciato la
ceramica prima della guerra ma ha continuato a livello hobbistico</i>.” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Rispetto alla ceramica popolare,
il prodotto-simbolo di Rapino è senza dubbio la brocca di San Rocco. Queste
brocche venivano vendute durante la festa dedicata al santo che si teneva presso
la chiesa campestre di Roccamontepiano, e si trattava di una delle principali
occasioni di guadagno per le botteghe di ceramisti.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>Il 30% della produzione ceramica -
forse di più - era costituita dai boccali con l’immagine devozionale di
San Rocco da vendere per la festa contadina che si teneva ogni anno a
Roccamontepiano. Tutti i ceramisti ne producevano migliaia, e lavoravano una
buona parte dell’inverno per prepararsi a questa festa.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: “<i>C’era una festa importante a Roccamontepiano, in provincia di Chieti. E’
la festa di San Rocco, che viene festeggiata il 15 e 16 di agosto. E lì
andavano i ceramisti di Rapino a vendere i boccali con il Santo.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: maroon;">Galletti e altre ceramiche fischianti<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente la produzione di
ceramiche popolari di Rapino comprendeva i fischietti, realizzati nelle botteghe
locali già a partire dall’800. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: <i>“Bene o male tutte le famiglie di ceramisti di Rapino facevano i fischietti.
I primi che si vedono a Rapino sono quelli dei Bontempo: la loro bottega già
nel 1800 faceva fischietti, con Lorenzo Bontempo e poi con Andrea.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il galletto è senza alcun dubbio
il fischietto più diffuso e riconoscibile di Rapino, ma in realtà la gamma di soggetti
realizzati nelle varie botteghe è piuttosto vasta. Non mancano forme di animali
diversi dal gallo, né figure antropomorfe come pastori e cavalieri. Vi erano
poi fischietti religiosi: l’Abruzzo è infatti una delle poche regioni italiane
in cui la devozione popolare si esprimeva attraverso statuine di santi e
madonne con il fischio.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> E’ In
fine documentata la produzione di fischietti ad acqua, campanelle fischianti,
trombette, flauti, ocarine.<span style="background: black; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: “<i>Il gallo è praticamente il fischietto tipico. Poi si facevano i gufi,
il tacchino, l’uccellino. Ma anche le
pastorelle, i pastorelli e i santi. San Rocco poi è tipico perché lo facevano
per la famosa festa. In quell’occasione, oltre ai boccali si vendevano i
giocattoli per i bambini come le campanelle e i fischietti.”</i> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>A Rapino il fischietto ha prevalentemente la forma di animaletto, di
galletto soprattutto. Si facevano pure fischietti ad acqua, ed erano vasetti
realizzati al tornio che riproducevano le brocche tipiche. Poi si applicava il
fischietto su un lato e si decorava con un uccellino posato sulla bocca del
vasetto. Li facevano soprattutto Andrea Bontempo e Silvio Vitacolonna.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nonostante si trattasse di
semplici giocattoli popolari, che dovevano avere un costo molto contenuto, i fischietti di Rapino venivano sempre smaltati.
Lo stesso avveniva d’altronde a Castelli e Loreto Aprutino, tanto da poter affermare
che la smaltatura è una delle caratteristiche distintive del fischietto
abruzzese.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Secondo le ricercatrici del Museo
Nazionale di Arti e Tradizioni popolari<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a>
questa particolarità è dovuta al fatto che in Abruzzo i fischietti fossero
realizzati da veri e propri ceramisti - e non da semplici vasai, come di solito avveniva in
altre regioni italiane. I maestri ceramisti erano dunque portati per motivi
estetici e deformazione professionale a usare tecniche più elaborate e
dispendiose, anche a discapito della praticità. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLJB_b6XmqzjhBV0x80B5Ev-J8Qh02TU3z2LYyzp0tuk9CnEaTx1ZY8neSf8vM6sXMBrn0uQuvi4mGaP-9BYLXVYCW_GRmU6l7C_Udx0ltR-6jrudsUCcBAi0EY4lKE-S8DvXADnlzISr6/s1600/amato+bontempo+1990+ca+bis++MdC.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLJB_b6XmqzjhBV0x80B5Ev-J8Qh02TU3z2LYyzp0tuk9CnEaTx1ZY8neSf8vM6sXMBrn0uQuvi4mGaP-9BYLXVYCW_GRmU6l7C_Udx0ltR-6jrudsUCcBAi0EY4lKE-S8DvXADnlzISr6/s1600/amato+bontempo+1990+ca+bis++MdC.jpg" height="320" width="217" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto religioso di Amato Bontempo <br />
(coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
Bontempo: <i>“A differenza dei fischietti per
esempio pugliesi, che vengono dipinti a freddo, noi li dipingiamo con gli
smalti. E’ sempre è stato così, il fischietto di Rapino è sempre stato smaltato
e maiolicato.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<div style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>I fischietti venivano
sempre smaltati, quindi bisognava anche fare 2 cotture</i>.”<o:p></o:p></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La decorazione a smalto era
ovviamente essenziale: nel caso dei galletti si trattava per lo più di poche
pennellate per rappresentare il piumaggio o di un punto cerchiato a raffigurare
l’occhio.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Altra caratteristica dei
fischietti abruzzesi sta nel fatto che il modulo sonoro è quasi sempre aggiunto
alla figura, spesso innestandolo sul piedistallo che fa da base al fischietto. Rari
sono invece i fischietti “globulari”, ovvero le figure in cui il corpo del
fischietto è cavo e fa da cassa di risonanza.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[6]</span></span><!--[endif]--></span></a> <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>Il fischietto era applicato. Era un corpo estraneo, aggiunto alla
figura. Generalmente era applicato sulla base, in posizione laterale o
posteriore</i>.“<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La funzione dei fischietti era in
primo luogo quella di giocattoli per bambini, e in qualche caso si trattava
anche di un dono di corteggiamento. In entrambi i casi, la commercializzazione
avveniva principalmente in occasione delle fiere. In particolare, erano 3
durante l’anno le feste in cui era possibile smerciare un numero abbastanza
alto di fischietti ed altri giocattoli in terracotta: <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>A Rapino i fischietti erano quasi esclusivamente un giocattolo che si
dava ai bambini. E solo in qualche occasione diventavano doni per innamorati. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Le occasioni per vendere i fischietti erano tre durante l’anno: la
festa della Trinità a Chieti - che si teneva a giugno - quella di Sant’Egidio a
Lanciano - del 31 agosto - e quella di San Rocco a Roccamontepiano. Quella di
Sant’Egidio era forse la più importante, infatti la chiamavano anche la fiera
delle Campanelle e del Giocattolo. Ma in tutte queste occasioni si vendevano campanelle
e soprattutto fischietti. Inoltre sia alla Trinità sia a Sant’Egidio c’era questo
scambio di doni tra innamorati: lui regalava a lei il galletto e lei ricambiava
con una campanella.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ai fischietti rapinesi a forma di
gallo è dedicata la monografia di Vito Giovannelli “I galletti con il fischio
delle botteghe di Rapino”.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> La pubblicazione
prende in esame e confronta i galli realizzati dalle diverse botteghe e da
varie generazioni di ceramisti di Rapino, traendone alcuni spunti interessanti.
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisUsXP7higUtaGFZEaxA3-brFeOzEUGeuguHksnjussS8r7zPz-_BVN7cJsnaSqm7vlWfelxVc5H7IQd2f1DcpOxSv0wy1jhEWZi0_Xd05ZvWawMfmm-bWKOUSIB_HfI4WMl-0fqYf__Nc/s1600/P1050335.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisUsXP7higUtaGFZEaxA3-brFeOzEUGeuguHksnjussS8r7zPz-_BVN7cJsnaSqm7vlWfelxVc5H7IQd2f1DcpOxSv0wy1jhEWZi0_Xd05ZvWawMfmm-bWKOUSIB_HfI4WMl-0fqYf__Nc/s1600/P1050335.JPG" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">il Maestro Amato Bontempo nella bottega di Francavilla</td></tr>
</tbody></table>
Confrontando i galli realizzati dalla
fine dell’800 – epoca alla quale risalgono i più antichi pezzi ritrovati - ad oggi,
Giovannelli dimostra come i caratteri formali del galletto si siano
tramandati nel tempo in maniera sostanzialmente inalterata. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dall’osservazione attenta dei
pezzi, Giovannelli ricava inoltre una serie di informazioni sulle tecniche di
modellazione alle quali i ceramisti ricorrevano. Anzitutto si può distinguere
tra galli modellati interamente a mano e altri realizzati con l’aiuto di
stampi. Per quanto riguarda i primi, sui pezzi si notano ancora le impronte
provocate dalla pressione di pollice ed indice del ceramista. Si trattava di “pizzichi”
assestati in maniera sapiente, e che servivano a “dar vita” all’animale alzandogli
un poco la cresta, sollevando la coda, o evidenziando le zampe sul piedistallo.
Sono proprio impronte digitali, correzioni, piccole imperfezioni a rivelare che
si tratta di pezzi fatti a mano. Anche i pezzi ricavati da stampi di gesso venivano
comunque ritoccati a mano: ad esempio per rendere il piumaggio, alcuni
particolari anatomici come la coda venivano graffiati utilizzando un ferro a
sezione circolare. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’abitudine di intervenire sui
fischietti realizzati a stampo, perfezionandoli e personalizzandoli, è
confermata dalle testimonianze da noi direttamente raccolte. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>Normalmente i galletti venivano fatti a stampo. Poi però i ceramisti li
modificavano a mano, ad esempio girandogli il collo, la coda, eccetera</i>.”<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: “<i>Fare il fischietto è un lavoro lungo. Prima bisogna modellarli, perché
lo stampo ti da il grosso, ma poi vanno rilavorati. Poi bisogna farli
fischiare, e ci perdi tempo. Poi bisogna cuocerli. Poi smaltarli, e ricuocerli.
non si finisce mai: mentre faccio un fischietto posso fare 10 piatti.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: maroon;">Maestri ceramisti e umili artigiani <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2lkyJoXIhHV6hW7nm36LsWaQ00sguTFw5bb4cdkhuDyc_HF75Pf-z2sp_fdxRVm1AIWefwqE-fhrQwPx9hGZ_n-AbFZSjfz1_MmAmk3fcgXg3RwPedm7AgeHbMfNB7U6OOd9v9QyPLd0-/s1600/G.+Vitacolonna+1981+MdC.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2lkyJoXIhHV6hW7nm36LsWaQ00sguTFw5bb4cdkhuDyc_HF75Pf-z2sp_fdxRVm1AIWefwqE-fhrQwPx9hGZ_n-AbFZSjfz1_MmAmk3fcgXg3RwPedm7AgeHbMfNB7U6OOd9v9QyPLd0-/s1600/G.+Vitacolonna+1981+MdC.jpg" height="320" width="215" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di Silvio Vitacolonna<br />
(coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
E’ documentato come i più
apprezzati ceramisti di Rapino modellassero i galletti col fischio. D’altronde non
erano sempre i Maestri a occuparsi di questa produzione: anche in questo centro
ritroviamo una serie di figure marginali che integravano il loro reddito grazie
alla realizzazione dei fischietti. Si trattava ad esempio degli operai dediti
alle mansioni più umili delle botteghe ceramiche, e persino dei loro familiari.
E’ il caso di Luigi Fanelli detto “lu cignalette”, cavatore di argilla vissuto
a cavallo tra ‘800 e ‘900. Per Fanelli la vendita dei galletti rappresentava
addirittura il reddito primario; dopo averli modellati si rivolgeva ai vari
ceramisti che possedevano una fornace per poterli cuocere. Realizzava galletti
anche Lucia Cirotti, nata nel 1911 e moglie di un operaio della bottega
Bozzelli.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[8]</span></span></span></a><br />
<!--[endif]--></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche moglie e figli dei
ceramisti contribuivano alla produzione dei fischietti. Lo attesta una testimonianza
riportata dalla già citata ricerca del Museo Nazionale di Arti e Tradizioni
Popolari,<span class="MsoFootnoteReference"> <a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn9" name="_ftnref9" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[9]</span></span><!--[endif]--></a></span>
quella della decoratrice Antonietta De Nardis:<i>“Io sono figlia di ceramisti, moglie di ceramisti, ed ho tenuto bottega
fino a 5 anni fa. Quando era vivo mio marito io lo aiutavo sempre. I decori li
facevo sempre io sui piatti, sui vasi, sulle brocche</i>. <i>Facevo anche i fischietti o più precisamente li coloravo. Spesso mi aiutavano
i bambini. Noi facevamo il galletto come quello che di solito è dipinto sui
piatti e sulle brocche (…)I fischietti però si facevano nei momenti morti per
venderli alla fiera di Sant’Egidio a Lanciano o in qualche altra festa. Non è
che si perdeva tempo a fare un forno solo di fischietti.</i>” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quando invece erano i Maestri ceramisti
a dedicarsi in prima persona alla produzione di fischietti, questo avveniva
solo nei tempi morti, e senza togliere eccessivo spazio alla produzione più
importante e remunerativa. Secondo varie testimonianze, per modellare i
fischietti si utilizzavano le ore di veglia davanti alla fornace per la cottura
dei pezzi. Lo conferma ad esempio Beniamino Vitacolonna,<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn10" name="_ftnref10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[10]</span></span><!--[endif]--></span></a> maestro
scomparso nel 1991. Oltre ad essere rinomato per le brocche di San Rocco,
questo ceramista raccontava di aver realizzato anche tantissimi fischietti,
modellati<span style="color: red;"> </span>“<i>a
mano nei tempi liberi della produzione principale, per esempio quando stavamo a
controllare la cottura che poteva durare anche due giorni. Perché il caldo
faceva venire sonno, e modellando il galletto io riuscivo a restare sveglio.</i>
<i>Dopo era mia moglie che quando aveva un
momento libero li dipingeva.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5bRzySOgtyZEk0Mj5vB95urhBKkVohlklPy3VL8-OK_Jw8dhXaNiSmRK4CBesaj4HTKF127hMYanDa7a7ZYoGeUHeIp2NUrYDVcvXwcrAA4VbMQAw2zS8OcaIJDmrJs0ZNZgdju7S6Znl/s1600/P1050486.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5bRzySOgtyZEk0Mj5vB95urhBKkVohlklPy3VL8-OK_Jw8dhXaNiSmRK4CBesaj4HTKF127hMYanDa7a7ZYoGeUHeIp2NUrYDVcvXwcrAA4VbMQAw2zS8OcaIJDmrJs0ZNZgdju7S6Znl/s1600/P1050486.JPG" height="320" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di Beniamino Vitacolonna<br />
(coll. Grosso)</td></tr>
</tbody></table>
Anche il maestro Amato Bontempo parla
dei fischietti come di una produzione secondaria: “<i>I
fischietti erano dei giocattoli che si facevano a tempo perso. Mio Nonno mi
raccontava che si facevano durante la notte. Allora si cuoceva con i forni a
legna, e bisognava fare fuoco tutta notte. E bisognava restare svegli, non è
che ci si poteva addormentare. Allora per ammazzare il tempo facevano questi
fischietti. Anche mio Padre ed io i fischietti li abbiamo sempre fatti il
sabato o la domenica, per divertimento.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Vi erano però delle eccezioni alla
regola secondo la quale i Maestri ceramisti dedicavano ai fischietti una parte
marginale del proprio tempo. Alcuni ceramisti finivano infatti per
specializzarsi nella produzione di questi ed altri giocattoli in terracotta. Ce
lo spiega Cerare Grosso: “<i>Alcuni
artigiani mostravano, comunque, una particolare passione per la realizzazione
di fischietti e di altri giocattoli in ceramica, come ad esempio Silvio
Vitacolonna. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Altre volte erano i ceramisti
meno dotati a dedicarsi prevalentemente ai fischietti ed agli altri
giocattolii. Questi personaggi avevano quindi l’ingegno di recuperare proprio
con queste cose: avevano alcune fiere durante l’anno dove poterli vendere, e
questo dava loro una discreta entrata.”</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: maroon;">Declino</span></b><span style="color: maroon;"> <b>e rinascita delle botteghe e dei fischietti
<o:p></o:p></b></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dagli anni ’50 si verificò in
tutta Italia una crisi della produzione ceramica. A Rapino il declino fu
particolarmente veloce, tanto che nel giro di pochi anni le botteghe
diminuirono in maniera drastica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>A Rapino come altrove, il settore della Ceramica è andato in crisi nel
secondo dopoguerra. Le ceramiche di uso quotidiano sono state sostituite dalla
produzione industriale, che faceva un prodotto migliore e anche a costo
inferiore. E gli artigiani nostri non sono stati in grado di fare il salto,
cioè di trasformare la loro produzione da oggetto d’uso in oggetto artistico.
Gli artigiani non erano pronti culturalmente a fare questo salto, né nessuno
degli amministratori di allora li ha aiutati. Quindi arrivò la crisi e la
chiusura delle botteghe.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>I Bozzelli hanno smesso dagli anni ’50 di fare ceramica a Rapino. I
Bontempo si sono trasferiti, e dagli anni ’60 hanno una manifattura di ceramica
a Francavilla. Anche dei Vitacolonna non è rimasto nessuno</i>.” <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Dopo che a Rapino tutte le
botteghe di più antica tradizione avevano chiuso i battenti, alcune famiglie di
ceramisti riuscirono a continuare ancora a lungo la loro attività trasferendola
in altri paesi dell’Abruzzo. Si tratta di un fatto forse paradossale, ma che
contribuì in qualche modo a preservare la continuità della tradizione ceramica
rapinese. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I Bontempo spostarono a
Francavilla al Mare la loro bottega, condotta tutt’ora dal maestro Amato. Il
maestro Gabriele Vitacolonna ha invece portato avanti la sua attività a
Guardiagrele fino ad anni recenti, quando ha smesso per ragioni di età. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq2d65a0ZUZK7cT-KJ9CYA04JgCvopvqOAPuiYKWvYbGFZNxqa7vIOk3hZcmYfoOGE7gNxOa6CpRJ4PoFx8hWEhSFH_bbc6Mwoqo1zS-tyMKDO2zSeP3hbWBtdkjcGCvjrKwkPoWdkO1Rq/s1600/G.+Vitacolonna+1982+MdC.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq2d65a0ZUZK7cT-KJ9CYA04JgCvopvqOAPuiYKWvYbGFZNxqa7vIOk3hZcmYfoOGE7gNxOa6CpRJ4PoFx8hWEhSFH_bbc6Mwoqo1zS-tyMKDO2zSeP3hbWBtdkjcGCvjrKwkPoWdkO1Rq/s1600/G.+Vitacolonna+1982+MdC.jpg" height="320" width="216" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di Gabriele Vitacolonna <br />
(coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
Bontempo<i>: “Noi abbiamo continuato, ma ci siamo trasferiti. Mio Padre si trasferì
prima a Fara Filorum Petri, dove ha lavorato per 10-12 anni. E dal ’62 siamo a
Francavilla. C’erano più opportunità di lavoro che a Rapino, che nel dopoguerra
era un paese completamente distrutto.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente alla crisi delle
botteghe di ceramica si accompagnò il declino della produzione di
fischietti, che subivano la concorrenza
dei nuovi giocattoli in plastica. Entro la metà degli anni ’70 non era rimasto più
nessuno a Rapino a modellare i tradizionali galletti col fischio. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>La tradizione del fischietto è scomparsa quando è scomparso l’ultimo
ceramista che li faceva, Silvio Vitacolonna.<span style="color: red;"> </span>Come
ho detto, lui si era molto dedicato a fare fischietti e altri giocattoli.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nei decenni successivi la ceramica
popolare ricominciò però ad acquistare interesse, per lo meno per una cerchia
di appassionati. Anche rispetto ai fischietti in terracotta, negli anni ’90 si
era ormai affermato in tutta Italia un movimento di rivalutazione, con la
pubblicazione di monografie, la realizzazione di rassegne e lo sviluppo di un
collezionismo specializzato. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Appassionati e ricercatori non
tardarono a focalizzare la loro attenzione anche su Rapino, finendo per stimolare
una ripresa della produzione. La rinascita dei fischietti rapinesi ha persino
una data precisa, quella dell’8 maggio 1994: è questo il giorno in cui fu
organizzato il convegno durante il quale Vito Giovannelli presentò la sua
monografia sui galletti di Rapino.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn11" name="_ftnref11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[11]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>Nel 1994 nessuno faceva più fischietti. Erano rimasti solo un ricordo.
Poi la presentazione del libro di Giovannelli ha risvegliato l’interesse.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Durante la presentazione del libro, realizzò alcuni fischietti Giuseppe
D’Amore. A Rapino era l’ultimo artigiano ancora in vita ad aver fatto
fischietti da giovane. Eppure nel libro non era stato nemmeno citato perché
nessuno aveva segnalato questo artigiano a Giovannelli.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un ceramista che ha contribuito
molto a rilanciare la produzione di fischietti è stato Gabriele Vitacolonna. In
tarda età questo Maestro si è dedicato molto ai fischietti, conquistando un
pubblico di appassionati e collezionisti. Pur prendendo le mosse dai soggetti
tipici dei fischietti di Rapino – quelli appresi dal Padre – ne ha ampliato la
gamma, realizzando un bestiario fantastico di ceramiche fischianti. Caratteristica
dei fischietti di Gabriele Vitacolonna è la grande attenzione posta alla
decorazione, sempre vivace e brillante e che utilizza raffinati accostamenti di
colori.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn12" name="_ftnref12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[12]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJNhuVn6HIl8VcKcqovoAgMhFA0iJrHYhmu6vR6DiMxzNCyUDn94ZXwzB4gsISN4EdIlBwf3a24j-JpDnI1l7U9McQuQCRGlDh9ZvFi3anFkKvddWEadf8KfC6BFdGb9kTdbmS0U6ez8dZ/s1600/amato+buontempo+1985ca.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJNhuVn6HIl8VcKcqovoAgMhFA0iJrHYhmu6vR6DiMxzNCyUDn94ZXwzB4gsISN4EdIlBwf3a24j-JpDnI1l7U9McQuQCRGlDh9ZvFi3anFkKvddWEadf8KfC6BFdGb9kTdbmS0U6ez8dZ/s1600/amato+buontempo+1985ca.jpg" height="295" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">stampo in gesso della bottega Bontempo (coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
Altro contributo importante è
stato quello di Amato Bontempo, che nel suo laboratorio di Francavilla continua
tutt’ora a realizzare i fischietti tipici di Rapino. Questo ceramista è stato
il primo a realizzare ceramiche fischianti di fattura più elaborata, come i
galli di grandi dimensioni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche le nuove generazioni di
ceramisti rapinesi hanno preso a realizzare fischietti, che ora sono nuovamente
presenti in varie botteghe di ceramica. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Atipico è poi il percorso di Cesare
Grosso, dipendente regionale con una grande passione per la ceramica. Solo in
età adulta si è interessato ai fischietti, ed ha cominciato a produrne a
livello amatoriale. Alcuni dei suoi pezzi riprendono le forme tipiche dei
fischietti rapinesi, mentre in altri casi realizza forme di sua invenzione. Nel
giro di pochi anni è diventato un produttore apprezzato non solo a livello
locale, entrando nelle principali collezioni e ricevendo riconoscimenti
importanti nell’ambito delle rassegne dedicate alla ceramica fischiante.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn13" name="_ftnref13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[13]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso:<i> “Il fischietto è un oggetto della mia infanzia, come ho già detto.
Poi, a distanza di 30 - 40 anni, quel convegno in cui parlava di ceramica
fischiante mi ha risvegliato la memoria. Mi sono detto: perché non rifarli? Io
non mi considero assolutamente portato questa arte, eppure i miei fischietti
hanno riscosso apprezzamenti per me lusinghieri.”</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: maroon;">Il lavoro nelle botteghe <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Non si potrebbe trovare un
testimone migliore di Amato Bontempo per farsi raccontare come si svolgeva il
ciclo di produzione della ceramica nelle botteghe di Rapino. Il Maestro può
essere infatti definito un ceramista a cavallo tra due epoche: sin da bambino –
negli anni ’30 e ’40 – ha svolto il suo apprendistato nella bottega di
famiglia, e in seguito ha frequentato l’Istituto d’Arte di Faenza. Per questo
oggi Amato Bontempo padroneggia le tecniche di produzione contemporanee ma
conosce a fondo quelle desuete tramandate nelle antiche botteghe di generazione
in generazione. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il suo racconto di come si faceva
ceramica a Rapino fino agli anni ’50 parte ovviamente dall’estrazione e
preparazione dell’argilla: “<i>Mi ricordo
che sia la preparazione dell’argilla che dello smalto erano lavori da schiavi. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per procurarsi l’argilla si ingaggiavano dei contadini e si andava a
zappare lungo il fiume Versola, dove ci sono delle zone argillose. Lì si
estraeva un’argilla che naturalmente era ricca di impurità. Per depurarla
bisognava riportarla allo stato liquido, quindi facevano asciugare la terra
arrivata dalla cava, la sminuzzavano con dei magli di legno, poi la mettevano a
bagno. A quel punto la setacciavano. Poi bisognava farla tornare solida, quindi
aggiungevano alla terra liquida uno strato di argilla secca preventivamente
setacciata e seccata, e impastavamo tutto con i piedi. Quando avevano fatto
questa montagna di terra la passavano in una impastatrice rudimentale. Era un
rullo come quelli per fare la pasta, girato a mano con la manovella.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La modellatura dei pezzi avveniva
a seconda dei casi al tornio o con l’ausilio di stampi: “<i>I pezzi si modellavano con i torni a pedale. Il torniante a casa mia lo
faceva principalmente mio zio, zio Lorenzo che si dedicava alla tornitura. E
poi c’erano operai che andavano e venivano. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per i piatti invece si adoperavano gli stampi di gesso. Si prende lo stampo di gesso, gli si mette la
lastra di argilla sopra, si poggia sul tornio, si abbassa la bascula, e una
sagoma di ferro dà la sagoma esterna al piatto. Poi per effetto
dell’assorbimento del gesso il piatto si asciuga, si estrae dallo stampo, si
rifinisce e si mette all’essiccamento.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per la prima e la seconda cottura
si utilizzavano ovviamente le grandi fornaci alimentate a legna, che erano costruite
dagli stessi ceramisti. La parte più alta della fornace – denominata
fornaciotto – veniva utilizzata per accelerare l’essiccazione dei pezzi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjT6dDhxHo5WCOaE9k9s1kykRXnDJcOBwKmrTEwRRDKrGIu3FL_UWICQE_gqwTMEZNfEWi5SUSPxAL1BGIohMzuIll03_06OuI8HLXotKkhgE_bFhh71DtB9LQwiP3Fsxhmi0W0cgWDG2Vf/s1600/amato+bontempo+1990+ca+MdC.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjT6dDhxHo5WCOaE9k9s1kykRXnDJcOBwKmrTEwRRDKrGIu3FL_UWICQE_gqwTMEZNfEWi5SUSPxAL1BGIohMzuIll03_06OuI8HLXotKkhgE_bFhh71DtB9LQwiP3Fsxhmi0W0cgWDG2Vf/s1600/amato+bontempo+1990+ca+MdC.jpg" height="320" width="218" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di Amato Bontempo<br />
(coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
Bontempo: <i>“Fino al 1935-36, poco prima della guerra, si andava sempre con i forni
a legna. Io me li ricordo da bambino: erano dei forni immensi! Per San Rocco ci
andavano 1.000-1.500 boccali in una volta sola. E quando andava qualcosa storto
con un forno di quelli erano guai seri! Poi pian piano si sono introdotti forni
elettrici.</i><span style="background: black; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> </span><i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Secondo me i ceramisti che costruivano questi forni non erano
artigiani, erano ingegneri! Non era una cosa semplice, bisognava fare in modo
che i tiraggi funzionassero.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La fornace a legna era costituita dalla zona in cui si faceva fuoco, quella
di cottura, e in più la parte alta con il fornaciotto, dove passavano i fumi e si
metteva la roba ad essiccare.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quindi nella prima camera sotterranea si faceva fuoco, poi al piano
terra c’era il reparto cottura, dove si metteva a cuocere il carico, e in fine la
parte alta dove passavano i fumi attraverso la merce umida che così asciugava.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso:<i> “I fischietti servivano anche per riempire i forni. Perché il forno a
legna per rendere bene doveva essere pieno in ogni sua parte. Quindi questi
fischietti si mettevano anche negli spazi minimi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il procedimento di cottura
richiedeva una grande abilità. Per non rischiare di danneggiare il contenuto
della fornace bisognava sapere precisamente quando era il momento di far salire
la temperatura e con quale velocità. Il tutto ovviamente veniva fatto ricorrendo
unicamente all’esperienza e all’istinto dei Maestri, e senza l’ausilio di
rilevatori della temperatura.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo:<i> “La prima cottura che trasforma la creta in biscotto si fa intorno ai
980-1000 gradi. Sembra una cottura semplice, perché uno non si deve preoccupare
di non rovinare lo smalto. Però il ciclo di cottura deve essere molto scrupoloso
perché ci sono delle fasi molto importanti. Per esempio sui 500 gradi bisogna
andare piano perché ci sta la trasformazione del quarzo, la cristallizzazione,
e allora i pezzi si possono spaccare. Gli artigiani di una volta sapevano che
bisognava fare così, ma non si rendevano bene conto del perché. Io invece ho
avuto la fortuna di frequentare l’istituto tecnico di Faenza dove ti spiegano
come avvengono certi processi.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Una volta estratto l’oggetto ci si dipinge sopra e si fa la seconda
cottura, in cui si arriva a una temperatura leggermente inferiore della prima.
Anche in questo caso il processo è molto delicato. Bisogna arrivare alla
temperatura di fusione giusta dello smalto e del colore. Si può sballare al
massimo di 10-20 gradi, perché altrimenti i colori si muovono tutti.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando al posto dei forni a legna si passò al forno elettrico, per limitare le spese i Bontempo lo
presero in comune con i Bozzelli. Un
giorno cuoceva uno, l’altro giorno cuoceva quell’altro. ” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per quanto riguarda la fase della
smaltatura, l’immediato dopoguerra segnò un arretramento nelle tecniche di
produzione. Per alcuni anni le fabbriche che rifornivano le botteghe non
ricominciarono la loro attività, e i ceramisti si videro costretti a produrre
gli smalti in proprio, ricorrendo a procedimenti ormai desueti. Il Maestro
Bontempo ricorda che questa rappresentava in quegli anni una delle fasi di
lavorazione più faticose: <i>“Quello che era
complicato assai era fare gli smalti. Mi ricordo che nel dopoguerra tutte le
fabbriche produttrici erano chiuse ed i trasporti funzionavano male. Quindi per
lavorare gli artigiani facevano il marzacotto. Non facevano altro che prendere
la sabbia e ci mettevano il piombo, il minio, in mezzo. Li mettevano in dei
contenitori di terracotta all’interno della camera di fuoco della fornace, in
modo da portarli alla temperatura di fusione. Una volta estratta questa massa
fusa dentro questi contenitori, con un martellino dovevano togliere tutto il
cotto che era il contenitore esterno, e spesso qualcuno ci lasciava il dito.
Una volta pulita, si sminuzzava la massa e poi bisognava macinarla per
riportarla allo stato liquido e potere smaltare. E ci si aggiungeva un 5-6% di
ossido di stagno che gli dava l’opacizzazione, perché altrimenti sarebbe
vernice trasparente. Questo ossido di stagno subito dopo la guerra si faceva
con le grondaie di stagno. Si ossidavano al fuoco in una specie di fornaciotto
per ricavare lo stagno.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il fiume rappresentava un
elemento indispensabile per il ciclo di produzione ceramica. Se le sue sponde
fornivano l’argilla, le sue acque venivano utilizzate per alimentare i mulini
che dovevano macinare gli smalti. Questo sistema fu utilizzato tra ‘800 e primo
‘900, ma tornò in uso dopo la seconda guerra mondiale, dato che a Rapino la
linea della elettrica tardava a essere ripristinata.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo:<i> “Per 2 anni buoni la corrente non è tornata a Rapino, quindi per
macinare questo smalto si utilizzavano i mulini ad acqua. Erano costituiti da
delle botti di legno con un macinino di pietra e delle pale sotto che giravano per la
pressione dell’acqua. Lo smalto veniva lasciato a macinare 3 o 4 giorni, e
quando era pronto si rimetteva nei recipienti ed a spalla lo si portava di
sopra nel laboratorio. Tutto questo fino al ‘49-50, quando si sono riattivate i
trasporti e le fabbriche che facevano gli smalti. Da allora è stato tutto un
po’ più semplice,</i> <i>ma quei 3-4 anni mi
ricordo che ricominciare a lavorare la ceramica fu un lavoro proprio duro.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVieKFcPpxb8U5yPzUY6zJxfnC2ivx5z6hZ2x8zBNmjWU9EKPCOdE9jBw_kh5q8r0a0l-Wt3p-YVJbshynMov9iDZVj49l3n2JM_c6-SPqx182kxEkVtPfZqBhpCHo2iU6XDh67c2JioVX/s1600/grosso+albero.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVieKFcPpxb8U5yPzUY6zJxfnC2ivx5z6hZ2x8zBNmjWU9EKPCOdE9jBw_kh5q8r0a0l-Wt3p-YVJbshynMov9iDZVj49l3n2JM_c6-SPqx182kxEkVtPfZqBhpCHo2iU6XDh67c2JioVX/s1600/grosso+albero.JPG" height="212" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto ad acqua di Cesare Grosso (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
Considerato quanto fosse faticoso
il procedimento, non c’è da meravigliarsi se lo smalto non venisse sprecato
neanche quando il prodotto finale risultava imperfetto. Un possibile utilizzo di
questi smalti difettosi era la decorazione di fischietti, campanelle e
vasellame dozzinale. Lo nota Giovannelli, che nella sua collezione ha alcuni
galli ottocentesci coperti di smalto opaco attribuibili a Giuseppe Bontempo,
nonno di Amato.<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftn14" name="_ftnref14" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[14]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Cesare Grosso ci ricorda invece
come gli smalti prodotti nelle diverse botteghe avessero delle piccole
differenze, riconoscibili da occhio esperto. I ceramisti custodivano
gelosamente la propria ricetta per la composizione dei diversi colori, e la
trasmettevano solo ai propri figli. Si tratta ovviamente di sfumature che
andarono a scomparire con l’avvento degli smalti prodotti a livello industriale:
“<i>Ogni artigiano aveva la sua
particolarità nel creare gli smalti. Facevano delle misture con l’aggiunta di
qualche ingrediente segreto. Questo dava soprattutto ai rossi e ai verdi un
timbro particolare, e li rendeva riconoscibili.”</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: maroon;">La produzione odierna <o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oggi a Rapino la ceramica non è
più un settore trainante dell’economia. Eppure qualche segnale di ripresa c’è
stato rispetto alla crisi che tra gli anni ’50 e 60 portò alla chiusura di
praticamente tutte le botteghe. Passeggiando per il paese è possibile notare
varie botteghe in attività, anche se le nuove generazioni di ceramisti fanno
venire da fuori i pezzi semilavorati e si dedicano esclusivamente alla
decorazione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Grosso: “<i>Ora pian piano la ceramica di Rapino si sta riprendendo. Anche se non ci
sono più i ceramisti propriamente detti. Si tratta prevalentemente di
decoratrici, la maggior parte donne. Acquistano gli oggetti già fatti da
Deruta, da Castelli, o da dove capita, e lo decorano alla maniera di Rapino. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Questo è un motivo di confusione, perché ad esempio io, che colleziono
ceramiche, riconosco la ceramica rapinose antica più dalla forma che dalla
decorazione, perché la forma è molto tipica e identifica una bottega. Mentre
oggi è tutto omologato.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per spiegare questa cosa sono solito dire con una punta di ironia che
l’unico ceramista di Rapino sono io, perché io parto dall’argilla e arrivo al
risultato finale.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ed in effetti, pur non essendo un
ceramista di formazione, Cesare Grosso rappresenta oggi il punto di riferimento
principale a Rapino - per lo meno per quanto riguarda i fischietti. Continua a
realizzare con passione i suoi pezzi, ma anche a fornire informazioni preziose
agli appassionati ed a partecipare a rassegne e manifestazioni dedicate alla
ceramica fischiante: “<i>Per me appartenere
a questo mondo dei fischietti è una soddisfazione enorme. Grazie ad un
oggettino così piccolo sono entrato in collegamento con collezionisti e artisti
di fama internazionale. Quindi il fischietto mi ha dato l’occasione di condividere
questa passione con tantissima gente. In molti casi ne sono nate amicizie
solide e durature, ad esempio in Puglia, in Umbria, in Toscana. Grazie al
fischietto ho conosciuto un grande artista come Federico Bonaldi. C un gruppo
di intenditori di ceramiche sonore abbiamo dato vita a una associazione che si
chiama Anemos e che ha tra i suoi obiettivi la rivalutazione della ceramica
fischiante.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per quanto riguarda le famiglie
di antica tradizione ceramica, come abbiamo detto, sono già alcuni decenni che
queste hanno continuato ad operare solo al di fuori del paese d’origine. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Data la recente chiusura della
bottega di Gabriele Vitacolonna a Guardiagrele, e la scomparsa del fratello
Antonino - che ha operato per tantissimi anni a L’Aquila - è Amato Bontempo l’ultimo esponente delle
dinastie ceramisti rapinesi ancora in attività. Nella sua bottega di
Francavilla al Mare è possibile trovare delle splendide ceramiche decorate con il
tipico motivo del fioraccio.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bontempo: <i>“Nel 1955, dopo essermi diplomato alla scuola d’arte a Faenza, trovai
lavoro in una fabbrica di porcellana a Varese. Ma ero figlio unico, e mio Padre
mi pregò di seguirlo a Francavilla. Sono passati 50 anni e siamo ancora qui,
ringraziando Iddio.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ancora oggi i pezzi li facciamo intermente noi, partendo dall’argilla. Anche
se sarebbe più conveniente comprare i pezzi grezzi. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per i pezzi che si fanno al tornio chiamiamo occasionalmente un
torniante, mentre per altre cose, come i piatti, utilizziamo stampi nostri. C’è
gente che viene 40 anni dopo aver preso il servizio e trova ancora la stessa
forma. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>C’è un ragazzo che si dedica esclusivamente agli stampi e poi siamo in <st1:metricconverter productid="3 a" w:st="on">3 a</st1:metricconverter> dipingere, io e altre 2
ragazze. Il nostro cavallo di battaglia è il fioraccio. Si fa pure a Castelli,
però il nostro è molto più fresco, perché è fatto di getto, con un’unica
pennellata<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Sono l’unico della famiglia rimasto a fare questo lavoro… fino a quando
non lo so.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm-8ozCFGt3YIFbqMVXL53UoE6lFuRFC8lx7VAiewE8Xf4a6PY7BJQbs9m13-C6LtFxEKXSnoQWKpmEr8JW_INM3jyOiKu9yMYr1PaQAuNP8oCLTTwX381nY2EaOA3JIejvbtiGmsth5O_/s1600/P1020869.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjm-8ozCFGt3YIFbqMVXL53UoE6lFuRFC8lx7VAiewE8Xf4a6PY7BJQbs9m13-C6LtFxEKXSnoQWKpmEr8JW_INM3jyOiKu9yMYr1PaQAuNP8oCLTTwX381nY2EaOA3JIejvbtiGmsth5O_/s1600/P1020869.JPG" height="240" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="text-align: justify;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;">
<span style="text-align: justify;"> </span><span style="color: maroon; text-align: justify;">I testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com
- riproduzione vietata</span></div>
</div>
<div align="center" class="MsoNormal">
</div>
<div>
<!--[if !supportFootnotes]--><br clear="all" />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<!--[endif]-->
<br />
<div id="ftn1">
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10.0pt;"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-bidi-language: AR-SA; mso-fareast-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-language: IT;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></span></a>
<span style="font-size: x-small;"><span style="background: white;">Fabio Cappelletti, discendente
dei famosi maiolicari di Castelli, si trasferisce a Rapino nella prima metà del
XIX secolo, e sempre in quei decenni </span>Raffaele
Bozzelli darà origine alla prima bottega di ceramiche rapinesi. La presenza
della ceramica si consolida tuttavia nei decenni successivi. Si vedano ad esempio
Vincenzo Franceschilli ed al., <st1:personname productid="La Ceramica" w:st="on">La
Ceramica</st1:personname> di Rapino e i Bontempo, Edizioni Ferentum, 1994 e
Diego Troiano e Van Verrocchio, “Le più antiche ceramiche di Rapino” in <a href="http://scoprirete.bibliotecheromagna.it/SebinaOpac/.do?idDoc=0939046" title=""><span style="color: windowtext; text-decoration: none; text-underline: none;">Azulejos - rivista di studi ceramici</span></a>, n° 2 2005.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn2">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> La
storia di questa famiglia di ceramisti è stata ampiamente documentata da V.
Franceschilli, Op. Cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn3">
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> <span style="background: white;">Tra i santi col fischio legati alle
diverse fiere patronali vi erano San Giustino a Chieti, San Cetteo a Pescara,
San Rocco a Roccamontepiano, Santa Lucia a Cepagatti, San Nicola a Pollutri,
San Cesidio a Trasacco, Santa Reparata ad Atri, Santi Medici a Roccascalenga,
Santi Martiri a Celano. Fischietti con le sembianze di </span>m<span style="background: white;">adonne e santi erano posti
a protezione di stalle, botteghe, fattorie e abitazioni. Lo attesta </span>Vito
Giovannelli, “Il fischietto tradizionale abruzzese. Particolarità e raffronti”,
in Salvatore Cardello (cur.), Sibilus I, Azienda Autonoma di Soggiorno e
Turismo di Caltagirone, 1993.<span style="background: white;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><span style="background: white;">Rispetto alle altre regioni </span><span style="background: white;">italiane, i </span> fischietti
devozionali sono presenti ovviamente a Caltagirone – in Sicilia – ma anche in
Puglia e nelle Marche.</span></div>
</div>
<div id="ftn4">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> Fanno
eccezione i fischietti di Anversa, che secondo la testimonianza di Giuseppe
Vecchierelli – da noi raccolta - erano solitamente lasciati grezzi, o al
massimo bagnati nella calce per eliminare le macchie di fuliggine. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn5">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a> Federica Papi e Maria
Concetta Nicolai, “Abruzzo”, in Paola Piangerelli (cur.), La terra, il fuoco,
l’aria, il soffio – la collezione di fischietti di terracotta del Museo
nazionale di Arti e Tradizioni popolari, Edizioni De Luca 1995.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn6">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[6]</span></span><!--[endif]--></span></a> V. Giovannelli
in I galletti con il fischio delle botteghe di Rapino, Amministrazione Comunale
di Rapino, 1994 nota come qualche Maestro più raffinato come Giuseppe Bontempo,
invece di aggiungere il modulo sonoro come un’appendice del fischietto lo
ricavava dalla cavità della statuetta.<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn7">
<div class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> Come
vedremo, la pubblicazione stessa e il suo convegno di presentazione hanno dato
il via ad una operazione di rilancio dei fischietti rapinesi. <o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn8">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[8]</span></span><!--[endif]--></span></a> E’ V. Giovannelli (1994)
che da una parte cita Fanelli e Cirotti e dall’altra ricostruisce la produzione
di fischietti dei vari maestri ceramisti.
<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn9">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref9" name="_ftn9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[9]</span></span><!--[endif]--></span></a> F. Papi e M. C. Nicolai,
op. cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn10">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref10" name="_ftn10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[10]</span></span><!--[endif]--></span></a> Anche questa testimonianza
è dei primi anni ’90, e tratta da F. Papi e M. C. Nicolai, op. cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn11">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref11" name="_ftn11" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[11]</span></span><!--[endif]--></span></a> Vito Giovannelli, 1994.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn12">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref12" name="_ftn12" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[12]</span></span><!--[endif]--></span></a> F. Papi e M. C. Nicolai,
op. cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn13">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref13" name="_ftn13" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[13]</span></span><!--[endif]--></span></a> Nel <st1:metricconverter productid="2012 ha" w:st="on">2012 ha</st1:metricconverter> ad esempio
conseguito il terzo premio e il premio per il fischietto ad acqua nell’ambito
della II Biennale Internazionale del Fischietto “Città di Matera”<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
<div id="ftn14">
<div class="MsoFootnoteText">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: x-small;"><a href="file:///C:/Users/massimiliano/Documents/fischietti/ricerca/Regioni/abruzzo/rapino/pezzo%20Rapino.doc#_ftnref14" name="_ftn14" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-family: "Times New Roman","serif";">[14]</span></span><!--[endif]--></span></a> V. Giovannelli, op. cit.<o:p></o:p></span></div>
</div>
</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div style="text-align: justify;">
<b><span style="color: #1f497d;"><br /></span></b></div>
</div>
<div align="center" class="MsoNormal">
<b><span style="color: #1f497d;"><br /></span></b></div>
</div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-77927124962450579222013-08-09T20:00:00.000+02:002013-08-09T15:29:32.273+02:00Ciao Nonno Idelmo, Vecio delle Ocarine<!--[if gte mso 9]><xml>
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<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSCX9g1WasMUpo3B6uJ2qciSX8QrV2ixZpVHDW5qUSS46-HHKW7NNZRgrWc84DQytI_mBvWM7PG6g6k427R1c_eiREHsj8Dno7h1ekYbKvPt192oHUBfyrzusligBVtql3FNShHaDnlu4S/s1600/idelmo.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSCX9g1WasMUpo3B6uJ2qciSX8QrV2ixZpVHDW5qUSS46-HHKW7NNZRgrWc84DQytI_mBvWM7PG6g6k427R1c_eiREHsj8Dno7h1ekYbKvPt192oHUBfyrzusligBVtql3FNShHaDnlu4S/s320/idelmo.JPG" width="254" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Se n’è andato Idelmo Fecchio, un grande Maestro della
ceramica fischiante e un signore di grande dolcezza e umanità.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Lo ricordiamo con sincero affetto e abbracciamo idealmente la
sua Famiglia.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Fortunatamente, la grande tradizione delle ocarine e dei
fischietti del Delta del Po’ non sparisce con Idelmo: da tempo le sue orme sono
seguite con grande sensibilità dal figlio Benvenuto e dalla Nuora Giuseppina.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Riproponiamo gli articoli su Idelmo che avevamo pubblicato
su questo blog per dare modo agli amici di ricordarlo ed a quelli che non hanno
avuto la fortuna di conoscerlo di sapere qualcosa in più su questo grande
personaggio. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
http://geniuslocimatera.blogspot.it/2012/03/idelmo-fecchio-el-vecio-delle-ocarine.html</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
http://geniuslocimatera.blogspot.it/2010/03/i-100-anni-di-idelmo-fecchio-cronaca-di.html</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-36394679500779264302013-03-31T21:33:00.000+02:002013-03-31T21:33:12.521+02:00Paola D’Orazio e Roberto Tersigni: sulle orme degli artigiani ciociari <br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="color: red;">Memorie e Suoni di Terra <o:p></o:p></span></div>
<span style="font-size: 12pt;"><div style="color: red; text-align: center;">
<span style="font-size: 12pt;">conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche
sonore</span></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="color: red; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1ppcYDkfDE-p8f5pR0AR9xygJtVdtBbKSDnW1eeUCtGwGo19JvaPZOb4ZYU8da3ioEjzHi9VlFK-GCevIMdVkE9ao5wITtMTOOxWDywk2jaXYQyuGAAWl-u23VG1lJyQrOOkZzv7Pe2Z2/s1600/cavalluccio.JPG" imageanchor="1" style="font-size: 13px; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1ppcYDkfDE-p8f5pR0AR9xygJtVdtBbKSDnW1eeUCtGwGo19JvaPZOb4ZYU8da3ioEjzHi9VlFK-GCevIMdVkE9ao5wITtMTOOxWDywk2jaXYQyuGAAWl-u23VG1lJyQrOOkZzv7Pe2Z2/s320/cavalluccio.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Cavalluccio di Ferentino (P. D'Orazio e R. Tersigni)</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
<i style="text-align: justify;">“Il fischietto popolare deve stare in piazza, non chiuso dentro un
museo!”</i><span style="text-align: justify;"> Ecco come può essere riassunto in poche parole un impegno ormai trentennale:
quello di Paola D’Orazio e di suo marito Roberto Tersigni, che insieme hanno
fondato l’associazione culturale J’Api - Arti e tradizioni popolari della Ciociaria.</span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn1" name="_ftnref1" style="text-align: justify;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[1]</span></span></span></a></div>
</span><div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[endif]--></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sono infatti ormai 3 decadi che questi
due ceramisti di Sora hanno riscoperto i fischietti e gli altri oggetti della
tradizione figula ciociara e li hanno riproposti ad un pubblico vasto. La
particolarità ed il valore dell’operazione culturale da loro portata avanti sta
proprio in questo: Paola e Roberto non si sono rivolti alla piccola cerchia
degli appassionati e dei collezionisti di ceramiche popolari. Al contrario,
sono riusciti a coinvolgere e interessare moltissime persone comuni a questo
lavoro di riscoperta della tradizione. Ci sono riusciti riportando la ceramica
popolare nelle fiere di paese. Ed a pensarci bene si è trattato di una idea di
una semplicità disarmante: fino al recente passato ed alla crisi
dell’artigianato, queste fiere avevano rappresentato per secoli i principali luoghi
deputati allo smercio delle terrecotte. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ma facciamo un passo indietro: <st1:personname productid="la Ciociaria" w:st="on">la Ciociaria</st1:personname> è stata storicamente
un territorio ricco di centri di produzione di ceramiche di uso popolare, come
Arpino, Broccostella, Ceprano, Ceccano, Ferentino, Pontecorvo, Veroli. Poi - a
partire dal secondo dopoguerra - vi è stato un veloce declino delle botteghe
artigiane, che già a fine anni ’80 erano completamente scomparse.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
All’inizio di quel decennio,
Paola e Roberto erano due giovani affascinati dalla ceramica popolare. Si
rendevano conto che questa tradizione produttiva andava rapidamente scomparendo
dal loro territorio, e prima che fosse troppo tardi decisero di intraprendere una
ricerca: visitarono i luoghi di produzione e di smercio, individuarono gli
ultimi artigiani, e iniziarono a frequentarne le botteghe. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per ripercorrere la storia dei
fischietti e delle terrecotte ciociare ci siamo quindi affidati a questa coppia.
In mancanza di testimonianze dirette da parte degli artigiani tradizionali -
gli ultimi di loro sono scomparsi già da molti anni – si tratta senz’altro dei principali
depositari della tradizione figula del Sud del Lazio.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>La ricerca che abbiamo fatto è stata molto, molto interessante. Ormai
sono 30 anni che giriamo. Non ci siamo limitati a ricercare gli oggetti, ma ci
siamo chiesti perché erano fatti in un certo modo, siamo andati a cercare le
motivazioni. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Siamo arrivati appena in tempo! Abbiamo trovato ancora qualcuno che
stava ancora lì lì per chiudere l’attività. Poi questi personaggi sono morti ed
è finito tutto li!” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Broccostella e Arpino sono stati gli ultimi centri a cessare la
produzione di terracotta popolare. E allora noi ci siamo concentrati su questi
centri, abbiamo conosciuto gli artigiani e abbiamo riscoperto la loro produzione</i>.”
</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>Poi abbiamo fatto il giro delle fiere, e anche da queste abbiamo colto
un pochino quella che è la tradizione nostra</i>.”</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Alla scoperta delle ultime botteghe<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Durante la loro ricerca Paola e
Roberto hanno avuto l’opportunità di visitare sia le botteghe dei pignatari -
che producevano con il tornio tegami e altri utensili di uso domestico - sia
quelle dei figurinai - che realizzavano figure a stampo come statuine
devozionali e presepi. Conoscere e veder lavorare gli ultimi artigiani figuli della
Ciociaria ha rappresentato per loro un’esperienza fondamentale che ne ha
rafforzato l’amore per la ceramica popolare. Frequentare le loro botteghe li ha
motivati a raccogliere le memorie e le tradizioni di cui questi artigiani erano
custodi e tramandarle ad altri. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si trattava di botteghe mai
toccate da un processo di modernizzazione produttiva, e che utilizzavano strumenti e tecniche di lavoro particolarmente
tradizionali: la creta veniva cavata a mano e depurata battendola con mazze di
legno e setacciata grazie a lastre di stagno bucate. I pezzi venivano poi lavorati
con il tornio a pedale oppure con stampi di gesso. La cottura avveniva ancora in
grandi fornaci alimentate a legna, e per la decorazione venivano utilizzati
esclusivamente smalti e pennelli autoprodotti dagli stesi artigiani.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>La pubblicazione Ceramica Popolare del Lazio<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[2]</span></b></span><!--[endif]--></span></a> è stata fondamentale
per il nostro lavoro. Ci abbiamo trovato moltissimi spunti per le nostre
ricerche. Ad esempio abbiamo ricavato da lì indicazioni sui luoghi di
produzione e sulle genealogie dei pignatari.”</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>A Broccostella una volta c’era
una strada che si chiama via di Pignataro, dove lavoravano gli artigiani. Lì abbiamo
conosciuto Antonio Di Cresci, l’ultimo torniante. Usava ancora il tornio a pedale.
<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La moglie invece faceva questi fischietti modellati tutti a mano.
Riproducevano animali da cortile più che altro, come galline e pavoni. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ad Arpino c’era Emilio Mastroianni, l’ultimo della dinastia di artigiani
figurinai di questa famiglia. Faceva oggetti piccoli come i fischietti, le
statuine del presepe, e il Peppino che piscia.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Abbiamo conosciuto un po’ anche
Rocco Abbatangeli di Ceprano. Lui non faceva fischietti, però, solo le
pignatte. Al tornio era velocissimo. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>A Cascano<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[3]</span></b></span><!--[endif]--></span></a>
c’era Biagio Di Cresci, che ha lo stesso cognome di quello di Broccostella.
Siamo andati a trovarlo che era già vecchio. Prendemmo da lui una serie di
cocci.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>L’ultima è stata Maria. Era una signora di Broccostella che ci ha
aiutato molto a capire quali erano le tradizioni locali. Questa Maria venne
proprio nel nostro laboratorio, e ci fece vedere come faceva i fischietti. Con
quelle mani era incredibile! <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Faceva soprattutto il fischietto del cavaliere con il cavallo a tre
zampe, ed anche un uccello con una coda lunga lunga, che lei chiamava pavone.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Spesso lavorava con la terra più grezza, proprio quella di Broccostella”
<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Ora sono tutti scomparsi, non ci sta più nessuno né a Ceprano, né a
Arpino, nè a Broccostella. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>In generale ne è rimasto pochissimo di artigianato in queste zone. C’è
giusto qualche anziano che fa i canestri o le ciocie.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;">I fischietti fatti a mano di Broccostella e
Ferentino<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
I fischietti in terracotta sono
senz’altro tra i prodotti della tradizione ceramica ciociara che hanno
suscitato maggiormente l’interesse di Paola e Roberto. Ed anche nelle fiere da
loro frequentate sono tra gli oggetti sui quali si concentra l’attenzione del
pubblico. </div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYwb7jfU4Sg84o7T249gu9kiP1yCl1gPUYecUXFFwDnqFp6WhSsK_Zbq2ux9-vEgGzTro1qABaKyiJDvH-lH_QdQ1vSdscXW7EJZLvb1sd0KOCTcT3I5UkvX3N7wHPKqvzNzjtS5kTFKyC/s1600/tersigni+ciufolitt.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; font-size: 13px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYwb7jfU4Sg84o7T249gu9kiP1yCl1gPUYecUXFFwDnqFp6WhSsK_Zbq2ux9-vEgGzTro1qABaKyiJDvH-lH_QdQ1vSdscXW7EJZLvb1sd0KOCTcT3I5UkvX3N7wHPKqvzNzjtS5kTFKyC/s320/tersigni+ciufolitt.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ciufolitt (R. Tersigni)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<!--[if gte vml 1]><v:shapetype
id="_x0000_t202" coordsize="21600,21600" o:spt="202" path="m,l,21600r21600,l21600,xe">
<v:stroke joinstyle="miter"/>
<v:path gradientshapeok="t" o:connecttype="rect"/>
</v:shapetype><v:shape id="_x0000_s1026" type="#_x0000_t202" style='position:absolute;
left:0;text-align:left;margin-left:-211.8pt;margin-top:139.25pt;width:126pt;
height:18pt;z-index:1'>
<v:textbox style='mso-next-textbox:#_x0000_s1026'/>
</v:shape><![endif]--><!--[if !vml]--><span style="height: 30px; left: 0px; margin-left: -283px; margin-top: 185px; mso-ignore: vglayout; position: absolute; width: 174px; z-index: 1;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0">
<tbody>
<tr>
<td bgcolor="white" height="30" style="background: white; border: .75pt solid black; vertical-align: top;" width="174"><!--[endif]--><!--[if !mso]--><span style="left: 0pt; mso-ignore: vglayout; position: absolute; z-index: 1;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0" style="width: 100%px;">
<tbody>
<tr>
<td><!--[endif]-->
<div class="shape" style="padding: 4.35pt 7.95pt 4.35pt 7.95pt;" v:shape="_x0000_s1026">
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-size: 8.0pt;">Ciufolitt (R. Tersigni)<o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
</div>
<!--[if !mso]--></td>
</tr>
</tbody></table>
</span><!--[endif]--><!--[if !mso & !vml]--> <!--[endif]--><!--[if !vml]--></td>
</tr>
</tbody></table>
</span><!--[endif]-->Probabilmente la cosa che conferisce a questi fischietti un
fascino ed un’espressività particolare è la loro primitività.<span class="MsoFootnoteReference"> </span>D'altronde è possibile individuare una
ragione storica precisa della semplicità di questi fischietti: come abbiamo
visto, in Ciociaria le botteghe che li producevano hanno cessato la loro
attività non più tardi dei primi anni ‘80. In altre aree di produzione le cose sono
andate diversamente: ad esempio in Puglia e Veneto era in corso proprio in
quegli anni una riscoperta dei fischietti e più in generale della ceramica
popolare. Si è trattato di un processo che ha valorizzato questi oggetti, ma al
tempo stesso ne ha incoraggiato una rielaborazione e un adattamento ai gusti del
pubblico moderno. In questo modo l’originaria semplicità dei fischietti è stata
alterata, ed alle forme autenticamente tradizionali ne sono subentrate altre progressivamente più complesse e raffinate. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella tradizione produttiva
ciociara sono presenti due diverse tipologie di fischietti: quelli modellati a mano nelle botteghe dei pignatari
e quelli realizzati a stampo dagli artigiani figurinai. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Alla prima tipologia appartiene
quello che probabilmente è il fischietto più conosciuto e riconoscibile della
tradizione ciociara: quello proveniente dall’area di Broccostella che
rappresenta il cavaliere a cavallo. L’animale è sempre rigorosamente modellato
con tre sole zampe: due anteriori e una sola posteriore.<span class="MsoFootnoteReference"> </span>Paola e Roberto hanno verificato come questo
fischietto venisse regalato alle spose di Broccostella, che lo conservavano
nella camera da letto. Per questa ragione si pensa che la gamba posteriore del
cavallo rappresentasse un simbolo fallico, e che il dono avesse per la coppia
di sposi un significato augurale di fertilità e felicità coniugale.<span style="background-color: black; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Paola: “<i>Secondo me il
cavallo a tre zampe è il personaggio più bello della nostra tradizione. Perché
ha una sua storia, una collocazione. Si sa quale origine e che significato ha.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Era un regalo che si faceva alle spose di Broccostella. Ci diceva Maria
che le spose lo mettevano sopra il comò della camera da letto. E ci raccontava
che più il cavallo era grande e più era forte il suo significato, quindi si
faceva quasi a gara a regalare alle spose questi cavalloni sempre più grandi.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Anche gli artigiani facevano a gara a chi lo faceva più alto e più
lungo, era una specie di virtuosismo. E per farli più belli mettevano sulla
base del cavallo degli animali: cagnolini, pecorelle, galline.”<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[4]</span></b></span><!--[endif]--></span></a> <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E’ interessante notare che in
occasione della fiera di Balsorano, gli artigiani di Broccostella ritoccavano
la figura del cavaliere per fargli assumere le sembianze di San Giorgio. Con
poche modifiche, questo soggetto decisamente profano assumeva quindi una
valenza religiosa e devozionale.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Per la fiera di Balsorano il cavalluccio a tre zampe di Broccostella
diventava San Giorgio e il drago. Era la festa dei fischietti, e quelli di
Broccostella andavano lì a vendere i loro oggetti.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>E’ sempre lo stesso personaggio, però lo facevano diventare San
Giorgio, perché a Balsorano si venerava questo santo patrono.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Viene da Ferentino un altro
fischietto tradizionale che riproduce le sembianze di un cavallo. In questo
caso il cavalluccio è privo di cavaliere, e le sue forme sono molto essenziali,
quasi stilizzate. In questo caso Paola e Roberto non hanno trovato alcun
artigiano in attività che ancora producesse i cavallucci, e si sono quindi
rifatti ai pezzi della collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni
Popolari .<span class="MsoFootnoteReference"> <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[5]</span></span><!--[endif]--></a></span> </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il fischietto più semplice di
tutti era però probabilmente il ciufolitt, le cui fattezze riproducevano
sommariamente le sembianze di un uccellino. Nonostante la sua semplicità, il fischietto
era dotato di un foro digitale che permetteva di ottenere un suono bitonale e
di una piccola appendice alla base, che faceva da impugnatura.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Il ciufolitt è invece il fischietto più piccolo. Si regalava ai
ragazzini, perché poi era il fischietto che costava di meno. Viene sempre da
Broccostella. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUJ4BWINgbJDCr1prwnogYG1305_OWFggqliltF-94b9QiqlUTKqDgjdMaI0WsmhX5L7geYMz9B3ldz7dmlTgsbDk2GgLS71OyYpUuYRkAMUZfTr46HUV0RgvdpbNAY4y-lMD1qYBfpy-t/s1600/ciufolitt.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; font-size: 16px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="251" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUJ4BWINgbJDCr1prwnogYG1305_OWFggqliltF-94b9QiqlUTKqDgjdMaI0WsmhX5L7geYMz9B3ldz7dmlTgsbDk2GgLS71OyYpUuYRkAMUZfTr46HUV0RgvdpbNAY4y-lMD1qYBfpy-t/s320/ciufolitt.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Ciufolitt (R. Tersigni) </td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Una volt</i><i>a, mentre stavamo facendo una fiera, un vecchio mi raccontò una
storia su questi ciufolitt. Era il 1946, e questo vecchio c’avrà avuto una
decina d’anni. Col nonno erano andati da Sora a San Donato dove c’era la fiera
di Santa Costanza. Erano andati a piedi, e considera che sono una ventina di km
di cammino. Una volta arrivati andarono alla messa e poi a vedere il mercato
con le cuccetelle,<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[6]</span></b></span></span></a>
i fischietti, le cannate, eccetera. E allora il nipote diceva: Tatò, accatteme
i ceufelitt! - Nonno, comprami i ciufolitt. E il Nonno gli rispose: “Tramentime
e ce ne jàme! – guardiamo solamente e poi ce ne andiamo!”.</i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ci sono testimonianze del fatto
che per lo meno a Broccostella fossero normalmente le donne della famiglia ad
occuparsi della produzione dei fischietti.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> Gli
uomini - gli unici in grado di effettuare la lavorazione al tornio - si
occupavano invece della modellatura di un fischietto noto con il nome di
cucurro e della brocca con il fischio.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[8]</span></span><!--[endif]--></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;">I fischietti a stampo di Veroli ed Arpino<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella Ciociaria vi erano anche
altri centri di produzione – come Veroli e Arpino - nei quali i fischietti
erano realizzati nelle botteghe dei figurinai. Abbiamo già accennato come questi
artigiani non erano soliti modellare i
singoli pezzi a mano, ma realizzavano un unico prototipo dal quale ricavavano
poi il calco in gesso. Questo permetteva loro di realizzare pezzi più
raffinati, dato che la riproduzione in serie permetteva una maggiore
accuratezza sia nelle forme che nella decorazione. </div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUuaa4GXfjsNXVh2BPoqsC_jRXMdQyokvlk3hWOIJE5UkOjqIF5maI8T8wiv9wEeClXjdsDuHEcc2ab13f1mXn_DcZpvX2IlSYbPWWoNeE6X_RXPFqKvD1MW-m3dN_t3urwC5Qy0H4gD6S/s1600/cavaliere+maria.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; font-size: 13px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUuaa4GXfjsNXVh2BPoqsC_jRXMdQyokvlk3hWOIJE5UkOjqIF5maI8T8wiv9wEeClXjdsDuHEcc2ab13f1mXn_DcZpvX2IlSYbPWWoNeE6X_RXPFqKvD1MW-m3dN_t3urwC5Qy0H4gD6S/s320/cavaliere+maria.JPG" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Cavaliere (Maria - Broccostella)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="background: white; text-align: justify;">
Ad Arpino erano
attive due famiglie di figurinai, i Mastroianni e i Palma. In questo centro la
produzione di fischietti è cessata da decenni, ma fortunatamente possiamo
rifarci alla collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari per
avere una idea della tipologia di pezzi realizzati dagli artigiani di Arpino nei
primi anni del ‘900. In questa collezione sono presenti in particolare alcuni
fischietti realizzati da Felice Mastroianni (1860-1937). In alcuni casi si
tratta di pezzi a tema religioso, come Gesù Bambino e San Cataldo. Vi sono poi
alcuni esemplari di un fischietto ad acqua, composto da un vasetto - modellato
al tornio - sormontato da un uccellino - ricavato da uno stampo.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La bottega dei Palma produceva
invece fischietti con le sembianze di paperelle, soldati, pesci.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn9" name="_ftnref9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[9]</span></span><!--[endif]--></span></a> <sup><o:p></o:p></sup></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ci sono in fine testimonianze
della realizzazione di fischietti a stampo anche a Veroli da parte
dell’artigiano Barno, detto Carniccio.<span class="MsoFootnoteReference"> <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftn10" name="_ftnref10" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[10]</span></span><!--[endif]--></a></span><span style="color: #ff9900;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Fischietti a parte, Paola e
Roberto hanno indagato sulla produzione di una serie di altri oggetti, come le
campanelle, le pipe di coccio, le brocche, e una figura satirica nota come il
“Peppino che piscia”.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Rispetto alle campanelle, il già
citato libro “Ceramica Popolare del Lazio” nota come questi oggetti avessero
nella tradizione ciociara una valenza diversa da quella magica-apotropaica a
loro attribuita in altre are geografiche. Le scritte rinvenute su molte
campanelle sembrano infatti indicare che queste fossero utilizzate come dono di
corteggiamento.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Paola: “<i>I campanelli
si regalavano alle ragazze. Era una specie di dichiarazione d’amore. E poi se
la ragazza accettava la corte regalava al ragazzo una pipa di quelle di
coccio.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Il Peppino che piscia invece è una statuetta che raffigura appunto un
bambino che fa pipì in un vasetto, ed è originario di Isola del Liri. Qualcuno
che incontriamo alle fiere ci dice che era un fischietto, ma io penso che si
confondano. Anche perchè lo faceva Emilio Mastroianni di Arpino, e lui non ha
mai fatto fischietti. Probabilmente stava solo sulle bancarelle in mezzo i
fischietti, e per questo qualcuno crede di ricordare che fischiava</i>.”</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Rubando il mestiere con gli occhi<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Abbiamo già detto come Paola e
Roberto non si siano accontentati di svolgere un lavoro di ricerca fine a se
stesso: si tratta di due bravi produttori di ceramiche che hanno dato nuova
vita agli oggetti della tradizione figula ciociara. In questo modo, dopo aver raccolto
il testimone dalle mani degli ultimi artigiani, hanno poi proseguito il loro
lavoro. Nel loro laboratorio di Sora si realizzano a tutt’oggi una serie di
oggetti della tradizione figula ciociara che altrimenti sarebbero solamente un
ricordo del passato. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Messe insieme tutte le notizie possibili abbiamo ricominciato la
produzione, perchè ormai praticamente era finito tutto.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Per imparare a fare questi oggetti abbiamo osservato gli artigiani che
lavoravano. Perché nessuno di loro ti insegna niente, sono gelosi! <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Abbiamo visto come facevano i fischietti a Broccostella, le campanelle
ad Arpino, e come Abbatangeli lavorava al tornio. E quindi abbiamo messo
insieme queste tecniche e le abbiamo messe in pratica. E poi, per molti degli
oggetti che abbiamo rifatto ci siamo ispirati a “Ceramiche Popolari del Lazio”.
Abbiamo preso da quel libro tante forme. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxbW0wl5E-L_GcgGI_UkhwPg8N63hd_oXPbDMZNefrl_1JhDMq6w88rtHJrglPe-7RyDZbPCJcEgSfpSbe4b8etuYd8vMNOPxeCwH4aNF7lhyphenhyphenzB7T-aVYwfH72G1i88J164GjArpgs3MUW/s1600/P1020571.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; font-size: 16px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxbW0wl5E-L_GcgGI_UkhwPg8N63hd_oXPbDMZNefrl_1JhDMq6w88rtHJrglPe-7RyDZbPCJcEgSfpSbe4b8etuYd8vMNOPxeCwH4aNF7lhyphenhyphenzB7T-aVYwfH72G1i88J164GjArpgs3MUW/s320/P1020571.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">pietre di manganese utilizzate per gli smalti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>Robert</i><i>o lavora anche al tornio, ad esempio fa le campanelle. Ed io mi
sono un po’ più specializzata sulla decorazione, oltre che sulla modellazione
di oggetti particolari. Io sono più perfezionista nel modellare, mentre lui ha
la mano più rapida. D’altronde per gli oggetti popolari dovrebbe essere così.”</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel riprodurre questi oggetti, i
due ceramisti-ricercatori pongono la massima attenzione al rispetto delle forme,
ma anche delle tecniche produttive degli artigiani tradizionali. Non è
infrequente per loro utilizzare materiali desueti come la terra grezza raccolta
in un campo e depurata a mano, o sgretolare le pietre di manganese per
ricavarne il caratteristico colore marrone, e persino adoperare l’ossido di piombo
per l’invetriatura dei pezzi.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>Abbiamo preso un po’ di creta proprio a Broccostella. E’ molto impura,
e prima di utilizzarla per fare questi oggetti si deve lavorare, pulire,
battere. Però è bellissima: rossa, ruvida. E’ la terra proprio delle pignatte. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ad esempio questi fischietti li ho rifatti uguali come li faceva Maria,
usando la creta rossa di Broccostella. La creta pirofila ci assomiglia, ma
questa è un'altra cosa.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>A Broccostella la decorazione era proprio una cosa primitiva: tutti
questi oggetti venivano lasciati grezzi, oppure si decoravano con appena e un
po’ di manganese e piombo. O magari si
ricoprivano solo con il piombo, per farli venire lucidi. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>E anche noi la decorazione la facciamo tutta con il manganese. Sono
queste pietre qui, che io sbriciolo e faccio diventare polvere. E poi la
mischio al piombo e la cuocio a 900 gradi. E’ un lavoro che si fa solo ogni
tanto, tanto ne serve talmente poco…”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>In alcuni dei nostri pezzi si vede proprio la scolatura del manganese,
che fa una serie di effetti strani. Perché ad alte temperature fonde e a volte
vengono fuori delle cose bellissime.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Oppure usiamo solo piombo. Certo, il piombo è tossico, quindi lo usiamo
su pochissimi oggetti, soltanto per i fischietti</i>.”</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Roberto: “<i>Anche i legnetti per fare i buchi al fischietto te li devi fare da
solo, non è che si comprano. E io ogni tanto me li faccio.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Sono di bosso, che poi è una siepe con quelle foglioline ovali. Il
bosso va bene perché è un legno compatto, abbastanza elastico, durissimo. Il
loro nome tradizionale è cautature.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>Cautature viene da cautare, che significa appunto scavare. Perché erano
gli arnesi per scavare l’argilla, no?”</i> </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Fare cultura in nelle piazze<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La partecipazione alle fiere
rappresentava per gli artigiani ciociari un’imprescindibile fonte di reddito, alla
quale ci si preparava con mesi di anticipo. Anche per la popolazione si trattava
di appuntamenti importanti da diversi punti di vista: come occasione di
socializzazione, per il loro significato religioso, e anche per aspetti pratici
come la possibilità di acquistare prodotti altrimenti difficili da reperire. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Bisogna sottolineare che il Sud
del Lazio vanta in questo campo una tradizione antichissima: le fiere di Sora,
Arpino, Pontecorvo sono documentate addirittura sin dal medioevo. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sulle bancarelle non mancavano utensili
e giocattoli in terracotta. In alcuni casi questi prodotti finivano anzi per
caratterizzare la fiera tanto da darle il nome: è il caso della “Fiera dei
coccetti” che si teneva a Ceccano i primi di agosto di ogni anno, o di quella “delle
Campanelle” che si teneva la prima domenica di settembre ad Arpino. </div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4RwLC_aZg0U-Z_PTZS71t0Q8tieoMFTMC-pex7vhnrBH_GaQSQL-66aOJCYD0hMhSeoWSy8QG9Ct4FR3Uvu_21xBtfTr1sx7EBvHaKBQoWH5LM48z49bA3w2ygQPLd66JqlUtEujuCQz5/s1600/P1020559.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; font-size: 16px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="219" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4RwLC_aZg0U-Z_PTZS71t0Q8tieoMFTMC-pex7vhnrBH_GaQSQL-66aOJCYD0hMhSeoWSy8QG9Ct4FR3Uvu_21xBtfTr1sx7EBvHaKBQoWH5LM48z49bA3w2ygQPLd66JqlUtEujuCQz5/s320/P1020559.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Le cautature per fare i fori ai fischietti</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In queste stesse fiere anticamente
frequentate da pignatari e figurinai Paola e Roberto sono tornati a proporre
gli oggetti della tradizione artigianale. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per loro le fiere non
rappresentano solamente una occasione di vendita, ma sono parte integrante del
lavoro di ricerca. Spesso capita soprattutto che gli anziani si avvicinino al loro
banchetto stimolati dalla presenza di un determinato oggetto che non vedevano
più da tempo. Ne scaturiscono discussioni che rappresentano una preziosa fonte
di informazioni.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Roberto: <i>“Facciamo
ogni anno la fiera del Crocificco di Isola Liri, quella del Perdono di
Balsorano che si tiene il 2 di agosto, quella di Santa Costanza a San Donato,
quella di Arpino. Queste sono le fiere più importanti.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>A Balsorano non c’era più la fiera dei fischietti ed a Arpino non c’era
più la fiera delle campanelle. E noi siamo tornati li per riportare i
fischietti e le campanelle, e la gente si ricordava di questi oggetti.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola<i>: “Proprio a partire da quello che la gente ci diceva durante le fiere
noi abbiamo fatto un passo indietro e ci siamo attrezzati a rifare gli oggetti
che ci chiedevano. Perché le persone ci dicevano: ah si, un tempo sulle
bancarelle si vendeva questo, si vendeva quell’altro. E noi abbiamo rifatto
tutti questi soggetti. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><br />
Quando la gente si ricorda è una grande emozione. L’esperienza più bella è
stata quando siamo tornati a Isola Liri la seconda domenica di luglio, quando
loro fanno la festa del Crocifisso. Era una fiera importantissima, e gli
artigiani portavano i cocci, le coccinelle, i fischietti, il Peppino che
piscia. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Noi siamo tornati lì invitati dal comitato dei festeggiamenti e ci
hanno detto: rifate il Peppino perché non lo troviamo più. Noi ne facemmo un
centinaio di esemplari, e ci sembravano
pure tanti. Dopo mezz’ora tutti gli abitanti del paese stavano davanti alla
nostra bancarella: erano impazziti! Le signore tutte a comprare le cuccetelle!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Insomma, la fiera si fa il sabato e la domenica, e il sabato alle 8 di
sera erano finiti tutti i Peppini.
Quella è stata una esperienza proprio bella, le persone volevano proprio
rivedere queste cose. Ora ci torniamo ogni anno, ed ogni anno è sempre un
successo.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’allestimento della bancarella dell’
Associazione J’Api è molto curato, e nulla è lasciato al caso. Numerosi
pannelli illustrati e volantini servono a fornire alcune nozioni di base sulle
terrecotte ciociare. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche i singoli prodotti in
vendita sono accompagnati da un breve testo che spiega in maniera sintetica
origine, significato, nome tradizionale dell’oggetto. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Volta per volta si pone una
particolare attenzione proprio alla storia di quella particolare fiera o degli
oggetti artigianali prodotti nell’area.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Al di là del riscontro ottenuto
in termini di vendite - di solito positivo - la partecipazione alle
fiere ha insomma un indubbio valore culturale e divulgativo rispetto alle tradizioni
locali. </div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgez7z2daB21PxFW6nZyzimLkAP22CjPW-OrwZYIPc7XzEUNgkil0XQeSl8f_34KogLUKCGZBdEO66bnJJySu2YC-oAW-tKRRaNP-5eYcK_s-tyNHGSFJj4vT8oYhXpkOm9lNqxKAZEcAyg/s1600/P1020591.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; font-size: 16px; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgez7z2daB21PxFW6nZyzimLkAP22CjPW-OrwZYIPc7XzEUNgkil0XQeSl8f_34KogLUKCGZBdEO66bnJJySu2YC-oAW-tKRRaNP-5eYcK_s-tyNHGSFJj4vT8oYhXpkOm9lNqxKAZEcAyg/s320/P1020591.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Uno dei pannelli didattici per le fiere</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b>Roberto</b>: <i>“Quando andiamo in
giro siamo – diciamo così - tirati a lucido. Facciamo sempre un allestimento di
10 – 12 cartelli. Uno spiega le fasi della lavorazione al tornio, uno il
funzionamento del forno, eccetera. Sono tutte cose che incuriosiscono, e la
gente si ferma. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>E ogni oggetto venduto è accompagnato da un libricino che ne racconta
l’origine e la storia. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Non ci interessa fare un prototipo di fischietto e tenerlo chiuso in
una bacheca, o fare una semplice rievocazione. Noi quando usciamo ci portiamo
appresso 1.000 fischietti e magari ne riportiamo indietro 500. Noi a questo
teniamo: a riproporre quell’oggetto, a vendere un grande numero di fischietti.
A parte che noi vendiamo a prezzi molto bassi, abbiamo fischietti da 2 o 3 euro.
E allora la gente se li compra. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ora c’è un'altra fiera che vogliamo fare, quella di San Giuseppe, che
si tiene a Marzo ad Atina. Si faceva
anticamente una fiera sempre di fischietti e di cuccetelle. E noi vorremmo
ritornare in questo paese e fare rivivere questa tradizione.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Dovremmo fare qualche cartellone, ritrovare qualche immagine di
com’era. Ritrovare e rifare qualche oggetto tipico del posto.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Il laboratorio di via Marsicana<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Non sarà la bottega di un artigiano tradizionale, ma
visitare il laboratorio dell’associazione J’Api a Sora, in via Marsicana, è una
esperienza molto interessante. Qui Paola e Roberto, oggi aiutati dalla figlia,
realizzano ancora le ceramiche tradizionali ciociare. Lo fanno nel tempo
libero, dato che di sole ceramiche popolari non si vive.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>Questo era proprio il nostro lavoro fino a una decina di anni fa, poi
abbiamo cominciato a fare anche altre cose. Io sono assistente sociale al
Comune di Sora, e Roberto insegna italiano e storia a scuola. Mia figlia
continua la produzione ma con grande difficoltà, non è facile. Si è dovuta
orientare sulle bomboniere e su un discorso più commerciale. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Adesso abbiamo meno tempo di una volta, ma non pensiamo di lasciare
perdere, è troppo interessante. E poi c’è soddisfazione, perché queste cose
hanno successo. E allora te ne rendi conto e vai avanti.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nel laboratorio è anche possibile
– magari insistendo un po’ – vedere alcuni oggetti storici, quelli che Paola e
Roberto hanno raccolto all’inizio della
loro ricerca e che oggi custodiscono gelosamente. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola: “<i>I pezzi antichi che ci sono rimasti sono sacri per noi: anche se ce li
chiedono non li diamo a nessuno. Di questa signora Maria abbiamo ad esempio una
cassetta di fischietti. Qualcosa addirittura la teniamo nascosta. Anche perché
più passa il tempo più queste cose sono impossibili da trovare. A dire la
verità a volte le cose che abbiamo nascosto non ci ricordiamo neanche più bene
dove si trovano… Insomma siamo diventati un po’ fissati</i>!” </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs0co5akEV34Q3PH76Io5msHU4SJHluddtqT3xtRoq6OF4MOeBIarimUCbUSM07C2xPF-YqerJAtCE0dme6cbysgXy5U8qKNfwjUjdO9Pou7rlnrI4J2jcseSwnCA6714bFwvc8_p4LoRl/s1600/P1020557.JPG" imageanchor="1" style="font-size: 16px; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs0co5akEV34Q3PH76Io5msHU4SJHluddtqT3xtRoq6OF4MOeBIarimUCbUSM07C2xPF-YqerJAtCE0dme6cbysgXy5U8qKNfwjUjdO9Pou7rlnrI4J2jcseSwnCA6714bFwvc8_p4LoRl/s320/P1020557.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La "preziosa" cassetta dei fischietti di Maria</td></tr>
</tbody></table>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<o:p> </o:p> </div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<!--[if gte vml 1]><v:shape
id="_x0000_s1027" type="#_x0000_t202" style='position:absolute;left:0;
text-align:left;margin-left:279pt;margin-top:517.85pt;width:189pt;height:18pt;
z-index:2'>
<v:textbox style='mso-next-textbox:#_x0000_s1027'/>
</v:shape><![endif]--><!--[if !vml]--><span style="height: 30px; left: 0px; margin-left: 371px; margin-top: 689px; mso-ignore: vglayout; position: absolute; width: 258px; z-index: 2;">
<table cellpadding="0" cellspacing="0">
<tbody>
<tr>
<td bgcolor="white" height="30" style="background: white; border: .75pt solid black; vertical-align: top;" width="258"><!--[endif]--><!--[if !mso]--><span style="left: 0pt; mso-ignore: vglayout; position: absolute; z-index: 2;"><br /></span><!--[endif]--><!--[if !vml]--></td>
</tr>
</tbody></table>
</span><!--[endif]--><i><span style="color: red;">I
testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata<o:p></o:p></span></i></div>
<div>
<!--[if !supportFootnotes]--><br clear="all" />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<!--[endif]-->
<div id="ftn1">
<div class="MsoNormal">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[1]</span></span><!--[endif]--></span></a> <span style="font-size: 10.0pt;">J’Api, Via Marsicana, 104, 03039 – Sora (Frosinone), tel. 0776 825561.
Alcune informazioni sintetiche sulla ricerca svolta sono visibili al sito
http://fischiettidellaciociaria.wordpress.com/about/<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn2">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> Elisabetta Silvestrini
(curatrice), Ceramica Popolare del Lazio, Museo Nazionale delle Arti e
Tradizioni popolari, Quasar 1982</div>
</div>
<div id="ftn3">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> Cascano si trova nella
Provincia di Caserta, ma nella produzione delle botteghe di questo paese è
rilevabile una notevole omogeneità produttiva con quella del basso Lazio. </div>
</div>
<div id="ftn4">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> Nell’articolo di Roberto
Biagi ed Anna Rita Pontremolesi “Fischietti del Lazio - contenuto in Salvatore
Cardello (curatore), SIBILUS 4, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di
Caltagirone, 2004 - si fa l’ipotesi che
oltre alla funzione ornamentale, il cane posto alla base del fischietto
simboleggi la fedeltà tra i coniugi, rafforzando così il significato
beneaugurale del fischietto.</div>
</div>
<div id="ftn5">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a> Esemplari di questi
fischietti sono presenti - oltre che nel già citato testo di E. Silvestrini -
anche in: Paola Piangerelli (curatrice) <st1:personname productid="La Terra" w:st="on">La Terra</st1:personname>, il Fuoco, L’Acqua, il Soffio – la
collezione dei fischietti di terracotta del Museo Nazionale delle Arti e
Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1994.</div>
</div>
<div id="ftn6">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[6]</span></span><!--[endif]--></span></a> Si tratta di miniature
delle stoviglie in terracotta. Venivano realizzate con le stesse tecniche delle
stoviglie vere e proprie e regalate come giocattoli alle bambine. </div>
</div>
<div id="ftn7">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> Oltre alla testimonianza
di Paola e Roberto – di cui abbiamo già detto - lo si afferma anche in P.
Piangerelli, op. cit.</div>
</div>
<div id="ftn8">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[8]</span></span><!--[endif]--></span></a> Le informazioni sono
tratte da E. Silvestrini, op. cit.</div>
</div>
<div id="ftn9">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref9" name="_ftn9" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[9]</span></span><!--[endif]--></span></a> Questi ultimi erano per la
verità realizzati a mano, a testimonianza del fatto che la dicotomia tra le
tecniche produttive non sia da intendersi in maniera rigida. Si veda E.
Silvestrini, op. cit.</div>
</div>
<div id="ftn10">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Lazio/Paola%20D'Orazio%20e%20Roberto%20Tersigni%20-%20Sora/pezzo%20fischietti%20ciociari.doc#_ftnref10" name="_ftn10" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[10]</span></span><!--[endif]--></span></a> E. Silvestrini, op. cit.</div>
</div>
</div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-32485099884280395992012-09-14T00:10:00.000+02:002012-09-14T00:10:42.305+02:00La III Edizione della Biennale del Fischietto di Matera -Vernissage<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgan0AVr2emOLDqycyvR4c5ACiLssPw5RA6WdTkvI_IqnuJXlNXIy_kqFXIr9MIi7rZxd0NPfyNZCSWMIIPK0w12IREkYC1uS9l8XTJtzjI5Ti5elEltzVxxDvQ2MCDfM3l4HhXZlTtyuQ/s1600/462520_427610410607712_43642682_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br />
</a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgan0AVr2emOLDqycyvR4c5ACiLssPw5RA6WdTkvI_IqnuJXlNXIy_kqFXIr9MIi7rZxd0NPfyNZCSWMIIPK0w12IREkYC1uS9l8XTJtzjI5Ti5elEltzVxxDvQ2MCDfM3l4HhXZlTtyuQ/s1600/462520_427610410607712_43642682_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgan0AVr2emOLDqycyvR4c5ACiLssPw5RA6WdTkvI_IqnuJXlNXIy_kqFXIr9MIi7rZxd0NPfyNZCSWMIIPK0w12IREkYC1uS9l8XTJtzjI5Ti5elEltzVxxDvQ2MCDfM3l4HhXZlTtyuQ/s640/462520_427610410607712_43642682_o.jpg" width="299" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: red;"><b><span style="font-size: large;">INAUGURAZIONE </span></b></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">DELLA BIENNALE INTERNAZIONALE </span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">DEL FISCHIETTO IN TERRACOTTA</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">"CITTA' DI MATERA"</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">III EDIZIONE </span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">Matera</span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">chiesa rupestre S. Maria de Armeniis </span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">ore 19:00
ingresso libero </span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="font-size: large;">Info. 0835314139
</span></div>
<br />
<span class="testo">Si inaugurerà il 16 settembre 2012, alle ore 19,00, a
Matera nello splendido ed incantato scenario dei Sassi, la terza
edizione della biennale internazionale del fischietto in terracotta.-
Mostra Concorso, organizzata dall'Associazione Culturale Genius Loci, in
collaborazione con il Comune di Matera, la C.C.I.A.A. e il patrocinio
della Provincia di Matera, Regione Basilicata, della Cna, di
Confcommercio e Confesercenti , dell'Archeoclub sede di Matera. Alla
cerimonia di inaugurazione è prevista la partecipazione di Piero
Colapietro Presidente dell'Associazione Genius Loci, di Alberto Giordano
Assessore Comunale al Turismo e alle AA.PP., di Angelo Tortorelli
Presidente della CCIAA di Matera, di Giovanni Coretti ed Agata Mele
rispettivamente Presidente regionale e provinciale CNA, di Leonardo
Montemurro Presidente Archeoclub Matera.<br />
I numerosi lavori giunti da ogni parte d'Italia e da alcune nazioni
estere rimarranno esposti fino al 30 settembre nella chiesa rupestre S.
Maria de Armeniis.<br />
La giuria tecnica, composta da un collezionista,un artigiano, un
grafico, un giornalista ed un rappresentante di un ente pubblico, i cui
nomi verranno resi noti solo il giorno dell'inaugurazione, provvederà,
nella mattinata di domenica,alla scelta dei tre vincitori e di coloro
che meriteranno attestati di riconoscimento mentre dalle 19,00 in poi
del 16 settembre, momento in cui verranno aperte le porte al pubblico,
saranno tutti i visitatori a diventare giudici. Infatti è previsto anche
un premio della giuria popolare che verrà assegnato a conclusione
mostra dopo aver effettuato lo spoglio delle schede raccolte dove ogni
visitatore avrà espresso la propria preferenza.<br />
La mostra rientra tra le manifestazioni inserite nel cartellone
culturale del programma di Matera 2019 - capitale europea della cultura-
città candidata.<br />
L'organizzatore, Piero Colapietro, presidente dell'Associazione
Culturale Genius Loci di Matera e Direttore artistico della mostra, si
ritiene soddisfatto del consenso che il concorso ha avuto tra gli
artisti partecipanti. Ancora una volta Matera torna alla ribalta
nazionale ed internazionale e amplia il suo carnet di eventi culturali
che la vedono protagonista quale candidata a capitale europea della
cultura.</span><br />
<br />
<span class="testo">fonte: <a href="http://www.sassiland.com/eventi_matera/evento.asp?id=18061&t=biennale_internazionale_del_fischietto_in_terracotta_2012">sassiland.com </a></span>
Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-36889360735119558482012-08-17T22:53:00.002+02:002012-08-17T22:53:33.210+02:00Un saluto al Maestro Bonaldi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEic_ukDVEx-KNCtdPTr7K7pXe3SkgimgB-FWPfjxKyQccTnL1BZ3VkVSVY8X_2wNFW7zWd8V0d07OeJHVHtoHJRJLTdYlxSNliJOtaD6ybPlSBtXfO2GzXIByFzh0V-2b3UTDUPYj6PyZqF/s1600/bonaldi.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="244" mda="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEic_ukDVEx-KNCtdPTr7K7pXe3SkgimgB-FWPfjxKyQccTnL1BZ3VkVSVY8X_2wNFW7zWd8V0d07OeJHVHtoHJRJLTdYlxSNliJOtaD6ybPlSBtXfO2GzXIByFzh0V-2b3UTDUPYj6PyZqF/s320/bonaldi.JPG" width="320" /></a></div>
<br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">
<span style="color: black;">Sabato 11 agosto ci ha lasciati Federico Bonaldi. Oltre ad essere un artista colto ed un Maestro riconosciuto dell’arte ceramica, era un grande amico dei fischietti in terracotta. Basti dire che inseriva i suoi cuchi anche nelle opere ceramiche importanti, e nel’64 portò tre suoi arcicuchi alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia.</span></div>
<span style="color: black;"><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">
<br /></div>
</span><div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; text-align: justify;">
<span style="color: black;">Pensiamo che il modo più affettuoso in cui possiamo salutarlo sia quello di riportare alcuni brani di un’intervista risalente a qualche anno fa. Ne esce il ritratto di un uomo per nulla incline all’autocelebrazione, con una ironia vivace, e soprattutto sereno per quella che è stata una vita ricca e intensa.</span></div>
<span style="color: black;"><br /></span><span style="color: black;">Ciao Federico</span><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="color: black;"><br /></span></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="color: black;">Associazione Genius Loci di Matera</span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRKVf_rpG_mNkwoWNWEChczBlPFI1x_seYVZkw7tg_NJKWwYWPn9SveclOwBlp6C-ZbZZx4KkwfFp2o_yf895_feuymKFgjkPzahS8vWO6dULIg_R8BYCIydRCOj_9d6IkOi-AcxK3XKT7/s1600/bonaldi+civetta.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" mda="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRKVf_rpG_mNkwoWNWEChczBlPFI1x_seYVZkw7tg_NJKWwYWPn9SveclOwBlp6C-ZbZZx4KkwfFp2o_yf895_feuymKFgjkPzahS8vWO6dULIg_R8BYCIydRCOj_9d6IkOi-AcxK3XKT7/s320/bonaldi+civetta.JPG" width="240" /></a></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<br /></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<strong><span style="color: red;">I collezionisti</span></strong></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<br /></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<em>Ci sono collezionisti che hanno molti dei miei cuchi. Scuto ne avrà 800, ed anche un collezionista di Bari e uno di Messina ne hanno tantissimi. Ma che ci faranno! </em></div>
<em><br /></em>
<em>E mi chiedono: “Hai fatto qualcosa di nuovo?” Ma cosa potrei più inventarmi di diverso!</em><br />
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<em><br /></em></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<em>Avevo iniziato a collezionarli anche io ma il collezionismo mi spaventa: ti entra in testa l’idea di accumulare, diventi matto! Allora li ho dati via tutti! </em></div>
<em><br /></em>
<em>Anche voi non sarete mica venuti a cercare dei fischietti? Ma basta!</em><br />
<br />
<strong><span style="color: red;">I primi cuchi </span></strong><br />
<em><br /></em>
<em>Avrò iniziato a fare fischietti 50 anni fa. I primi erano più belli, spontanei e un po’ ingenui. Quelli che faccio ora sono più furbi invece, studiati per strizzare l’occhio all’appassionato. </em><br />
<em><br /></em>
<em>Anche i colori erano più tenui e simili a quelli tradizionali. Ora uso gli acrilici: sono molto più facili da utilizzare e catturano subito l’attenzione perché più vivaci. </em><br />
<em><br /></em>
<em>I miei fischietti costano sempre 15 euro, non c’è stata inflazione. Ma ci sarà: prima o poi i debiti che fanno i governi ci tocca pagarli alla gente. Quindi se avete dei soldi da parte spendeteli!</em><br />
<br />
<strong><span style="color: red;">I cuchi di oggi</span></strong><br />
<span style="color: red;"><br /></span>
<em>Qualcuno mi dice che sono matto a perdere tempo con i fischietti. Perché i cuchi sono oggetti che si possono fare solo se si è in pensione e a casa si ha la pastasciutta garantita. Se pensi che ci lavori 2 ore su un oggetto così, e poi lo vendi a pochi euro diventa pazzesco. Ma a un certo momento tu li fai anche perché ti diverti!</em><br />
<em><br /></em>
<em>Adesso non si vendono neanche più, non c’è più mercato. Ci sono i collezionisti, che sono degli amici…. Ma ormai hanno mia età e vanno scomparendo (ride). </em><br />
<em><br /></em>
<em>Un giovane di oggi ha altri interessi. Con televisione o strumenti elettronici, dove puoi vedere immagini di qualsiasi tipo, un immaginario così povero non ha più senso. </em><br />
<em><br /></em>
<em>Una botta di miseria potrebbe far ritornare i cuchi in auge!</em><br />
<br />
<strong><span style="color: red;">La fame</span></strong><br />
<strong><br /><span style="color: red;"></span></strong>
<em>Comunque quelli della mia generazione hanno avuto una vita felice. C’era la miseria, la povertà. Ma la miseria ti spinge anche a una solidarietà diversa, ad avere rapporti sociali di altro tipo. </em><br />
<em><br /></em>
<em>E soprattutto si pensa al cibo! Io ci penso ancora! Mia moglie mi dice: ma sei sempre affamato…Si, perché a casa mi dicevano: magna ancora Putein, perché non si sa se domani ce ne sarà ancora! </em><br />
<em><br /></em>
<strong><span style="color: red;">Il lavoro di ceramista</span></strong><br />
<br />
<em>Ho sempre voglia di lavorare. Non è voglia, è un vizio: mi hanno viziato da bambino a lavorare. E allora devo fare sempre qualcosa.</em><br />
<em><br /></em>
<em>E io sono contento, mi vergogno, ma sono contento. Mi sembra di essere un privilegiato a poter finire così la mia vita, facendo le cose che mi piacciono, lavorando.</em><br />
<em><br /></em>
<em>Non solo mi piace quello che faccio, ma mi sembra di non avere bisogno di niente. Ho un unico bisogno: le sigarette, perché sono drogato di sigarette. Ma dopo non ho altri problemi. </em><br />
<em><br /></em>
<em>Sono un coglione, ma va bene così: un coglione contento. Passo a lavorare anche la domenica, le feste… Son sempre qua, non mi muovo. La sera vado a casa a fare pi-pi-pi con il telecomando, che mi vien sonno. E il giorno dopo torno qua. </em><br />
<br />
<div class="separator" style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none; clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgsmwqKUzF4q_qxDkPLvVW4q_1rF-SyjLD_RGss6D9Imd4eRXRsAVbM0eEJoGnG7Qbf2GvoCpo2l0QnfEnsShAh3bNQ6Fw5VAHwL-90U68QiloGZrqKvtJTsze0qNwfenyaChNivb7rQBE/s1600/banda+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" mda="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgsmwqKUzF4q_qxDkPLvVW4q_1rF-SyjLD_RGss6D9Imd4eRXRsAVbM0eEJoGnG7Qbf2GvoCpo2l0QnfEnsShAh3bNQ6Fw5VAHwL-90U68QiloGZrqKvtJTsze0qNwfenyaChNivb7rQBE/s320/banda+2.jpg" width="320" /></a></div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-45601009554072374482012-08-13T15:21:00.003+02:002012-08-13T15:22:04.593+02:00Omaggio a Luigino Porri, ultimo cocciaio di Sorano<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvz-uhJ-IVzrRNuGdJsvYYcr5TmW1CRbB4-d6mLVb2JVLk4nTaxjJO2p2DuHz68vMz1Pq8RlUvSZr_UEON8ptUDKbL4YIpYVZmsCk7S9zz_QhHrNwF_cQOWhY3HJ8p9bX02MUgxM3ZrNbF/s1600/luigino.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgvz-uhJ-IVzrRNuGdJsvYYcr5TmW1CRbB4-d6mLVb2JVLk4nTaxjJO2p2DuHz68vMz1Pq8RlUvSZr_UEON8ptUDKbL4YIpYVZmsCk7S9zz_QhHrNwF_cQOWhY3HJ8p9bX02MUgxM3ZrNbF/s320/luigino.JPG" width="253" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Sarà visitabile <span style="color: red;">fino al 26 agosto 2012</span> la bella mostra-omaggio
dedicata a Luigino Porri nella sua Sorano, sulle colline del grossetano. Portando
avanti la sua attività di cocciaio fino a pochissimi anni fa, Luigino ha
rappresentato una delle anime di Sorano, ed ha fatto in modo che un importante
pezzo della memoria e dell’identità di questo territorio non andassero
disperse. Ora che è scomparso, la sua città gli tributa un doveroso omaggio.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La mostra - intitolata significativamente “<span style="color: red;">I Cocci di una Vita, materia e memoria</span>” - ripercorre la vicenda professionale ma anche umana di
questo artigiano. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un allestimento molto curato – opera di Giuliano Ugolini –
permette infatti di farsi una idea precisa di quella che era la produzione di
“cocci” della Bottega Porri, ma propone anche belle immagini dell’artigiano e
persino pannelli che ci raccontano, attraverso le stesse parole di Luigino, della
sua vita. </div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg26rm7XuCTc2tuFaup5NLjQ11VvC5zzLRKzaTPZxQsDThBcVwZ98844frib7xnJ3WuzvHsvd8XnQ_efmKG-Y_f_O5dBfewnL4QcR7OvZY5RTZmW6m0PGEVuxs7f3yLMVLmlDg5qxNwhdce/s1600/mostra.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg26rm7XuCTc2tuFaup5NLjQ11VvC5zzLRKzaTPZxQsDThBcVwZ98844frib7xnJ3WuzvHsvd8XnQ_efmKG-Y_f_O5dBfewnL4QcR7OvZY5RTZmW6m0PGEVuxs7f3yLMVLmlDg5qxNwhdce/s320/mostra.JPG" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Nella mostra sono presenti tutti gli oggetti in terracotta
prodotti nella sua bottega e indispensabili fino a pochi decenni fa per la vita
domestica e per le attività lavorative: dalla caratteristica panata per il
vino, all’orciolo per il trasporto dell’acqua, al piatto burino della Maremma,
e così via.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Accanto a questi utensili di utilità pratica non mancano
nell’esposizione i giocattoli: i coccetti - miniature dei recipienti da cucina
- ma soprattutto <span style="color: red;">i fischietti</span> – di cui
Luigino realizzava una vasta produzione sia tramite l’uso di stampi che al
tornio.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJFthnHtbZkEmy2csiOEQLfPtqnebtXRDqkKFjoMKUFd4hcd79HptyNaUvkssHgkY2pqoNcdxAuEzYsUeKViYoElPolHKbl1ZKjRZvHjdoSZxkeibVXHd8sCv_Ly8QSYsU8ns0m5K3_LAI/s1600/fischietti.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJFthnHtbZkEmy2csiOEQLfPtqnebtXRDqkKFjoMKUFd4hcd79HptyNaUvkssHgkY2pqoNcdxAuEzYsUeKViYoElPolHKbl1ZKjRZvHjdoSZxkeibVXHd8sCv_Ly8QSYsU8ns0m5K3_LAI/s320/fischietti.JPG" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un motivo in più per visitare la mostra sta nel fatto che
questa si svolge nella cornice della suggestiva <span style="color: red;">Mostra Mercato</span> organizzata ogni
estate da Comune di Sorano e Associazione Strade Bianche. Una bella
manifestazione durante la quale le strade dello splendido borgo antico di
Sorano si riempiono di decine di artigiani che espongono i prodotti più vari. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La storia di Luigino è stata raccolta anche nel volumetto
“Luigino Porri, I Cocci di una vita, biografia raccontata a Adriana Boschi,
foto di David De Carolis, Millelire Stampa Alternativa, <st1:metricconverter productid="2003”" w:st="on">2003”</st1:metricconverter>. Una pubblicazione
piccola quanto importante: si tratta
infatti di uno dei pochissimi esempi in cui per ricostruire la storia
dei nostri mestieri tradizionali e di una società rurale ormai scomparsa si da
la parola agli stessi artigiani che ne sono stati i protagonisti. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr3YnyeMs6wUjNRi8P6fEcr6Mk0IvKyZtN0tgE1sjRfmoMeROhfCt80Nu9LKYxhHAH58CKaitacd0jG4EsltiKTFco2nGBdGq8D3i1yp-tseB7e1EoR1kC03y1-ZErf1PI0Rw0ibvf38iv/s1600/panate.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="196" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgr3YnyeMs6wUjNRi8P6fEcr6Mk0IvKyZtN0tgE1sjRfmoMeROhfCt80Nu9LKYxhHAH58CKaitacd0jG4EsltiKTFco2nGBdGq8D3i1yp-tseB7e1EoR1kC03y1-ZErf1PI0Rw0ibvf38iv/s320/panate.JPG" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
Per il programma della Mostra Mercato 2012 visitare il sito <a href="http://marcellobaraghini.blogspot.it/">http://marcellobaraghini.blogspot.it/</a></div>
<div class="MsoNormal">
Per ordinazioni dell’autobiografia di Luigino Porri contattare:
Millelire Stampalternativa, tel/fax 0564 633359 </div>
Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-53907653459742053922012-06-13T23:54:00.002+02:002012-06-13T23:54:21.630+02:00BIENNALE III EDIZIONE - COMUNICAZIONE<h2 style="text-align: center;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"> ATTENZIONE!</span></b></h2>
<h2 style="text-align: center;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;">COMUNICAZIONE URGENTE: </span></b></h2>
<h2 style="text-align: center;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"> <span style="color: #20124d;">A causa di sopraggiunta indisponibilità dei locali espositivi, la</span><span style="color: #20124d;"> III Edizione del Concorso Internazionale</span><br style="color: #20124d;" /><span style="color: #20124d;">
Biennale del Fischietto in Terracotta Città di Matera si terrà nelle seguenti date:</span><br />
16 Settembre 2012 - 30 Settembre 2012 </span></b></h2>
<h2 style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"><span style="color: #274e13;">Sarà possibile inviare le opere entro il 10 settembre 2012.</span></span></b></h2>
<div style="text-align: justify;">
<div style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"><span style="color: #274e13;"> </span></span></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"><span style="color: #274e13;">Il presidente </span></span></b></div>
<div style="text-align: justify;">
<h3>
Piero Colapietro</h3>
<h3>
</h3>
<h3>
Per qualsiasi informazione e/o contatto chiamare il seguente numero</h3>
<h3>
333.7126287</h3>
</div>
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;"></span></b></div>Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-17259202791831640532012-06-03T17:22:00.000+02:002012-06-03T17:22:09.357+02:00Appuntamento con il Metodo Zentangle e gli Scarabocchi Zen in Toscana.<div style="color: #073763;">
<h4>
L'Associazione Culturale Genius Loci di Matera ed il Punto Vetro di Cenaia sono lieti di presentarvi <b>il primo workshop dedicato al Metodo Zentangle in Italia.</b></h4>
</div>
<div style="text-align: center;">
<h2 style="color: #073763;">
WORKSHOP di ZENTANGLE® </h2>
<h2 style="color: #073763;">
e Scarabocchi ZEN (Zentangle Inspired Art)</h2>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV05E_9-ddWhcl5-usbaYEPlJL_uIdKQLgJYgOE0g39qKaSLPrIZtiSOpWQ9PKbZ8i7i1lQvXhXB_Mi-emMe2UYmt4H-ufFSk5pxGXW4lgSMGhzZf3FlKNiEcEPsqImSXU1-Dpm5G7nqY/s1600/fiori+zen.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV05E_9-ddWhcl5-usbaYEPlJL_uIdKQLgJYgOE0g39qKaSLPrIZtiSOpWQ9PKbZ8i7i1lQvXhXB_Mi-emMe2UYmt4H-ufFSk5pxGXW4lgSMGhzZf3FlKNiEcEPsqImSXU1-Dpm5G7nqY/s320/fiori+zen.jpg" width="320" /></a></div>
</div>
<br />
<div style="text-align: center;">
<div style="color: #073763; text-align: center;">
<b>Workshop creativo per adulti – CENAIA (PI)</b></div>
<div style="text-align: center;">
<div style="color: #073763;">
<b><span class="text_exposed_show"> DOMENICA 29 LUGLIO 2012</span></b></div>
<div style="color: #073763;">
<b><span class="text_exposed_show"> </span></b></div>
<div style="color: #073763;">
<b><span class="text_exposed_show"> DURATA: 6 ore</span></b></div>
<div style="color: #073763;">
<b><span class="text_exposed_show"> CONDUCE TINA FESTA </span></b></div>
<div style="color: #073763;">
<span class="text_exposed_show"> (CZT - Insegnante Certificata Zentangle) </span></div>
<span class="text_exposed_show"> </span><br />
<span class="text_exposed_show"><a href="http://www.tinafesta.wordpress.com/" rel="nofollow nofollow" target="_blank">www.tinafesta.wordpress.com<wbr></wbr></a></span></div>
<span class="text_exposed_show"></span></div>
<span class="text_exposed_show"> <br /> <br />
<span style="color: #073763;">Il Metodo Zentangle® è una nuova ed affascinante forma d’arte: permette
di realizzare delle piccole opere creative con dei motivi che si
ripetono. E’ un modo insolito di avvicinarsi all´arte: insegna a tutti,
grandi e piccoli, che “creativi si diventa”, basta fare le cose “un
passo per volta” e con consapevolezza. </span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> Nel workshop si apprenderà
la tecnica base del Metodo Zentangle® e degli Scarabocchi Zen (Arte
liberamente ispirata ai Zentangles)</span>. <a href="http://www.zentangle.com/">www.zentangle.com</a><br /> <br /> <br /> <b style="color: red;">PROGRAMMA</b><br /> <br /> <span style="color: #073763;">Domenica Mattina: ore 9,30 - 12,30</span><br style="color: #073763;" /> <br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> SCARABOCCHI ZEN</span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;">
1. Il mondo degli Scarabocchi - Gli Scarabocchi Zen,Tecnica base: I
mille volti del nero - Il nero incontra il rosso - Lo scarabocchio zen
nella didattica delle arti: uso dei diversi materiali, organizzazione
del laboratorio, bibliografia utile….</span><br style="color: #073763;" /> <br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> 2. Corso di ZENTANGLE BASICS® 15,30 - 18,30</span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> Durante la lezione si apprenderanno le basi del Metodo Zentangle®: </span><br style="color: #073763;" /> </span><br />
<div style="color: #073763;">
<br /></div>
<span class="text_exposed_show"><span style="color: #073763;">Numero minimo dei partecipanti: 12- </span><br /> <br style="color: red;" /> <b style="color: red;">Costo a persona: </b><br /> <span style="color: #073763;">Il costo a persona per il workshop è di euro 65 + 15 per il materiale (kit che rimane in dotazione al corsista).</span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> E’ possibile iscriversi al solo corso pomeridiano di Zentangle® - euro 40+15 di materiale.</span><br style="color: #073763;" /> <br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;">
E’ richiesto un acconto di euro 25 al momento dell’iscrizione da
versare con bonifico bancario a favore di Ass. Culturale Genius Loci </span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> IBAN IT43W052561610100000934791</span><wbr style="color: #073763;"></wbr><span style="color: #073763;">1</span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> Causale: Workshop Zentangle</span><br style="color: #073763;" /><span style="color: #073763;"> (restituibile solo nel caso non si raggiungesse il num. minimo di partecipanti al corso)</span></span><br />
<span class="text_exposed_show"></span><br />
<br />
<span class="text_exposed_show"><a href="http://tinafesta.files.wordpress.com/2012/06/scheda-adesione-workshop-cenaia-pi.doc">Scarica qui la SCHEDA DI ADESIONE</a><br /> <br /> <b>Il Workshop si svolgerà presso:</b><br /> Punto Vetro <br /> via V. Veneto n° 3/5 a Cenaia 56040 (PI)<br /> tel 050-644070 Lucia</span>Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-85551639256266838532012-05-25T22:00:00.000+02:002012-05-25T22:02:43.451+02:00<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><span style="color: #1f497d;">Memorie e Suoni di Terra - conversazioni
con i Maestri costruttori di ceramiche sonore</span><o:p></o:p></b></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<b><span style="color: red; font-size: 14pt;">I Mastro di Grottaglie –
orgogliosamente “fischiettari”<o:p></o:p></span></b></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0X2_iR_lpeSSZBPs7EjaJY7kfIoqeJmN0YuuqEVadenL24Tt_NthLO3mfyDx4EKezehyphenhyphenjfU8YNnLzeehosxpvvIi_JYJGZoti2BLruNNTs9Z0es_vZlu9lap9H0_4MXbaaIYX1QP9LAex/s1600/giovanni+mastro.GIF" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj0X2_iR_lpeSSZBPs7EjaJY7kfIoqeJmN0YuuqEVadenL24Tt_NthLO3mfyDx4EKezehyphenhyphenjfU8YNnLzeehosxpvvIi_JYJGZoti2BLruNNTs9Z0es_vZlu9lap9H0_4MXbaaIYX1QP9LAex/s320/giovanni+mastro.GIF" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Giovanni Mastro (foto Fam. Mastro) </td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per alcune famiglie la ceramica diventa
una ragione di vita, quasi come se generazione dopo generazione il padre trasmettesse
ai figli il legame con la terracotta insieme al corredo genetico. Ed è questo
il caso della famiglia Mastro. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per provare a spiegare la forza
di questo legame bisogna anzitutto dire che sono ormai 4 le generazioni dei
Mastro che hanno dedicato la loro vita all’argilla. E c’entra molto anche Grottaglie
– città dove hanno vissuto e lavorato almeno dalla metà dell’800 – e che è in tutto
il mondo sinonimo di ceramica. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Eppure tutto questo appare ancora
riduttivo finchè non si parla con con Oronzo e Marcello Mastro – la quarta
generazione di ceramisti della famiglia. Solo sentendoli raccontare del proprio
lavoro o della storia della bottega di famiglia ci si rende conto dell’amore profondo
che li lega alla professione imparata fin da bambini dal proprio padre, o della
devozione con cui hanno conservato storie e cimeli di famiglia. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Questo non vuol dire che il
rapporto tra i Mastro e la terracotta sia stato fatto solo di soddisfazioni e
successi. Molti sono stati i momenti difficili, ma paradossalmente le avversità
sembrano avere solo rafforzato la passione dei Mastro per il loro mestiere. Tanto
che se si potessero riassumere due secoli di storia famigliare in una sola
parola questa sarebbe “caparbietà”: la caparbietà con cui ieri come oggi hanno
portato avanti la loro professione di fronte a tante difficoltà; e anche la
caparbietà – della quale gli appassionati di ceramica sonora devono essergli
particolarmente grati – di aver salvaguardato la produzione dei fischietti
anche nei decenni in cui a Grottaglie sembravano essere stati dimenticati da
tutti. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<b><span style="color: red;">Dai fischietti della tradizione a quelli
artistici<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="mso-pagination: none; text-align: justify;">
E proprio dai
fischietti comincia il racconto di Oronzo, il più grande dei fratelli Mastro,
che ci racconta dei fischietti fatti dal Nonno – che si chiamava Oronzo come
lui - tra la fine dell’800 e la prima
metà del ‘900.”</div>
<div class="MsoNormal" style="mso-pagination: none; text-align: justify;">
<i>“Abbiamo ancora gli stampi che usava mio
Nonno per i fischietti, stampi che erano fatti proprio da lui. I fischietti erano
i giocattoli dei bambini, li facevano per quello. <o:p></o:p></i></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjV0dNvw4ecuVFFzsW-EQZefJOTXk8HN_ZF3q5WUBDOuOE2T5FL_hqkJR2qMnmfsqaykeqWwGNmIN8GHNEfFuRZoypN2IyVlP-24jqCb1NlrtlMmGUgWlP4UP2Vk1PG1XTVPfutVuPQ_LKf/s1600/P1010954.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="249" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjV0dNvw4ecuVFFzsW-EQZefJOTXk8HN_ZF3q5WUBDOuOE2T5FL_hqkJR2qMnmfsqaykeqWwGNmIN8GHNEfFuRZoypN2IyVlP-24jqCb1NlrtlMmGUgWlP4UP2Vk1PG1XTVPfutVuPQ_LKf/s320/P1010954.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto Oronzo Mastro (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="mso-pagination: none; text-align: justify;">
<i>Per cuocerli si usava naturalmente la
fornace a legna. La cottura era a costo zero perché ci si riempiva una capasa –
i nostri contenitori rustici. Di solito
subivano una monocottura, e poi si dipingevano in maniera molto grossolana, non
erano rifiniti come oggi. Prevalentemente erano colorati con la calce, e magari
marmorizzati. Quindi li immergevano nella calce e poi gli schizzavano sopra un
po’ di rosso e di blu. Abbiamo recuperato un gatto colorato in questo modo.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Molto legato alla produzione di fischietti fu
anche Giovanni Mastro, figlio di Oronzo. Si trattò anzi dell’unico artigiano di
Grottaglie a portare avanti questa tradizione nel periodo che va dal secondo
dopo guerra, momento della decadenza dei fischietti come giocattoli
tradizionali, fino alla loro riscoperta da parte dei collezionisti negli anni
‘80.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro: “<i>Era l’unico a Grottaglie a fare i
fischietti. Tanto è vero che durante una riunione di ceramisti Papà prese la
parola per dire qualche cosa, e un suo collega ceramista lo tacitò dicendo: “citto
– ovvero zitto - fischiettaro!” Fu
chiamato “fischiettaro“ proprio perché era l’unico a livello di botteghe
ceramiche a fare questi fischietti. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Allora ci rimase amareggiato, dopo di che divennero tutti fischiettari!
E questo grazie a Carella, che inventò la rassegna di Ostuni.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[1]</span></b></span></span></a> E tutti si misero a
fare fischietti. A un certo punto tutti i clienti cercavano fischietti, e c’è
gente che ci si è fatta veramente i soldi. Ma facendo cose secondo me
obbrobriose: facendo queste cose ridondanti, prive di gusto, hanno snaturato
completamente i fischietti.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>All’inizio comunque nessun altro sapeva fare bene i fischietti a
Grottaglie, tranne la mia famiglia. Tanto è vero che fu mio zio ad insegnare
materialmente a fare fischietti ai nostri concorrenti. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>E per la verità fino al ’69-70 se ne facevano pochissimi nella bottega
dei fratelli Mastro, erano proprio un prodotto di nicchia: pochissima roba e
pochissimi soggetti. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Solo quando si sciolse la società con i fratelli e Papà si mise da solo,
allora riprese in grande la produzione. Quando a settembre facevano la mostra
della ceramica riusciva a vendere anche 1.000 fischietti in un mese, proprio perché era l’unico a farli. Allora
comunque avevano anche un costo irrisorio.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Analogamente a buona parte dei fischietti
pugliesi, si trattava di pezzi modellati a stampo e poi generalmente dipinti a
freddo o lasciati grezzi. Anche i soggetti tradizionali non sono dissimili da
quelli del Salento o del barese.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro: “<i>Molti soggetti, come il carabiniere e il marinaio,
servivano a sbeffeggiare il potere. Poi c’erano personaggi come il pulcinella,
il gobbo, il pancione e vari animali come il gallo ed il maialino. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>C’era anche un’ocarina - anche se non era un’ocarina che poteva dare
molti suoni - e le trombe di San Pietro. Le facevano allora per San Pietro, il
29 giugno, e i ragazzini andavano in giro per Grottaglie a spernacchiare con
questi fischietti.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Paola Piangerelli visitò la
bottega di Giovanni Mastro nell’ambito delle sue ricerche sui fischietti. Il
resoconto di questa visita è particolarmente prezioso, perché ci offre una
testimonianza dell’aspetto della bottega e delle tecniche di produzione dei
fischietti nel lontano 1974. Si riporta tra le altre cose come Giovanni
utilizzasse un bastoncino di legno da lui chiamato “mucculaturu” per modellare
la parte fischiante, e di come oltre ai fischietti di formato “classico” (12-<st1:metricconverter productid="14 cm" w:st="on">14 cm</st1:metricconverter>) producesse anche
carabinieri di dimensioni più grandi (<st1:metricconverter productid="22 cm" w:st="on">22 cm</st1:metricconverter>); da questi ultimi, che erano di fattura
più accurata, risaltava tutta l’abilità esecutiva del maestro. Vi sono inoltre
alcune notizie sulla commercializzazione dei fischietti, che avveniva tramite
intermediari in occasione di alcune fiere legate a feste religiose, come San
Cataldo e S. Francesco di Paola a Taranto, e per l’Ascenzione<i> </i>a<i>
</i>Oria (Brindisi).<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[2]</span></span></span></a><span style="background-color: black; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Rispetto a quella che è
probabilmente l’iconografia del fischietto più diffusa in assoluto – quella che
raffigura il carabiniere – Oronzo Mastro ricorda un aneddoto curioso:</div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcKhn0c-wb3MgtMWfr66SyyHFpaXDfvpIPSKmm2QT0xQ4ALbH4Y5cHACAuU0dG_-AfEsbjsx8ibmchOyjxb6WCe8fpzGbhVay7sHtr4iasdbow4fjFSixKUhhfgRfV-2HQWc61Oh_TNWzD/s1600/351+copia.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjcKhn0c-wb3MgtMWfr66SyyHFpaXDfvpIPSKmm2QT0xQ4ALbH4Y5cHACAuU0dG_-AfEsbjsx8ibmchOyjxb6WCe8fpzGbhVay7sHtr4iasdbow4fjFSixKUhhfgRfV-2HQWc61Oh_TNWzD/s320/351+copia.jpg" width="217" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto Fam. Mastro (Coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“Tanti anni fa, durante la mostra della ceramica di Grottaglie, si
presentò da mio Padre questo tizio e disse: “siete lei il signor Mastro?” E Papà
rispose: “Si, sono io. Cè vuoi, Piccì?” E lui: “devo denunciarla per oltraggio
all’Arma”. Era un grottagliese che aveva visto i fischietti con i carabinieri e
si era scandalizzato. Si era anche comprato la prova del reato: arrivò in
bottega con dei fischietti e inizio a dire: “Lei ha messo il fischietto in quel
posto al carabiniere…”. E mio padre rispose: “Ascolta, se vai dai carabinieri, ne
trovi uno anche sul tavolo del maresciallo. E poi ho messo il fischietto in
culo ai balilla durante la guerra, per cui adesso non rompermi l’anima con
queste sciocchezze!“ <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche alcune donne della famiglia
Mastro – come la moglie Giovanni, Maria Blasi - contribuivano alla produzione
di fischietti. Lo testimonia ad esempio Mario Giani<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[3]</span></span></span></a> – in
arte Clizia – nel resoconto della sua visita del 1995 alla bottega Mastro. In
quella occasione vi trovò delle casse piene dei
fischietti della Signora Mastro, raffiguranti in particolare la padrona
ed il padrone. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Anche il collezionista ed esperto
di fischietti Beppe Lo Bosco, esaminando i fischietti dell’epoca di Giovanni,
ha notato che il modulo sonoro sembra essere stato foggiato da due mani diverse
(trattandosi di pezzi fatti a stampo, il corpo principale dei fischietti è
ovviamente indistinguibile). E’ dunque
possibile che si tratti dei fischietti di Giovanni e della sua Signora.</div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
Oggi è Marcello Mastro a portare avanti la tradizione di
famiglia nella produzione dei fischietti. In particolare sono due le tipologie
di fischietti da lui realizzate: quelli tradizionali e le ceramiche fischianti
artistiche.<br />
<div class="MsoNormal">
I primi sono realizzati nel rispetto delle forme e delle
tecniche di un tempo. Spesso per produrli si utilizzano gli stampi d’epoca di
Giovanni Mastro:</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Marcello Mastro: “<i>Gli stampi di mio padre li ho usati
tantissime volte e iniziano ad essere logori. Devo decidermi a rifarli perché si
rischia che vadano perduti, e non mi va che questo accada!”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
Poi vi sono dei fischietti di grande raffinatezza realizzati
con la tecnica del graffito – che d’altronde caratterizza buona parte della
produzione attuale della bottega Mastro. I soggetti sono spesso i medesimi
della tradizione – come le figure zoomorfe -
ma rielaborati secondo un design e una sensibilità moderna. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Per la verità, negli ultimi
decenni, Marcello ha limitato molto la produzione di fischietti. Dopo il boom
degli anni ’80-90 il mercato dei fischietti a Grottaglie si è infatti molto
inflazionato, e la qualità dei prodotti è scaduta. La scelta è stata dunque
quella di non scendere sul terreno di una competizione un po’ troppo al
ribasso. </div>
<div class="MsoNormal">
Marcello Mastro: “<i>Ho
smesso di fare i fischietti quando hanno iniziato tutti a farne di pessima
qualità. Ne faccio qualcuno ogni tanto, solo se me lo chiedono.”</i> </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">La cocciuta conquista della bottega di famiglia<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Fischietti a parte, nel corso
dell’ultimo secolo e mezzo i Mastro sono stati impegnati nello sforzo di conquistare
e poi difendere la propria autonomia produttiva. Un’impresa non facile se si pensa che Rosario Mastro, nato nel 1849
e trasferitosi a Grottaglie da Ceglie Messapica, era un umile operaio impiegato
come aiutante in una delle tante botteghe di vasai. Dalla loro parte i Mastro avevano
però un’abilità fuori dal comune – <i>nomen
omen</i> recita il proverbio latino - e una notevole dose di cocciutaggine.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro: “<i>Mio Bisnonno iniziò a lavorare in una
bottega di ceramica, <st1:personname productid="la Arces. Praticamente" w:st="on">la
Arces. Praticamente</st1:personname> era un semplice manovale. In gergo si
diceva “omo tà fori", uomo esterno inteso come addetto alle attività<br />
collaterali. Ad esempio: prepare ed impastare la creta per i tornianti,<br />
accudire gli oggetti già foggiati, ingobbiare, smaltare, cuocerei forni e così
via.<br />
I figli – perché aveva 3 figli questo Rosario - tutti e 3 divennero ceramisti.
Uno praticamente è arrivato al suo
livello, gli altri 2, mio nonno Oronzo e il mio prozio Cosimo, lo superarono: erano
due mostri di bravura. <o:p></o:p></i></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD5zLJh_FSq9hS9Ul_PGFz92bpwhVP8DYa_qkQLQW04pZ01yv-86HjfQPVz2Njf-oK6kTRqFrsGcRtp_N2I6B7rou46eL94bzMy851wZyCNgBREFcZYyrh8Xib_MDEXX-bQ_MGT-oQt4Ny/s1600/P1010947.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD5zLJh_FSq9hS9Ul_PGFz92bpwhVP8DYa_qkQLQW04pZ01yv-86HjfQPVz2Njf-oK6kTRqFrsGcRtp_N2I6B7rou46eL94bzMy851wZyCNgBREFcZYyrh8Xib_MDEXX-bQ_MGT-oQt4Ny/s320/P1010947.JPG" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Insegna della Bottega Mastro (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Fu Oronzo Mastro – primogenito di
Rosario e vissuto dal 1875 al 1946 - a intraprendere questo percorso di
emancipazione produttiva. Oronzo si
dimostrò ben presto un ceramista brillante e completo. Le botteghe di
Grottaglie si contendevano le sue prestazioni di artigiano, ma la voglia di gestire
un’attività in proprio rappresentò una costante della sua vita. Perseguì questo
obiettivo con ostinata determinazione nonostante alcuni tentativi andati a
vuoto. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro: “<i>Nonno era bravissimo, di una bravura estrema
sia nella modellatura che nel dipingere. Infatti durante gli anni ’20 vennero alcuni
giornalisti a visitare la bottega e lo chiamarono il “mago dell’argilla.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ha sempre avuto questo pallino delle botteghe. L’ha aperta e poi chiusa
tante volte perché era un grande maestro, ma un pessimo imprenditore. Però
aveva sempre questa grande, grandissima determinazione di mettere su bottega.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Lei pensi che ebbe l’incarico di insegnante ad Avellino, ma dopo due
anni si licenziò quando gli fu commissionato il rivestimento della cupola di
Villa Castelli. Questo sempre per la passione che aveva sempre di mettere su
bottega, e con 8 figli da mantenere ci voleva un gran coraggio!<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Così nel ’23 - mi pare - se ne tornò da Avellino senza avere una bottega,
e in locali di fortuna ricominciò di
nuovo.</i><span style="background-color: black; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> </span><i><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Nei periodi in cui non poteva permettersi di avere una bottega sua
andava a lavorare per gli altri. Ed era richiestissimo dagli altri ceramisti,
perché era competente in tutto. Tra l’altro, quando arrivava nelle botteghe
suscitava l’invidia dei vecchi operai, che dicevano: “a santo vecchio non si
appicciano cannele” – ovvero al santo vecchio non si accendono più lumini,
perché è arrivato un santo nuovo. Per tacitare appunto i colleghi invidiosi,
uno dei suoi datori di lavoro, Calò, mise sul suo tornio, quello dove lavorava
lui, un cartello con un proverbio che diceva “dove la stella brilla l’invidia
strilla”. Però il suo pallino era sempre di mettere su bottega. E quando poteva
ci provava. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Un’altra bottega la aprì nel quartiere della ceramica. Nessuno gli ha
mai venduto un pezzo di terra nel
quartiere per potersela costruire. E allora fino al ‘43, fino all’arrivo degli
americani, lui era in affitto presso la bottega Caretta. I proprietari, i Del
Monaco, lavoravano a Sesto Fiorentino e gli avevano affittato questa bottega
tutta intera. Se non chè, dopo l’8 settembre, visto che c’era molta richiesta
di piatti da parte degli americani, i proprietari se ne scesero giù. Cominciarono
a chieder indietro un pezzo di bottega e poi ad avanzare pretese sempre
maggiori per la questione degli spazi. Insomma praticamente lo costrinsero a
doversene andare via.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Alla fine tanta perseveranza fu
premiata. Nel 1944, Oronzo Mastro aprì la bottega che avrebbe poi condotto il
figlio Giovanni, e dove attualmente lavorano i nipoti Marcello e Oronzo. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Non fu tuttavia possibile trovare
un terreno disponible nel quartiere delle ceramiche<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[4]</span></span></span></a>, e
Oronzo si risolse a costruire la bottega in località Antoglia, una zona periferica, attualmente Via Messapia. Si
trattò di una scelta forse obbligata, ma che avrebbe penalizzato la commercializzazione
dei prodotti della bottega Mastro, e questo a prescindere dalla loro indubbia
qualità.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro: “<i>Quando Nonno costruì quà la bottega i figli
non erano molto d’accordo. Però lui aveva questa teoria: quando un ubriacone sa
dove sta il vino buono, anche se la cantina è distante ci va lo stesso. Si
sbagliava, e purtroppo ha pagato sempre questo scotto. Anche negli anni in cui
non c’era il turismo a Grottaglie, ma c’erano i compratori, era un evento che i
calabresi o i napoletani venissero fin qui a comprare le capase.</i> </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOTfDDKEZIQ1nn5MyfefVkBphwOgBqMn57GISHN6aWZmkjk4jk_QNYbJ-i6XcGJ-R-Yhm36vpYa45h5K9shSaQrNnOx_zCWFD03OTvqEdaQrN_6mL23VV7IvpKgA-ochwLtjp50Bs4CibC/s1600/353+copia.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhOTfDDKEZIQ1nn5MyfefVkBphwOgBqMn57GISHN6aWZmkjk4jk_QNYbJ-i6XcGJ-R-Yhm36vpYa45h5K9shSaQrNnOx_zCWFD03OTvqEdaQrN_6mL23VV7IvpKgA-ochwLtjp50Bs4CibC/s320/353+copia.jpg" width="222" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto Fam. Mastro (Coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La maggior parte delle botteghe di Grottaglie erano molto
specialistiche: facevano per esempio piatti, oppure capasoni: quindi l’arte
faenzana oppure l’arte grossa, grossolana. Mio Nonno invece era in grado di
fare tutto. D’altronde dovevi fare tutto per sopravvivere: dall’orinatoio al
fischiettino.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’attività della bottega Mastro
fu proseguita dai figli Rosario, Cosimo e Giovanni. Tra loro Giovanni si rivelò
il più dotato: come il padre era un ceramista completo e raffinato. Dal 1969,
con lo scioglimento della società tra i fratelli Mastro, Giovanni prese in mano
le redini della bottega, conquistando una maggiore libertà espressiva e
riuscendo peraltro a dedicarsi maggiormente a produzioni da lui predilette come
presepi e fischietti.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[5]</span></span></span></a> </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro:<span style="color: red;"> </span>“<i>Papà era un ceramista
completo. Sapeva fare tutto: dagli smalti, ai colori, alla modellatura a mano e
al tornio, al decoro. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando chiusero la società con i suoi fratelli tutti lo volevano come
lavorante, e per un certo periodo lo ha anche fatto. Però, come il Nonno, anche
lui voleva la sua bottega. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>E’ morto a poco più di 60 anni. Ha tirato la vita coi denti, perché è
nato sofferente ed arrivare a quell’età è stata una lotta incredibile.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando è scomparso abbiamo messo via tutto quello che avevamo in
bottega di suo, non abbiamo venduto neanche più un pezzo. Sai quanta gente
venne a chiederci di vendere? Ma noi, pur nel bisogno, ci siamo sempre
rifiutati.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Un mestiere massacrante<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il racconto di Oronzo Mastro ci
fornisce un affresco vivido riguardo alla durezza del mestiere degli operai
nelle botteghe artigiane. Avendo lavorato da ragazzino come apprendista nella
bottega del padre, ha fatto in tempo a conoscere la realtà di una bottega prima
dell’arrivo delle tecnologie, che ne hanno trasformato la natura ed hanno contribuito
ad alleviare la fatica degli artigiani. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“Era un lavoro massacrante, terrificante, credetemi. Specialmente per
gli operai, quelli di bassa lega. Ci si ammalava veramente di tutto. Voi
immaginate che lo smalto era a base di piombo, ed io ricordo che quando entravo
nella bottega dove era stata fatta la smaltatura, sentivo un sapore dolce in
gola. E questo era il minio, l’ossido di piombo. Ti penetrava dentro, e non
c’era un ceramista che avesse i denti suoi. Diventavano neri, venivano corrosi
da questo materiale. Il problema maggiore era quando bisognava pulire. Oggi si
usano le spugnatrici o altre cose, allora si puliva con uno straccio. Quindi tutti
si ammalavano di saturnismo, detta anche colica piombina. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Oppure ci si ammalava di silicosi. Perché quando l’argilla veniva
sminuzzata, questa bottega diventava un unico grande contenitore di polvere. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando avevo 11 anni ed imparavo a lavorare al tornio, ero a ridosso
del frangizolle. Mentre imparavo a fare questi salvadanai - 100 al giorno, 3 lire a salvadanaio - respiravo questa polvere. E ancora oggi se
respiro della polvere di creta mi fa male lo sterno. E c’è da dire che io ero un privilegiato, perché in bottega ci
lavoravo solo l’estate. Ma chi ci lavorava da una vita accumulava anno dopo anno
l’immissione nel corpo di queste sostanze.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Poi, immaginate le giornate intere passate davanti alla fornace estate
e inverno: l’estate ancora ancora, ma l’inverno, se dovevano fare un bisogno,
quei poveracci uscivano in strada tutti sudati. Quindi immaginatevi le
bronchiti che si prendevano! <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Eppure c’è stato un operaio nostro, Cataldo, che era proprio una
“macchina da lavoro”, nel senso che non si è mai tirato indietro né dal
preparare la creta né dal fare le cotture. Oggi ha quasi 90 anni ed è ancora
vivo e vegeto.” <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[6]</span></b></span></span></a><o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Il rito della preparazione della creta<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Particolarmente minuziosa ed
efficace è la descrizione che Oronzo Mastro fa del processo di preparazione
della creta. Lui stesso la definisce un “rito” e ne sottolinea gli aspetti più
suggestivi, come la “danza” a piedi nudi sulla creta da impastare o la
sacralità inviolabile del magazzino dell’argilla:</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“La creta veniva cavata da Grottaglie e da Monte Mesola, queste erano
le grandi cave. L’argilla migliore era quella di Grottaglie, che è un filino
più pura. Quella di Monte Mesola invece è più abbondante ma più ricca di
impurità. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>C’erano questi cavatori che si occupavano dell’estrazione. Ci si
rivolgeva a loro e venivano con i cavalli a portarci le zolle. A Grottaglie
c’erano delle cave a cielo aperto - dove non c’era pericolo - e altre cave a
miniera che erano pericolose. Purtroppo ogni tanto si verificava qualche crollo
e questa gente rimaneva sotto. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Una volta portata in bottega si metteva prima di tutto ad essiccare. Si
stendeva fuori sperando che non piovesse. <o:p></o:p></i></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAtLdmhM4okyeCAgA1t9fiq_cJcvLb33qxUtD9v6Tt5DRclJ7ympAA_36Ju64nGyyNE1t028gLxHnNkXqU66vl5ycaI_BkFQDIeGBB1kWTvqaau-74o7JTIYYFk2WQwE9IQ1Ppj-Jh9YQP/s1600/356+copia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAtLdmhM4okyeCAgA1t9fiq_cJcvLb33qxUtD9v6Tt5DRclJ7ympAA_36Ju64nGyyNE1t028gLxHnNkXqU66vl5ycaI_BkFQDIeGBB1kWTvqaau-74o7JTIYYFk2WQwE9IQ1Ppj-Jh9YQP/s320/356+copia.jpg" width="216" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto Fam. Mastro (Coll. Museo dei Cuchi)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Poi veniva ritirata e immagazzinata in un posto che si chiamava la
palazza, che era sacro, quasi una basilica. Quando entravi dentro la palazza
dovevi entrare a piedi nudi o pulendosi perfettamente le scarpe, per non
importare in quel<br />
luogo corpi estranei che avrebbero potuto inquinare o ferire le mani di
chi andava a lavorare la creta. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando era tempo di preparare la creta si prendevano queste zolle
enormi e si spaccavano. C’erano due tipi di mazze: con le mazze grandi, quelle
proprio da lavori forzati, le zolle venivano sbriciolate grossolanamente; poi
gli operai si sedevano per terra con dei magli di legno e continuavano a
sbriciolare la creta fino ad avere una granulometria di dimensioni piccole come
quelle del brecciolino grosso. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Si prendeva questa roba macinata, si setacciava, e quello che usciva
fuori – che chiamavamo farina - si metteva da parte. Quello che rimaneva si
metteva a bagno in delle vasche e stava uno o due giorni a bagno finchè
l’argilla non si riempiva completamente di acqua. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Poi la creta veniva tirata fuori
da queste vasche e distribuita a terra come una sorta di ciambella. A questo
punto interveniva Cataldo, quel nostro operaio di cui ho detto e che oggi ha 90
anni. Danzando, girava con i piedi su questa ciambella una, due, tre volte.
Facendo questo lavoro, girando attorno, maciullava la creta. Ed era bellissimo,
sembrava veramente una danza della pioggia. Siccome la ciambella era troppo molle, man mano che
girava si addizionava quella farina che si era lasciata da parte. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando l’impasto raggiungeva una
buona omogeneità veniva presa questa ciambella, si tagliava a blocchi e veniva
passata<br />
attraverso due cilindri che ruotavano in senso inverso. Questa operazione aveva<br />
lo scopo di schiacciare i granuli che il calpestio non era riuscito a
eliminare. A quel punto veniva fatta una massa unica di argilla. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il lavoro non era finito, bisognava ancora renderla uniforme, omogenea
alla lavorazione al tornio. Non ci dovevano essere pezzi più duri e più molli,
parti più secche e parti meno secche. Ma la massa non poteva essere lavorata
subito, perché doveva sedimentare. Le molecole erano tutte in agitazione, e
quindi la creta si sgretolava, si scagliava. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Solo dolo dopo 3, 4, 5 giorni si poteva ricominciare a lavorare. Allora
si prendeva un filo di ottone, si tagliavano i blocchi, si metteva la creta su
delle lastre di granito o di cemento, e la si impastava. Veniva prima lavorata
come se si facesse il pane, rivoltata, ribaltata. Dopo di che veniva sbattuta.
Si prendevano dei pezzi di creta e si scagliavano sul tavolo. Poi si staccavano
e si faceva di nuovo. E partivano schizzi dappertutto. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Alla fine si facevano delle palle di creta a seconda della grandezza dell’oggetto
da modellare. E lì cominciava la lavorazione al tornio.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente a Grottaglie, come
ovunque in Italia, il processo di modernizzazione dell’arte ceramica ha reso
obsoleti ed antieconomici questi procedimenti di preparazione e depurazione
dell’argilla.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro:<i> “Fino a qualche tempo fa qualcuno ancora
usava la creta locale. La bottega Fasano ad esempio la mischiava con l’argilla
industriale. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Oggi questa creta non la usa più nessuno. Per lavorarla bisogna
raffinarla, e la spesa non vale l’impresa. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Se nella creta rimane un calcinello – che sarebbe una pietruzza di
solfato di calcio - durante la cottura
riaffiora e fa saltar via lo smalto.
Queste pietruzze le puoi eliminare con la setacciatura. Papà infatti
quando voleva fare qualche pezzo particolare portava l’argilla allo stato
liquido e la filtrava con dei setacci a maglie finissime. Tutto quello che era
corpo estraneo all’argilla rimaneva al di qua del setaccio, e quella che
filtrava la potevi lavorare con tranquillità. Però se tutta l’argilla tu
dovessi prepararla in quella maniera ci metti troppo, diventa antieconomico. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ora la ceramica è un prodotto raffinato, se proponi un piatto a 200
euro non può esserci un calcinello che fa saltare un pezzo di smalto. Mentre se
una capasa ha un calcinello che è saltato chi se ne frega! Allora non erano così
sofistici.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Adesso invece la creta viene bella e pronta, in sacchetti da <st1:metricconverter productid="25 kg" w:st="on">25 kg</st1:metricconverter> da Montelupo o da San
Sepolcro. E quindi non c’è neanche più chi deve preparare la creta.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">La fornace a legna<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Altrettanto affascinante è il
racconto di Oronzo sulla fase di cottura dei pezzi nella fornace. Un lavoro
durissimo, ma con alcuni momenti piacevoli e pieni di suggestione. Tra questi
ultimi il rito propiziatorio che chiudeva la fase della cottura, con
l’invocazione ai vari santi e alla Madonna. </div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“Per me l’arte del vasaio è il lavoro più incredibile del mondo, è
magia vera. Ed il clou del ciclo di lavorazione era la cottura, dove vedevi
questi pezzi veramente trasformarsi. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando si cuoceva un forno era bucolico e piacevole, almeno per certi
versi. Sentivi il profumo di frasche mediterranee, perché si bruciavano legni
nobili: di ulivo, di nocciolo, di mandorlo. Quindi sentivi un gradevolissimo
odore. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La fornace grande era proprio qui, dove stiamo parlando. Si vedono
ancora le pareti annerite. Chiaramente la fornace non era grande come questo
ambiente: le pareti dovevano essere coibentate, altrimenti il fuoco le avrebbe
divorate. E allora con dei materiali che si producevano sempre nella bottega -
dei vasi, dei cilindri - si facevano una serie di coibentazioni tra il muro e
la parete del forno. E poi lo stesso forno era costruito con i mattoni che si
producevano sempre in bottega.<o:p></o:p></i></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyWDPZf7Ah4OWFNNqm945iP3Pre6GTKmPzADoA7ibSoDum6k0r8armVVpeI6uOwXVBf-M741yBUa8SuJEZTHrMu0O1YNmXSE8zbR_e9YaX9MF8EmVUat2LOSLj_99cL_uPEyBZrxIpek-M/s1600/mastro+padrona.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyWDPZf7Ah4OWFNNqm945iP3Pre6GTKmPzADoA7ibSoDum6k0r8armVVpeI6uOwXVBf-M741yBUa8SuJEZTHrMu0O1YNmXSE8zbR_e9YaX9MF8EmVUat2LOSLj_99cL_uPEyBZrxIpek-M/s320/mastro+padrona.JPG" width="240" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di M. Blasi (Coll. Lo Bosco)</td></tr>
</tbody></table>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Queste capase le abbiamo trovate nel muro: praticamente erano la
coibentazione del forno. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La prima cottura si iniziava la mattina e ci volevano 36 ore circa per
completarla. Ma questo forno era piccolo: c’era il forno di Fasano che era di <st1:metricconverter productid="100 metri cubi" w:st="on"><st1:metricconverter productid="100 metri" w:st="on">100 metri</st1:metricconverter> cubi</st1:metricconverter>, e la
cottura durava 4 giorni ininterrotti.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La seconda cottura avveniva in un forno più piccolo e quindi ci si
metteva meno tempo<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Si facevano dei turni, ma per modo di dire: non è che si andava a casa.
La notte magari quando uno cedeva la pala all’altro si buttava in un angolo e
dormiva. Ma il giorno si andava a dare una mano in bottega. Quindi erano turni
davanti al focolare, ma poi si andava a buttare il sangue in bottega. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il focolare era qui sotto. La mattina presto si veniva ad accendere un
piccolo fuoco. E ogni tanto si buttavano dei pezzi di legno belli grossi, non
di facile combustione. Finchè non si faceva un pavimento di brace. La temperatura
doveva salire lentamente, altrimenti uno shock termico poteva rompere tutto.
Quindi fino ai 3-400 gradi - ma era una
stima così, a intuito - si andava avanti in questo modo. Poi, a poco a poco si
cambiava tipo di combustione. E si alternava: una frasca, oppure fronde di
ulivo, a una palata di sansa. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Inizialmente si alimentava in maniera molto lenta, ma verso la fine
diventava un lavoro continuo, quasi parossistico. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando si buttava una palata di combustibile la si buttava in modo che
andasse su tutto il pavimento del focolare, per garantire sempre un’uniformità
di cottura. E mentesi faceva così, insieme alla palata entrava aria. E quindi in
un primo momento c’era un risucchio, e subito dopo un ritorno di fiamma. C’erano
queste lingue di fuoco che uscivano dal focolare e dai buchi del forno, e
l’operatore si doveva anche allontanare per non venire investito.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Il colore del fuoco nel focolare doveva essere uniforme. Se c’erano delle parti più scure voleva dire
che la temperatura non era uguale dappertutto. E allora si invitava chi buttava
palate di sansa a insistere un po’ su quella zona.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>La stima della temperatura si faceva principalmente ad occhio. Per fare
questo c’erano delle toppe ai vari livelli della fornace che permettevano di spiare
dentro. La cottura avveniva quando dentro il colore del forno era di un
bell’arancio vivo, ed una volta che la temperatura era raggiunta nei vari livelli
queste toppe venivano chiuse. Rimanevano per ultime le toppe in alto, dove in
corrispondenza di queste fessure si mettevano i mostrini, dei cilindri di
argilla cavi e smaltati con delle pennellate di giallo rosso e verde. Inserendo
un ferro ad uncino dentro il forno veniva estratto questo mostrino, e si vedeva
se la temperatura era stata raggiunta. Se non era perfettamente lucido si
doveva dare ancora fuoco.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando tutto sembrava pronto magari si andava a chiamare qualche
collega di cui ci si fidava e si chiedeva un parere: “tu cè ne dice, siamo
arrivati?” A quel punto si chiudeva anche il focoale. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro<i>: “E a questo punto iniziava la parte sacra della cosa, il rito
propiziatorio. Le ultime palate dovevano essere dedicate ai santi perché
proteggessero la cottura. E iniziavano le varie invocazioni a Santo Oronzo,
alla Madonna de lu Carmine, e così via. Noi bambini ci mettevamo tutti attorno
a dire all’operatore - che poteva essere Cataldo o Vituccio: “u nome mio, u
nome mio!” E l’ultima invocazione era “…e lu Signore cu la benedice!” Si
buttava quest’ultima palata, la frasca benedetta, e a questo punto si chiudeva
la toppa.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Non molto tempo dopo, spesso anche il giorno dopo, si iniziava a
riaprire il focolare. Perché non si poteva far si che la legna diventasse
cenere. Si doveva trasformare in carbonella e doveva essere venduta nelle case
per riscaldarsi. E allora veniva spenta la brace.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Quando ancora la temperatura non si era proprio abbassata, si
cominciava ad aprire anche sopra. C’erano un tasso di umidità e un calore
spaventosi, e gli operai entravano dentro a questo inferno con addosso un sacco
di iuta bagnato. E li si vedeva se si era stati bravi a condurre il fuoco.
Perché bastava poco per rovinare una cottura, e una cottura era il lavoro di
mesi! Bastava che si insistesse più su un punto perché in quella zona ci fosse
una temperatura altissima che scioglieva i vasi, li fondeva. Ed è successo
tante volte. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Io mi chiedevo: per la carbonella posso capire, ma i pezzi che stanno
nella parte sopra della fornace perché devono essere recuperati quando la
temperatura è ancora alta? Niente, così era, si cominciava subito. Anche perché
magari c’era il cliente che aspettava. E poi tanto non se ne fregava niente
nessuno della salute degli operai.” <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<o:p> </o:p> </div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">L’autoproduzione degli smalti<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ovviamente le botteghe
provvedevano anche alla produzione degli smalti necessari a impermeabilizzare e
decorare le terrecotte. </div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro ci spiega come in
realtà non vi fosse uno smalto omogeneo da utilizzare indifferentemente per
tutti i pezzi. Anche per il secondo fuoco erano utilizzate infatti grandi
formaci a legna, al cui interno vi erano giocoforza zone con temperatura
disomogenea: questo rendeva necessaria la produzione di smalti con diversi
punti di fusione, a seconda della zona del forno dove erano collocati i pezzi
da smaltare. La preparazione e la scelta dei vari smalti richiedeva dunque una particolare abilità da
parte dei maestri.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro:<i> “Gli smalti li facevano le botteghe stesse.
In bottega arrivavano i rottami di piombo che andavano calcinati in un
fornetto. La calcinatura avveniva tramite fusione e continuo movimento di
questa massa incandescente. Finchè praticamente le molecole si disgregavano e
diventava polvere. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Anche i rottami di ferro si calcificavano e quello era la base che
serve a fare il color miele, lo smalto miele. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Papà raccoglieva o i risultati della battitura del ferro, le piccole
scheggine, o i barattoli di conserva. Li schiacciavano e li mettevano nel
focolare, sotto. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Con i rottami di rame invece si faceva l’ossido di rame, per fare il
verde. E così via.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Ci voleva una grande maestria nel produrre smalti con diverso grado di
fusione. Perché essendo i forni così grandi, era impossibile che alla base e in
alto ci fosse nello stesso momento la stessa temperatura. Dovevi variare la
formula dello smalto a seconda dell’altezza degli oggetti nel forno. Quindi
alla base, dove il forno arrivava prima a temperatura ci voleva uno smalto più
refrattario. E invece in alto, dove arrivava la gradazione si raggiungeva alla
fine, uno smalto con un punto di fusione più basso. E in queste cose venivano
fuori le grandi capacità di chi allora aveva una bottega. Ora basta andare in
un deposito di smalti e ti compri tutto.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
A volte si utilizzava la tecnica dell’ingobbio, consistente
in un bagno di acqua e caolino nel quale venivano immersi i pezzi ancora crudi.
A questo scopo, il caolino veniva depurato e separato dal quarzo tramite un
procedimento che prevedeva una serie di lavaggi. <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[7]</span></span></span></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si tratta ancora una volta di
procedimenti oggi dimenticati da buona parte dei ceramisti moderni, anche se Marcello
Mastro ci rivela che la bottega Mastro fa ancora qualche concessione a
procedimenti di autoproduzione che teoricamente dovrebbero appartenere al
passato: <i>“La cristallina la facciamo
ancora noi. Abbiamo provato qualche volta a usare quella che si acquista, e non
era la stessa cosa.”<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Il “carattere” dei Maestri del passato<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Come abbiamo visto, i fratelli
Mastro non idealizzano il passato della ceramica di Grottaglie, e mostrano di
essere ben coscienti di quanto insalubre e faticosa fosse la vita degli
artigiani di un tempo. Allo stesso tempo nelle loro parole è viva l’ammirazione
per l’abilità e la dignità dei maestri del passato, soprattutto rispetto ad un
presente dove troppo spesso la qualità è stata scalzata da un’attenzione
esasperata ai gusti del mercato turistico.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro:<i> “Un tempo tutti facevano gli stessi oggetti
a Grottaglie: tutti facevano ad esempio gli struli, gli orci, le capase,
eccetera. Però quando vedevi un pezzo, tu capivi chi era il maestro che lo
aveva fatto. Lo capivi dalla forma, da impercettibili variazioni. E questo era
carattere. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Oggi invece c’è questo scopiazzamento generale, e tu non sai più chi ha
fatto cosa. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Salvo appena due o tre botteghe di questo paese, che continuano a fare
cose di qualità. Per il resto tutti si copiano a vicenda, ma senza
intelligenza. Pochi hanno ormai ha la capacità di fare cose di livello.
Appunto: non c’è più carattere. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<b><span style="color: red;">Presente e futuro delle Ceramiche Mastro<o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Pur tra mille difficoltà la
bottega Mastro è rimasta una realtà produttiva attiva e che produce alcune
delle ceramiche più interessanti di Grottaglie. Vicissitudini della vita e
necessità economiche hanno portato i fratelli Mastro a dedicarsi anche ad altre
attività collaterali, ma senza mai
abbandonare il lavoro della bottega di famiglia. In questo Oronzo e Marcello
mostrano di essere simili a Padre e Nonno in quanto a tenacia.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Oronzo Mastro:<i> “Mio Padre è morto il 16 settembre del 77,
quando io avevo 27 anni. Immaginate: io insegnavo a Novara,<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 12pt;">[8]</span></b></span></span></a> e da allora ogni
momento libero arrivavo qua, riaprivo la bottega, e mi davo da fare: a Natale,
per i Morti, durante l’estate. La mattina stessa che ho sepolto mio Padre sono
venuto qua a lavorare. Da quel momento è diventato impellente lavorare in
bottega, sia per amore suo - perché non ho voluto che si perdesse questa
l’attività della bottega - che anche per
una questione economica. Il mio stipendio non poteva bastare per mantenere
tutta la famiglia. E tanto meno bastavano quei 2 soldi di pensione di mia
Madre.<o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Con questa bottega sono riuscito a sostenere la famiglia in quegli anni
difficili, e ancora adesso dò una mano a Marcello, mio fratello più piccolo. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>Come è stato per mio Nonno e mio Padre, che hanno sempre fatto di tutto
per avere una propria bottega, anche per me oggi me è un punto d’onore
mantenere questa attività. <o:p></o:p></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>E qualche riconoscimento lo abbiamo avuto. Facciamo delle cose che - quando
la gente riesce a vederle - vengono apprezzate.”</i><span style="background-color: black; border: 1pt none black; font-size: 0pt; padding: 0cm;"> <span lang="X-NONE"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFXsUa8NGBySaDo5sMM_kNc1N7FT1so4r8HBrgJDMhzbqibRPj5_0BGSMutzDmYIj5bYBTBQ8QFEFLCIPqjxHwYsUr51hPAvB0GA58W7ykiS-3RxbBVQoZtkL_9yI-Vpb5mj4aaZ167dGV/s1600/m+mastro+gallina.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiFXsUa8NGBySaDo5sMM_kNc1N7FT1so4r8HBrgJDMhzbqibRPj5_0BGSMutzDmYIj5bYBTBQ8QFEFLCIPqjxHwYsUr51hPAvB0GA58W7ykiS-3RxbBVQoZtkL_9yI-Vpb5mj4aaZ167dGV/s320/m+mastro+gallina.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">fischietto di M. Mastro (foto G. Croce)</td></tr>
</tbody></table>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="color: red;">I testi sono di Massimiliano Trulli
massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata</span></i></div>
<div>
<br />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<div id="ftn1">
<div class="MsoNormal">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[1]</span></span></span></a> <span style="font-size: 10pt;">Peppino Carella organizzò nel 1979 <st1:personname productid="la I" w:st="on">la I</st1:personname> edizione di quella che fu la prima rassegna in
Italia dedicata ai fischietti in terracotta. L’iniziativa dette in questo modo
un contributo importante alla rinascita di interesse verso questa forma di artigianato
da parte di studiosi, appassionati, collezionisti. Dopo aver raggiunto un
crescente successo la rassegna si interruppe negli anni ’80, ma aprì la strada
ad altre manifestazioni di questo genere .<o:p></o:p></span></div>
</div>
<div id="ftn2">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[2]</span></span></span></a> La descrizione è contenuta
nella tesi di laurea di Paola Piangerelli dell’AA 1973-74 (pubblicata in
Sibilus 2, Agenzia Autonoma di Soggiorno e Turismo di Caltagirone, 1994). Anche
P. Piangerelli (cur.) , <st1:personname productid="La Terra" w:st="on">La Terra</st1:personname>,
il fuoco, l’acqua, il soffio, la collezione dei fischietti in terracotta del
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1995
riprende – anche se in maniera meno diffusa – notizie su Giovanni Mastro e
pubblica le foto di numerosi fischietti acquisiti nel 1974.</div>
</div>
<div id="ftn3">
<div class="MsoNormal">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[3]</span></span></span></a> <span style="font-size: 10pt;">Clizia, “3 uomini in tenda, scorribanda appulo-lucana nel mondo dei
fischietti”, 1995. Si tratta di un volumetto ciclostilato e distribuito tra gli
appassionati di ceramiche fischianti dell’associazione Anemos.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><i><span style="font-size: 10pt;"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size: 10pt;">[4]</span></b></span></span></i></span></a><i><span style="font-size: 10pt;"> La celebre
zona delle botteghe di ceramica di Grottaglie è nota nel dialetto locale come “li
cammen’ri” – nome proveniente dalla presenza dei camini
delle fornaci.</span></i></div>
</div>
<div id="ftn5">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[5]</span></span></span></a> Oggi i pezzi di Giovanni
Mastro sono conservati in importanti musei e collezioni private come il Museo
Nazionale delle Arti e tradizioni popolari di Roma, il Museo delle Ceramiche di
Faenza, la collezione Majorana di Taranto.</div>
</div>
<div id="ftn6">
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 12pt;">[6]</span></span></span></a> <span style="font-size: 10pt;">Citiamo volentieri alcuni tra gli operai che
lavorarono presso la bottega di Oronzo Mastro, come<i> </i>Mestu Linardo di Rozzlamuenici,
Francesco Magazzino ed Emanuele Patruno. Si veda “Francesco Mastro e Ciro
Logorio, “I Mastro, più di un secolo di tradizione”, testo che accompagnava la
mostra realizzata a dicembre 2000 <a href="http://digilander.libero.it/ciroarcad/camini/index_file/Page1571.htm"><span style="color: windowtext;">http://digilander.libero.it/ciroarcad/camini/index_file/Page1571.htm</span></a>.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[7]</span></span></span></a> P. Piangerelli, op. cit.</div>
</div>
<div id="ftn8">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/puglia/mastro/pezzo%20Mastro.doc#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size: 10pt;">[8]</span></span></span></a> Oronzo è tutt’ora
professore di arte pittorica presso il Liceo Artistico Statale della città
piemontese.</div>
</div>
</div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-91536573950284592652012-05-10T23:57:00.000+02:002012-06-14T00:11:58.014+02:00International Competition for Ceramic Whistles 2012 Edition - Matera<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTPvd6eo92vggf9bCAuuZ2dI-9KLKNaeYhzgJYZkSU-N6ALpFvar73-NBn-cWRk4WEtOmL0LRZqQU8qFpBR89-CXfvoHvyFTDbJ8Jg-Ov9HVc5b4UYev-IMMtY4GxIMz5dG-eiY5aG7_bg/s1600/biennale+2010+.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTPvd6eo92vggf9bCAuuZ2dI-9KLKNaeYhzgJYZkSU-N6ALpFvar73-NBn-cWRk4WEtOmL0LRZqQU8qFpBR89-CXfvoHvyFTDbJ8Jg-Ov9HVc5b4UYev-IMMtY4GxIMz5dG-eiY5aG7_bg/s400/biennale+2010+.JPG" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 4.55pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 4.55pt; text-align: center;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-weight: bold;">Call for entries.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 4.55pt; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 18.5499pt; text-align: center;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-weight: bold;">International Competition </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 18.5499pt; text-align: center;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-weight: bold;">for Ceramic Whistles </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 18.5499pt; text-align: center;">
<span lang="it" style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-weight: bold;">3rd Edition 16 September – 30 September 2012</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 4.55pt; margin-right: 18.5499pt; text-align: center;">
<span lang="it" style="font-family: Arial; font-size: 14pt; font-weight: bold;">Città di Matera</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; text-align: justify;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;">The Town of Matera and The Cultural Association Genius Loci announce their call for entries for </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>3rd</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"> </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">Edition of the International Competition for Ceramic Whistles - 2012 Città di Matera</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-style: italic; font-weight: bold;">Rules</span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>1- All participants are entitled to present from three to maximum six whistles created with ceramic materials. Participating is free of charge.</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>2- Works must not exceed the following measures 20 x 20 x 25h cm. Entries measuring longer or wider will not be accepted</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">. No specific theme is provided. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">All participants can present whistles made of terracotta, ceramic, gres or porcelain or made by the combination of this material. Entries created by non ceramic procedures or with different materials (wood, glass, etc), will not be admitted. Each work has to be signed with the name of the artist.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">3- Entries must be sent to </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">Ass. Culturale Genius Loci, c/o Casa Grotta del Casalnuovo, Rione Casalnuovo 308, 75100 Matera – Italy within September 10th, 2012. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;">All entries must include a properly completed application form that can be sent with the works or by</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"> fax</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> to the </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">0039 0835 314139 </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;">o mailed to </span><a href="mailto:geniuslocimatera@libero.it"><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial; font-weight: bold; text-decoration: none;">geniuslocimatera@libero.it</span></a><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>4- Entries must be sent</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"> with prepaid shipping expenses. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;">Entries must be packed carefully to avoid damage. The sponsor cannot assume responsibility for any damage sustained to the entries before they have been received. The works must arrive by June 17th of May 2012. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">5- All the whistles will be exhibited from to the 16th to the 30th of September2012 in the Exibition Space of Santa Maria De Armenis </span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;">– Matera </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>6- During the exhibition it is not possible for the artists to sell the works present in the competition. The artists can indicate the value of their works in the application form, in order to satisfy any purchase request only at the end of the exhibition.</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"> </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;">In this case a commission of </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> 20% is charged. The commission must be included in the price indicated in the application form</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;">. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>7- The </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial; font-weight: bold;">members of the commission</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> will be </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">chosen</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> by the Ass. Genius Loci and will be </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">composed of experts</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> in the </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">art</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> field. The name of the</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> Members will be made public only when their final verdict has been announced.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="it" style="font-family: Arial;"> 8- </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">Prizes</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> are listed below and will be subject to tax deductions required by law. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-align: justify; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>1st Prize</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> € 750,00 + honorable mention</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-align: justify; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>2nd prize</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> € 500,00 + honorable mention </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-align: justify; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="it" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>3rd prize</span><span lang="it" style="font-family: Arial;"> € 250,00 + honorable mention</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;">PUBLIC’S PRIZE, € 250 for the entry chosen by the public which has not won another prize.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">All the Competitors </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">will</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> receive a </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;">Certificate</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> of participation.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">Three more sections are:</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">The Best whistle made according to the Italian tradition</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">The Best whistle made by foreigner artists.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">The Best Innovative whistle. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 39pt; text-indent: -8.25pt;">
<span lang="en-US" style="font-family: Arial;">The Best Water clay whistle.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 35.4pt; text-indent: 35.4pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>9- The </span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial; font-weight: bold;">decisions of the jury</span><span lang="en-US" style="color: black; font-family: Arial;"> are final and require no justification. The communication to the winner will be sent by post mail to the their address or by e-mail. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-align: justify; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>10- PUBLIC’S PRIZE:</span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"> euro 250,00. This prize is awarded to an entry which has not already won another prize and is been most voted by the public during the exhibition.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>11- Participating in this contest, the authors allow the organizers to reproduce the image of the winning and selected works in any kind of medium. These images will be only exhibited for the promotion of similar contests or for other social and cultural activities organized by the Cultural Association Genius Loci or sponsored by the Town Council of Matera </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>12- Winning entries, and the group belonging to the same author, will remain property of the Association “Genius Loci Matera” and will be exhibited in the </span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">Civic Museum of Ceramic Whistles of Matera.</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial; font-weight: bold;"><span dir="ltr"></span>13- Donation:</span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"> Participants can donate their works to the Civic Museum Of Ceramic Whistles of Matera or they can sell their work after the competition (see art. n. 6). The authors will indicate their decision in selling or donating their works in the Application Form </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"> </span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial; font-weight: bold;">Return of entries: the return’s costs will be paid by the partecipants.</span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"> All the works will be returned in three months after the exhibition. </span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>14- The </span><span lang="en-GB" style="color: black; font-family: Arial;">Organising Committee </span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;">will take the greatest care in handling all work. </span><span lang="en-GB" style="color: black; font-family: Arial;">The author will take responsibility for the correct packaging and transport of his or their works. The same packaging will be used by the Commission to return entries by courier if so requested. All transport costs prior to and following the exhibition are payable by the participant </span><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;">.</span><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"><span dir="ltr"></span>15- Participation in this competition implies acceptance of its rules and conditions.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 6pt; margin-left: 36pt; text-indent: -18pt;">
<a href="http://www.blogger.com/goog_1973699403"><span lang="en-GB" style="font-family: Arial;"> </span></a><a href="http://tinafesta.files.wordpress.com/2012/05/bando-e-scheda-biennale-2012-ingl.pdf">Download rules and application form here.</a><span lang="en-US" style="font-family: Arial;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<a href="http://tinafesta.files.wordpress.com/2010/02/rules-2nd-edition-ceramic-whistle-competition-may-2010-matera-italy.pdf"></a>Genius Locihttp://www.blogger.com/profile/03212553811587045880noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-13331574689978028122012-04-26T22:47:00.000+02:002012-09-16T00:25:18.919+02:00Biennale Internazionale del Fischietto - Matera Settembre 2012 III Ed.<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt; text-align: center;">
<b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 21.5pt;">III Edizione del Concorso Internazionale<br />
Biennale del Fischietto in Terracotta<br />
16 Settembre - 30 Settembre 2012 <br />
Città di Matera</span></b><b><span style="color: red; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;"></span></b></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 12pt; text-align: center;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;">Mostra-Concorso
organizzata da:<br />
Associazione Culturale Genius Loci Matera<br />
con il patrocinio del Comune di Matera </span></div>
<div class="MsoNormal" style="line-height: normal; margin-bottom: 0.0001pt;">
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3tLe8oJXY6C501NDXWrF1kZeFPKgsHvi5k7A_zcIfMDDO6vV_Z9_eNMpgN8NPgglgXRu-8Zu3IenroyjdmKQA8jYzr_6NRYpyLfx2USQuVdPmpBQ29EqiPjkAebS5w5xB0GEuE09ls_U/s1600/I+premio.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3tLe8oJXY6C501NDXWrF1kZeFPKgsHvi5k7A_zcIfMDDO6vV_Z9_eNMpgN8NPgglgXRu-8Zu3IenroyjdmKQA8jYzr_6NRYpyLfx2USQuVdPmpBQ29EqiPjkAebS5w5xB0GEuE09ls_U/s1600/I+premio.JPG" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><b>I Premio Ed. 2010 - Paccagnella Nicoletta (Nove - VI)</b></td></tr>
</tbody></table>
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;"><br />
</span><br />
<h3 style="color: red;">
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: 12pt;"><b>ATTENZIONE: per sopraggiunta indisponibilità dei locali espositivi le date sono state modificate!</b></span></h3>
<b><span style="color: #000099; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;">REGOLAMENTO</span></b><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;"><br />
<br />
<span style="color: #000099;">PARTECIPAZIONE AL CONCORSO</span><br />
</span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;"><span style="color: #000099;">Art. 1 - La partecipazione al Concorso
Internazionale del fischietto in terracotta di Matera è aperta a tutti coloro
che presenteranno le proprie opere inedite realizzate in terracotta e ceramica
e con caratteristiche tipiche della ceramica sonora.</span></span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;">
<span style="color: #000099;">Ogni partecipante può presentare da un minimo di
tre ad un massimo di 6 opere.</span></span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;">
<br />
<span style="color: #000099;">CARATTERISTICA DELLE OPERE</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 2 –Le opere non dovranno superare le seguenti
misure: 20 x 20 x 25h cm. L’associazione si impegna ad esporre tutte le opere.</span><br />
<span style="color: #000099;">Il soggetto è a tema libero.</span><br />
<span style="color: #000099;">Ogni manufatto dovrà essere costituito
esclusivamente da terracotta, terraglia, ceramica, grès o porcellana o anche
dalla combinazione di questi materiali, ma non deve prevedere l’aggiunta di
altro materiale dominante (ferro, legno, vetro, stoffa etc). I manufatti non
dovranno comportare per l’esposizione assemblaggio e montaggio degli stessi.</span><br />
<span style="color: #000099;">Ogni opera presentata dovrà portare incisi o scritti
sotto la base nome e cognome dell’Autore.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">SCHEDA DI ADESIONE</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 3 - I concorrenti, pena la non ammissione al
concorso, dovranno far pervenire la scheda di adesione, compilata in ogni sua
parte, <b>entro le ore 12.00 del 10 Settembre2012</b>, spedendola via fax al n. 0835/314139
o inviandola via e-mail a <b>geniuslocimatera@libero.it</b> , o via posta a: A<b>ss.
</b></span></span><span style="font-size: large;"><b><span lang="EN-US" style="color: #000099; font-family: "Times New Roman","serif";">Culturale Genius Loci , Rione Casalnuovo, 308 - 75100
Matera.</span></b></span><span lang="EN-US" style="color: #000099; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;"> </span><span style="color: #000099; font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;">In quest’ultimo caso farà fede il timbro postale.</span><span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;"><br />
<span style="color: #000099;">Copia della scheda potrà anche essere inviata
insieme ai manufatti partecipanti al Concorso entro il termine previsto dal
successivo articolo.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">SPEDIZIONE DELLE OPERE</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 4 - Le opere partecipanti dovranno essere
consegnate, o inviate porto franco, presso la sede dell’Ass. Culturale Genius
Loci, in Rione Casalnuovo, 308 - 75100
Matera, entro le ore 12.00 del giorno 10 Settembre 2012.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Esposizione delle opere:</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 5 - Le opere rimarranno esposte, dal 16 Settembre
2012 al 30 Settembre 2012, nella Sala Espositiva della Chiesa di Santa Maria de
Armenis – Sasso Caveoso, Matera.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 6 – Durante tutto il periodo della Mostra non
è consentita agli autori la vendita dei fischietti ivi esposti.</span><br />
<span style="color: #000099;">Gli Autori potranno inviare l’indicazione del
prezzo richiesto per ciascuna opera, per eventuali richieste di acquisto da
perfezionare a fine della Mostra.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Commissione</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 7 – Una qualificata Commissione, nominata
dall’Associazione Culturale Genius Loci, composta da esperti di arte e
tradizioni popolari più un rappresentante dell’Amm.ne Comunale, provvederà ad
esaminare e valutare le opere partecipanti. I nomi dei componenti tale
commissione saranno resi noti il giorno di apertura del concorso.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">PREMI</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 8 - La Commissione, dopo aver visionato e
valutato le opere, provvederà ad assegnare, con apposita motivazione verbalizzata,
che terrà conto degli aspetti tecnici specifici e stilistici/artistici, i
seguenti premi:</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Al 1° classificato € 750,00 + attestato di merito</span><br />
<span style="color: #000099;">Al 2° classificato € 500,00 + attestato di merito</span><br />
<span style="color: #000099;">Al 3° classificato € 250,00 + attestato di merito</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">E’ istituita inoltre una specifica sezione per
l’individuazione e la segnalazione di autori ed opere che si riferiscono a:</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">- Modellazione del miglior fischietto secondo
tradizione.</span><br />
<span style="color: #000099;">- Modellazione del miglior fischietto innovativo.</span><br />
<span style="color: #000099;">- Modellazione del miglior fischietto straniero.</span><br />
<span style="color: #000099;">- Modellazione del miglior fischietto ad acqua.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Attestati di partecipazione saranno consegnati a
tutti gli autori.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 9 –Le decisioni della Commissione di esperti
prevista dagli articoli precedenti sono insindacabili ed inappellabili.</span><br />
<span style="color: #000099;">La comunicazione ufficiale ai vincitori del
concorso sarà resa nota attraverso posta (r/r) o via e-mail.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Giuria popolare</span><br />
<span style="color: #000099;">Art. 10 – E’ istituito inoltre un premio di 250,00
euro, che sarà assegnato attraverso le votazioni espresse da una giuria
popolare, composta dai visitatori dell’esposizione, che con apposita scheda
potranno esprimere le proprie scelte. Dal voto popolare verranno naturalmente
esclusi i 3 (tre) manufatti vincitori del Concorso già scelti dalla Giuria
degli esperti.</span><br />
<span style="color: #000099;">Lo spoglio delle schede di giudizio, debitamente
sottoscritte e raccolte nel periodo che intercorre tra il 16 ed il 30 Settembre 2012, in apposita urna sigillata, avverrà nei giorni successivi alla
chiusura della mostra, alla presenza di una apposita commissione nominata dalla
Ass. Culturale Genius Loci.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 11 - L’adesione dei partecipanti al Concorso
autorizza gli organizzatori a riprodurre per la stampa di cataloghi e
manifesti, senza corresponsione di diritti d’autore, le opere partecipanti. Per
il manifesto del concorso successivo sarà impiegata l’immagine dell’opera del 1
classificato.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 12 - Le opere premiate, in tutte le sezioni di
premi, unitamente al gruppo presentato da ogni singolo artista, rimarranno di
proprietà dell’Associazione che si impegna nella conservazione delle stesse in
una raccolta civica.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 13 – E’ facoltà degli Autori delle opere non
premiate donare le medesime all’Associazione Genius Loci che si impegna a
destinarle come al precedente punto 12. In caso contrario le opere rientreranno
in possesso degli autori entro tre mesi dalla conclusione della manifestazione
con spedizione in contrassegno.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 14 - Gli organizzatori, pur garantendo la
massima cura ed attenzione nella conservazione e custodia delle opere, non si
assumono alcuna responsabilità per eventuali danni o furti, sia durante il
trasporto che per i periodi di esposizione.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 15 - La partecipazione al Concorso
Internazionale della Ceramica Sonora implica l’accettazione di tutte le norme
contenute nel presente regolamento. Non è richiesta alcuna quota di
partecipazione.</span><br />
<br />
<span style="color: #000099;">Art. 16 TUTELA DEI DATI PERSONALI</span><br />
<span style="color: #000099;">Ai sensi dell'art 13 del D.Lgs. 196/03, si informa
che i dati forniti all'atto dell'iscrizione saranno conservati
dall’Associazione Genius Loci ed utilizzati esclusivamente al fine di inviare
informazioni riguardanti l'Associazione o eventi che abbiano attinenza con il
concorso, e che il titolare ha diritto di conoscere, aggiornare, cancellare e
rettificare i suoi dati od opporsi al loro utilizzo.</span><br />
<br />
<br />
<span style="color: #000099;">Ass. Culturale GENIUS LOCI </span></span><br />
<br />
<span style="font-family: "Times New Roman","serif"; font-size: large;"><span style="color: #000099;"><a href="http://tinafesta.files.wordpress.com/2012/04/bando-e-scheda-biennale-2012.pdf">Scarica qui il bando e la scheda di adesione. </a></span></span></div>
Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-90091171131110829902012-03-30T20:11:00.018+02:002012-03-31T18:08:15.146+02:00Fischietti umbri al femminile - Ede Napoletti e Anna Boni Reali<div style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: -webkit-center; "><p class="MsoNormal" align="center"><i><span >Memorie e Suoni di Terra <o:p></o:p></span></i></p> <p class="MsoNormal" align="center"><i><span><span >conversazioni con i maestri artigiani costruttori di fischietti in terracotta</span><span><o:p></o:p></span></span></i></p></div><p style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "></p><p style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "></p><p class="MsoNormal" align="center" style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: left; "></p><div style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: center; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTUT4-8_l8lV9ycSiKW7XPFDmsSz39eM-Wye06OP5lz6Fv-pg71gBfpJlvwRBzXyQtl61EVVk-FQobcefszaz12e6FPflPbCCv6DWdXQM7CZsDjPxEaTE-HwaDaVluGCIJsr5jd01hcBq4/s320/foto+Loforti.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725755068871541858" style="display: block; margin-top: 0px; margin-right: auto; margin-bottom: 10px; margin-left: auto; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="text-align: justify; "><span><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Nei paesi della provincia di Perugia dove una volta erano radicate le botteghe di vasai, sono state due donne le ultime artigiane a portare avanti la produzione di fischietti in terracotta: si tratta di Anna Boni e Ede Napoletti. Ce ne parlano la stessa Signora Ede e Temistocle Reali - figlio di Anna e di suo marito Lorenzo Reali.<span class="MsoFootnoteReference"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile_foto.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[1]</span></span></a></span></p></span></span></div><div style="text-align: left;font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; "><b>Ede Napoletti:</b> “</span><i style="font-weight: normal; font-size: 100%; ">Mio marito faceva le terrecotte e i fischietti, e pian piano mi sono appassionata a queste cose. Non lavoravo al tornio, non lo so usare. Ma facevo le rifiniture, i decori. L’ho fatto per tanti anni.”</i></span><span class="MsoFootnoteReference" style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA"></span></span></span></div><p style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; "><b>Temistocle Reali</b><span style="font-weight: normal; ">:<i> “Anche Mamma aveva imparato a fare i fischietti, così li facevano sia lei che Papà. Mamma, però era più virtuosa.”<o:p></o:p></i></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span >Il ruolo delle donne nella ceramica popolare</span><o:p></o:p></b></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">A ben vedere non si tratta di un caso così eccezionale. Anche se allarghiamo lo sguardo alle altre regioni d'Italia, è ormai riconosciuto che le donne abbiano avuto un ruolo non trascurabile nella produzione artigianale legata alla terracotta. E se nelle dinastie di vasai erano i figli maschi a essere iniziati all’arte del tornio ed a ereditare un giorno la gestione della bottega, è altrettanto vero che figlie e mogli davano immancabilmente un contributo importante nel portare avanti l’attività.</span></div><div style="font-weight: normal; "><div style="text-align: center;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Alle donne erano affidate operazioni comunque faticose - come trasportare e impastare l’argilla - o per le quali era necessaria una notevole abilità – come eseguire le decorazioni e rifinire i pezzi. Tra le mansioni spesso affidate alle donne vi era inoltre la modellatura e la decorazione di alcune delle produzioni più umili della bottega, come appunto i fischietti in terracotta.</span><span class="MsoFootnoteReference" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title="">[2]</a></span></span></span></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><!--[endif]--></a></span></p> </div><div style="font-weight: normal; "><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Da questo punto di vista ci sono molti esempi documentati: a Nove (Vicenza), Antonia Scuro – moglie di Giacomo e mamma di Mario - era particolarmente abile nel modellare le parti fischianti da applicare poi ai cuchi fatti a stampo;<span class="MsoFootnoteReference"> <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[3]</span></span><!--[endif]--></a></span> a Pignataro di Broccostella (Frosinone), la modellatura dei fischietti era addirittura una mansione prettamente femminile, portata avanti fino ai primi anni ’80 da Stella Adinolfi e dalla figlia Vincenza Santucci.<span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title="">[4]</a></span></span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><!--[endif]--></a></span><span style="font-size: 100%; ">Ma torniamo alla tradizione dei vasai nella provincia di Perugia. A Montefalco e Torgiano fino a pochi decenni fa erano numerose le botteghe dei vasai. E se Deruta è nota sin dalla prima metà del ‘500 per la produzione di ceramica colta, la frazione di Ripabianca era specializzata già nell’800 nella modellatura di terrecotte non decorate.</span></p></div><div style="font-weight: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span>Due botteghe artigiane tra passato e presente</span><o:p></o:p></b></p></div><div style="font-weight: normal; "><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; ">In questo contesto fatto di piccole botteghe a gestione famigliare, si inseriscono le vicende di Anna Boni ed Ede Napoletti. Entrambe si maritarono con artigiani vasai che avevano alle spalle una solida tradizione famigliare: la prima sposò Lorenzo Reali, che aveva la sua bottega a Montefalco, mentre Ede Napoletti sposò Umbero Berti, vasaio di Ripabianca.</p></div><div><div style="font-weight: normal; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPxEW1sQj6Nria-tz9P6vIBopkXibXyND1Cwvkr2c8xvx-t8Ycp1VuNMyL6ZEv7a3rX2OU81UVvUhX1ZqP0MgRKb3lN5Yg9VXOJ7DdBavLrayf59IAakYQ2hoKqlv-Ub6L3R9qVR0qsn4-/s320/boni+reali.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725762795399290322" style="color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ed entrambe si impegnarono a fondo nell'attività della bottega di famiglia. Non disdegnavano i lavori più umili, ma possedevano anche un estro creativo destinato a esprimersi sopratutto in tempi recenti attraverso la modellatura di fischietti e - per quanto riguarda </span><st1:personname productid="la Boni" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">la Boni</st1:personname><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> - di sculture in terracotta.</span></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Si tratta dunque di due storie personali con alcuni punti in comune, ma con un epilogo molto diverso. In seguito alla crisi della terracotta, all'inizio degli anni '90 la produzione della famiglia Reali è cessata. E’ d’altronde questa la sorte toccata dal secondo dopo guerra in poi a buona parte delle botteghe di vasai del perugino. Lo stesso Temistocle Reali – che era stato avviato al mestiere di vasaio sin dall'infanzia – una volta raggiunta la maggiore età dovette cercarsi una diversa professione.</span></div><div style="font-weight: normal; "><br /></div><div style="font-weight: normal; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ede Napoletti è invece riuscita nell'impresa non facile di dare continuità alla propria attività artigianale ed a trasmetterla a figlio e nipote.</span></div></div></div><div style="font-weight: normal; "><br /></div><div style="text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali</b>: “</span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">In famiglia abbiamo avuto generazioni di vasai: mio bisnonno Leopoldo, mio nonno Anagarzio, mio Papà Lorenzo, ed io.</i></div> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><i>Io ho fatto il vasaio fino alla classe terza media, lavoravo con il tornio. Quando ho smesso avevo 18-19 anni. Ho discusso con mio Papà perché lui voleva che io continuassi. Ma il lavoro non era redditizio. Volevo formarmi una famiglia e mi serviva il famoso posto fisso. E allora me ne sono andato. E mio Papà ha continuato da solo.<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">A Montefalco ce n’erano parecchi di vasai: erano 7-8 all’epoca. Poi è rimasto solo mio Papà. Tutti gli altri sono morti, e dei figli non ha proseguito nessuno. </i></div></div><div><div style="font-weight: normal; "><div style="text-align: left;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Così a Montefalco il mestiere del vasaio è sparito completamente. Ed anche da altri paesi."</i></div></div><div><div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b>: “</span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Son tanti anni che facciamo queste cose: nonni, bisnonni…di generazione in generazione. Nel ‘38 ho sposato Berti Umberto, mio marito, e sono venuta a vivere qui. A Ripabianca c’erano altre 3 fornaci, tutte a legna. Oggi tutte hanno smesso, i vecchi sono morti e i giovani hanno cambiato mestiere e non fanno più i cocci.</i></div></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Poi mio marito è morto a 55 anni. Ma abbiamo continuato insieme a mio figlio Silvestro e mio nipote Fabrizio. Mio nipote lavora sul tornio e ha imparato molto bene. Ora ho un pronipote e chissà se anche lui vorrà fare questo mestiere.”</i></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><br /></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ovviamente i due racconti sul mestiere di vasaio si sviluppano su piani cronologici diversi. Reali </span><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">parla al passato e con una certa nostalgia della bottega e della fornace di famiglia oggi smantellate, e che si trovavano nel rione dei vasai di Porta Caimano. </span><st1:personname productid="La Signora Napoletti" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">La Signora Napoletti</st1:personname><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> racconta invece di quello che tutt'ora rappresenta il suo mestiere - pur con le dovute differenze rispetto al passato.</span></div><div style="font-weight: normal; "><div style="text-align: justify;"><br /></div></div><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali</b>: "</span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">La bottega purtroppo l’abbiamo venduta, con grande rammarico. Avevamo una bella casetta nel rione di via Porta Camiano fatta tutta con mattoni e travi di legno. Sotto c’era il laboratorio, e da un altro ingresso si andava alla fornace. Era casa e bottega, praticamente. Purtroppo non se ne vedono più di botteghe così.”</i></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><span><br /></span></div></div><div><div><div><div style="text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b>: </span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">”Ora abbiamo costruito un nuovo fabbricato, ma prima vivevamo tutti in quella casa. E’ la casa paterna di mio marito dove mi sono sposata e dove sono nati i miei figli. E li accanto erano il vecchio laboratorio e la fornace.</i></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><i>La fornace a legna che usiamo adesso è rifatta, mentre quella è antica. Io penso che sia senz’altro dell’800 o dei primi del ‘900. Hanno fatto anche degli studi e dicono che è una delle fornaci più antiche in assoluto."<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">L’azienda famigliare dei Berti è riuscita a sopravvivere alla crisi del settore puntando tutto sulla tradizione: a tutt'oggi vengono</span></div><div style="font-weight: normal; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhwz_YYP_P_F-E4IHhB08HoWcqYUsEuptbuZvTNKh5VwQWG6cPX6jgQReTVLb16p-NHKK7_rSgfMk2_C2bWkrSIgDTKoqT9m2HgbjG7d4Z_s1DSRLBH8JqKdnamUsJXRIlPG-MGC1g8EiHD/s320/P1010345.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725763622653165954" style="text-align: justify;float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> adoperati fornace a legna e persino creta estratta e depurata localmente senza l'utilizzo di procedure industriali. In questo modo i Berti si sono assicurati una nicchia di clienti</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> costituita da cultori della ceramica popolare realizzata con materiali e procedimenti rigorosamente</span></div><div><div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> tradizionali.</span></div></div></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti:</b></span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> "Tra i nostri prodotti e quelli fatti dagli altri c’è molta differenza! Cominciamo dalla terra: la terra che si compra e viene dalla Toscana, è degassata. Vorrebbe dire che è depurata. Viene cavata dal suolo come tutta la terra, ma poi passata con tanti macchinari che gli levano tutte le impurità. E allora non ha tutta una serie di sostanze minerali. La nostra, essendo come si trova in natura c’ha la resistenza, non è sfiancata.</i><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Così i vasi nostri possono stare al gelo quanto gli pare, ma non si rompono. Quelli fatti con la terra toscana invece si sfaldano.</i></div></div><div style="font-weight: normal; "><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E poi anche il forno a legna è molto diverso: il colore che gli può dare la fiamma non glie lo può dare il gas!</i></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><br /></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E’ faticoso ma ci siamo nati con questo mestiere: padri, figli, nipoti. Se io levassi il forno a legna perderei tanti miei clienti. Sono tutta gente istruita: dottori, professori, professionisti. Non prendono vasi se non sono fatti qui, perché noi manteniamo ancora la tradizione.”</i></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span><span >L'estrazione e la preparazione dell'argilla</span></span><o:p></o:p></b></p><div style="font-weight: normal; "><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Temistocle Reali ci racconta la lunga e faticosa procedura utilizzata quando lui era un ragazzino per cavare l'argilla vicino a Montefalco, presso la cava di San Clemente, e poi per renderla pronta per l'uso: "</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">L’argilla si procurava fuori del paese. Quando ero giovane ci sono andato anche io con mio Papà. C’erano dei banchi di argilla, andavamo alla cava col piccone, levavamo la terra, e venivano via dei pezzi fatti come dei libretti. Poi venivano con i buoi e la portavano su in paese.</i></div><div style="text-align: justify;"><span><br /></span></div></div><div style="font-weight: normal; "><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhuI6h_8vjQIxouw5O_gvFMa7Ci2nZUu59nYg7W7z5zb9IY1Nzy4o_QX6NmgqomtQZU4ZJGjDOzY9BBHEMmdieMwdbgrsAuIn24XWU8TJxB-d7W6ZiJzXxwlnSVuhx4Devi8ChLgGaSIerK/s320/1980+ca.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725764151231476866" style="float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 216px; height: 320px; " /></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div style="text-align: left;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Una volta su, l’argilla veniva spezzettata con un’ascia e buttata dentro una buca nel laboratorio. Poi dentro aggiungevamo un po’ d’acqua e veniva come un impasto. Poi si metteva l’argilla su un bancone lungo e con la verga di ferro si batteva 20-30 volte su e giù. Così veniva amalgamata, se no era tutta a tocchi, a pezzettini. Poi dopo la mettevamo un po’ fuori ad asciugare, se no era troppo molle. E poi si rimetteva su un altro bancone e si faceva come si fa il pane, si impastava. Perché se non era compatta non si poteva fare niente. E poi si lavorava. Oggi la terra arriva già pronta, non fai altro che prendere i tocchi di questa terra e metterla in lavorazione."</i></div></div></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><span><br /></span></div><div style="font-weight: normal; "><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Come già accennato, i Berti hanno deciso di continuare a fare uso della terra locale da loro stessi estratta e depurata. Anche se oggi la procedura è resa più agevole dall'uso di mezzi meccanici come l'escavatrice e l'impastatrice, si tratta di una scelta senz'altro onerosa dal punto di vista dei tempi di lavorazione.</span></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b>:</span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> “Noi c’abbiamo ancora la terra nostra dal campo: la estraemo l’argilla. Solo che adesso la scavamo con l’escavatore.</i></div><div style="font-weight: normal; "><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Questa è la terra che viene già pronta dalla Toscana, la usiamo ma ci facciamo solo certi lavori, perché è terra più fina.</i></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Invece la terra nostra che scavamo giù al terreno è questa. C’è tanta lavorazione da fare: bisogna romperla a mano con il martello, poi si mette a bagno, poi si passa sui rulli per farla fina, e poi va all’impastatrice. E dopo è pronta."<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span >La tornitura dei pezzi</span></b></div></div><div style="font-weight: normal; "><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span><br /></span></b></div><div style="font-weight: normal; "><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Temistocle elenca quelli che erano i prodotti più comuni delle botteghe dei vasai, tutti rigorosamente realizzati con il tornio a pedale: </span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">"Mio Papà era un tornitore, faceva ad esempio le famose brocche per l’acqua. All’epoca le brocche erano indispensabili, perché in casa non ce l’avevamo l’acqua. Avevamo delle fontane pubbliche dove si andava ad attingere con queste brocche. Poi le donne le mettevano in testa, avvolgendo una specie di fazzoletto per tenerle sulla testa in equilibrio.</i></div></div> <div style="font-weight: normal; "><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Poi Papà faceva i catini, vasi grandi dove adesso piantano i limoni. All’epoca però erano per fare il bucato, con la cenere. Facevamo anche questi mortai per il sale, perché il sale allora era grosso, e bisognava pestarlo. E i boccali per il vino che usavano nelle bettole.</i></div><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Faceva anche quegli orci grandi per l’olio da un quintale- 1 quintale e mezzo. Grandissimi erano, però il guadagno non era tanto.</i></div></div></div><div style="font-weight: normal; "><div><div><div style="text-align: justify;"><br /></div></div></div></div><div style="font-weight: normal; "><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Noi facevamo i pezzi tutti a occhio, non è che avevamo le misure. Ormai l’esperienza era talmente tanta che si faceva un pallocco di creta di una certa misura e i vasi venivano grosso modo tutti uguali.</i></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Poi dopo questa roba si metteva ad asciugare e bisognava stare attenti che l’inverno non gelava e che l’estate non veniva tanto sole - perché se no dopo crepavano."<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">A questo proposito è interessante notare come molti torni della zona avessero una particolare caratteristica: l'artigiano lo utilizzava stando seduto non su uno sgabello, ma sul pavimento, con le gambe incrociate: </span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">"Come tutti i vasai, Papà usava il tornio con la gamba, però stava seduto. Invece gli altri, in questa zona, erano messi come gli arabi, per terra. Se va a Deruta li trova ancora questi vasai che fanno queste robe."</i></div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Anche rispetto a questa fase della lavorazione, l'impresa Berti ci riserva una sorpresa: in un angolo del moderno capannone utilizzato per la lavorazione scorgiamo un anacronistico tornio a pedale tuttora in funzione.</span></div><div><div><br /></div></div></div></div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti:</b> </span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">"Usiamo il tornio elettrico, ma certe rifiniture le facciamo ancora con questo tornio a pedale. Perché quello è troppo veloce."</i></div></div></div></div></div></div><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span><br /></span></b></div><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span >La cottura nella fornace</span></b></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><o:p> </o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Uno dei passaggi più impegnativi e che richiedevano maggiore esperienza ed abilità era per le botteghe di vasai quello della cottura dei pezzi. Temistocle Reali ed Ede Napoletti ci illustrano come è fatta una fornace a legna e come vengono disposti all’interno i pezzi. Il primo si aiuta in questa spiegazione mostrandoci alcune vecchie foto della fornace di famiglia a Montefalco, mentre la seconda ci porta a visitare le sue due fornaci: la prima è quella storica della bottega Berti, la seconda è quella più recente e più piccola, ma costruita in maniera assolutamente aderente alla tradizione.</p><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div style="text-align: left; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali:</b> "</span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Una volta fatti, i pezzi si mettevano sui forni. Il nostro forno era fatto con una camera larga una metrata e 10. Dentro i pezzi andavano incastrati, e poi l'entrata del forno si chiudeva con la creta. Non si usava quella buona, ma un altro tipo di cretone grezzo che si andava a prenderlo lungo le strade. Mi ricordo che poi toccava sempre fare questione perché magari facevamo una buca e prendevamo una carriolata di terra. E per fare amalgamare bene questa terra prendevamo lo scarto della paglia, quella fina-fina, e la mescolavamo insieme. La faceva stare più ferma.</i></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Nella camera c’erano 12 fori, così quando aumentavamo il fuoco le fiamme andavano fuori da questi spiragli. Altrimenti se è tutto sigillato scoppia .”<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2C9O_qTmAb8yNMYWWv2PB6URZkK5bk02uGiGspliPxujKMGb_P8c698iorTZ-hzOpRIwC_oKrbyu6a93eGO9_oKkhL9w-9_YlJGbteysjeaiObcczswqXb0oUxDU2lTTKUEWqfTEn59ME/s320/P1010750.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725765242760153394" style="text-align: justify;color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></div></div></div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b>: </span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">"La fornace vecchia è molto grande: per fare il fuoco si scendeva sotto alla camera di cottura con una scala. L’abbiamo chiusa e abbiamo fatto quella più piccola che usiamo adesso. Comunque nonostante che sono passati tanti anni in questa fornace ancora si potrebbe cocere.</i></div><div style="font-weight: normal; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ancora oggi cociamo solo a legna, abbiamo quella sola di fornace. Degli studiosi di terrecotte sono venuti tante volte a fare fotografie, perché noi siamo restati gli unici che hanno i forni a legna, non c’è più nessuno. Questi sono i vasi nostri, hanno questi colori chiari perché glie li da la fiamma.</i></div><div><div><div><div><div><div><br /></div></div></div></div></div></div></div></div> <div style="font-weight: normal; "><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">La fornace c’ha 12 camini, sono buchi da cui viene su il fuoco.</i></div></div></div></div></div></div><div style="font-weight: normal; text-align: justify; "><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Oggi il forno lo vedete pieno perché lo abbiamo aperto ma non abbiamo ancora sfornato. E allora vede come sono messi dentro i pezzi: i vasi piccoli vanno dentro a quelli grandi. La fornace deve essere tutta piena perché la legna costa.</i></div><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Quei mattoni tengono i vasi, perché ogni vaso non deve pesare sopra quell’altro, se no il coccio di terra cruda si rompe, no? Invece così ognuno è indipendente, riposa sui mattoni e si regge per conto suo.”</i></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Per cuocere i pezzi senza che si rompessero era necessario in una prima fase far salire la temperatura in maniera molto graduale per effettuare la cosiddetta fase della tempera. Poi bisognava portare su la temperatura fino a circa mille gradi. L’esperienza insegnava ai vasai diversi stratagemmi per intuire la temperatura raggiunta e il livello di cottura dei prodotti all’interno della fornace. Oltre al colore dei pezzi e dei fumi, venivano a volte utilizzati dei piccoli oggetti chiamati provarelli: questi venivano collocati in punti della fornace facili da raggiungere ed estratti al momento opportuno per testare il livello di cottura.</p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Quanto alla durata della cottura, per i pezzi grandi e di maggiore spessore erano necessari anche tre giorni e altrettante notti di lavoro ininterrotto. Inevitabile per gli artigiani era darsi dei cambi, ed ancora una volta le donne facevano la loro parte.</span></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b style="font-size: 100%; ">Temistocle Reali:</b><span style="font-size: 100%; "> "</span><i style="font-size: 100%; ">Il forno arrivava a circa 1.000 gradi di caloria, tutto con la legna. La durata dipendeva da che tipo di materiale era dentro. Se c’erano per esempio i vasi grandi durava di più, se erano piccoli durava meno.</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZZ5_pSoIjfcIQiEXSHZ1sozkhlAKge6Qk8b0I508EJTCGMEQABo065FafDDq19D4DECVwhN0muX6XU3AdOS9mhmLtmzq03p6X4olHFLXU8468Rxx8upZ-i6rfrOAN0hKoA7At3L7P1lmP/s320/P1010350.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725766201667557810" style="float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Ai pezzi bisognava dargli una tempra, non potevi dargli il fuoco immediato. Bisognava fare il fuoco lentamente per 8-10 ore, poi dopo piano piano si aumentava. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Si facevano i turni per vegliare il fuoco, e la notte la faceva sempre Mamma. Passate le 48 di fuoco la cottura era completa, E dopo il forno doveva stare quasi una settimana che si raffreddava. Dopo noi si apriva piano piano davanti e toglievamo i pezzi.<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div style="text-align: left;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Poi io entravo dentro la buca di sotto dove si buttava la legna, e andavo a prendere la cenere, perché bisognava levarla. E allora Papà me ce mandava a me perché ero magro magro. E io tiravo fuori questa cenere.</i></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Papà a un certo punto era diventato anziano ed aveva architettato di fare un'altra fornacetta più piccola. L’ha fatta lui in miniatura. Con questa si finiva prima: con 7-8 ore di cottura si faceva.”<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b><span style="font-weight: normal; ">: <i>"Si fa fuoco da sotto, da quella buca li. Prima coi ceppi, con la legna irta, fino a che gli si da la tempera. Poi si chiude la buca grande e si apre quest’altra buchetta. E da qui si mette la legna piccola. Una volta per risparmiare si metteva anche la sansa delle olive. Perché la buttavano via, non costava niente, e allora la andavamo a prendere.<o:p></o:p></i></span></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Il tempo che ci vuole dipende da che vasi: se lei inforna quei vasi grandi che vede li, quelli vanno 70 ore notte e giorno. Servono sulle 70 o 65 ore, dipende dalla qualità della legna. Il mio figliolo e mio nipote fanno mezza nottata per ciascuno.</i></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Per la tempera ai vasi grandi ci vogliono 30 ore di fuoco basso, piano piano. E invece quell’altri 20 ore, 10 ore, 8 ore, secondo lo spessore dei vasi.<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Noi andiamo sui 1.000 gradi di cottura. Altrimenti il coccio è cotto relativamente, non ha quella resistenza. Invece se lei suona un vaso mio è come il ferro, c’ha un suono argentino.</i></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Adesso controlliamo la temperatura con la termocoppia che avemo messo. Mentre una volta facevamo coi provarelli. Si mettevano nel forno questi piccoli oggetti con lo smalto. Poi si levava il provarello dal forno usando uno spiedo. Quando era cotto lo smalto lucido era cotta anche la fornace.”<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjffVOxXACKXYMJSKo-9r4bTHsad-uF1LE9-tXwAILOgYNUWkJTyaa6wKiljvJDr9Vi9ybQJUTX6M9pVAH3AeawRFfzbVHujrngvHQmfc__nSQYNwMfUpF1D-JuZJbPweQAAhzGwBY5v7E9/s320/P1020514.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725767403597023634" style="font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></div><div style="font-weight: normal; "></div><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><i><o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Solo in alcuni casi era necessario infornare i pezzi nuovamente per dar loro il “secondo fuoco”. Né Ripabianca ne Montefalco avevano una tradizione consolidata relativamente alla decorazione dei pezzi. Ovviamente per quanto riguarda gli utensili da cucina era necessario impermeabilizzarli dando al biscotto una mano di cristallina.</p><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti:</b> </span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">“Noi facciamo solo terrecotte grezze, la tradizione qui è il grezzo. Se fa qualcosa di smaltato ma roba piccola. Se questi vasi li facciamo smaltati gli leviamo tutto: la tradizione nostra è quella, non possiamo uscirne.”</i></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali</b><span style="font-weight: normal; ">: <i>“A certi pezzi, come le caraffe per l’acqua, si metteva la vernice che facevamo noi con il piombo. Perché il biscotto è poroso, se gli metti l’acqua fuoriesce. E allora con la vernice interna si saldava tutto.”<o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span >Le fiere di paese</span><o:p></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Fondamentali erano per l’economia delle botteghe le fiere dove gli stessi artigiani vendevano i propri pezzi. </p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali:</b> </span><i style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">“Facevamo le fiere di Foligno. Quella del 15 settembre abbinata con la Quintana<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[5]</span></b></span></span></a> era la fiera grande. Poi c’era anche la fiera di San Feliciano, a gennaio.</i></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Facevamo solo queste 2 fiere, e ci rimettevano un po’ in sesto economicamente. Andavamo direttamente noi a vendere. <o:p></o:p></i></p> <div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ci spostavamo con il cavallo. Non era nostro, ce lo prestavano, ma Papà era bravo a maneggiarla questa bestia. Anche io andavo, e dormivamo per terra. Mettevamo sotto un po’ di paglia e si dormiva.”</i></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b><span style="font-weight: normal; ">: “<i>Si andava alle fiere col carretto e col cavallo. Si facevano anche i mercatini rionali, ma le fiere grandi erano Foligno, Spoleto, Santa Maria degli Angeli, Cannara, Spello. <o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Col cavallo dovevi farti la notte e arrivare la mattina alla fiera, perché Spoleto siamo a <st1:metricconverter productid="44 km" st="on">44 km</st1:metricconverter>.” <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><st1:personname productid="La Signora Napoletti" st="on">La Signora Napoletti</st1:personname> mostra poi di essere particolarmente attaccata alle fiere. <span style="font-size: 100%; ">Pur avendo passato i 90 anni Ede conserva una invidiabile vitalità, e non rinuncia a portare in giro i suoi vasi.</span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti</b><span style="font-weight: normal; ">: “<i>Io sono troppo affezionata alle fiere.</i> <i>Quando arrivo dovete vedere quanto mi vogliono bene, in quanti mi abbracciano e mi salutano! Mi è piaciuto sempre andarci, e ringraziando Iddio continuo ancora. Certo, col camion è tutta un'altra cosa!</i></span></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span >I cavalieri e gli altri fischietti</span></b></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><o:p> </o:p></b></p> <div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjQIaXblNW0DCcxDsHz7lM9IKu7tiid6dzPEmge6taMFZ7yiWmritx6yHJEglXm9jYTU4lzNkXjWPJM_aqkwu_0HyBTPjlO1knMO-dGNGIMd29sFmvBYtoh0-tE5azkg4o4cX8RIKLLVevA/s320/reali+79+9.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725768940168566610" style="float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 215px; height: 320px; " /></div></div></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">I fischietti realizzati in quest’area del perugino erano di fattura piuttosto semplice. Normalmente il biscotto era lasciato grezzo, o al limite la decorazione consisteva in una semplice invetriatura. Anche la varietà di soggetti prodotti era limitata. Il fischietto più comune e più famoso di questa zona dell’Umbria è senz’altro il cavallo, con o senza il cavaliere. Ma si producevano anche le forme del gallo, l'ocarina, un richiamo da caccia. </p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Prevalentemente si trattava di fischietti modellati a mano. Facevano eccezione i soldati a cavallo, per i quali modellare i particolari dell'uniforme avrebbe richiesto una quantità di tempo eccessiva. In questo caso ad esempio nella bottega Reali venivano usati degli stampi per realizzare varie tipologie di soldati che venivano collocati sopra i cavalli modellati a mano. Si trattava di stampi monovalva, ed ovviamente i cavalieri avevano il retro piatto.</p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Per forme e tipo di decorazione questi fischietti ricordano da vicino quelli di altre zone dell'Umbria (Ficulle), ma anche di altre regioni del centro Italia, come Montelupo in Toscana o </span><st1:personname productid="la Tuscia" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">la Tuscia</st1:personname><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> laziale (Vasanello, Vetralla).</span></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali</b><span style="font-weight: normal; ">: <i>"Papà faceva il cavallo che gli fischiava dietro il sedere. Il sopra, il cavaliere, che era un bersagliere oppure un altro soldato, era fatto con lo stampino. E poi faceva il galletto e per qualche amico cacciatore faceva anche quello per richiamare le tortore.</i> <i>Questi fischietti senz’altro li facevano anche il Nonno ed il Bisnonno.” <o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti:</b><span style="font-weight: normal; "> "<i>Mio marito faceva i fischietti, ed ho imparato da lui. Allora facevano le ocarine, le trombette, il cavallo. Adesso li vogliono tutti con il cavaliere e abbiamo inserito i cavalieri. <o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Di solito a fare queste cose uno ci si mette più l’inverno che ha più tempo e non sta tanto in giro. E ti dedichi a fà qualcosina.Poi li cuocevamo a legna, anche perchè vanno coi vasi, va tutto insieme. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Dopo sono morti i vecchi e nessuno più dei figli ha continuato. A Ripabianca ci sono solo io che faccio fischietti, e a Deruta non c’è nessuno più che li fa. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>A Torgiano hanno smesso del tutto. Ci sono rimasti due artigiani ma fanno più che altro pentole da fuoco, queste cose qui. Nessuno più ha fatto i fischietti. Così a Montefalco: morto Reali non ci sono più fischietti, perché nessuno ha imparato.<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Invece qui abbiamo la fortuna di seguitare, perché mio figlio Silvestro li fa meglio di me, ha imparato. Anche se io un tocco glie lo do sempre. Si è appassionato, e così seguiterà la mia tradizione."</i></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">La principale occasione di vendita dei fischietti erano le fiere di paese, dove i fischietti - insieme alle campanelle e alle miniature di utensili da cucina - rappresentavano i giocattoli più ambiti dai bambini. </p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali:</b><span style="font-weight: normal; "> “<i>I fischietti erano per i ragazzini, mentre per le bambine si facevano i brocchettini piccoli: mio Papà faceva lo scolatore per la pasta, il tegame, la marmitta. <o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Portavamo tutto alle fiere, e qualche fischietto si vendeva dentro casa. A quell’epoca potevano costare 10-15 lire, era la cosa che costava di meno. Era alla portata di tutti il fischietto." <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><o:p> </o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Ede Napoletti:</b><b style="font-weight: normal; "> </b><i style="font-weight: normal; ">“Li vendevamo sulle piazze, c’erano proprio le bancarelle coi fischietti. Prima erano giocattoli, li compravano per i bambini. Non avevano st’importanza che hanno adesso. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Se un vaso costava 100 lire, un fischietto costava forse 1 lira, 50 centesimi. Poi mica se ne facevano tanti...Eran più che altro le persone anziane che non facevano altro, e allora mettevano su quella bancarellina di <st1:metricconverter productid="2 metri" st="on">2 metri</st1:metricconverter> con tutti ‘sti fischietti. E poi anche le campanelle. Ci son dei paesi che facevano la festa tradizionale della campanella.” <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span >Oltre l’artigianato</span><o:p></o:p></b></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E' importante sottolineare che negli ultimi decenni di attività, Anna Boni ebbe la possibilità di rivelare le sue doti di artista istintiva e popolare. Forse perchè più libera da incombenze legate alla cura ed alla sussistenza economica della propria famiglia, in questo periodo dette sfogo a tutta la sua creatività nella modellatura di vere e proprie sculture di terracotta, con o senza modulo sonoro. Il figlio Temistocle ci mostra la discreta collezione di questi pezzi che ancora conserva.</span></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b>Temistocle Reali</b><span style="font-weight: normal; ">: <i>"<st1:personname productid="La Mamma" st="on">La Mamma</st1:personname> ha iniziato a modellare nel 1961-62. Faceva delle vere sculture, anche senza scuola, perché mia Mamma c’aveva la terza elementare.<o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Papà non sapeva modellare, però alla Mamma non gli ha mai dato soddisfazione: diceva che lei non era una vera cocciara: solo lui sapeva usare il tornio! Papà era una persona di spirito, erano battute spiritose che lui faceva.<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Questa è tutta roba di Mamma: ha fatto i ritratti di Garibaldi, Bixio, Moro. Mamma era molto devota e faceva anche figure religiose. Ha fatto Gesù Cristo, l’ultima cena, San Francesco che scaccia il diavolo, Santa Chiara, l’Anninciazione, il Papa Luciani.<o:p></o:p></i></p><div style="font-weight: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div style="text-align: justify; "><div style="text-align: left; "><div><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjdj45gV2BgxBALYivY16Qar-60M-7e3ALCFMlMXYs3IaMGNrilHaVEQ1zut-9rNxnQ-rgi9AV9FCzZt20pYW9x6uA9AzALc1qxizzi56-r3g73jZ1I76jheLKLM2osOAUbemran75mnLfs/s320/P1010323.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5725770062509366898" style="text-align: center; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /></div><div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; "><o:p></o:p></p></div><p class="MsoNormal" style="font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><i><o:p></o:p></i></p></div></div><p class="MsoNormal" style="font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><i><o:p></o:p></i></p><div></div><div><div><div><div><div><div><div></div></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><o:p></o:p></p></div></div></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><o:p></o:p></p><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><i><o:p></o:p></i></p><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-size: 16px; font-family: Georgia, serif; text-align: justify; "><i><o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Ha fatto le fasi di lavorazione della creta: questo è dove si batte la creta con la verga di ferro, e questo è dove si impasta. Ha fatto i buoi quando caricavano le uve per la vendemmia.<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Questi devono essere Adamo ed Eva, e questi Giulietta e Romeo. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Si è fatta il ritratto da sola, e ha fatto anche il Papà. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Mamma faceva molti fischietti: faceva vari animali come le tartarughe, il bue, il pinguino. Le piaceva anche firmarli, ecco: Anna Boni Reali.<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Anche i santi avevano il fischio, ma per la verità io dopo l’ho levato. Non mi piaceva tanto che avessero il fischio di dietro. Delle volte glie lo dicevo: Mamma, che fai con questo fischio! <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Faceva solo il grezzo. Però qualcuno richiedeva dei pezzi pitturati, e allora la pittura la faceva un pittore. Però secondo me quando gli metti la vernice li rovini. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Quando mia Mamma era anziana gli estimatori venivano a trovarla da tutta Italia e anche dall’estero. Ho anche delle lettere di molti studiosi di arte popolare che si sono interessati. A casa era sempre un via vai. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><i>Mia Mamma è stata anche chiamata a insegnare alle scuole: la chiamavano per insegnare a modellare la terracotta. E pensare che non c’aveva neanche la licenza elementare!"<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Quanto a Ede Napoletti, gli appassionati di ceramica popolare le hanno tributato numerosissimi riconoscimenti. Nel <st1:metricconverter productid="1993 a" st="on">1993 a</st1:metricconverter> lei è andata la vittoria della prima Biennale Internazionale del Fischietto in Terracotta di Canove - sicuramente la rassegna più importante del settore. E più di recente <st1:personname productid="la Biennale" st="on">la Biennale</st1:personname> dei Fischietti Città di Matera le ha tributato un premio per il fischietto tradizionale nell’ambito della II edizione del 2010. </p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><b><span >Le nuove leve dei fischietti al femminile</span><o:p></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: justify; ">Il modo migliore di terminare queste note sui fischietti al femminile è probabilmente quello di menzionare alcune delle donne che - al pari dei colleghi di sesso maschile - hanno reinventato la tradizione del fischietto dando a questa una piena dignità artistica. In questo senso c'è solo l'imbarazzo della scelta: Paola Biancalana a Ficulle, Nicoletta Paccagnella a Nove, Maria Bruna Festa a Matera, Nagase Hiroko a Lecce, sono tutte autrici apprezzate e che hanno fatto della ceramica fischiante il centro della loro ricerca ceramica. </p> <div><div style="text-align: justify; "><span style="text-align: left; " ><b>NOTE</b></span></div><hr align="left" size="1" width="33%" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <!--[endif]--> <div id="ftn1" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[1]</span></span><!--[endif]--></span></a> Anna Boni e Lorenzo Reali sono scomparsi rispettivamente nel 2002 e nel 1992.</p> </div> <div id="ftn2" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> <span style="font-size: 10.0pt">Si veda ad esempio</span> <span style="font-size:10.0pt">Francesca Sgrò, “I produttori dei fischietti di terracotta: aspetti di culture artigiane”, in Paola Piangerelli (cur.), La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio – la collezione dei fischietti in terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1995<o:p></o:p></span></p> </div> <div id="ftn3" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[3]</span></span><!--[endif]--></span></span></a><span style="font-size:10.0pt"> Si veda L. Scuro, M. G. Scuro, R. Zaltron, Mario Scuro – quaderni delle ceramiche fischianti 1, Cucari Veneti 2005.<o:p></o:p></span></p> </div> <div id="ftn4" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> Si Veda F. Sgrò, op. cit.; Stella Adinolfi e Vincenza erano rispettivamente moglie e figlia del vasaio Armando Cantucci.</p> </div> <div id="ftn5" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; "><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Umbria/Pezzo%20fischietti%20umbri%20al%20femminile.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[5]</span></span><!--[endif]--></span></a> <span style="background: white">La<span class="apple-converted-space"> </span>Giostra della Quintana<span class="apple-converted-space"> </span>è un<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Torneo" title="Torneo"><span style="background: white">torneo</span></a><span class="apple-converted-space"><span style="background:white"> </span></span><span style="background:white">cavalleresco ed una manifestazione storica in costume che si svolge a<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Foligno" title="Foligno"><span style="background:white">Foligno</span></a> la cui esistenza è documentata dal secolo XV.</p><p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify; "><span ><b>FOTO</b></span></p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">1. Ede Napoletti (foto di Paolo Loforti)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">2. Fischietto di Anna Boni (bersagliere a cavallo)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">3. Anna Boni e Lorenzo Reali (foto Famiglia Reali)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">4. Fischietto di Ede Napoletti (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">5. La fornace attualmente in uso presso la ditta Berti</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">6. Antica bottega Reali (foto Famiglia Reali)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">7. Provarello</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">8. Fischietto di Lorenzo Reali (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: justify; ">9. Sculture di Anna Boni (carabinieri e Vittorio Emanuele)</p><p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; text-align: center; "><i><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";color:red;mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT; mso-bidi-language:AR-SA">Testi di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata</span></i></p> </div> </div><p style="font-weight: normal; "></p></div></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-75466060318015143802012-03-23T00:01:00.004+01:002012-03-23T13:15:03.907+01:00Idelmo Fecchio, el Vecio delle Ocarine - Omaggio per il 102° compleanno<div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Memorie e suoni di terra</i></div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><div style="text-align: center;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Conversazioni con i maestri artigiani costruttori di fischietti in terracotta</i></div></span><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaet6acZ3eva925ti_zP4x0Z9_3wfrvYQyOKYrYhMwl6CIJqbeCZJBe-x_KtsKVu81_mfqdZnCE0QpuZ6URarOydpZ3xvBbPzT1tjWyqFPBjgOqqyNKnibOGUzywz8ch7D3mHxt89g44A2/s320/daniele+ferroni.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718380222886521762" style="display: block; margin-top: 0px; margin-right: auto; margin-bottom: 10px; margin-left: auto; cursor: pointer; width: 239px; height: 320px; " /></div><div><div style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><br /></div><div style="text-align: left; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-size: 100%; text-align: justify; ">I fischietti del Delta del Po potrebbero essere considerati la quintessenza del fischietto popolare. Nella civiltà rurale che caratte</span><span style="font-size: 100%; text-align: justify; ">rizzava fino a 45-50 anni fa questa </span><span style="font-size: 100%; text-align: justify; ">zona del Veneto, non erano solo gli artigiani a realizzare questi </span><span style="font-size: 100%; text-align: justify; ">oggetti, come avveniva un po’ in tutte le regioni d’Italia e nel mondo. Data la disponibilità di materia prima, erano anche le persone comuni, spesso i bambini, a improvvisarsi costruttori di fischietti.</span></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">A spiegarcelo sono Benvenuto e Giuseppina, che oltre ad essere i gestori della fattoria didattica </span><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">“L’Ocarina” di Grillara, nel Polesine, sono rispettivamente figlio e nuora di Idelmo Fecchio, che dall’alto dei suoi 102 anni è senza dubbio il costruttore di fischietti più anziano ancora attivo nel nostro Paese.</span></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><span style="color:red"><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: “<i>Qua è una zona dove l’argilla non manca: nelle Golene del Po ed in queste campagne la terra è tutta argillosa. E allora i bambini, i ragazzi oppure anche gli adulti vedevano nelle fiere questi fischietti - che all’epoca erano uno dei divertimenti più ricercati - e poi cercavano di imitarli col fango. Andavano nelle campagne, oppure lungo i fiumi, prendevano le argille e poi le lavoravano. Facevano dei lavoretti spontane, e qualcuno un po’ più abile riusciva a far suonare il fischietto o a costruire qualche ocarinetta così, senza pretese.</i><i style="font-size: 100%; "> ”</i></p></div><div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Giuseppina: “<i>Quando giriamo con i nostri pezzi da queste parti, ancora oggi troviamo tante p</i><i style="font-size: 100%; ">ersone che dicono: “anche io facevo l’ocarina</i><span style="font-size: 100%; ">”.</span></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: “<i>Ad esempio</i> <i>qui nella fattoria didattica è esposto un fischiettino fatto da un personaggio di queste parti, che mi ha raccontato la storia di come imparò a farli un giorno </i><i style="font-size: 100%; ">che c’era il temporale. Perché qui vengono dei grossi temporali, e una volta non c’era altra alternativa che rimanere chiusi in famiglia. E allora un vecchio lo chiamò nella stalla e gli </i><i style="font-size: 100%; ">disse: “Vieni qua con mi, che ti insegno a fare una bella robina”. E gli ha insegnò a fare i fischietti. </i></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i style="font-size: 100%; ">E di queste storie ce ne sono tantissime: sono storie semplici, di una produzione spontanea. Non sono storie di bottega, di una tradizione ceramica vera e propria o di forme ricercate.”</i></p></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Oltre al fischietto, un altro oggetto profondamente legato alle tradizione del territorio è l’ocarina politonale ed in grado di produrre una vera e propria melodia. A questo proposito è bene fare da subito una precisazione sul significato attribuito da queste parti al termine ocarina.</p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: <i>“Nel nostro dialetto “ocarina” può riferirsi all’ocarina vera e propria, allo </i><i style="font-size: 100%; ">strumento, ma anche al fischietto, e persino ai piccoli giocattoli improvvisati di argilla. Ocarina è insomma tutto quello che si fa col fango.”</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; ">Al di là di questi passatempi fabbricati da bambini e adulti, la tradizione della terracotta nel Delta del Po è legata soprattutto alla produzione di mattoni per l’edilizia.</p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto:<i> “Da queste parti non c’è mai stata una tradizione di botteghe di ceramica vera e propria. La nostra era una tradizione un po’ povera: c’erano tantissime fornaci che facevano i </i><i style="font-size: 100%; ">mattoni. Questo perché c’era la materia prima, ma anche il sistema di trasporto: fino ai primi del ‘900 per il trasporto dei mattoni si usavano le barche. Era molto più pratico che portarli con muli o cavalli. Partendo da qua si poteva far arrivare la merce fin sopra Treviso grazie a </i><i style="font-size: 100%; ">vari sistemi idraulici fatti di sbalzi e chiuse.”</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red">L’apprendistato nelle fornaci: rubando il mestiere con gli occhi</span></b></p></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaRtIF9fhka3m_ndKdLzl3GDHsCtg5ajDcsprR8C5hH6wOV3wlwh6c9iitXYciBToZmTiwp6BwqK43km14lerdKGncpT_qFr1FPy2yvxM_8weyDL2dS0Lr_2dMyiIcuMNuM1eKuM0l8B2y/s320/Immagine+092.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718380558587825410" style="color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; ">In una di queste fabbriche di laterizi Idelmo Fecchio iniziò 90 anni fa o giù di lì a produrre le sue <span style="font-size: 100%; ">ocarine. Frequentava le fornaci fin da bambino</span><span style="font-size: 100%; ">, prima perché ci lavorava sua madre e poi - </span><span style="font-size: 100%; ">appena diventato adolescente - perché aveva cominciato a lavorarci lui stesso. E fu così che osservando quello che facevano gli artigiani </span><span style="font-size: 100%; ">esperti, imparò </span><span style="font-size: 100%; ">anche lui come si fa a far fischiare </span><span style="font-size: 100%; ">la terra.</span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Ci raccontano di questi suoi esordi Idelmo stesso e la sua famiglia.</p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; ">Idelmo: “</span><i style="font-size: 100%; ">Le prime cose le ho fatte che avevo 10-12 anni; facevo queste colombine. Poi a 14 anni, nel 1924, lavoravo nella fornace di mattoni e ho iniziato a fare le prime ocarine. Non c’era </i><i style="font-size: 100%; ">molto da mangiare, e io mi adattavo a fare anche questi lavori. Le copiavo dagli altri. Oppure ne compravo una nelle fiere, per 50 centesimi, e poi la ricopiavo. E un po’ alla volta ho imparato”.</i></p><div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Giuseppina: “<i>Praticamente ha imparato perché tanti anni fa nelle feste paesane c’erano questi fischietti, queste ocarine. E lui ne era innamorato, ma non poteva comprarle perché non aveva soldi. Era di una famiglia poverissima; tra l’altro suo Papà era morto giovanissimo. E visto che sua Mamma lavorava in una fornace dove facevano i mattoni, lui andava lì e piano piano ha </i><i style="font-size: 100%; ">iniziato a fare delle ocarine. E da li gli è presa la passione e non ha mai smesso.”</i></p></div><div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; ">Benvenuto: “<i>Iniziò a lavorare anche lui in una fornace. E durante le pause o durante l’attesa del forno lui faceva questi lavoretti. Perché la fornace dei mattoni andava avanti a cuocere anche dei giorni, e allora qualcuno ingannava il tempo durante la veglia facendo queste cose.”<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="color:red"><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red">La produzione di fischietti e ocarine nel Delta del Pò</span></b></p><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivofY6llPyK8RWu6gzLkESjY64iCwBlK18QbCe_a5aKuYMRxoYyu-c48XIvwje2qbo1hECrBEIFzwuBd5pHKKgbv9JZ3rs7TQPHmhI0bApSKZtrVrmULARPOZjo1ItcBIMt8g2Chz8uylW/s320/i+fecchio+cavallo.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718381568822431602" style="text-align: justify;float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red"><o:p> </o:p></span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">E il racconto a più voci continua. La famiglia Fecchio ci descrive la modalità di lavorazione dei <span style="font-size: 100%; ">fischietti e delle ocarine ai tempi in cui Idelmo era giovane. Le modalità di approvvigionamento della materia prima tra gli scarti della fornace o sul greto del fiume, la cottura del tutto assente o </span><span style="font-size: 100%; ">solo approssimativa tra le braci del focolare domestico, la decorazione per nulla ricercata, sono </span><span style="font-size: 100%; ">tutti elementi che ci confermano di come si trattasse di una produzione particolarmente povera e realizzata con mezzi precari.</span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Idelmo: “<i>Gli strumenti per lavorare me li facevo da solo, e per fare un’ocarina ci mettevo anche due ore. Bisogna intonarle e ci vuole il suo tempo. L’argilla la prendevo dove lavoravo, </i><i style="font-size: 100%; ">dove facevamo i mattoni.”</i></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; ">Giuseppina: “</span><i style="font-size: 100%; ">Oppure la terra l’andava a prendere proprio sulle Golene, dove l’argilla non mancava.</i></p></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Quella delle ocarine era la sua passione sin da bambino, ma non faceva solo quelle. Ha sempre avuto molta abilità manuale, faceva anche i cesti, le culle, eccetera.”</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: <i>“Per fare le ocarine si possono usare anche stampi, ma dalle nostra parti si è sempre fatto tutto a mano. Si usano solamente dei pezzettini di legno come contro-stampo. Ci sono dei coni ben definiti come misure, per avere la scala giusta. Poi ognuna è sempre un po’ diversa dall’altra di qualche mezzo tono, perché è sempre un prodotto artigianale.</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "> </p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Non è che i pezzi fossero sempre cotti. Visto che erano lavoretti spontanei, spesso venivano adoperati anche crudi. Magari si lasciavano essiccare e si dava solo una mano di colore. I più fortunati riuscivano a fare le cotture perchè avevano qualche parente che aveva una fornace, oppure che ci lavorava. Oppure si cuocevano nelle cucine di casa, proprio nel braciere della c</i><i style="font-size: 100%; ">ucina.</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Anche mio Papà ha il forno solo dagli anni ’80, ma prima cuoceva i pezzi nel forno della cucina. E ogni tanto, quando qualcuno di noi andava a muovere le braci e magari rompeva un’ocarina o un fischietto, allora era un disastro, si apriva un grande conflitto in famiglia!”<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <div style="font-style: normal; "><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Idelmo: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Quando facevamo le infornate mettevo dentro anche un po’ di ocarine. Poi gli davo il </i><i style="font-size: 100%; ">colore rosso e le vendevo.”</i></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; ">Benvenuto: “<i>Di solito i pezzi erano colorati a tinta unita, con il rosso o il blu, non erano fischietti molto variopinti. E si usavano delle comuni vernici, non si adoperavano colori a fuoco</i>.”</p><div style="font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: left; ">Anche le modalità di vendita erano caratterizzate più da spontaneità e improvvisazione che da una sistematica organizzazione commerciale; d’altronde la produzione riguardava un numero di pezzi molto limitato, che veniva venduto direttamente ai clienti presso i luoghi di ritrovo di paese. Altre volte si utilizzavano degli intermediari, come quei barcari che commercializzavano i mattoni delle fornaci. Inutile dire che i prezzi delle ocarine e dei fischietti erano irrisori.</span></div><div style="font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><br /></span></div><div style="font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Idelmo: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">C’erano i barcari che caricavano il materiale. Io andavo da loro e si comperavano anche le ocarine. </i></div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXGlkjmOD4ENjsa_tBRcgcIJmZPfRwzMho3p_JPUqmjOE-_i6xfinnqvxaAXRItvnPBjstV8JviquZ3JDCVbi5AvqjQi-zMb1YjpyQxv0BTQfWpAFZla_8H_xkZkhEV33QTbm-HVqRAV6m/s320/P1080278.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718382512095947154" style="color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /><i style="font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Oppure le vendevo all’osteria. E qualcuno veniva a cercarle anche qui in casa. </i><i style="font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Ne davo via 7-8 alla volta, non di più. E magari ci ricavavo </i><i style="font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">20-30 centesimi. Perché di soldi non ce n’erano molti. Per un kg di pane ne dovevo vendere 4 o 5 di ocarine, perché allora il pane costava 1 lira. Però era pane buono, non come quello di adesso. E le persone avevano più rispetto, mica come adesso.”</i></div><div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: “<i>Le ocarine che riusciva a fare le vendeva, ma non con una bottega. Qualcuno ricorda ancora Idelmo che prendeva su la sua cassettina e le andava a vendere. Si fermava in osteria, o le faceva vedere ai bambini, e così via.<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Era un personaggio! Anche durante la processione si metteva lì a suonare e qualcosina vendeva, però mai delle grandi quantità.”<o:p></o:p></i></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Giuseppina: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Aveva anche un carattere molto estroso, e questo lo aiutava per la vendita: si metteva lì e le suonava. E qualcuno diceva: “Idelmo, vendimi un’ocarina”. E lui gliela dava.”</i></div><div><br /></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">In mancanza di prove documentali o ritrovamenti di fischietti antichi, non è facile indagare quali fossero le forme caratteristiche dei fischietti di queste parti.</span></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: “<i>Non è che da queste parti siano state tramandate alcune forme di fischietti in particolare. Per il fischietto sicuramente c’è sempre stata la forma di uccello, la colombina. </i><i style="font-size: 100%; ">D’altronde è tutto materiale di cui purtroppo non è rimasto niente. I pezzi non li cuocevano o erano mezzi cotti nella fornace di casa. Non erano cose a cui davano importanza, e sono andate perse. I pezzi più vecchi in circolazione sono quelli che ha fatto mio Papà nei primissimi anni ’70.</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Per l’ocarina vera e propria la forma è sempre stata quella allungata, anche se mio Papà ha fatto anche qualche ocarina più schiacciata o qualche forma di animale.”<o:p></o:p></i></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Idelmo: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Facevo le ocarine e anche queste altre: ochette, galletti. Di queste ne andavano via parecchie</i><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">.”</span></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red">Un personaggio bizzarro</span></b></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; ">La produzione di fischietti e ocarine ha accompagnato tutta la vita di Idelmo come una passione </span><span style="font-size: 100%; ">profonda ed incrollabile anche di fronte alla crisi di interesse verso questi oggetti che seguì la seconda guerra mondiale. Per alcuni decenni, e fino alla recente riscoperta e valorizzazione dei fischietti, rimase l’unico artigiano del Polesine a portare avanti caparbiamente questa tradizione. Dobbiamo quindi dire grazie a Idelmo se non è andato definitivamente perduto un importante patrimonio della cultura materiale di questo territorio e se oggi le istituzioni locali, come l’Ente Parco del Delta del Po, hanno potuto riprendere e valorizzare queste tradizioni produttive a fini turistici. A lungo, tuttavia, l’ostinazione di Idelmo nel proseguire una produzione ormai desueta e antieconomica gli ha valso la fama di personaggio eccentrico, quasi balordo.</span></p><p class="MsoNormal" style="font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-size: 100%; ">Giuseppina: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-size: 100%; ">Fino a 20 anni fa Idelmo era un po’ considerato un personaggio stravagante per la sua abitudine di mettersi lì a fare le ocarine. Quando ho conosciuto Benvenuto e ci siamo fidanzati, suo Papà era conosciuto in paese come il “nonno delle ocarine”. In dialetto mi dicevano: “</i><span><i>Ah, te </i></span><span><i>fà l'amore al fiolo del vecio dele ocarine</i></span><i style="font-family: Georgia, serif; font-style: normal; font-size: 100%; ">!” E me lo dicevano un po’ sotto intendendo che era un personaggio strano.”</i></p><div style="text-align: left;font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Benvenuto: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Per la gente di qui era un po’ considerato un burlone, un perdigiorno: con tutto quello che c’è da fare in campagna tu perdi il tuo tempo a fare le ocarine? Fai qualcosa di </i><i style="font-size: 100%; text-align: justify; ">meglio!</i></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div style="text-align: left;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Non c’era la considerazione che abbiamo oggi per questo tipo di oggetti della nostra tradizione. Questa considerazione l’abbiamo conquistata passo dopo passo io e Giuseppina. Con il suo contributo ovviamente! Un po’ alla volta abbiamo creato interesse per questo ambiente magico!</i><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">”</span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><div style="text-align: justify;">Oggi i riconoscimenti attibuitigli da appassionati e cultori di arte popolare hanno riscattato in pieno <span style="font-size: 100%; ">il talento artistico di Idelmo: nel 1997 è stato segnalato dalla giuria della III rassegna Biennale </span><span style="font-size: 100%; ">Internazionale del fischietto in terracotta di Canove di Roana; nel 2007 è stato premiato per meriti </span><span style="font-size: 100%; ">artistici dall' Associazione Amici del Museo Dei Cuchi di Cesuna con diploma e medaglia </span><span style="font-size: 100%; ">d'argento; nel 2008 ha ricevuto il premio alla carriera della I Biennale Internazinale del Fishietto in </span><span style="font-size: 100%; ">terracotta città di Matera.</span></div></span></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><st1:personname productid="La Guerra" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b><span style="color:red"><br /></span></b></st1:personname></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: left; "><st1:personname productid="La Guerra" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><b><span style="color:red">La Guerra</span></b></st1:personname><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span style="color:red"> di Idelmo</span></b></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: left; "><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span style="color:red"><br /></span></b></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">L’esperienza della seconda Guerra Mondiale e della prigionia in Germania hanno segnato profondamente Idelmo. Ma persino durante questo periodo così drammatico ha giocato un ruolo la sua passione per la produzione di terra che suona.</span></div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmNPrxA5lKHJGyBIFfG9KS1rHPKl6dmCpIEMLodClWqCKFI99WsxopuJtck5Xqr3lVQJ71QWFihFgZrHA0KNQUyWkctqUXqPndHIBN-b-zTBEkcdheBtIAQchtMpBxJ2T02nIQsKG2-WHc/s320/Immagine+449.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718383284485516386" style="text-align: justify;color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Benvenuto: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Durante la guerra è stato prigioniero dei tedeschi mentre era in Croazia. Con una </i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">marcia forzata furono portati in Germania e chiusi in un campo di prigionia.</i></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><i>Gli davano da mangiare veramente poco, e allora mangiavano erba, ortiche, tutto quello che cresceva in maniera spontanea. Alla fine della guerra è rincasato dalla Germania che pesava <st1:metricconverter productid="35 kg" st="on">35 kg</st1:metricconverter>, era veramente molto magro.</i>”</p> <div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Idelmo: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">In Germania mangiavamo foglie di pianta ed erba. C’erano delle piante alle quali non era rimasta neanche una foglia attaccata. Non dico per scherzo!”</i></div><div><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Giuseppina “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E’ rimasto molto scioccato dall’esperienza della guerra. Ne racconta sempre, e alcuni di questi racconti sono davvero tremendi.”</i></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Benvenuto: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Erano impiegati nei lavori forzati, scavavano delle buche e riparavano le tubazioni. Durante un bombardamento lui prese un po’ di argilla da un cratere che avevano scavato e se la portò in baracca. E lì iniziò a fare qualcuno dei suoi prodotti.</i></div></div></div></div> <div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div style="text-align: left;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Se ne accorse un ufficiale, e per un periodo di tempo lo sollevarono dalle altre occupazioni per fargli produrre queste cose. Per 4 mesi veniva trasferito col pullman in un'altra baracca dove gli facevano fare un po’ di ocarine, un po’ di fischietti. In cambio per 4 mesi ha mangiato un quartino di pane in più, e il lavoro era meno faticoso. A volte ricordando questo evento diceva che le ocarine gli avevano salvato la vita, forse anche per dare un po’ di colore!”</i></div><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span style="color:red"><br /></span></b></div><div><b style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span style="color:red">Due generazioni di “lavoratori del fango”</span></b></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p> </o:p></p> <div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">La produzione di fischietti nella famiglia Fecchio viene portata avanti con passione anche da Benvenuto e dalla moglie Giuseppina.</span></div><div><div><div><div><div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">I fischietti di Benvenuto hanno un dono raro: attraverso un delicato equilibrio coniugano la raffinatezza formale del fischietto artistico con un impronta comunque tradizionale. Questa sua caratteristica lo ha portato peraltro a raccogliere riconoscimenti in concorsi importanti come </span><st1:personname productid="la Biennale Internazionale" st="on" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">la Biennale Internazionale</st1:personname><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "> del Fischietto di Canove di Roana.</span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title="" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[1]</span></span></span></a></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[endif]--></span></a></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUzYTc5ek6fIp_rnqbFs9dLhhApA-t-PszzRbO2wRN_Smxfq19nxl0H_ZReLTtQtQj62YPFZBdLkmqWX3taJQKIvRS3cxNaNgb11xGHBVC8NDVrFLvmstnhE8owkFRI_7INmtVOIHlF_lT/s320/Immagine+1349.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718384042376932834" style="color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E’ poi doveroso sottolineare che Benvenuto realizza anche ocarine di eccellente qualità, e che sono state suonate da orchestre prestigiose.</span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title="" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[2]</span></span></span></a></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><div></div></div></div></div></div><div style="text-align: justify; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><br /></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Benvenuto: </span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">“Io non mi definisco ceramista: mi definisco lavoratore del fango. Un ceramista è colui che ha una tradizione di bottega dove si fa la ceramica, ed ha proprio una cultura ceramica. Qui non ci sono queste tradizioni proprio di bottega, noi invece abbiamo la cultura del fango e dell’ambiente.</i></div></div></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><div></div></div></div></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><br /></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">In maniera inconsapevole i fischietti li facevo fin da bambino, cercando di imitare quelli che faceva mio Padre.</i></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Dopo, nell’età un po’ critica, diciamo dalle medie fino a 22 anni, è un mondo che mi è sfuggito dalle mani nella maniera più assoluta. Ma a partire dai primissimi anni ’80 mi è tornata questa voglia di fare attraverso l’argilla. E’ stata una esigenza molto forte, non so da dove sia nata. </i></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i style="font-size: 100%; ">Mi hanno spinto molto le prime uscite che facevo per portare in mostra i prodotti di mio Padre. Ormai cominciava a diventare anziano, e non poteva più girare da solo con il motorino, così andavamo insieme in macchina. Sarà stato anche l’interesse che trovavamo con il banchetto, soprattutto delle persone anziane che si avvicinavano e dicevano: “finalmente qualcosa che mi ricorda quando ero bambino e facevo queste cose qui. Anche io le facevo, sai? Andavo lungo il fosso con i miei fratelli, impastavo l’argilla, e la facevo anche suonare.”</i></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">E vedere tutti questi occhi lucidi, queste emozioni della gente, mi ha fatto scoprire una dimensione che prima non conoscevo. E mi sono raffigurato in loro e sono andato avanti a fare queste cose.</i></div></div></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <span style="font-style: normal; "><span style="font-size: 100%;"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjShNCttBGKZAxRp0LeFmmLLmAKURmpua8e2Lzi68KFC497Eo487hRPmuO_LOdLQFLDwJ1DjQW_Kog7E29JInErPk-_3-wcbE06D3xASxQZiKMB972CXIYS781CzJVtiYB3wru93lI-zRus/s320/Immagine+130.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718384843690169442" style="color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /></span></span><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Rispetto alle forme dei miei fischietti, inizialmente ho seguito un po’ le orme di mio Padre. Ma poi successivamente ho preso la mia strada. La differenza tra i prodotti miei ed anche di Giuseppina e quelli di mio Papà è che lui non si è mai confrontato con altri autori. Ha la sua visione, il suo stile. Io invece ho avuto la fortuna di vedere il Museo dei Cuchi di Cesuna, di conoscere Armando Scuto e gli altri collezionisti. Girando di quà e di là mi sono confrontato anche con altri costruttori di fischietti. Insomma vuoi o non vuoi, l’occhio vede e influenza le </i><i style="font-size: 100%; ">cose che fai. Ho sempre la mia mano, la mia linea, però sicuramente sono stato contagiato </i><i style="font-size: 100%; "> anche da un mix di ispirazioni.”</i></p><div style="text-align: left; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Deliziosi e onirici anche i fischietti di Giuseppina, spesso ispirati al mondo delle favole. E c’è qualche segnale per poter sperare che anche Chiara e Giada, le giovanissime figlie di questa coppia costituiscano la terza generazione a portare avanti la tradizione dei Fecchio.</span></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "><br /></span></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Giuseppina: “</span><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Io ho iniziato a fare fischietti 20 anni fa, quando mi sono sposata con Benvenuto. Anche a e mi è presa proprio la passione per queste cose.</i></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Delle nostre figlie una è ancora troppo piccola, l’altra ogni tanto si mette a fare queste cose, anche con la pittura. Però è ancora presto per dire se si tratterà di una cosa durevole.”<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red">La fattoria didattica “L’Ocarina” di Grillara</span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Oggi Giuseppina e Benvenuto si dividono tra il lavoro della loro azienda agricola e l’impegno della fattoria didattica, che accoglie ogni anno centinaia di visitatori e li accompagna alla scoperta delle tradizioni del territorio del Delta del Po. Ovviamente le ocarine e i fischietti sono il pezzo forte di questi percorsi educativi. Alcune splendide bacheche in legno fatte da Benvenuto stesso mettono<span style="color:red"> </span>questi prodotti in mostra, mentre dei pannelli didattici ne illustrano la storia.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:12.0pt;font-family:"Times New Roman"; mso-fareast-font-family:"Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language: IT;mso-bidi-language:AR-SA">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> Ma soprattutto, bambini e adulti vengono invitati a impastare l’argilla con le proprie mani per sperimentare in prima persona come si fa a far fischiare la terra.</p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; ">Giuseppina: “</span><i style="font-size: 100%; ">La nostra attività principale rimane l’azienda agricola. Abbiamo anche alberi da frutto. Insomma lavoriamo la terra in due maniere: abbiamo la nostra terra come contadini e poi abbiamo anche la terra per le ocarine!”</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red"><o:p> </o:p></span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: “<i>Anche mio Padre faceva attività didattica con alcune scuole che venivano qua. Gli facevamo fare una visita alla fattoria e poi facevano qualche fischietto ed ocarina. Era organizzato più alla buona, poi pian pianino abbiamo fatto il salto di qualità con i locali. </i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Dai primi anni del 2000 la fattoria didattica è entrata nel circuito dei luoghi di interesse culturale del Parco del Delta del Po. Abbiamo risistemato i locali, e grazie al sostegno del Parco abbiamo fatto dei pannelli didattici che servono a dare un filo logico al discorso.<o:p></o:p></i></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; text-align: center; "><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1wNeEPhOzi8X4LhxfvAm4KE83P9btR2pP3NGrVyYaGc1EzQhedSkNeOnmrXC_m4njYwOMxW1mw97Fqr1yL_Yr2jWnECZXTFWvhbxy1AhhNKQtDe_9O2C8iWVQ87sIBv8ZrhZrM3CxQQHM/s320/P1010094.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718386174748040978" style="text-align: justify;float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; ">Con le scolaresche abbiamo un buon riscontro, a livello locale ma non solo: vengono anche da altre regioni, dalle Marche a tutto il Nord Italia. La maggior parte sono scuole medie, ma vengono anche le elementari. </i></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Saltuariamente vengono anche dalle superiori, ma sono più che altro gli istituti alberghieri, che si occupano di turismo e fanno visite guidate piuttosto che laboratori veri e propri. <o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>E poi ci sono anche gli adulti: alcuni gruppi organizzati scelgono come opzione di visitare la fattoria didattica, e quindi una decina di gruppi all’anno vengono.”</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Giuseppina: “<i>Anche quando vengono gli adulti i laboratori riescono molto bene: spesso gli adulti conservano la passione per la loro terra e per il lavoro manuale, e si impegnano tanto. All’inizio eravamo un po’ imbarazzati quando arrivano gruppi di adulti. Ci chiedevamo: ed ora cosa gli facciamo fare? Poi alla fine gli facciamo fare più o meno le stesse cose dei piccoli, e gli danno molta soddisfazione! E poi vengono fuori un sacco di storie che ci raccontano sulle loro tradizioni.”</i></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span style="font-size: 100%; ">Ma l’impegno della famiglia Fecchio nella valorizzazione dei fischietti e delle ocarine tradizionali del loro territorio si esprime anche attraverso i banchetti di fischietti e ocarine allestiti di quando in quando durante le fiere e le sagre.</span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: <i>“Ultimamente si sta riscoprendo il banchetto delle ocarine: stanno un po’ rievocando le sagre di una volta, e spesso ci chiamano per fare una dimostrazione di questo particolare mestiere. Ad esempio a Badia Polesine una volta si faceva la sagra dei cuchi. Quando l’hanno rispolverata ci hanno chiamati. A volte, magari, lavorando sul posto si crea il momento magico, l’atmosfera, e allora si vende un po’.</i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i>Per il resto non è che di ocarine e fischietti ne vendi tante. Qualcosa vendiamo durante le visite guidate, quando i visitatori prendono qualche ricordino del luogo. D’altronde non abbiamo una fabbrica, non saremmo in grado di stare dietro ad una richiesta di mercato molto più alta di quella attuale. E poi il fischietto è molto laborioso, porta via tanto tempo: quando lo si vende si prende qualcosa, ma è più un fatto di soddisfazione che di reale guadagno.”<o:p></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><o:p> </o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><b><span style="color:red">Un secolo intero a far fischiare l’argilla</span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Idelmo, 102 anni in questi giorni, continua imperterrito a lavorare la creta ed a regalarci deliziosi fischietti ed ocarine. Non possiamo dire se il segreto della sua longevità sia proprio questa sua passione incrollabile per la terra sonora o piuttosto le amorevoli cure di Benvenuto, Giuseppina, e della moglie Romilda. Di certo possiamo dire che recentemente, dopo essere stato costretto a letto per quasi due mesi da un incidente, il suo primo pensiero appena alzatosi dal letto è stato quello di tornare a modellare i suoi amati prodotti.</p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Benvenuto: <i>“I<span style="background-image: initial; background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; ">delmo il 22 febbraio 2012, su consiglio del fisioterapista, da coricato sul letto piano piano l'abbiamo messo sulla sedia. Il suo primo desiderio da seduto è stato quello di andare al suo solito posto a tavola e di avere subito a disposizione un pezzo di terra per poter dargli il suono! Così gli ho procurato subito il materiale. Per me ha fatto un altro miracolo!”</span></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p> </o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; ">Idelmo: “<i>Lavoro tutti i giorni, a volte anche la domenica. Di fischietti ne ho una cassa piena. Per fortuna che ho una vista forte!”<o:p></o:p></i></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><div><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLdaajIMjjfkjRH7yeo7rHFpLiEospm1bRL6TXViaNYhzAKkdpnOppwGRO3TLnChHnp2ZUBSrMSizJtmLg1UWR7V2HEOhYnFjvYv1npOxRnl1YcnviksRr4cq6cMNOPY-XpdZYW8_BBlFu/s320/P1010133.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5718387429074683586" style="display: block; margin-top: 0px; margin-right: auto; margin-bottom: 10px; margin-left: auto; text-align: center; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div><p class="MsoNormal" align="center" style="font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: center; "><i><span style="color:red">Testi di Massimiliano Trulli <a href="mailto:massitrulli@gmail.com"><span style="color:red">massitrulli@gmail.com</span></a>, vietata la riproduzione<o:p></o:p></span></i></p> <div style="font-weight: normal; font-family: Georgia, serif; font-variant: normal; line-height: normal; font-size: 100%; font-style: normal; "><!--[if !supportFootnotes]--><br clear="all"> <span><b>NOTE</b></span><hr align="left" size="1" width="33%" style="font-weight: normal; "> <!--[endif]--> <div id="ftn1" style="font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[1]</span></span><!--[endif]--></span></a> In particolare durante le edizioni V e IX e X del concorso, tenutesi rispettivamente nel 2001, nel 2009 e nel 2011, la giuria ha attribuito riconoscimenti ai fischietti di Benvenuto. </p> </div> <div id="ftn2" style="font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText"><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> Tra i gruppi che hanno suonato in concerto le ocarine di Benvenuto Fecchio citiamo il Gruppo Ocarinistico Budriese diretto da Emiliano Bernagozzi e i Cavranera, ocarina solista Fabio Galliani.</p> </div> <div id="ftn3"> <p class="MsoFootnoteText" style="font-weight: normal; "><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/veneto/Fecchio/pezzo%20Fecchio.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span style="font-size:10.0pt;font-family:"Times New Roman";mso-fareast-font-family: "Times New Roman";mso-ansi-language:IT;mso-fareast-language:IT;mso-bidi-language: AR-SA">[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> L’occasione per inaugurare questo nuovo allestimento è stata il 100° compleanno di Idelmo Fecchio. L’Associazione Anemos, Il Museo dei Cuchi, il Gruppo Cucari Veneti, e decine di artigiani e artisti del fischietto hanno voluto rendere omaggio al cucaro più anziano d’Italia donando una bella collezione di fischietti, il tutto di fronte a una grande folla festante. </p><p class="MsoFootnoteText"><span><b>FOTO</b></span></p><p class="MsoFootnoteText">1. Idelmo Fecchio (foto Daniele Ferroni); 2. Fischietto di Idelmo Fecchio (collezione famiglia Fecchio); 3. <span style="font-size: 100%; ">Fischietto di Idelmo Fecchio (collezione</span><span style="font-size: 100%; "> M. Trulli); 4. Insegna della fattoria didattica (foto O. Chieco); 5. Fischietti di Idelmo Fecchio (collezione A. Scuto); 6. Fischietto Benvenuto Fecchio (collezione Famiglia Fecchio); 7. Foto Giuseppina Fecchio </span><span style="font-size: 100%; ">(collezione Famiglia Fecchio); 8. Bacheche costruite da Benvenuto Fecchio; 9. Benvenuto Fecchio al lavoro (foto M. Trulli).</span></p> </div> </div></div></div></div></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-41098092285739578572012-02-19T18:56:00.016+01:002012-03-10T22:07:43.948+01:00I Cucù di Tommaso Niglio: la tradizione e l’arte<div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><br /></span></div><span><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><span style="font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><br /></span></div><span style="margin-right: auto; margin-left: auto; "><div style="text-align: center; "><p class="MsoNormal" align="center"><i>Memorie e Suoni di Terra - c</i><i>onversazioni con i maestri artigiani costruttori di fischietti in terracotta</i></p></div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2RT4wLvevsi4D0LKWu2BP5cnfwRA2sTbzE6zr1vdwHZxL2peFqKjAy9F0gDLe8gQfWf00QzoYsE0V2WxVu3RhPLFmBpawkqua52zyBFWfxcidRPKWelBuq0S4j7yBe5X38bbIZguFg58k/s1600/P1000647.JPG" style="font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 240px; height: 320px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2RT4wLvevsi4D0LKWu2BP5cnfwRA2sTbzE6zr1vdwHZxL2peFqKjAy9F0gDLe8gQfWf00QzoYsE0V2WxVu3RhPLFmBpawkqua52zyBFWfxcidRPKWelBuq0S4j7yBe5X38bbIZguFg58k/s320/P1000647.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710908504525605090" /></a></span></span><p class="MsoNormal" style="font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; text-align: justify; "></p><span style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; "><div style="text-align: justify; ">Tommaso Niglio rappresenta da un certo punto di vista un enigma: artigiano o artista del fischietto in terracotta? Produttore tradizionale che ha perpetuato fino ai nostri giorni i classici cucù materani, o innovatore in grado di rinnovare profondamente questi poveri oggetti, dando loro dignità di opera d’arte? Probabilmente l’unica risposta possibile è che il Maestro Niglio sia tutte e due le cose insieme. E forse proprio questo ne fa un personaggio unico nel mondo della ceramica sonora. </div></span><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span>Il Maestro ci riceve nella cucina di casa, da lu<span style="text-align: justify; ">i trasformata in laboratorio di cucù dopo la pensione. Non sembra avere ottant’anni abbondanti: non li dimostrano né il carattere gioviale e vivace, né le mani che continuano a modellare e decorare fischietti di grande raffinatezza.</span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio_foto.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title="" style="text-align: justify; "><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span>[1]</span></span></span></a></span></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; font-variant: normal; line-height: normal; "><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio_foto.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[endif]--></span></a></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><span>Il rapporto tra la famiglia Niglio è il mondo dei fischietti va avanti da almeno tre generazioni. Il Nonno e il Padre<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio_foto.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> di Tommaso li realizzavano e li vendevano per integrare il reddito dell’attività principale, quella di fornaciai. Parte proprio da qui il racconto del Maestro: <i>“Noi </i></span><i>Niglio il cuccù lo abbiamo nel sangue, modestamente, senza presunzione. A Matera c’erano delle fornaci che facevano i laterizi. Mio Padre e mio Nonno avevano una di queste fornaci di mattoni </i><i style="text-align: left; ">e tegole. Ma era un lavoro stagionale, che si faceva sopratutto d’estate. D’inverno non </i><i style="text-align: left; ">avevano cosa fare, non si poteva lavorare. Così per mangiare si facevano i frischitt!</i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><i><span>La tradizione comincia con mio Nonno. Poi ha continuato mio Padre e poi ancora io e mio </span></i><i>fratello. </i><i>Io all’età di 7 anni facevo già questi fischietti. Sono stato il bastone della vecchiaia di mio Nonno. Papà se ne venne dalla Prima Guerra Mondiale rovinato, e come invalido di guerra ebbe un impiego da messo comunale. E allora ero io ad aiutare mio Nonno, che era invecchiato, a portare avanti il suo lavoro con i fischietti. Lui li faceva e li cuoceva in una fornacetta, ed io li pittavo. E poi li andavamo a vendere. Quindi mio Nonno è stato il mio maestro.”</i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><o:p><span> </span></o:p></p> <img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRBFbvl3LUG3Mr-DjVXbxWwQw1wB4w8EBcO9JQPt16cAwotKq1_LH6c6cHQUK1vxz9E3jx8JUCjM39u9WkFPCtCl7jZHUI0fHRtAPTpod0UjFsCBu-TZAuxuV0YXybhnjwBJ8pNg64bWDf/s320/1997.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710908755802725106" style="text-align: justify; color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 216px; height: 320px; " /><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><span>Il Maestro Nig</span><span>lio – Masino come più modestamente ama farsi chiamare dagli amici – ci racconta poi quali fossero le forme tradizionali dei fischietti che ha imparato a modellare sin da bambino. </span><span>Oggi i fischietti realizzati da Tommaso e da molti autori materni sono famosi per la ricchezza degli ornamenti e per il loro gusto un po’ </span><span>barocco. Ma i fischietti della sua infa</span><span>nzia erano rustici ed </span><span>essenziali: essendo oggetti destinati a finire nella mani di </span><span>un bambino e a durare pochi giorni, </span><span>erano privi persino del piedistallo. Le forme più comuni erano la trombetta dritta o arrotolata, il carabiniere nella versione a piedi ed a cavallo, la dama nota come </span><i>pupetta</i><span>, e soprattutto il cucù più classico, il gallo ornato da strisce blu, gialle, rosse e verdi su sfondo bianco.</span></span></p></div><div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; text-align: justify; "></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span> “Il cuccù tradizionale era </span></i><i>semplice, senza l’albero<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn1" name="_ftnref1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span>[1]</span></b></span></span></a> e senza piede. Sotto ci si metteva come un capezzolo, affinché poggiandolo stava fermo e non rotolava. Spesso ci si metteva un nastrino bianco, la capisciola, che si legava attorno al collo della bambina o del bambino per evitare che andava per terra. A Gravina lo chiamano la cola cola, ad Altamura u bubbù, a Matera u cuccù, ma più o meno era lo stesso fischietto.</i></span></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><i><span>Noi sulla testa dell’uccello ci mettevamo delle specie di corna. E ancora oggi la maggioranza della gente vuole che lo faccia così, perché è più tradizionale.</span></i></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Anche il fischietto del carabiniere è senz’altro una tradizione di Matera. Tanto che anni fa - io non ero nato ancora, è roba degli anni ’20 - mio Padre fu fermato da una pattuglia dei carabinieri mentre vendeva questi fischietti. La pattuglia vedendo questi carabinieri con il fischietto al sedere disse: Come si permette? Si accomodi in caserma! </span></i><i><span>Il maresciallo di stazione conosceva la nostra tradizione, e allora disse alla pattuglia, che era fatta da giovani appuntati: potete andare. Rimasto solo con mio Padre gli disse: allora, Niglio, come la mettiamo? E mio Padre rispose: maresciallo, lo mettiamo alla Madonna ‘u fischietto, non l’amma mettere a ‘u carabiniere?“</span></i></span></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; "><div style="text-align: justify;"><b><span style="color:red">La fornace dei cucù</span></b></div> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><b><o:p><span> </span></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span>I cucù tradizionali venivano modellati dalla famiglia Niglio quasi interamente a mano. L’uso degli stampi era molto limitato e riguardava esclusivamente i visi della pupa e del carabinirere.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn2" name="_ftnref2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> Poi venivano cotti in piccole fornaci costruite ad hoc: <i>“La fornace della mia famiglia era a via <st1:personname productid="La Croce. Tutta" st="on">La Croce. Tutta</st1:personname> quella zona a cominciare dall’ex passaggio a livello, da via XX Settembre, fin qui, era tutta argillosa. E allora c’erano 5 o 6 fornaci di mattoni laterizi, tra cui i Niglio e i Morelli. <o:p></o:p></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>La fornace per i fischietti però la facevamo noi, con le mani nostre. Perché la fornace dei mattoni era </span></i><i><span>grandissima, e per cuocerla ci volevano 24 ore di fuoco. Mentre la f</span></i><i><span>ornace per questa roba era piccolina come il forno di una cucina. Si faceva una piccola vasca e si creava la volta di </span></i><i><span>questo forno.</span></i></span></p><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5sILLm-7qL7puMgRIiwj-7ePiS4RDDABhS3snuHVTuPA749338DfoDBV-HBBoC9f7ojW5ukLMm_rBj5wi6GqWVS3DiEp5YmC7aeZrWFLHfNwGWkSo7v49OF3QwPvmiLuPbD36z_IrLEZ5/s320/5048+copia.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710910229099976594" style="text-align: justify; color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 213px; height: 320px; " /></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; "><div style="text-align: justify;"><span><i><span>Per alimentarla utilizzavamo i ceppi di macchia, la ma</span></i><i><span>cchia mediterranea. Perché il ceppo fa la brace, ma non fa la fiamma. La fiamma li faceva rompere, mentre la brace faceva lo sfumo: se c’è umidità dentro, la fa andare via. </span></i><i><span>Dopo che i fischietti diventavano neri come il carbone allora ci si metteva la paglia. E si coceva questa paglia. E diventavano rossi come quando il ferro si fonde e diventa rovente.</span></i><i><span> </span></i></span></div><div style="text-align: justify;"><i><span>Si arrivava a 750 gradi, quindi i fischietti erano mezzi crudi. Se pure ci riuscivi ad arrivare a quella temperatura, perché poi dipendeva dal clima. Se era scirocco coceva avanti. Se era tramontana coceva dietro.</span></i></div> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Una volta mio fratello mise dei cucù nel forno moderno. Noi eravamo abituati che mettevamo il ferro filato nei fischietti. Ma oltre i 900 gradi si bruciarono tutte le parti di metallo, e quando </span></i><i><span>tirò fuori i fischietti i pezzi legati con il metallo erano tutti caduti.”</span></i></span></p><div style="text-align: justify;"><span><span style="background-color: white; "><span>In una fase successiva, quando ormai la fornace di laterizi della famiglia era stata dismessa, i </span></span><span style="background-color: white; ">fischietti venivano cotti da Tommaso e suo fratello Giuseppe all’interno della grotta di via </span><span style="background-color: white; ">Pennino, da loro usata come deposito di materiale per la loro attività di decoratori. Qui i due fratelli si erano costruiti una fornace fatta di mattoni refrattari tenuti insieme da un impasto di argilla e paglia.</span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn3" name="_ftnref3" title="" style="background-color: white; "><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span>[3]</span></span></span></a></span></div> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; background-image: initial; background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: white; "><span><i><span>“Quando mio Nonno ha venduto la fornace, abbiamo creato una fornace per cuocere i fischietti nella "bottega", un luogo nel quale avevamo le scale, i colori e tutto quanto serviva p</span></i><i style="background-color: white; "><span>er l'attività di decorazione.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span>La fornace aveva la forma di un tronco di cono dell’altezza di un metro e mezzo. La camera di combustione era ricavata in una buca nel terreno. Anche in questo caso il forno veniva alimentato con radici di macchia mediterranea. Da un certo punto in poi la paglia venne invece sostituita con trucioli di legno, che erano più pratici e prendevano fuoco più velocemente. </span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span>I fischietti venivano disposti con cura all’interno della fornace in strati circolari e su una apposita griglia. La cottura durava tutta una notte.</span></p><div style="text-align: justify;"><i><span>“In questi forni a legna fare le cotture era difficilissimo, e non vi dico quanti pezzi si rompe</span></i></div><div style="text-align: justify;font-weight: normal; "><span><span><i>vano durante la cottura. </i><i>E i fischietti non venivano belli tutti uniformi come adesso. </i></span><i><span>Poi finalmente sono arrivati i forni elettrici: vorrei dare un premio a chi l’ha inventati</span></i><i><span>! Grazie alla tecnologia nei forni moderni non ti si rompe un fischietto.”</span></i></span></div> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><b><span style="color:red">La decorazione dei fischietti<o:p></o:p></span></b></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>La decorazione dei fischietti era organizzata come una catena di montaggio in cui era impegnata tutta la numerosa famiglia Niglio, donne comprese. </span><span>La base del colore era costituita da un bagno di calce nel quale i pezzi venivano immersi quasi completamente. Sopra al bianco venivano poi stesi quattro colori fondamentali ricavati da terre naturali: verde, blu, giallo, rosso. La colla di pesce mescolata a questi colori agiva da fissante, ovviamente precario.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>“Per il bianco si usava la calce passata al setaccio, bella pulita. Si pigliava il fisch</span></i><i><span>ietto da ddà e si calava nel bidoncino della calce. Ci si immergeva tutto il cucù, e si salvava solo la parte da mettere in bocca. Poi si faceva scolare questa calce.</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>I colori venivano sciolti con la colla di pesce per farli durare di più. Quando era inverno avevamo il braciere e per farli squagliare li mettevamo sul fuoco. Pe</span></i><i><span>rò dopo un po’ questa colla perdeva la presa, e ci si sporcava le mani con i colori. Invece i </span></i><i><span> colori che si usano adesso sono colori acrilici, non vanno mai via, li puoi anche mettere sotto l’acqua.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><b><span style="color:red">La vendita<o:p></o:p></span></b></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>Rispetto alla vendita dei fischietti, i ricordi di Tommaso Niglio sono legati sop</span><span>rattutto a tre diversi luoghi di Matera e dei suoi dintorni: </span><i>“Insieme al Nonno andavamo a vendere i nostri lavori a Picciano nelle domeniche di maggio, o ai Cappuccini nel giorno di Pasquetta. E anche a Cristo <st1:personname productid="la Gravinella" st="on">la Gravinella</st1:personname> nei venerdì di marzo.</i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><i><span>A Matera abbiamo la chiesa rupestre del Gesù <st1:personname productid="la Gravinella" st="on">la Gravinella</st1:personname>, dove ogni venerdì di marzo si celebrano le messe. Ed io già a 7 anni facevo queste cose qui e le andavo a vendere alle persone che andavano a messa.<o:p></o:p></span></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify;font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span><st1:personname productid="La Pasquetta" st="on"><i>La Pasquetta</i></st1:personname><i> noi a Matera la chiamiamo “i Cappuccini” perché la scampagnata si svolgeva gi</i></span><i>ù alla chiesa dei cappuccini. Li c’è una croce con dei gradini, e lì mio Padre con mio Nonno mettevano le cassette con dei fischietti su questi gradini.”</i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaWBGoGKBJkyncZ0NuECe5wQ2xPioZzG_fHnguYJPwKGusBccLhmHS_noW1y-5NdXjoWUnGmm79eXwrwIP4jYwRyDvdBFNFz62aQsvsYvTBbPBitW2dlqzF19NsLLiR0JIAx841xpaDzuk/s320/1998+a.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710909211835950578" style="text-align: justify;float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 239px; height: 320px; " /><div style="text-align: justify;font-weight: normal; "><span><span>Ma il luogo più importante per la vendita dei fischietti era senza dubbio il santuario di Picciano. Tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900 il santuario si configurava come uno dei principali luoghi di devozione della comunità agro pastorale dell’area al confine meridionale tra Puglia e Basilicata. Soprattutto in occasione delle feste mariane del santuario – distribuite tra la primavera e l’estate – i pellegrini vi arrivavano </span><span>numerosissimi. Prima della costruzione della strada carrabile i fedeli affluivano a piedi o su carri trainati da muli da tutta </span><span>una serie di paesi del circondario.</span></span></div></div><div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>“Il santuario di Picciano è molto rinomato specialmente per i Pugliesi. Veniva gente da Santeramo, Altamura, Gravina di Puglia. Erano 5 le giornate di festa. E’ festa grande la prima domenica di maggio, poi l’</span></i><i><span>Ottavario, <st1:personname productid="la Pentecoste" st="on">la Pentecoste</st1:personname>, l’Annunciazione e l’8 di settembre - che è la natività della Madonna, di Maria Vergine.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; background-image: initial; background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: white; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; background-image: initial; background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: white; "><span>E’ documentato come per lo meno dall’inizio del ‘900 il fischietto fosse un oggetto-ricordo del pellegrinaggio molto ambito dai visitatori e di come la famiglia Niglio - insieme ai Loglisci di Gravina - organizzassero l’intera produzione invernale di fischietti in funzione delle feste mariane di Picciano. <a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn4" name="_ftnref4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[4]</span></span><!--[endif]--></span></a><o:p></o:p></span></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><span style="background-color: white; "><span>Nei primi del ‘900 Giuseppe Niglio aveva lavoraro per il Comune alla costruzione di alcuni locali annessi al santuario e destinati ai contadini mezzadri della zona. In cambio, la famiglia Niglio ottenne l’uso di uno di questi locali, che fu utilizzato fino agli anni ’40 per la vendita dei fischiett</span></span><span style="background-color: white; ">i.</span></span></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-style: normal; font-weight: normal; "><div style="text-align: justify;"><span><i style="background-color: white; "><span>“Noi a Picciano tenevamo una camera, perché quando mio Nonno fornì del materiale edilizio al comune per costruire queste camere a Picciano, si riservò il diritto di tenerne una. </span></i><i><span>Portavamo i fischietti col traino. Il santuario è in collina, e allora la strada era una mulattiera brutta per salire.</span></i></span></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; background-image: initial; background-attachment: initial; background-origin: initial; background-clip: initial; background-color: white; "><span><i><span>Di fischietti ne vendevamo tanti: li compravano soprattutto le famiglie per i bambini. Nelle domeniche di maggio quando finiva <st1:personname productid="la Via Crucis" st="on">la Via Crucis</st1:personname> e <st1:personname productid="la Madonna" st="on">la Madonna</st1:personname> entrava in Chiesa, tutti i forestieri venivano nel nostro locale e compravano tutti i nostri cuccù prima di ritornare al loro paese. Era da non credersi la ressa che si creava per quanti volevano acquistare i nostri fischietti! </span></i><i><span>Ma non è che si guadagnasse tanto: costavano una sciocchezza. Solo oggi queste cose vengono apprezzate.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><b><span style="color:red">Oltre la tradizione<o:p></o:p></span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><b><o:p><span> </span></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>Come in tutto il resto d’Italia la produzione tradizionale di fischietti subì un tracollo a partire dal secondo dopo</span><span>guerra. La stessa famiglia Niglio cessò la produzione sin dalla fine degli anni 40.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>A </span><span>partire dagli anni ’70, la tendenza si è invertita grazie alla ripresa di interesse verso i fischietti da parte di un pubblico più colto, fatto di appassionati di tradizioni popolari, studiosi e </span><span>collezionisti.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>A differenza di gran parte dei produttori tradizionali, Tommaso Niglio non si è tuttavia limitato a recuperare e </span><span> riproporre le forme dei fischietti classici. Al contrario, Masino ha accettato in pieno la sfida posta da questo nuovo mercato, dando il via a una produzione sempre più elaborata ed accurata sia nelle forme che nella decorazione. In questa sua evoluzione artistica Tommaso era affiancato dal fratello Giuseppe, almeno fino alla sua prematura scomparsa.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>Insieme alla crescente domanda da parte dei collezionisti, una serie di circostanze fortunate hanno favorito la trasformazione di Masino da artigiano ad artista del cucù. In primo luogo il suo naturale estro creativo, che per tutta la vita lo aveva spinto sempre un passo oltre i canoni delle semplici forme tradizionali. Inoltre il mestiere e l’esperienza da rifinito decoratore gli hanno fornito gli strumenti tecnici per reinterpretare il cucù anche dal punto </span><span>di vista della stesura del colore, che si è fatta sempre più raffin</span><span>ata e piena di sfumature.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; line-height: normal; text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><span>“Io e mio fratello abbiamo sempre creato. Perché nella tradizione i fischietti si </span></i></p><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEikVC2DdhLYFDECtMIZHhZ4S6Ek6uY4EfbT1Y9nrM2WPyD4wkoLkpccEbeQKBZg_sG-4_dBoD-U4iMRJiyWA6bFdeYEM5zJ9obzaezbw93TupZBzyiidPxRy6UiNuMZJJ5XAbvGjjYmbxo3/s320/5044+copia.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710911248211686290" style="text-align: justify; color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: right; margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 10px; margin-left: 10px; cursor: pointer; width: 215px; height: 320px; " /></div><div><div style="text-align: justify;"><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span> facevano </span></i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span>semplici, ma noi </span></i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span>man mano li abbiamo elaborati. </span></i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span>In questi album di foto ci sono centinaia di pezzi. Questa è <st1:personname productid="la Madonna" st="on">la Madonna</st1:personname> di Picciano, questo è </span></i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; ">Pulcinella che mangia gli spaghetti, questo è Totò con il corpo di un pollo, questa è la chiesa di Picciano, uguale e precisa com’è, questi sono tutti animali surreali.</i><i style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; "><span> </span></i></div></div><div><p class="MsoNormal" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; text-align: justify; "><span><i style="text-align: left; "><span>Ho fatto una rivoluzione: sui pezzi applico tutti questi animaletti oppure altre decorazioni, per esempio questi corni e questi dadi. Quando cuocio i cuccù ci inserisco dentro questi legnetti che si bruciano nel forno e mi lasciano il buco. Dove c’è il buco lasciato dal le</span></i><i style="text-align: left; "><span>gno io attacco questi animaletti con il mastice di marmo e un pezzetto di filo di nikel cromo.</span></i></span></p></div><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; font-style: normal; "> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Oggi un pezzo come questo può avere un valore notevole. Però è anche vero che io ci metto 2 giorni a farlo e 3 giorni a pittarlo, quindi sono 5 giorni di lavoro. Dunque dovrebbe costare almeno 500 euro, perché il costo di una giornata di un operaio specializzato è di 100 euro. Ma tutti quei soldi non te li da nessuno. Quindi non è per lucro, è solo la passione che ci fa andare avanti. Perché la passione a me non </span></i><i><span>me la toglie nessuno, solo la morte.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span>Il fatto che Masino non abbia rifiutato la modernità, e sia stato anzi un innovatore nelle forme e nei materiali, non significa tuttavia che non continui ad avere un legame profondo con la tradizione.</span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>“Ci sono studiosi che sanno vita e miracoli di questi fischietti. A Matera abbiamo un Professore che è molto esperto di queste cose, si chiama Spera.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn5" name="_ftnref5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><b><span>[5]</span></b></span><!--[endif]--></span></a> Una volta mi vide mettere gli occhi ad un cucù, e disse: </span></i><i><span> ecco, vedi Tommaso, 2000 anni prima di Cristo, non sapevano scolpire con la stecca come si fa oggi. E allora per fare gli occhi prendevano una semplice pallina e la applicavano, proprio come continui a fare tu. Mi raccomando, mantieniti sempre sulla tradizione!</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Co</span></i><i>sì per il viso e le mani della pupetta e del carabiniere noi non li pittiamo, li lasciamo di colore bianco calce. E la posizione delle mani è particolare.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn6" name="_ftnref6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span>[6]</span></b></span></span></a> Il Professore mi ha spiegato che così facendo continuiamo una tradizione antica e mi ha detto: lasciali sempre così. Dovete mantenere </i><i><span> questa tradizione. ”</span></i></span></p><p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><b><span style="color: red; ">I mille mestieri di Masino</span></b> </span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><b><o:p><span> </span></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span>Per Masino, come per le generazioni precedenti della famiglia Niglio, la fabbricazione dei cucù è stata solo un mestiere tra i tanti. L’iniziativa non gli è mai mancata ed ha iniziato giovanissimo: nella miseria degli anni ‘40 Tommaso si inventava mille espedienti per aiutare la sua numerosa famiglia a mettere insieme un pasto. In quel periodo è stato raccoglitore di olive, carbonaro, fuochista, suonatore di serenate.</span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span>Pian piano, lui e il fratello Giuseppe riuscirono a specializzarsi come decoratori, mestiere che avrebbero poi svolto per tutta la vita.</span></p><div><div style="text-align: justify;"><i><span>“La nostra qualifica era di pittori decoratori, però sapevamo fare di tutto. Mettevamo la carta da parati, la moquette…. Non è che gli imbianchini pittavano solo i muri. Noi artigiani del meridione facciamo tutto, modestamente. Siamo delle perle!</span></i></div></div> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Q</span></i><i>uando avevo 7 anni dopo la scuola andavo dal maestro di pittura. A 14 anni, grazie ai metodi di insegnamento di un tempo, ero già pronto per l'attività che ho svolto nella vita: quella di pittore e decoratore di interni. </i><i><span>Ho tinteggiato a Matera centinaia e centinaia - forse migliaia - di appartamenti. Quelli fatti grazie alla legge speciale di Alcide De Gasperi per la gente che viveva nei Sassi.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><b><span style="color:red">La passione per la musica<o:p></o:p></span></b></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><b><o:p><span> </span></o:p></b></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span>Oltre ai cucù, un altro grande amore ha accompagnato tutta la vita di Masino, quello per la musica. D’altronde, come spiega lui, musica e fischietti sono due facce di una stessa medaglia.</span></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><span>“A me piace tutta l’arte! Come invento tutti questi cuccù, così invento la musica. Con sole 7 note fai un oceano di note e con 7 colori, fai un oceano di colori. Lo dico senza presunzione: ho inventato sempre.<o:p></o:p></span></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg7UdEl60EAzrUeih0ClLQIxGuRp6REZu9I4qwS8gHDJb1hNXQkv7OgGnka-IQw-eoz70RWiyz5EWkLnz4Abfz9LPC23i-9fOFv0wpvxURjCxIOkwLSikkc8h8_tVlsqPvTTfrsF_wDP4QR/s320/tromba+arrotolata.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710912120367907826" style="text-align: justify;color: rgb(0, 0, 238); text-decoration: underline; float: left; margin-top: 0px; margin-right: 10px; margin-bottom: 10px; margin-left: 0px; cursor: pointer; width: 240px; height: 320px; " /><p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Dall’età di 13 anni ho suonato la chitarra come autodidatta. Un </span></i><i><span>maestro imparava la chitarra a mio fratello, e io guardavo e imparavo. </span></i><i><span>Quando avevo 13 anni è scoppiata la guerra, il 10 giugno del ‘40. Furono tutti richiamati alle armi dalla classe del 1910 fino al ‘20. E a Matera rimasero solo gli anziani. Allora io con la chitarra ero la mascotte di questi anziani fisarmonicisti, e mi chiamavano per accompagnarli con la chitarra.</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; margin-right: 6.8pt; line-height: 14.4pt; "><span><span>Nel 1944 Tommaso decise che era giunto il momento si passare alla fisarmonica. Il fratello Francesco racconta come lo strumento fu acquistato grazie al prestito concesso da un rivenditore di carbone che, intuiti il talento e la </span><span style="line-height: 14.4pt; "> passione del giovane, si improvviso Mecenate. Il debito fu restituito da Masino grazie al suo lavoro di caricatore di carbone sui traini e ai primi ingaggi come musicista.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><span>Ho suonato la chitarra per quattro anni, ed ero anche bravo, un gioiello! Poi ho preso la fisarmonica, sempre da autodidatta, ad orecchio. <o:p></o:p></span></i></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><i><span>Facevamo le serenate, che erano una cosa desiderata e bellissima! Quando era una cosa seria facevamo qualche pezzo come “Tu non mi lascerai perché ti voglio bene”, un brano di Giovanni D’Anzi. <o:p></o:p></span></i></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><i><span>Quando invece facevamo questione con la zita si faceva la “serenata a caricatura”, cioè a sfottimento. Io suonavo dei cuccù con 7 note, tipo ocarine, che facevo io stesso. Per me non era tanto difficile realizzarli, </span></i><i><span>perché ero già avviato nella musica. Naturalmente la chitarra veniva accordata secondo l’altezza del cucù, e io con il cucù suonavo la melodia. E facevamo “girogirotondo” e poi “rabbia, rabbia che tu hai, me la metto sotto i piedi”. </span></i><i><span>La mattina dopo per tutto il vicinato era uno sfottò: hai sentito ieri sera la serenata a caricatura del fidanzato tuo?”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><i><o:p><span> </span></o:p></i></p> <div><div style="text-align: justify;"><span>Nel 1949 Tommaso fondò <st1:personname productid="la Hot Jazz" st="on"><st1:personname productid="la Hot" st="on">la Hot</st1:personname> Jazz</st1:personname>, un quintetto ispirato alle orchestre jazz statunitensi. Non si trattò di una meteora, ma di un complesso destinato a influenzare un cambiamento nella cultura musicale materna, ed a durare per numerose decadi.</span></div></div> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span><span>“<i>A 20 anni suonavamo la musica jazz in un gruppo, con mio fratello che faceva il chitarrista. Allora si usava un ritmo che si chiamava bebop. Negli anni ‘60 abbiamo suonato molte volte a Bari: al Kursal Santa Lucia, al Circolo Unione, e alla Sirenetta a Mare, dove venivano tutti i “capoccioni” di Bari. Loro </i></span><i><span>di 60 anni e noi uagnedde<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn7" name="_ftnref7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><b><span>[7]</span></b></span></span></a> di 20 anni, ma tutti vestiti eleganti in giacca. </span></i><i><span>Il gruppo si chiamava Hot Jazz. Le prime volte che ci presentammo come Hot Jazz di Matera…buuu, veniva giù un boato! Allora dicemmo al cantante: non lo dire mai che siamo di Matera, perché era una risata continua. Erano delle umiliazioni: ci dicevano: “l’orchestra dei Sassi!”. Perchè adesso i Sassi hanno tutto un valore storico, ma allora avevano una cattiva fama.”</span></i></span></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><b><span style="color:red">Masino caposcuola del moderno Cucù<o:p></o:p></span></b></p><div><div style="text-align: justify;"><span>L’operazione di rielaborazione del fischietto tradizionale ha fatto del Maestro Niglio un autentico caposcuola. La sua influenza nel mondo della ceramica fischiante è presente in tutta Italia - dove numerosi artisti che si dedicano oggi alla costruzione di fischietti gli sono debitori - ma è particolarmente viva nella sua Matera. E’ lui ad aver creato lo stile del cucù “fiorito”, dalla modellatura ricca di appendici e particolari, e dalla decorazione raffinata. Non di rado si può poi parlare di una “discendenza artistica” diretta, nel senso che per lo meno due generazioni di artisti materani hanno appreso direttamente da Masino l’arte del cuccù.<a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftn8" name="_ftnref8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span class="MsoFootnoteReference"><span>[8]</span></span></span></a></span></div></div> <p class="MsoNormal" style="text-align: justify; font-weight: normal; font-style: normal; "><span>E il Maestro continua a darci le sue lezioni.</span></p><p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "></p><div><div><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2RT4wLvevsi4D0LKWu2BP5cnfwRA2sTbzE6zr1vdwHZxL2peFqKjAy9F0gDLe8gQfWf00QzoYsE0V2WxVu3RhPLFmBpawkqua52zyBFWfxcidRPKWelBuq0S4j7yBe5X38bbIZguFg58k/s1600/P1000647.JPG"><span><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTFUD3k8BTxanvjaAHMm1Fqe5uO9Vg8Oy0VoELBKKtJWv5kWtClFuXaHttY6d8z1c-_n7uCVoT46RdnkrXBSn-iCGtm16RtxlNC80cGjBQxkdb5q-XycH2oRisPN4b-IAaalmABhHl6M2W/s320/niglio+carabiniere.JPG" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5710913573892997762" style="text-align: justify;display: block; margin-top: 0px; margin-right: auto; margin-bottom: 10px; margin-left: auto; cursor: pointer; width: 320px; height: 240px; " /></span></a></div><div></div></div><p class="MsoNormal"><b><span><o:p></o:p></span></b></p><p></p> <p class="MsoNormal" style="font-weight: normal; font-style: normal; "><o:p><span> </span></o:p></p> <i style="font-weight: normal; font-style: normal; "><div style="text-align: justify;"><span><i style="font-style: normal; "><span style="color: red; ">Testi di Massimiliano Trulli e Tina Festa - riproduzione vietata. </span></i><i><span style="color: red; ">Contatti: massitrulli@gmail.com</span></i></span></div></i><div><div style="text-align: justify; "><span><br /></span></div><div style="text-align: justify; "><span>NOTE</span></div><!--[if !supportFootnotes]--><hr align="left" width="33%" style="text-align: justify; font-style: normal; font-weight: normal; "> <!--[endif]--> <div id="ftn1" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref1" name="_ftn1" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[1]</span></span><!--[endif]--></span></a> Il gallo sormontato da un albero della vita è diventato negli ultimi decenni uno dei fischietti di Matera più riprodotti e apprezzati.</span></p> </div> <div id="ftn2" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref2" name="_ftn2" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[2]</span></span><!--[endif]--></span></a> Attualmente, per il viso della Pupa viene usato lo stampo antico di una Madonna con le braccia incrociate, realizzato da Giuseppe, fratello di Tommaso.</span></p> </div> <div id="ftn3" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref3" name="_ftn3" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[3]</span></span><!--[endif]--></span></a> Di questa fornace ci racconta nei dettagli anche un fratello minore di Tommaso, Francesco Niglio (A. Mazzilli op. cit.)</span></p> </div> <div id="ftn4" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref4" name="_ftn4" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[4]</span></span><!--[endif]--></span></a> P. Piangerelli (cur.), <st1:personname productid="La Terra" st="on">La Terra</st1:personname>, il Fuoco, L’Acqua, il Soffio – la collezione dei fischietti di terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1994</span></p> </div> <div id="ftn5" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref5" name="_ftn5" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[5]</span></span><!--[endif]--></span></a> Il Professor Enzo Spera, che insegna attualmente all’Università del Molise, si occupa da decenni di ceramica popolare e fischietti in terracotta. Si vedano ad esempio gli articoli “I fischietti in terracotta del Museo “Domenico Ridola di Matera: alcune ipotesi interpretative” in P. Piangerelli, op. cit. o “Il soffio figurato. Fischietti in terracotta e pratiche rituali” in Luigi Fosca (cur.), Fischia il Gallo – galli e galletti dalla tradizione popolare italiana alla produzione ceramica contemporanea, 2011.</span></p> </div> <div id="ftn6" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref6" name="_ftn6" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[6]</span></span><!--[endif]--></span></a> Le braccia dei fischietti antropomorfi dei Niglio sono innaturalmente lunghe e arcuate, mentre le mani sono poggiate sull’addome.</span></p> </div> <div id="ftn7" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify;"><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref7" name="_ftn7" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[7]</span></span><!--[endif]--></span></a> “Ragazzini” in dialetto materano</span></p> </div> <div id="ftn8" style="font-style: normal; font-weight: normal; "> <p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify; "><span><a href="file:///C:/Documents%20and%20Settings/princ/Documenti/fischietti/ricerca/Regioni/Basilicata/Niglio/pezzo%20Niglio.doc#_ftnref8" name="_ftn8" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><!--[if !supportFootnotes]--><span class="MsoFootnoteReference"><span>[8]</span></span><!--[endif]--></span></a> Tra gli altri sono stati “a bottega” da Niglio alcuni dei più brillanti costruttori di cucù come Vincenzo e Umberto Melodia, Antonella Mazzilli, Nicola Festa. Ed attraverso quest’ultimo si può dire che abbiano attinto alla Scuola di Niglio anche Pico e Maria Bruna Festa</span></p><p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify; "><span>FOTO</span></p><p class="MsoFootnoteText" style="text-align: justify; "><span><span>1. Tommaso Niglio al lavoro; </span><span>2. Albero della vita (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna); 3. Pupa a cavallo </span><span>(collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)</span><span>; 4. Cucù con angelo </span><span>(collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)</span><span>; 5. Cucù con albero della vita </span><span>(collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)</span><span>; 6. Trombetta arrotolata; 7. Carabiniere senza piedistallo</span></span></p> </div> </div><p style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "></p><div style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-weight: normal; font-style: normal; "><div id="ftn10"> </div> </div></div></div></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-868574708802904962011-12-30T18:32:00.006+01:002011-12-30T18:43:16.575+01:00La mostra-omaggio al Maestro De Donatis di Cutrofiano<div align="justify"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5691976365356184434" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVcVtnc_FyG-Vsp_lLDNSRgf_zx1BYCWR7YsMD7_XhyphenhyphenjvCfl4NhtMHUQAtBd83oo1dC_gbej014cu8no6UENoqobpky8Bo8dWBX21wGRbSJnpGNfA6p6ViOO0SKYfaDlX4UkFODIWp8cqu/s320/3.JPG" border="0" />L’esposizione “<span style="color:#ff0000;">Il Figulo Artista – Vito De Donatis</span>” è stata un omaggio riuscito al maestro salentino scomparso nel 1999. Il titolo della mostra sintetizza bene il percorso umano ed artistico di De Donatis: proveniente da una antica tradizione famigliare di figuli, è stato egli stesso un abile artigiano della terracotta. La sua forte sensibilità artistica lo spinse tuttavia ben oltre l’artigianato <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbiP9yFDlcQJ-GkJ3QK3zwi_f24li6eBBhih0bUT14-vPV_fsxyuAed5K7XUlCxyKXkInC0_yRBOqdopN5K4k6KN-g6ysByn-K3iu80mAvBMRM_JqXqYzYBtW1wHT1hLCaBZZNGzFcYKhJ/s1600/1.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5691977106733571090" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbiP9yFDlcQJ-GkJ3QK3zwi_f24li6eBBhih0bUT14-vPV_fsxyuAed5K7XUlCxyKXkInC0_yRBOqdopN5K4k6KN-g6ysByn-K3iu80mAvBMRM_JqXqYzYBtW1wHT1hLCaBZZNGzFcYKhJ/s320/1.JPG" border="0" /></a>figulino: pur essendo a digiuno di studi artistici, <em>Mescu Vitu</em> si dedicò ad una vasta produzione di sculture in terracotta autenticamente popolari e di grande espressività.<br /><br />L’esposizione, realizzata con il contributo del Comune e della Pro Loco di Cutrofiano, comprendeva alcune centinaia di pezzi tutti appartenenti alla collezione privata della famiglia De Donatis. Variabile la tipologia dei pezzi – si trattava in maggioranza di sculture ceramiche a tutto tondo, ma non mancavano alcuni pannelli con figure in bassorilievo e i fischietti in terracotta. Diversa anche l’epoca di realizzazione e la dimensione delle sculture. Nell’insieme la mostra dava insomma un’idea abbastanza completa e precisa della produzione del maestro De Donatis.<br /><br />Nella produzione di De Donatis sono a nostro parere ugualmente suggestive e poetiche le figure isolate – raffiguranti spesso pastori o anziani – quanto le complesse ed intricate sculture raffiguranti gruppi famigliari numerosi e uniti da un amore profondo. Così come non è semplice giudicare se siano più espressivi i pezzi baroccamente decorati con una pioggia di uccellini, o le figure essenziali ed affusolate modellate dal Maestro nell’ambito della sua ultima produzione.<br />Il fascino di questi pezzi è legato fortemente anche alla loro decorazione. Gran<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpOsvBZC-so2lqRDsmZg2Cq3C3X6XCTuFpNE_ZLOLvbvLHtIwlaH20-bDA0rzUUNPvLn8WXN5cjBi0TAND2vsLE-nEBlgokLGBdeUxR-LhMlMuwnCTKP-uQrXEu_soKSv3oWkXnzbfVqyJ/s1600/2.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5691977660926341330" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjpOsvBZC-so2lqRDsmZg2Cq3C3X6XCTuFpNE_ZLOLvbvLHtIwlaH20-bDA0rzUUNPvLn8WXN5cjBi0TAND2vsLE-nEBlgokLGBdeUxR-LhMlMuwnCTKP-uQrXEu_soKSv3oWkXnzbfVqyJ/s320/2.JPG" border="0" /></a> parte delle sculture sono infatti <span style="color:#ff0000;">ricoperte da vivaci smalti colorati</span>, senza risparmio di sfumature e motivi decorativi intricati. <br /><br />Bello e suggestivo era anche l’allestimento realizzato presso lo spazio espositivo dell’ex mercato coperto di Cutrofiano. Particolarmente felice l’idea di realizzare una serie di gigantografie raffiguranti un intenso ritratto dell’artista (foto di Beppe Lo Bosco) ed alcuni dei suoi più suggestivi pezzi.<br /><br />Una ulteriore nota positiva sta nel fatto che la mostra è stata <span style="color:#ff0000;">progettata e gestita prevalentemente da un gruppo di giovani</span> di Cutrofiano, tra cui Vito De Donatis, nipote ed omonimo dell’artista. Si tratta di un bel segnale rispetto all’interesse ed all’impegno concreto dei giovani locali per la valorizzazione della città di Cutrofiano e delle sue tradizioni culturali.<br /><br />Ci auguriamo vivamente che la mostra possa essere solo la prima di una serie di iniziative volte a riscoprire la figura di un grande Maestro della terracotta salentina poco conosciuto quando era in vita ed in parte ancora sottovalutato.<br /><br /><br /><div><br /><div><br /><div align="justify"></div><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5691977839442516674" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjaAlwtoFXBUD9lIc8aFKu0dkwySl2IofSIC5UGYoaBSByoXfFjbmoMHUeeMVFAQLRrqIUSV218wWjbRByYx4Gw7va0AY_XMWRQK7X_kMPxiGodxx6j_esCSlvtKZl1rSjJJOqjHsKfZq2j/s320/4.JPG" border="0" /> <br /><div align="justify"><em>Testo e foto di Massimiliano Trulli</em></div></div></div><br /></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-68947964079412022662011-12-16T12:36:00.003+01:002011-12-16T12:44:37.958+01:00Mostra sul Maestro Vito De Donatis - 18-26 dicembre Cutrofiano<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA7ebEYeQHo9mPnUJkVRA3w7bX541Zu6gu_LZq8bTadQRGmoRrlGmq5WrGFlDHEmQH3ETfESbFoRMwp_hsI62Q2_JNmB8wZm5F83lbr_Q267eG85OBUJ96X7Pl25Xn7s1dAA2bn_coJyLq/s1600/foto+mostra+Vito+De+Donatis.bmp"><img style="display: block; margin: 0px auto 10px; text-align: center; cursor: pointer; width: 320px; height: 228px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiA7ebEYeQHo9mPnUJkVRA3w7bX541Zu6gu_LZq8bTadQRGmoRrlGmq5WrGFlDHEmQH3ETfESbFoRMwp_hsI62Q2_JNmB8wZm5F83lbr_Q267eG85OBUJ96X7Pl25Xn7s1dAA2bn_coJyLq/s320/foto+mostra+Vito+De+Donatis.bmp" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5686690588554429682" border="0" /></a>La Pro Loco di Cutrofiano organizza una mostra in onore del Figulo Artista Vito De Donatis. La mostra si terrà dal 18 al 26 di dicembre, presso l’ex mercato coperto.<br /><div style="text-align: justify;"><br /><span style="color: rgb(0, 0, 0);">Il 18 alle ore 19 inaugurazione della mostra</span>, all'interno della quale si potranno ammirare le opere dell’artista, con la presenza del Presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone, il sindaco di Cutrofiano Oriele Rolli, il sovraintendente alle belle arti Dott. Giovanni Giangreco ed altri ospiti.<br /><br />Durante la settimana si alterneranno le dimostrazioni di lavorazione al tornio e di decorazione. Nel giorno di Natale alle ore 19 una nuova conferenza dedicata ai più piccoli e alle famiglie, e a conclusione di essa dei regali per i bambini partecipanti.<br /><br /><span style="color: rgb(255, 0, 0); font-weight: bold;">Nota biografica</span><br /><br />Vito De Donatis nasce a Cutrofiano il 7 Ottobre 1923, terzo dei nove figli di Salvatore. Maestro figulo di una stirpe di famiglie di codimari sin dal 1600.<br />Già da bambino lavora nella bottega del padre. Sicchè l’arte tradizionale della famiglia, che gli entra nel sangue ancor prima della breve scolarità, diventa, col passar degli anni, motivo e senso di vita. Alla fine degli anni ‘50 con l’arrivo della plastica il settore della terracotta vive un periodo di crisi.<br />Egli abbandonò così la produzione di oggetti legati all’uso quotidiano e reintrodusse la produzione dei fischietti. L’aspetto più interessante dell’operato di Vito si basa soprattutto sulla produzione di caratteristiche sculture dal sapore naif fatte di soggetti modellati a mano rappresentanti abbracci di coppie innamorate circondate da uccelli, teneri quadretti familiari. Tali opere traggono ispirazione dal forte legame verso la sua terra, il suo lavoro e soprattutto la sua famiglia. I "pupi" hanno permesso a “Mesciu Vitu” di essere conosciuto in Italia, e non solo, come il FIGULO ARTISTA.<br />Mastro Vito si spegne in Cutrofiano il 13 Agosto 1999.</div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-73303514956182920902011-11-19T09:23:00.001+01:002011-11-19T09:48:42.210+01:00Mostra dei fischietti di Lino Durlo a Montagnana - Padova - 19-25 Novembre 2011<div style="color: #cc0000; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><span class="frx-neretto-Verdana">19 - 25 novembre 2011</span></span></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: center;">
</div>
<div style="color: #990000; text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;"><b><span class="frx-neretto-Verdana">MOSTRA DI FISCHIETTI E OCARINE </span></b></span></div>
<div style="color: #990000; text-align: center;">
<span style="font-size: x-large;"><b><span class="frx-neretto-Verdana">DI LINO DURLO</span></b></span></div>
<div style="text-align: center;">
<b>MONTAGNANA - PADOVA</b></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBv6zBe-x_l8VP4hMwv5XM6afuswlBjPER-CUaBblsi5XRSEv0Oo2PWkZekpfYfRHEAuzZ48ZAgpXZcpjrVaVGLqL62_nWIrTEqzK-WOVy-JJIoSWh3sTqgVZiucAgtJyh4VJsWLEvZgo/s1600/lino-durlo-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="224" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBv6zBe-x_l8VP4hMwv5XM6afuswlBjPER-CUaBblsi5XRSEv0Oo2PWkZekpfYfRHEAuzZ48ZAgpXZcpjrVaVGLqL62_nWIrTEqzK-WOVy-JJIoSWh3sTqgVZiucAgtJyh4VJsWLEvZgo/s320/lino-durlo-1.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
L'Assessorato alla cultura del Comune di Montagnana, in
collaborazione con l'associazione culturale "L'Artificio" di Este,
organizzano una mostra di <b>fischietti in terracotta e ocarine</b> realizzate da <b>Lino Durlo</b>, già vincitore della I Biennale internazionale del fischietto di terracotta di Matera.
<br />
<br />
L'inaugurazione si terrà <b>sabato 19 novembre alle ore 10</b> presso la Sala Veneziana di castel San Zeno e con la partecipazione di <b>interventi musicali dell'Istituto comprensivo "L. Chinaglia"</b>
<br />
<br />
La mostra sarà aperta dal 19 al 25 novembre 2011 presso la Sala Veneziana di Castel San Zeno.
<br />
<br />
<a href="http://www.prolocomontagnana.it/public/immagini-news/mostrafischietti.pdf"><u>
Scarica il pieghevole completo.</u></a><br />
<br />
Fonte : <u><a href="http://www.prolocomontagnana.it/montagnana-file/news.asp">http://www.prolocomontagnana.it/montagnana-file/news.asp</a></u><br />
<br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="http://www.youtube.com/embed/wOnf0mbLdMc" width="420"></iframe>
<br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="243" src="http://www.youtube.com/embed/7fPLjhvtrhE" width="420"></iframe>
<br />
<br />
<h2>
<span style="font-size: small;">Intervista a Roberto Bevilacqua Associazione l'Artificio</span></h2>
<b>"Lino Durlo, l'artista dei fischietti e delle ocarine"
</b><br />
<a href="http://www.asterisconet.it/approfondimenti.php?pag=ospite&chin=Roberto&chic=Bevilacqua&flm=9405&fro=osp">http://www.asterisconet.it/approfondimenti.php?pag=ospite&chin=Roberto&chic=Bevilacqua&flm=9405&fro=osp</a><br />
<br />
<a href="http://www.usaterarita.it/usate_rarita/LArtificio.html">Sito dell'Associazione L'artificio. </a>Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-82906388208183192402011-10-03T17:16:00.001+02:002011-10-03T17:16:15.814+02:00ARRIVA A MATERA IL PRIMO MERCATINO DEL BARATTO E DEL RICICLO!<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPVXdI9XCBVnD0YZTeCE_hbuUaggBewzUhPVOkeHrkUhhfm9iGgCJP9wksXJGC54DB88dybgX1EXl2nw3F5VPV7Qy_EjdUmRnf5mnReZ6K-Jay1vyJW1HLo2oGUjXDsU4KMr0XIgTvOH8/s1600/mercatino+a+a+Matera.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPVXdI9XCBVnD0YZTeCE_hbuUaggBewzUhPVOkeHrkUhhfm9iGgCJP9wksXJGC54DB88dybgX1EXl2nw3F5VPV7Qy_EjdUmRnf5mnReZ6K-Jay1vyJW1HLo2oGUjXDsU4KMr0XIgTvOH8/s320/mercatino+a+a+Matera.jpg" width="319" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGf5lSldFqFRkDagJx2xZzIpflVrnI7JvsLmuUCCGQTRX5UneYHUUYL2PLjRJb9hACA3cvuT_hIToEw9HxpJxIKmj7qMRU1gMQz-owIHydb-LAP-i87ChmhC4FLbJX0cD_1tHAhu8tJOg/s1600/mercatino+a+a+Matera.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
<div style="color: #cc0000; text-align: center;">
<b><span style="font-size: large;"> MERCATINO DEL BARATTO E DEL RICICLO</span></b></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="color: #20124d; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><b>DOMENICA 9 OTTOBRE 2011</b></span></div>
<div style="color: #20124d; text-align: center;">
<b>DALLE ORE 10.00 ALLE ORE 13.00 </b></div>
<div style="color: #20124d; text-align: center;">
<b>VIA SAN PARDO 57 BIS</b></div>
<div style="text-align: center;">
<b style="color: #cc0000;">MATERA</b></div>
<br />
<br />
L’iniziativa è inserita in una serie di eventi volti a sostenere una
politica ambientale che miri alla RIDUZIONE DEI RIFIUTI e alla loro
TRASFORMAZIONE da un punto di vista CREATIVO per poter essere
riutilizzati.<br /> Il Mercatino coinvolge tutta la cittadinanza in una
pratica antichissima e ancora oggi molto diffusa in diversi paesi nel
mondo, secondo la quale le persone, non possedendo denaro, scambiano i
propri beni attribuendo agli stessi un valore che prescinde da quello
economico e che è legato alla sfera dei ricordi, dell’utilità e delle
qualità intrinseche dell’oggetto.<br /> Il BARATTO si propone quindi di
diffondere la cultura del recupero, del riutilizzo, del riciclo delle
cose; è quindi ovvio l’intento di creare un’esposizione di oggetti,
articoli, cose, in buono stato al fine di scambiarli con altri oggetti.<br /> Chi porta gli oggetti e i mobili può anche VENDERE in modo occasionale e dichiarandone proprietà privata e provenienza lecita.<br />
Infatti c’è molta richiesta da parte di privati di vendere il proprio
usato in buone condizioni. La vendita occasionale da parte dei cittadini
e delle associazioni è un modo per coinvolgere attivamente la
cittadinanza al recupero di oggetti, dandone però un valore monetario
non eccessivo, in quanto la filosofia del mercatino dell’usato è quella
di NON GETTARE oggetti ancora in buono stato.<br /> Ma c’è anche chi
decide di REGALARE, anche piccoli oggetti o avanzi di materiale vario
(stoffa, cartone, ecc..), da poter riutilizzare in maniera creativa, per
realizzare altri oggetti….da rimettere in giro.<br /> Infatti
l’iniziativa prevede anche il coinvolgimento di artisti e artigiani ma
anche di singoli cittadini e di associazioni, che praticano il
cosiddetto RICICLO CREATIVO, trasformando i rifiuti in risorse e
materiali per la realizzazione di manufatti.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib4vwE-OVW1FXSfZBGJBRbeiGLOlf3gTjserFuK-efjKCudE9K-YjMLO-Bro6jwKtNTkoPe70BJaJE9JwBAPaKCwutQTRFutvCZy0XdmuLr6YN6IqiXlAuzHv08vzZrQSo9v87v28PvT0/s1600/volantino+baratto.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEib4vwE-OVW1FXSfZBGJBRbeiGLOlf3gTjserFuK-efjKCudE9K-YjMLO-Bro6jwKtNTkoPe70BJaJE9JwBAPaKCwutQTRFutvCZy0XdmuLr6YN6IqiXlAuzHv08vzZrQSo9v87v28PvT0/s400/volantino+baratto.jpg" width="282" /></a></div>
<br /> Lo scopo primario del
Mercatino è quello di favorire lo scambio, il riutilizzo e il riciclo
degli oggetti di consumo di uso quotidiano, in una precisa ottica di
economia ecosostenibile e di solidarietà sociale. Per salvaguardare tale
obiettivo, non è permessa la partecipazione di imprese commerciali.<br />
Il Mercatino è aperto a tutti i cittadini; la partecipazione è gratuita
PER QUESTE DOMENICHE DI SPERIMENTAZIONE (ottobre) ma a partire da
novembre, chi vuole vendere è tenuto ail pagamento della quota
associativa valida per un anno (5,00 €) ed eventualmente il pagamento
della TOSAP ogni qualvolta si decida di partecipare.<br /> È necessario comunque dare un’adesione (per telefono, email o tramite facebook) per l’organizzazione degli spazi. <br />
I partecipanti dovranno munirsi di tavolini, tappeti e supporti vari
per esporre i propri oggetti, se ce li hanno! L’'associazione metterà
gratuitamente a disposizione dei tavolini, fino ad esaurimento.<br />
Verrà creata, inoltre, una BACHECA, pensata per oggetti di grande volume
(mobili, divani, biciclette, etc.) con annuncio e foto degli oggetti da
barattare, vendere e regalare.<br /> Ci sarà anche uno spazio riservato
ai BAMBINI e al loro mondo, dove si potranno vendere e scambiare giochi,
figurine, fumetti, giornalini e tutto ciò che riguarda il mondo
dell’infanzia. A tal proposito saranno coinvolte le scuole e il mondo
del no profit.<br />
<br />
<a href="https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=199269473477509&id=108421072562350#%21/memoriaefantasia">Memoria e fantasia su facebook </a>Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-37274233841001973532011-09-16T19:03:00.017+02:002011-09-26T17:40:50.946+02:00I fischietti dei Maestri cocciari di Ficulle (Terni) - Memorie e Suoni di Terra<div><div><div><div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaCqZBHqieKneWm4pTQRFuP3eQDHE4BePPnTStBmlR_OS5aLA9PBKYRSFmv_xjJo320lCjr_KLW3B-hE4C1g8VBz1xK5gMPjKR7Fn-rVnagc-kEmp0MihhFNdhByq8HTbT6WafYlgH48q_/s1600/fischietti+Cortellini.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653027528256662098" style="display: block; margin: 0px auto 10px; width: 320px; height: 240px; text-align: center;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaCqZBHqieKneWm4pTQRFuP3eQDHE4BePPnTStBmlR_OS5aLA9PBKYRSFmv_xjJo320lCjr_KLW3B-hE4C1g8VBz1xK5gMPjKR7Fn-rVnagc-kEmp0MihhFNdhByq8HTbT6WafYlgH48q_/s320/fischietti+Cortellini.jpg" border="0" /></a> “<em>Questo paese è legato alla lavorazione della terracotta da sempre. Lo testimonia il nome stesso: Ficulle. Nonostante lo stemma cittadino, il nome non ha niente a che vedere con l’albero di fico. Deriva invece dal latino figulus, figulo, ciò è vasaio. Quindi sembra che a fine X o nell’XI secolo, i primi insediamenti abitati di questo territorio si dedicassero alla lavorazione dell’argilla. Questo perché la zona è piena di giacimenti, e quindi qui nacquero una serie di insediamenti proprio per lavorare la terracotta.<br /><br />Si calcola che negli anni ’30 nel paese ci fossero una quarantina di persone che lavoravano la terracotta. E tutta l’economia locale girava - oltre che attorno all’agricoltura - anche attorno alla terracotta. Perché c’era un indotto: chi si occupava di estrarre la materia prima, chi portava la legna per fare le cotture, chi andava a vendere i prodotti, e così via. Quindi erano in molti a lavorare nel settore”.<br /></em><br />Sono parole di Fabio Fattorini, artigiano che ancora oggi perpetua la secolare tradizione di lavorazione della terracotta di questo paese dell’Umbria. Ci siamo rivolti a lui e a tre anziani Maestri artigiani di Ficulle per saperne di più sulla lavorazione della terracotta e naturalmente anche dei fischietti di questa zona. Il primo di questi maestri è Renato Cortellini, che da quasi 40 anni vive e lavora a Fabro, ma che proviene da una antica famiglia di cocciari di Ficulle, precisamente della frazione di San Cristoforo. Il secondo è Carlo Luciani, anche lui cocciaro da generazioni con bottega a San Cristoforo. In fine c’è il padre e maestro di Fabio, Carlo Fattorini.<br /><br />Le prime domande che rivolgiamo a questi artigiani riguardano il legame – spesso molto antico - tra la loro famiglia e il mestiere del cocciaro, nonché le modalità del loro personale l’apprendistato. Una delle costanti che emerge nel loro racconto è il fatto di avere imparato i rudimenti del mestiere sin dalla tenera età.<br /><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Nella mia famiglia la tradizione di lavorare la terracotta è sicuramente molto antica. Noi pensiamo che risalga addirittura al ‘400. Infatti mio Nonno ha trovato un mattone della nostra bottega di Ficulle che riporta la data del 1412. Di sicuro c’è che la bottega di famiglia era attiva già dal 1770. E questo è documentato: è scritto sul diploma con cui mio babbo Cesare ricevette la medaglia d’oro per l’artigianato. </em><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn1" name="_ftnref1"><em>[1]</em></a><em><br /><br />Io ho sempre frequentato la bottega, da quando avevo 5 anni. Il Babbo mi comandava le piccole faccenduole. Poi andavo anche a scuola, ma all’epoca dopo la quinta elementare ti facevano smettere immediatamente. Peraltro io ero bravo, mi piaceva la scuola. Ma mi trovo contento di quello che ho fatto, mica mi lamento</em>”.<br /><br /><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Ho imparato da piccolo, dopo che anche Luciano, mio fratello più grande, aveva imparato il mestiere dal Babbo. Poi quando a scuola ho chiuso la classe quinta, il Babbo mi ha detto: “c’hai voglia di studiare?” Ed io: “no!” “E allora ecco, vieni qui ed impara il mestiere”. Ho imparato su un tornietto piccolo, a pedale, che ancora conservo. E fino all’85 ho fatto questo mestiere, e lo rifarei volentieri, però non si può fare più, perché qui non si rinasce più”.<br /><br /></em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5DICn4LntrYSuU7Pmt_vOV8L2aqtOogcKfjT0lY4zQR8KteeOZCQcQNGf-w12Mlb04qSEh1mPQbIG4R6ySTTidmLai0WdgTs0JaZ_n1Zo459BLKDZOsntgIXLQG89D7yAQ1aUWemjtfr9/s1600/P1000438.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653028500070171762" style="float: left; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg5DICn4LntrYSuU7Pmt_vOV8L2aqtOogcKfjT0lY4zQR8KteeOZCQcQNGf-w12Mlb04qSEh1mPQbIG4R6ySTTidmLai0WdgTs0JaZ_n1Zo459BLKDZOsntgIXLQG89D7yAQ1aUWemjtfr9/s320/P1000438.JPG" border="0" /></a><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>Questa è stata sempre zona di cocciari da centinaia e centinaia di anni a questa parte, e se scaviamo sotto al paese troviamo tutti pezzi di cocci anche a un metro e mezzo di profondità. Ma nella mia famiglia io e mio fratello</em><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn2" name="_ftnref2"><em>[2]</em></a><em> siamo stati i primi. Avevo il Babbo che lavorava nelle botteghe, ma si occupava un po’ de aiutà, non sapeva tornì.<br /><br />Ho imparato queste tradizioni antichissime quando ero molto giovane. Non è una cosa facile, ci vuole una vita per imparare, ed ancora devo finire di imparare, per essere onesto.<br />Io sono del '31, ed esattamente dall’età di 5 anni sono andato a bottega. Con me lavorava anche mio fratello, che è più grande di me di 4-5 anni.<br />Avevo un Maestro molto bravo, posso dire un amico. Ma bravo sul serio, non di quelli che si fanno chiamare maestri ma non sanno fare niente. Soprattutto, era bravissimo con il tornio, era un tornitore che faceva paura! Mi ha tirato su lui come io ho tirato su mio figlio. Si chiamava Rigo Sassetti, ed era del '4. Abbiamo sempre lavorato insieme fino a che, nel '63, quando lui è morto ed io ho continuato col Fratello."<br /></em><br />Nel seguito della nostra chiacchierata, approfondiamo con i Mastri cocciai di Ficulle tutte le fasi della lavorazione della terracotta, dall’estrazione dell’argilla fino alla vendita dei prodotti, passando per la preparazione dei colori e la cottura.<br /><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">L’estrazione e la preparazione dell’argilla<br /></span></strong><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Una volta l’argilla bisognava estrarla nelle cave. E non era una passeggiata: non c’erano ruspe, si faceva tutto a mano. Di solito trovavi uno sbanco di 3 metri, ma l’argilla buona - quella più azzurra, quella che ha la giusta resistenza nella lavorazione – era soltanto la parte di sotto. E allora andava estratta quella, mentre quella sopra non serviva a niente.<br />Quelli più coscienziosi toglievano la parte sopra e prendevano il cuore. Altre persone scavavano una galleria, per evitare di dover togliere 2 o 3 metri di terra sopra. Però era un metodo pericoloso, e negli anni ’50 c’è morta una persona qui a Ficulle. La galleria è crollata e lui è rimasto sotto. E da lì l’estrazione dell’argilla a Ficulle è andata diminuendo.<br /><br />Noi ultimamente prendevamo gli scarti dei laterizi a Bettolle. Li c’è una grandissima produzione di laterizi, e noi prendevamo i mattoni rotti che venivano scartati prima di essere infornati. Non costavano niente, pagavi solo la ruspa e il camion. Quindi prendevi 400-500 quintali di argilla, la portavi nel terraio, poi la lavoravi con l’acqua, la battevi. Avevamo un cilindro fatto con i rulli del carro armato, proprio una cosa molto artigianale che avevamo costruito per schiacciare l’argilla</em>”.<br /><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Ai tempi in cui era vivo mio Nonno la terra l’andavamo a prendere sul terreno con il piccone. Poi andavamo in laboratorio e la scaricavamo. La trasportava un mulo con i bigonzi scarcarelli, che sono due bigonzi che c’hanno il fondo bucato. Arrivati vicino alla vasca dell’argilla si slacciava la cordicella e zum: si aprivano i bigonzi e il contenuto andava a finire dentro!<br />Usavamo l’argilla della zona, ma ora non si può più fare. Una volta la stavo scavando dal campo, in certi terreni miei. La forestale mi ci ha trovato e mi ha detto di non cavarla più. Ti possono anche mettere in galera, perché la considerano come una cava abusiva. Loro fanno di ogni erba un fascio, mentre noi per le nostre esigenze caviamo poca terra, forse 15 quintali all’anno.<br /><br />Poi l’argilla si bagnava e si manovrava con il badile e la pala. Poi si metteva su un tavolone grosso di quercia che ancora ce l’ho su alla vecchia bottega. E si passava su e giù una ventina de volte con una sbarra de ferro. Così l’argilla era pronta. Si maneggiava ancora un po’ con le mani ed era pronta per il tornio. Invece adesso arriva la creta pronta in pacchetti</em>”.<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>L'argilla al tempo della fame la estraevamo con il piccone, ora si compra roba già manipolata, industriale. Sarebbe meglio usare solo la terra nostra, ma se vai a pijalla con il somaro, come si faceva una volta, non puoi magnà! Se te metti a picconà ci metti 2 giorni a estrarre un quintale de terra. Invece se paghi 20 euro ne prendi un quintale e ½.”<br /></em><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La tornitura<br /></span></strong><br />Se è vero che tutte le fasi della produzione di manufatti in terracotta richiedevano una grande esperienza, probabilmente era nel lavoro del tornio che la maestria degli artigiani di Ficulle si esprimeva a pieno. Si trattava allo stesso tempo di un lavoro di fatica e di grande perizia.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirINmpeHzvBp5lyKiBUJJpJqp3iLfVe1LnyPoR1pGAdeY0SFBFFVx5LhO1xYzv9dgQTObIZJ18X7VQ40th68H7_CG8ji6YNntdr-_kCd3CqOuEOfqEOBNIFjZllL4xsfB3CdSkM97ZieOX/s1600/richiamo.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653029710351691890" style="float: right; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirINmpeHzvBp5lyKiBUJJpJqp3iLfVe1LnyPoR1pGAdeY0SFBFFVx5LhO1xYzv9dgQTObIZJ18X7VQ40th68H7_CG8ji6YNntdr-_kCd3CqOuEOfqEOBNIFjZllL4xsfB3CdSkM97ZieOX/s320/richiamo.JPG" border="0" /></a><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Il lavoro del tornio era faticoso, ma noi si era cocciari che mica scherzavamo! Si lavorava davvero: stavamo 12-14 ore al giorno al laboratorio. Se no facevi poco, non producevi abbastanza.<br />Noi siamo in grado di fare centinaia di pezzi al giorno con il tornio: siamo veloci, è proprio il lavoro nostro.<br /><br />Il lavoro del torniante uno lo può continuare a fare anche alla mia età solo se ha fatto una vita corretta. Se uno ha bevuto, ha fumato molto… basta che le mani tremano un pochino e non lo riesci a fare più. Ci vogliono le mani ferme.<br /><br />Oggi è molto più facile. L’impastatrice oggi ti prepara anche i pezzi e le misure, oppure si mette un affare al tornio che chiamano giudice. Ma io non ne ho bisogno: fo molto ad occhio. Tanto è vero che quando mi ordinavano 100 boccali mi dicevano: come fa a farli tutti uguali? A occhio, pratica e occhio. Quando ne ho fatti uno-due gli altri vengono tutti uguali.<br /><br />Le crete che usavamo erano di diversi tipi: quelle refrattarie, più rosse, si usavano per i tegami, ad esempio. Perché la rossa è buona per cuocere, mentre quella bianca si spacca.Ma se fo un contenitore per l’acqua, quella bianca tiene. Più è bianca e più tiene. Mentre quella rossa diventa umida, si impregna tutta. Il fischietto invece lo fai con tutti i colori di terra, quella che c’hai usi.<br /><br />Anche i giovani sanno tornire, ma mica come noi. Dopo sono più bravi su altre cose. Loro hanno fatto la scuola d’arte e hanno imparato altre cose. Noi siamo rimasti alla tradizione, e loro invece sono andati avanti. Sanno usare altri materiali, usano tecniche nuove. Noi invece tecniche nuove niente.”<br /></em><br /><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Il nostro era un lavoro faticoso ma dava anche soddisfazione. Non si dipendeva da nessuno, eravamo liberi, e questo è tanto. E la domenica era sempre festa. Anzi, quando avevamo cotto un forno si faceva sempre 2 o 3 giorni di festa</em>.”<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: "<em>Diceva il mio Maestro che gli ero passato avanti, che ero diventato più bravo di lui al tornio. Lo diceva Rigo, io non lo direi mai! Lui mi insegnava che la terracotta più fina la fai e più bravo sei. Poi però io ci avevo preso gusto a farla fina, e allora lui prese a dirmi: devi imparare a farla più spessa! Io non lo ascoltavo e allora litigavamo. Il fatto è che lui preferiva la solidità del vaso, in modo che non si rompesse. Perchè ovviamente più fino è l'oggetto più è facile che si rompa.<br />Anche mio figlio è passato avanti a me. Di mio Figlio posso dirlo, mentre non lo potrei dire del Maestro mio!</em>”<br /><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La cottura<br /></span></strong><br />Particolarmente affascinante è il racconto di come si cuocevano i cocci e i fischietti nel forno a legna. Si trattava di un lavoro lungo e faticoso, che richiedeva abilità da molti punti di vista, come la disposizione dei pezzi nel forno o la scelta dei tempi e delle temperature.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>I forni a legna tradizionali avevano una camera di cottura di 1 metro e 80 per 1 metro e mezzo per 2 metri di profondità. Sotto c’èra un bacino dove si metteva tutta quanta la legna. Il forno era a fiamma libera, nel senso che c’era un pavimento per dividere le due zone <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhGtw5zbuOlvekuvJlur4DV_ndiIOeVE9oBNp28Tiq2cc37rQzlGFK5mRniEALeEhz1ToOpAT0GMvSmGcc2CEOlnbE_JAXfNvM8fLowvEBfFE4YnDtPrlT9i3q6oDYbjuaUm3Fsar8hF6h/s1600/P1000471.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653030394117526306" style="float: left; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 240px; height: 320px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhGtw5zbuOlvekuvJlur4DV_ndiIOeVE9oBNp28Tiq2cc37rQzlGFK5mRniEALeEhz1ToOpAT0GMvSmGcc2CEOlnbE_JAXfNvM8fLowvEBfFE4YnDtPrlT9i3q6oDYbjuaUm3Fsar8hF6h/s320/P1000471.JPG" border="0" /></a>con una serie di fori da cui passava la fiamma. Saranno stati 50-60 fori, e la fiamma passava in mezzo ai vasi.<br /><br />Con la cottura a legna, per cuocere un bel forno ci vorranno dalle 28 alle 30 ore. Ma il tempo di cottura dipende anche dal materiale che ci metti dentro. Bisogna calcolare un certo numero di ore per ogni quintale di creta. Se nel forno ci sono solo piatti e bicchieri, che sono sottili rispetto a brocche e vasi, 5 o 6 ore le risparmi.<br />Ci sono varie fasi di cottura</em>. <em>Le prime 8-10 ore sono di tempera, nel senso che gli oggetti non devono “vedere” la fiamma ma soltanto calore, in modo che si tempera tutto l’ambiente. Poi puoi iniziare a usare la legna più sottile fino ad avere la fiamma viva che serve a “lavare” lo smalto.<br /><br />Nel forno, gli oggetti si impilano uno sopra l’altro. Le brocche le metti bocca contro bocca e poi di nuovo fino a formare una colonna. Questo significa che per potere infornare gli oggetti devi farli in un certo modo. La brocca da vino, quella li con il becco lungo, devi farla con il becco di una certa forma e misura, perché poi devi appoggiare i pezzi bocca contro bocca e sedere contro sedere. Quindi se il becco è un pò storto la brocca non poggia bene, e non riesci mai a</em> <em>fare la fila.<br />I piatti invece si impilano separandoli l’uno dall’altro con dei piedini fatti in terracotta.<br />Alla fine il forno deve essere completamente pieno. Perché essendoci i fori sul pavimento, la fiamma viaggia dove c’è il vuoto. Quindi se si lasciano degli spazi viene una cottura non omogenea, perché dove c’è il vuoto la fiamma è piena, mentre nella parte dove ci sono più oggetti sarà difficile che passi.”<br /></em><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>Riempito il forno, si mura la porta con i mattoni o con 'li cocciacci, con la terraccia. E un metodo vecchio, di quando c’era la fame.”<br /><br /></em><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Si lascia un foro di 10 centimetri per poter controllare quando esce la fiamma, il che avviene grosso modo dopo 18 ore di cottura. A un certo punto i pezzi diventano di un rosso incandescente.<br />Sul forno ci sono anche alcuni fori, davanti e dietro, che servono per fare lo sfiato, cioè per fare uscire la fiamma. Magari succede che nel forno c’è più fiamma nella parte avanti, e allora tu chiudi un buchetto davanti e la mandi indietro. Sono tutti giochetti che servono per avere condizioni di fiamma uniforme dentro il forno</em>.”<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>Una delle cose difficili è capire quanti gradi di calore ci siano nel forno a legna, perché lo devi vedere co’ l'occhi. Anche quando fai il colore devi capire ad occhio quando raggiungi la giusta dose di ingredienti. Oggi se il pezzo ti viene troppo cupo puoi mettere una soluzione e farlo più chiaro, ma allora non li potevi fare questi discorsi qui</em>.“<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Non c’è termometro nel forno a legna. Si capisce che il forno ha raggiunto la temperatura giusta quando il rosso ha preso un colore particolare, che mi è difficile spiegare a voce. A quel punto ci si ferma, non si alimenta più il fuoco.<br />Insomma il forno a legna richiede un lavoro un po’ lungo, sia per infornare sia per la cottura</em>.”<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>Il forno a legna che ho adesso è nuovo ma l’ho costruito come 2000 anni fa. Ho fatto tutto io, sono maestro di queste cose qui. L’ho ricostruito con le stesse misure del forno del mio Maestro: come era fatto quello li ho fatto questo. Perché quando vai fuori con le misure diventa un po’ difficile. Ed ho anche due tornii di quelli vecchi, a pedale</em>.”<br />Ma la cottura dei pezzi era anche una delle fasi di lavoro più belle per un cocciaro, sia perchè permetteva momenti importanti di socialità che perché preludeva ad un breve ma meritato riposo.<br /><br /><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>La fornace in un mese circa si riempiva. E allora circa una volta al mese si coceva. Di inverno era un po’ difficile azzeccare il giorno giusto, perché ci voleva il sole.<br /><br />La cottura era una festa, sopratutto l’inverno, quando era freddo. Noi si accendeva il fuoco verso mezzogiorno-l’una fino al mezzogiorno dopo, e la notte bisognava fare la veglia. E la sera venivano gli amici, ci facevano</em> <em>compagnia. A mezzanotte levavamo la brace la mettevamo in mezzo, e si cucinavano le salcicce e le bistecche di maiale.<br />L’estate invece era fatica, eh! Perché a mettere la legna era caldissimo.Col fratello si faceva mezza nottata per uno, io facevo sempre la sera e lui all’1-1 e ½ si alzava e mi dava il cambio fino alla mattina</em>.”<br /><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La decorazione<br /><br /></span></strong>La decorazione caratteristica di Ficulle è maculata: il fondo reso chiaro da un ingobbio, il bianchetto, viene decorato con macchie verdi e marroni. In fine si da una mano di cristallina per rendere lucida e impermeabile la superfice.<br />Bianchetto e colori erano tutti prodotti artigianalmente dagli stessi artigiani.<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>La colorazione tradizionale di queste parti la chiamiamo schizzato. Si fa immergendo nella vernice lo scopetto e poi schizzando i pezzi. I colori erano fatti con sostanze naturali ed erano preparati da me o da altri artigiani: le macchie verdi le facevamo con il rame bruciato, quelle scure con un sasso vulcanico macinato, quindi alcune macchie venivano più intense, altre meno intense. E puoi girà il mondo ma un colore come questo non lo trovi da nessuna parte.”<br /></em><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Per il fondo chiaro si usava quello che noi chiamiamo il bianchetto. Con il bianchetto il pezzo diventa giallino dopo la cottura, invece che tutto marrone.<br />Non è un colore, ma una terra bianca che da noi si trova solo al campo di Triguanda. La terra va messa a bagno, poi si mette a scaglie dentro una conca e viene setacciata tre o quattro volte. Si mette a bagno, si mescola con le mani, si passa con il primo setaccio grande, poi quello più piccolo, infine quello ancora più sottile, fino a che diventa proprio liquida.<br />Per questa ultima fase ci vuole un ora e mezza per ogni litro, perché il setaccio è così fino che non passa quasi niente. E infa<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2vqeP9Sr7AghmuZUagwvPi4mvc-iynuE9O0hgtKWASBOpNjYKJ5CYCT9z_HpwhH46urTMMtD2Cg18Kf-L0LirX1x67LmZToeJqy7CJ6DN2G7aG7kwBBC_8KddluGMET3NHVMWD4ZT8g_w/s1600/fattorini.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653030994822997698" style="float: right; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg2vqeP9Sr7AghmuZUagwvPi4mvc-iynuE9O0hgtKWASBOpNjYKJ5CYCT9z_HpwhH46urTMMtD2Cg18Kf-L0LirX1x67LmZToeJqy7CJ6DN2G7aG7kwBBC_8KddluGMET3NHVMWD4ZT8g_w/s320/fattorini.JPG" border="0" /></a>tti il setaccio si chiama così perché un tempo si faceva con la seta. Ci vuole una giornata solo per fare questo lavoro.<br /><br />Per quanto riguarda il colore verde usavamo gli scarti di rame. Si mettevano nel forno in un recipiente, e si cuocevano. Il rame quando è cotto si spezza così, con niente. Poi con un mortaio si batte, si setaccia, e diventa polvere. E si rimescola insieme al piombo. Naturalmente ad occhio, perché non è che c’è il bilancino. Quando vedi che il colore è giusto ti fermi.”<br /></em><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>La colorazione verde e marrone che vedete noi non la compramo. Ho continuato sempre a farmi i colori come li facevano mio Nonno, il mio Bisnonno e li mi Babbo. Gli ingredienti li mettemo ad occhio, non pesamo niente.<br />Per fare il marrone ci mettemo una pietra di Civita de Bagnoreggio, il manganese. Pè fa il verde cuocemo il rame e lo pistamo su una pietra.<br />Facciamo da soli persino la cristallina. Prima usavamo piombo puro, che addirittura a me è finito nel sangue. Ho il saturnismo, che ho preso dando il piombo. Poi lo hanno vietato, quindi facciamo la cristallina igienica, che sarebbe vetro macinato. Ce se mette il silice, che sarebbe la sabbia fina fina. E viene fuori la cristallina come quella di oggi, solo un po’più ruvida.<br /><br />Poi questo colore lo damo a modo nostro, senza usare lo spruzzo come insegnano oggi. Bagniamo il pennello nel colore e lo tiriamo addosso al boccale, a modo nostro. Poi prendiamo un catino di cristallina e ci buttiamo dentro il boccale.</em><br /><br /><br /><div align="justify"><em>Facciamo anche molto velocemente: se mi ci metto con mia moglie a dare il colore a 100 boccali non ci mettemo neanche un’ora a farne 100!” </em></div><br /><br /><div align="justify">Sia Carlo Luciani che Fabio Fattorini sottolineano come rispetto ai forni moderni, il forno a legna dia alla colorazione dei pezzi un effetto diverso e più suggestivo.<br /><br /><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Lo smalto era su per giù tutto uguale, però se noi cocevamo 50 brocche con la legna non ne veniva nessuna uguale. Perché la fiamma non arrivava in modo uguale. Per esempio la brocca che era in alto nel forno veniva di un colore meno intenso, quella in basso si bruciava leggermente. Venivano fuori dei colori stupendi. Poi abbiamo preso il forno a gas e quello elettrico e la roba che c’è dentro viene tutta uguale, quelli in alto e quelli in basso.”<br /><br /></em><strong>Fabio Fattorini:</strong> “<em>Il forno a legna dà ai pezzi una colorazione particolare, unica, che oggi con i forni moderni si è persa. Se nella parte inferiore del forno abbiamo ad esempio 1.000 gradi di temperatura, sopra la temperatura sarà sempre inferiore. Questa differenza di calore cambia la colorazione dei pezzi. Non potremo mai avere la stessa temperatura sul tetto e sul fondo del forno: uno può essere bravo quanto vuole, ma è impossibile. Quindi anche il colore dei pezzi sarà diverso.<br />E poi anche una stessa brocca potrà avere due colori diversi, uno più intenso e l’altro meno. Perché magari da una parte ci è passata la fiamma vicino, dall’altra parte no.<br />Infine va considerata anche l’umidità del forno e degli oggetti, perché l’umidità porta a cambiare colore.<br />Il forno a gas invece ha una intercapedine dove passa la fiamma. Quindi la fiamma gira in modo uniforme. E anche gli oggetti vengono fuori tutti simili</em>.”<br /><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La vendita<br /></span></strong><br />Gli artigiani di Ficulle si occupavano anche della vendita dei prodotti, che avveniva presso la propria bottega o in maniera itinerante, nelle diverse feste di paese e mercati. L’area in cui i cocciari di Ficulle smerciavano i loro prodotti era piuttosto ampia, e comprendeva oltre all’Umbria parte della Toscana e l’alto Lazio.<br /><br />In un suo saggio, Francesca Sgrò<a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn3" name="_ftnref3">[3]</a> documenta come anche i fischietti in terracotta fossero un prodotto ricercato, soprattutto durante la fiera di San Giuseppe a Castiglione di Teverina <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieAcV-pxBe8rZKcsBpdC0He4AEaS8lboQ-xN_soBWzmdph_JbigqEb9garULwJ_b9RY9kMCkLc-8EDac9F5cKyM4tbI-hXvnOVQr2e_xoO6IsAJ0_J6AH3TMkjKrZF3plkTmckkK3kGRwz/s1600/P1010823.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653032340730352546" style="float: left; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 265px; height: 320px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEieAcV-pxBe8rZKcsBpdC0He4AEaS8lboQ-xN_soBWzmdph_JbigqEb9garULwJ_b9RY9kMCkLc-8EDac9F5cKyM4tbI-hXvnOVQr2e_xoO6IsAJ0_J6AH3TMkjKrZF3plkTmckkK3kGRwz/s320/P1010823.JPG" border="0" /></a>(provincia di Viterbo) e la festa della Pentecoste a Orvieto. Quest’ultima era detta anche la festa della Palombella, ed infatti il fischietto più richiesto era proprio quello che riproduceva questo uccello.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Questi signori, gli artigiani tradizionali, portavano i loro prodotti col somaro, con dei bigonzi pieni di cocci. Facevano il giro per le campagne, o andavano ai mercati che si tenevano nei vari paesi una volta al mese. E vendevano la loro merce. I contadini erano gli acquirenti più importanti. Ad esempio le brocche erano fondamentali: all’epoca non c’era l’acqua in casa.”<br /><br /></em><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Prima si girava con il cavallo e il carretto. Nel 1935 Babbo – che si chiamava Francesco - e suo fratello Settimio si fecero un camioncino. Io sono del ’27, e avevo 7 anni, ma mi ricordo benissimo: era un 501 e costò 2.900 lire. E allora noi si arrivava ancora più lontano, 70-80 km dopo Orvieto. E si vendeva bene, perché li non avevano la nostra roba.<br /><br />Anche qui a San Cristoforo si vendeva qualcosa. Vivevamo a poca distanza dalla famiglia Cortellini, che faceva lo stesso mestiere nostro. E sia noi che i Cortellini vendevamo la merce in piazza sotto quegli alberi li. Siccome tra Orvieto e Chiusi l’autostrada non c’era, le macchine passavano da qui, era una strada centrale. Per cui vendevamo la merce a chi passava.<br />Per fortuna con i nostri vicini si andava d’accordo. Ci dicevamo: oggi c’hai roba te? E tirala fuori te, io la tiro fuori domani.<br />E poi bisognava girare. E si andava in giro per le piazze e per i mercati a vende la nostra roba. Noi andavamo a Orvieto tutti i sabati, e c’avevamo anche un magazzino li.”<br /><br /></em>In più di una pubblicazione,<a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn4" name="_ftnref4">[4]</a> si nota come Cortellini, che ha continuato a girare le fiere fino a metà degli anni ’90, sia stato uno degli ultimi cocciari ad aver perpetuato questa modalità di vendita dei prodotti.<br /><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Ormai ho rottamato il carretto del mi Babbo, quello che usava quando era giovane e con mi Nonno andavano a vendere in piazza questi prodotti.<br />E anche quando ero giovane io giravamo tutte le fiere e i mercati qui intorno col carretto. La città più lontana dove arrivavano era Castiglion Teverina. Anche alla fiera della palombella a Orvieto ci andavo sempre con la bancarella, e di fischietti della palombella ne vendevo molti.<br />Il carretto era tirato dal cavallo</em>, <em>e quando si arrivava lontano usavamo anche il carriolo a 4 rote, al quale attaccavamo anche il mulo. Ci volevano 2 o 3 bestie, altrimenti la salita gli pesava troppo.<br />Dopo abbiamo continuato col camioncino. Quando avevo 18 anni con il Babbo abbiamo preso il primo 501.<br />Le fiere le ho fatte forse fino al ’95. Ho smesso quando è uscito il registratore di cassa, perché l’artigiano deve fà l’artigiano. Io la vedo così: non mi posso mettere a fare il commercialista.”<br /></em><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">I fischietti di Ficulle<br /></span></strong><br />I fischietti in terracotta di Ficulle sono di fattura piuttosto semplice rispetto alla produzione di altre zone d’Italia. Si tratta di numero limitato di soggetti, prevalentemente modellati a mano, lasciati grezzi o decorati con una semplice invetriatura. D’altronde il fascino di questi oggetti sta probabilmente proprio nella loro semplice espressività e nella loro completa aderenza alla tradizione.<br />I soggetti e la fattura di questi fischietti si ripetono infatti senza significative variazioni da generazioni. Si tratta di solito di soggetti legati al mondo rurale, che ricordano da vicino quelli prodotti dai vasai del viterbese e della Toscana.<a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn5" name="_ftnref5">[5]</a><br /><br />E’ stato documentato dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari che negli anni ‘30 fossero 18 le botteghe di Ficulle che lavoravano la terracotta. Tre di queste, oltre agli oggetti di uso domestico realizzavano i fischietti: si tratta delle botteghe Cortellini, Poli e Luciani.<a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn6" name="_ftnref6">[6]</a><br /><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Sono tutti soggetti tradizionali: il bue col fischio, il cavallino con il fischio, il mulo con i bigonzi, la contadinella, il contadinello. Poi c’è l’uomo a cavallo, la gallinella, il pavone. Mi Nonno faceva anche il carabiniere, ma io non l’ho fatto più. Perché per farlo bello lo facevano con gli stampi, e a me con gli stampi non andava di farli, li ho buttati via tutti. Avevo anche il fischietto col duomo di Orvieto fatto con lo stampo.<br /><br />Si facevano anche i richiami per gli uccelli di coccio, tipo questo.</em><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn7" name="_ftnref7"><em>[7]</em></a><em> E’ fatto un pezzo al tornio un pezzo a mano, mentre le altre forme sono tutte a mano. Li usavano i cacciatori. Però bisogna saperli manovrare quando si fischia, altrimenti gli uccelli si impauriscono!<br /><br />A fare i fischietti mi ha insegnato Cesare Cortellini, mi babbo, che gli ha insegnato su Babbo<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAf2AE7ROQhbwg4LYnmKOVT-dG9oJOSQNu4MI4C208jo1qreux5rg0feE9qX_P_NUOAWMqEZjUi7aENW77lFpqM3I3fQRBlPXNvAv_5g6wNZmMKBiCJjZx0tggaDlfMf2IGN9GbRnsmoNb/s1600/2188.02+Personaggi+antropomorfi+Cortellini.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653033444896452290" style="float: right; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAf2AE7ROQhbwg4LYnmKOVT-dG9oJOSQNu4MI4C208jo1qreux5rg0feE9qX_P_NUOAWMqEZjUi7aENW77lFpqM3I3fQRBlPXNvAv_5g6wNZmMKBiCJjZx0tggaDlfMf2IGN9GbRnsmoNb/s320/2188.02+Personaggi+antropomorfi+Cortellini.jpg" border="0" /></a> Fabiano. A mi Nonno ha insegnato il mi Bisnonno Luca, che anche lui faceva ‘sto lavoro. E mia figlia che si chiama Carla li sa fa anche lei. Ma non li fa, perché non guadagna. Insegna all’Istituto d’Arte.<br /><br />Il guadagno dei fischietti era ed è piccolo, perché ci vuole tanto tempo per farne 1. Con 1 ora ne faccio 3. I fischietti tutti devono fischiare forte, e se azzecchi i fori fischia subito, altrimenti ti tocca provà, riprovà… poi ti vengono i cinque minuti e lo rompi. Ne faccio pochi e mi tocca smettere, perché mi agito. Però c’era la tradizione. Per questo seguito a farli come mi Babbo e mi Nonno.<br /><br />Li acquistavano i bambini specialmente, sopratutto alla fiera della Pentecoste a Orvieto. Oggi non li fa più nessuno. A Ficulle c’è solo la Paola Biancalana che sa fà i fischietti</em>.” <a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn8" name="_ftnref8">[8]</a><br /><br /><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Non è che avevamo una grande produzione di fischi. Magari li facevamo per qualche ragazzetto, o facevamo qualche richiamo per un cacciatore quando lo chiedeva.nLa forma che si faceva di più allora era questa qui, il fischio semplice”.<br /><br /></em><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>I fischietti ho imparato a farli dallo Zio del Maestro mio. Come forme facevamo degli animali - come il cavallo, la vacca e l'uccellino - o persone - come il contadino e il carabiniere. I soggetti dei fischietti erano più o meno quelli li, magari si poteva cambiare qualcosa in base alla fantasia del singolo artigiano. Poi gli mettevi il fischio sul culo.<br />Da noi a Ficulle si lasciavano grezzi, non si coloravano, esattamente come le statuine del presepe.<br />E si facevano tutti a mano, non si usava il tornio</em>”.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Il fischietti tradizionali come il carabiniere, o il contadino che sale a cavallo all’incontrario, eccetera, erano delle prese in giro, come le barzellette di adesso sui carabinieri.<br />Poi oggi puoi trovare autori tradizionali, che mantengono la linea del passato, e quelli che dal tradizionale si evolvono e diventano qualcosa di diverso, magari acquisendo un valore artistico, come quelli di Paola Biancalana</em>.<br /><br /><em>Il fischietto va fatto per forza a mano, non puoi usare stampi. Ed è una cosa delicatissima: se fischia subito è fatta, se non fischia allora magari ci perdi tantissimo tempo: devi bagnare, provare ad aggiustarlo, poi lo guasti e lo rifai da capo, eccetera. Anche per questo mio Babbo non si è più impegnato a fare fischietti, anche perché purtroppo economicamente non ne vale la pena. Per fare un fischietto ci vuole molto tempo, non bastano 10 minuti. E magari lui li vendeva a 10.000 lire. Allora quello che capiva il fischietto – perché ne conosceva la tradizione e comprendeva la lavorazione che c’è dietro - lo prendeva, mentre la maggior parte della gente che veniva alla bottega diceva: ma voi siete matti, costano troppo! E allora lui ha abbandonato, perché diceva: che posso stare a litiga’ con tutti? E allora se vuoi lo fai per regalo, ma se lo devi fare per lucro, per soldi, non vale la pena. C’è soltanto una piccola nicchia di persone che può capirne il valore”.</em><br /><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">Gli altri prodotti tradizionali<br /></span></strong><br />Al di là dei fischietti, a Ficulle si produceva una notevole varietà di stoviglie e recipienti di uso domestico. Alcuni di questi oggetti sono ormai scomparsi da decenni dalle nostre case, e forse proprio questo dona loro un fascino particolare.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Quella che si fa qui non è ceramica ma terraglia, ovvero oggetti popolari di uso quotidiano. In questa zona non c’era ferro, né rame. Tutti gli oggetti di uso quotidiano venivano fatti con la terracotta. E quindi c’erano tutta una serie di oggetti in terracotta che si usavano nelle case di una volta.<br /><br />Ad esempio io ancora conservo uno scolapasta in terracotta che è di fine 800. E poi ho una conca antica per lavare i piatti, perché una volta non c’era il lavandino. Con le conche in realtà ci facevano tutto. Ci lavavano anche i bambini nella conca più grande. E poi ci lavavano i piedi, le verdure….Cambiavano conca spero!<br /><br />C’erano i recipienti refrattari, nel senso che potevano andare sul fuoco. Poi c’era la panatella per andare a prendere il vino in cantina, la zuppiera per la minestra di pane, e la brocca con cui si andava alla fontana a prendere l’acqua. La donna ne metteva una sulla testa, una sotto braccio e magari teneva anche qualche figlio piccolo per mano. Il ruolo della donna era <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7b-WF3J9hAs3r1VXAOGCS-IWiWvNX1j8umsrFsEAjBlkvx2sRc51g3t-Ge7IRXwB2f4esbrJA5EGJk6sK9Kdyy8LUb2Bg6vwqZStp0MT4LINLi7vfwPfd1tgaDNwoo86lYMu4TMJLlXB_/s1600/P1000415.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653034197687072322" style="float: left; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 240px; height: 320px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7b-WF3J9hAs3r1VXAOGCS-IWiWvNX1j8umsrFsEAjBlkvx2sRc51g3t-Ge7IRXwB2f4esbrJA5EGJk6sK9Kdyy8LUb2Bg6vwqZStp0MT4LINLi7vfwPfd1tgaDNwoo86lYMu4TMJLlXB_/s320/P1000415.JPG" border="0" /></a>fondamentale. Magari gli uomini andavano alla guerra – ad esempio Nonno mio ha fatto tutte le guerre possibili e immaginabili: Spagna, Africa, le ha fatte tutte! – e lasciavano sola la donna, che doveva fare tutto. Pensa che donna che era per gestire questa situazione!”<br /><br /></em><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>La produzione principale erano i tegami, i pignatti. C’era quello per mettere a fare il brodo e quello da latte, che si riscaldava vicino al fuoco per fare sia la ricotta che il formaggio.<br />Sapevamo fare anche gli otri grandi che si usavano una volta per conservare ad esempio olio e formaggio. Addirittura gli anziani li facevano ancora più alti, fino a 100 – 150 kg di capacità. Si modellavano parte al tornio e parte a mano, aggiungendo dei cordoli. Noi la chiamavamo tecnica “a picio”.<br /></em><br /><em>Oppure c’era la brocca nostra, la brocca ficullese per l’acqua che si portava sulla testa. Le donne dei piccoli paesi come i nostri facevano la coroglia, che è un pezzo di stoffa piegata in modo da fare una cosa rotonda. La mettevano sulla testa e su poggiavano la brocca, che pesava 12 litri. E così andavano e venivano dalla fonte.<br /><br />Facevamo lo scaldaletto e la pretina da riempire con la cenere e il fuoco ardente per riscaldare il letto. E funzionavano: andavi a letto, e ti riscaldavi in un minuto!<br /><br />Anche nel braciere ci si metteva la cenere e lo tenevi in mezzo alla cucina per scaldare. Perché le case di</em> <em>una volta, quando ero piccolo io, avevano una cucina grande grande, con un grande focolaio, e le camere erano piccole. Il bagno non c’era, si andava nel campo o nella stalla.”<br /><br /></em><strong>Carlo Luciani</strong>: “<em>Facevo anche qualche pipa di terracotta per qualche vecchietto. Poi si prendeva un pezzetto di noce, con un ferro si bucava e si faceva il bocchino</em>”.<br /><br /><strong>Carlo Fattorini</strong>: “<em>E’ un discorso forse difficile da capire, ma io sono attaccato a questo discorso del lavoro di cocciaro, a queste tradizioni vecchie. Ad esempio quello il è pignatto per il camino, con cui facevamo li fascioli. Quello li lo facciamo in quel modo da secoli, e resta sempre lo stesso come da tradizione.”<br /></em><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La crisi produttiva<br /></span></strong><br />Le vicende della crisi della terracotta di Ficulle non sono dissimili da quelle di tanti altri centri di produzione. Nel secondo dopoguerra furono molti gli artigiani a chiudere, e soprattutto si arrestò il ricambio generazionale.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Negli anni ’60, c’è stato il boom economico. Con l’avvento degli utensili fatti in plastica e in altri materiali, questo lavoro è crollato. Tutti cercavano l’oggetto moderno, e questi prodotti tradizionali in terracotta non li comprava più nessuno. Hanno abbandonato quasi tutti gli artigiani, sono rimasti solo pochi produttori più solidi.<br />Anche Babbo aveva smesso di fare questo mestiere per una decina d’anni. Poi dal ‘64 prese in affitto l’antico laboratorio dei Sassetti con le fornaci, ed è stato in quella bottega per 30 anni circa, fino agli anni ’90.”<br /></em><br /><strong>Renato Cortellini</strong>: “<em>Il periodo nero è stato quando è arrivata la plastica e poi quando sono andati via i contadini, la trasformazione industriale. Per me l’Italia s’è rovinata quando hanno smesso tutti i contadini. L’hanno mandati tutti su a Tornino a fà l’automobili. Ma ora se si bloccano l’automobili viene la fame! Noi invece allora si stava bene, non c’erano tanti soldi magari, ma tanta roba. Per esempio noi si dava una brocca e loro ti davano un pollo. Oppure una brocca e un tegame per una forma de formaggio.<br /><br />Però io non ho smesso quasi mai di fare questo lavoro. A parte un periodo, perché si faceva l’autostrada e si guadagnava forte. Io sono appassionato di motori e durante il militare ho preso la patente D-E, ed allora con l’autotreno portavo la sabbia. Ma per il resto il lavoro mio è stato sempre questo.<br /><br />I figli dei vecchi artigiani hanno trovato un'altra strada, perché con questo mestiere si <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjBhQZmGetMqHowufrybFSs3T3L3tzNKVbtpKMkRMFl2JxZPgHN2Dkvm0YlAx9eFE7Ct9PniGdWvgtwAgT-h4U23NbVnur1MJNZrQ1R9xYMx59vWyxHmzHfZN38Tk0HD34v-d2ZCNWqOwJ/s1600/fischietto+Fattorini+coll.+Loforti.jpg"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653034879083432482" style="float: right; margin: 0px 0px 10px 10px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjBhQZmGetMqHowufrybFSs3T3L3tzNKVbtpKMkRMFl2JxZPgHN2Dkvm0YlAx9eFE7Ct9PniGdWvgtwAgT-h4U23NbVnur1MJNZrQ1R9xYMx59vWyxHmzHfZN38Tk0HD34v-d2ZCNWqOwJ/s320/fischietto+Fattorini+coll.+Loforti.jpg" border="0" /></a>guadagna poco.<br />Adesso è rimasto solo un vasaio a Ficulle, Costantino</em><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn9" name="_ftnref9"><em>[9]</em></a><em>. Ha qualche anno meno di me e sta per smettere anche lui. E poi c’è Fattorini che ha smesso, ma ha un figlio maschio a cui ha insegnato il mestiere. I Fattorini non vengono da ceppo vasaio, hanno imparato da un altro vasaio di Ficulle, ma sono diventati artigiani validi come siamo tutti noi.<br /><br />Della mia famiglia altri facevano questo lavoro, ma hanno smesso. E io son rimasto, ma nessuno prenderà il mio posto. Ho una figlia che insegna all’Istituto d’Arte a Orvieto. E nessuno è venuto mai alla bottega a dirmi che voleva imparare ‘sto lavoro.”<br /></em><br /><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">La continuità nella tradizione – la produzione di oggi<br /><br /></span></strong>Fortunatamente questa tradizione artigianale così ricca non rischia di estinguersi, almeno nell’immediato. C’è ancora qualche giovane produttore che porta avanti l’attività, e lo fa con sorprendente aderenza e dedizione a quelle che sono le tecniche produttive tradizionali.<br /><br /><strong>Fabio Fattorini</strong>: “<em>Io ho continuato: ho cominciato nel ’70 a lavorare col tornio e ancora oggi rifaccio le stesse cose come tanti anni fa.<br />Oggi a Ficulle ci siamo io e Costantino Del Croce che facciamo cose tradizionali. Poi c’è Paola Biancalana che fa i fischietti e altre cose, ma si tratta più di ceramica artistica che tradizionale. E c’è un'altra signora, Serena Rosati che ha iniziato con Costantino Del Croce e che ora fa delle cose, ma non è che ha un laboratorio suo.<br />Adesso questi oggetti sono ricercati per gli arredamenti delle case di campagna, anche perché si abbinano bene con il territorio nostro. L’uso è diverso, però la lavorazione è la stessa.<br /><br />Questo ad esempio è lo scolapasta, ripreso in maniera fedele dall’originale dell’800; e questa è la zuppiera per la minestra di pane. Li faccio in piccola scala però, perché una volta le famiglie erano numerosissime.<br /><br />Le imitazioni che si vedono in giro fatte in modo industriale lasciano un po’ il tempo che trovano. I miei oggetti sono uno diverso dall’altro perché sono fatti in maniera tradizionale, sia per quanto riguarda la foggiatura al tornio che la colorazione.<br /><br />Estrarre la creta naturalmente era un lavoro difficile e lungo, quindi a un certo punto abbiamo iniziato a comprare quella già pronta dentro i sacchetti. Però ancora oggi nella mia bottega abbiamo delle argille vecchie di quelle che di cui facevamo l’estrazione, e le mescoliamo insieme a quell’altra industriale. Questo perché le argille industriali sono molto ricche e molto grasse - noi usiamo la parola “gagliarde”. Allora le tagliamo con quella più povera, che è ricca di sabbia. Quella più povera di sabbia è elastica, ma è facile che al tornio si possa spaccare. Allora si taglia con quella li più magra che è più sabbiosa. Perché l’argilla non è tutta uguale!<br /><br />Nella mia bottega abbiamo un forno a legna e un forno a gas. Il forno a legna è nuovo, è stato costruito nel 95-96. Ma lo abbiamo rifatto identico a quello dell’antica bottega. E ci abbiamo continuato a cuocere fin che Babbo lavorava con me. Ora uso più quello a gas perché lavoro solo, quindi per riempire un forno a legna di 8 metri cubi ci metterei 2 mesi.<br /><br />Anche quando faccio il forno a gas metto i pezzi ad incastro come se facessi un forno a legna. E’ una scelta mia, anche economica, perché io così risparmio metà forno. Invece altri terracottari usano i piani e per separare ogni oggetto. Io invece</em> riesco a fare tutta una pila, <em>perché ho avuto un Babbo che mi ha insegnato certe cose.<br />Anche col forno a gas i pezzi hanno colori non uniformi perché io lavoro un po’ “matto”, nel senso che fò delle sgasate per riuscire ad avere dei colori non proprio omogenei, uguali.<br /><br />Anche i colori continuiamo a farli noi con sostanze naturali. Ad esempio per il rame, io ho degli amici elettricisti che mi portano i pezzi. Il marrone lo facciamo sempre noi, ma adesso compriamo il manganese già raffinato. Col cucchiaio prendiamo il manganese, lo mescoliamo con gli altri componenti e controlliamo ad occhio la densità. Se tu guardi un oggetto dei nostri non c’è mai un colore uguale da una cottura all’altra. Uno è più chiaro, uno un po’ più scuro. Questo perché i colori si fanno ad occhio. Con i colori industriali è diverso: se usi il 125 A sai che è quella sfumatura lì e non un’altra.<br />Per il fondo chiaro uso ancora il bianchetto fatto da me, anche se è sempre più difficoltoso procurarselo, perché si trova solo in un terreno di proprietà della Curia. L’ho fatto l’altro giorno sto lavoro: questi sono i resti.<br /><br />Attualmente sono assessore al turismo ed allo sport. E’ da un po’ di tempo che l’amministrazione punta a diventare città della terracotta. A me piacerebbe fare qualcosa in questo senso: ad esempio un museo della terracotta a Ficulle ci starebbe bene. Purtroppo le risorse delle amministrazioni locali sono sempre più scarse. Hanno tagliato tutto, soprattutto la cultura.”<br /><br /></em><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">Terracotta e terra coltivata<br /></span></strong><br />Per la nostra chiacchierata, Renato Cortellini ci aveva dato appuntamento nel tardo pomeriggio, spiegandoci che prima era impegnato nella raccolta delle olive. E infatti con lui si finisce per non parlare solo di terracotta, ma anche di un'altra sua passione: l’agricoltura. Ci piace quindi terminare il nostro articolo con le parole spese da questo artigiano su un diverso tipo di terra: non quella lavorata al tornio ma coltivata. D’altronde si tratta di un argomento solo apparentemente estraneo a quello della lavorazione delle stoviglie e dei fischietti, come ci spiega lui stesso.<br /><br /><em><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQADFDEb90U5UjnNOLiVYjOWEYlPlwHV2-oBMRE-xzY_zokJZqc2TyVff4VZu4tF5YOIqbFhlzq9SfE2ayS3bucnGe35uCyXIhUHilq0odNuzczV1ym0xIdsDDVxLvgmszsoNBqNkLTNjk/s1600/fischietto+Sestilio+Fattorini++Biancalana.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5653035789045173874" style="float: left; margin: 0px 10px 10px 0px; width: 320px; height: 240px;" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQADFDEb90U5UjnNOLiVYjOWEYlPlwHV2-oBMRE-xzY_zokJZqc2TyVff4VZu4tF5YOIqbFhlzq9SfE2ayS3bucnGe35uCyXIhUHilq0odNuzczV1ym0xIdsDDVxLvgmszsoNBqNkLTNjk/s320/fischietto+Sestilio+Fattorini++Biancalana.JPG" border="0" /></a>“Era tutto collegato: per andare a vendere la terracotta ci voleva un mulo, un somaro e un cavallo. Perché il cavallo era veloce, trottava, il mulo e il somaro caricavano la soma. E per mantenere questi animali durante l’inverno si coltivava il fieno, mica è come adesso che telefoni e te lo portano. Poi serviva la legna del bosco per coce le terrecotte, eccetera. Per questo su a San Cristoforo avevamo una casa con un bel pezzo di terreno.<br />Tenevamo anche degli animali. Mio Nonno aveva 9 figli, e per dar da mangiare a tutte queste persone allevavamo una capra che dava il latte alla famiglia, ingrassavamo 2 maiali con le ghiande delle querce e così via.<br />Mio Nonno per arrangiarsi, per guadagnare un po’ di più, teneva un somaro sano per fare le mule con le cavalle. Che allora il mulo ci voleva. Valeva quasi il doppio di un cavallino perché era ricercato. Se poi vendevi un mulo già addomato, che già portava la soma, valeva anche di più. E allora quando l’asino andava con la cavalla lui vendeva il mulo e magari ci ricavava 5 kg di fagioli. Funzionava così, era uno scambio di robba, un baratto.<br /><br />Adesso in laboratorio lavoro poco, ma lavoro in campagna, perché la campagna non si può lasciare. Ma non si guadagna niente. Le mele le lascio marcire, perché se non gli dai il veleno – e io non glielo do - non si possono commerciare. Come tagli una mela di quelle mie c’è il baco dentro. Ma io non lo voglio dare il diserbante, vedeste cosa fa: muoiono tutti i grilli, gli uccelletti, le lepri. E’ un disastro, sparisce tutto. E anche a noi non può fare tanto bene. Ma vogliono che si faccia così….<br />Il grano si vende a pochissimo. E poi noi ne produciamo poco perché teniamo a riposo i terreni, mentre i tecnici li spingono con i concimi,. Per far venire buono il grano bisogna tenere 4 anni l’erba medica, poi il primo anno ci metti il grano, il secondo l’orzo. Così viene bene, perché la terra sta a riposo. E l’erba medica gli da l’humus. Però su un ettaro di grano io ci piglio 15-20 quintali, mentre gli altri 40-50.<br />La vigna l’avemo levata perché non si guadagna più niente. E non si sapeva a chi dar l’uva. Del resto una volta il coltivatore diretto poteva vendere qualche litro di vino, ora non puoi più. Ci vuole l’autorizzazione. L’olio non si vende più. Adesso fanno venì l’olio dal Marocco.<br /><br />Io amo vivere in campagna, nelle grandi città io non sto bene. Ho tanti cugini a Roma. Delle volte li vado a trovare ma poi non vedo l’ora di venì via. Non ci posso stare in città, perché noi siamo abituati a socializzare con i vicini. Ad esempio andiamo a veglia in una casa, facciamo le castagne, beviamo, chiacchieriamo fino a mezzanotte.<br />Invece al palazzo dove stanno i miei cugini mica si parla nessuno! Tocca star zitti. Buongiorno e via, se te lo dicono.<br />Qui ci conosciamo tutti, se mi</em> <em>servono un paio di tronchesi del vicino scavalco, li prendo, poi li riporto giù. E la macchina mi piace lasciarla sempre aperta. Invece a Roma è tutto chiuso, a me non piace”.<br /></em><br /><span style="color: rgb(255, 0, 0);">NOTE<br /></span><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref1" name="_ftn1">[1]</a> L’attestato, affisso nella bottega di Fabro, recita: “Federazione nazionale degli artigiani. Diploma di medaglia d’oro rilasciato alla bottega artigiana di Cortellini Cesare, stovigliaio da Ficulle. Fondata nell’anno 1770 e senza interruzione condotta dai discendenti”<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref2" name="_ftn2">[2]</a> Il fratello di Carlo di chiamava Sestilio Fattorini. Da alcune testimonianze pare che si trattasse del fratello forse meno dotato per quanto riguarda il tornio, ma più estroso e prolifico per i fischietti (di seguito riportiamo la foro di un suo fischietto).<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref3" name="_ftn3">[3]</a> F. Sgrò, “Umbria”, in Paola Piangerelli (cur.), La Terra, il Fuoco, L’acqua, il Soffio, Museo nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, 1995<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref4" name="_ftn4">[4]</a> Gerardo Moranti, Cocci e Fischietti, 2003; Paola Piangerelli (cur.) La Terra, il Fuoco, L’acqua, il Soffio, Museo nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, 1995.<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref5" name="_ftn5">[5]</a> Simili come soggetti e essenzialità (o assenza) della decorazione sono ad esempio i fischietti degli Orlandi di Vasanello, dei Ricci di Vetralla, dei Romagnoli di Montelupo Fiorentino, dei Porri di Sorano.<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref6" name="_ftn6">[6]</a> Paola Piangerelli (op. cit.); a queste botteghe va aggiunta quella dei Sassetti in base alla testimonianza di Carlo e Fabio Fattorini.<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref7" name="_ftn7">[7]</a> Si tratta di un fischietto ad acqua, detto anche Chiù, che imita il verso dell’allocco.<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref8" name="_ftn8">[8]</a> Di Paola Biancalana abbiamo scelto di non parlare diffusamente in queste pagine, ma di dedicarle un articolo a se stante. Infatti si tratta di una artista molto legata alle tradizioni di questo territorio (peraltro ha imparato a fare i fischietti da Carlo Lucani) ma che poi ha innovato profondamente forme e stili dei suoi pezzi.<br /><a title="" style="" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref9" name="_ftn9">[9]</a> Si tratta di Costantino Del Croce</div><div align="justify"></div><div align="justify"></div><br /><div align="justify"><span style="color: rgb(255, 0, 0);">FOTO</span></div><div align="justify">1. Cavaliere, gallo – fischietti di R. Cortellini (collezione Loforti)<br />2. Carlo Fattorini in una foto d’epoca<br />3. Fischio – fischietto di C. Luciani<br />4. Renato Cortellini al tornio a pedale<br />5. Cavaliere – fischietto di C. Fattorini<br />6. Carlo Luciani nel suo laboratorio di Ficulle (foto G. Croce)<br />7. Contadino, contadina, diavolo – fischietti di R. Cortellini (collezione Loforti)<br />8. Fabio Fattorini nel suo laboratorio di Ficulle<br />9. Fischietto ad acqua o Chiù – fischietto di C. Fattorini (collezione Loforti)<br />10. Fischietto di Sestilio Fattorini (collezione Biancalana)<br /><span style="color: rgb(255, 0, 0);"></span></div><br /><div align="justify"><span style="color: rgb(255, 0, 0);">Testi di Massimiliano Trulli </span><a href="mailto:massitrulli@gmail.com"><span style="color: rgb(255, 0, 0);">massitrulli@gmail.com</span></a><span style="color: rgb(255, 0, 0);">, vietata la riproduzione.<br />Si ringraziano tutti gli artigiani intervistati, Paola Biancalana e Franca Luciani Biggi.<br /></span></div><br /><div align="center"><strong><span style="color: rgb(255, 0, 0);">Dedicato a Carlo Luciani<br /></span></strong></div></div></div></div></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-90673425056074159892011-09-06T21:49:00.013+02:002011-09-08T22:40:34.450+02:00II parte - I Maestri dei fischietti salentini: De Donatis, Falcone, Manco, Toma<div align="justify"></div><br /><div align="justify"><span style="color:#ff0000;">Memorie e Suoni di Terra - conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore </span></div><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650085030789988210" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSGBc3mnJ077fQ6aWggR5a3dNpIlNuIxAt1XN4HSuB4gr6aeox5vLjzUnSNia9ib8MlciSQgA3iER0u6fbODLjXbEnxgsQorHxpyWP0W-Afh2OTLo3wl_1AOkZh1cb7ZsphJMg1G1TWS__/s320/cavalli+toma.JPG" border="0" /> <br /><p align="justify">Tra i Maestri delle botteghe di Cutrofiano e Ruffano, emergono alcune figure di particolare bravura, tanto da travalicare i confini dell’artigianato di qualità e da assurgere al rango di veri e propri artisti. Artisti popolari ovviamente, che non hanno mai avuto la possibilità di frequentare accademie e scuole d’arte, ma senz’altro in grado di realizzare pezzi unici di grande forza espressiva. A partire dagli anni ’70 – parallelamente alla riscoperta delle tradizioni popolari - studiosi ed appassionati hanno iniziato a interessarsi a questi Maestri, le cui opere fanno oggi bella mostra in molte collezioni private e pubbliche.<br /><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Vito De Donatis<br /></strong></span><br />Una di queste figure è senza dubbio Vito De Donatis, nato nel 1923. Forse la sintesi più efficace della sua personalità la esprimono queste parole di Claudia De Donatis, nipote di Vito e giovanissima artigiana figula: “Era un artigiano molto abile, ma questa dimensione gli stava stretta. Ha sempre avuto anche l’esigenza di esprimersi come artista.”<br /><br />La caratura da artista di Vito De Donatis è stata riconosciuta da molti ceramologhi ed appassionati di arte popolare,<a title="" style="mso-footnote-id: ftn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn1" name="_ftnref1">[1]</a> e nel 1997 il Gruppo Cucari Veneti volle tributargli un omaggio ospitando all’interno della propria esposizione annuale di ceramiche fischianti, realizzata a Nove (Vicenza), proprio i pezzi del Maestro di Cutrofiano e quelli di Luigi Toma. Ma la consacrazione del Maestro De Donatis dovrebbe essere rappresentata da una mostra personale in corso di preparazione ed a lui dedicata dal Museo Provinciale Castromediano di Lecce.<br /><br />L’estro del maestro Vito si esprimeva soprattutto in sculture di terracotta anche di grandi dimensioni, non di rado fischianti. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhVPaR8Ib36xcxt91FCpaUnVxx-H1hAUahiwas2vrvIEMhnSr1-NEMr4wqCwTkoh3cJ0sHe36ORY8fEGFz7yPP0Gv6mxtcy_6igY0sxosx8YOp_3yAHu1jscpi3YkcAJup4qaJ7v5hj8w9/s1600/pezzi+de+donatis.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650087901765058482" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjhVPaR8Ib36xcxt91FCpaUnVxx-H1hAUahiwas2vrvIEMhnSr1-NEMr4wqCwTkoh3cJ0sHe36ORY8fEGFz7yPP0Gv6mxtcy_6igY0sxosx8YOp_3yAHu1jscpi3YkcAJup4qaJ7v5hj8w9/s320/pezzi+de+donatis.JPG" border="0" /></a><br />Claudia De Donatis: “<em>Ha sempre amato modellare fischietti e statuine, ma negli ultimi anni di vita ci si è dedicato ancora di più, anche perché per problemi di salute non riusciva più ad usare il tornio.”<br /></em><br />Salvino De Donatis: “<em>Negli ultimi 20 anni mio Padre si era dedicato interamente ai fischietti ed alle sculture di creta. Lavori che ha realizzato e portato avanti fino agli ultimi giorni. Conoscendolo non lo avrebbe mai cambiato ‘sto lavoro, non sarebbe mai stato capace a fare un’altra cosa neanche costretto sotto tortura<br />Ha cominciato con dei fischietti piccoli ispirati alle cose che faceva insieme a suo Padre. Poi ha iniziato a fare delle vere e proprie sculture.<br />E’ arrivato a fare anche pezzi di un metro di dimensione, realizzando degli oggetti che io veramente stentavo a credere che avrebbero potuto stare in piedi. Chi lavora con l’argilla sa benissimo quanto è difficile far sostenere i pezzi oltre una certa dimensione. Per sostenere queste strutture durante l’essiccazione si aiutava addirittura con dei pezzi di legno ed altri supporti.”<br /><br /></em>Lo stile del Maestro De Donatis è inconfondibile. Figure rigorose nella loro semplicità ed essenzialità, spesso allungate e stilizzate, ma in grado di comunicare con straordinaria immediatezza ed incisività stati d’animo e atteggiamenti dei personaggi da lui plasmati. Entrambe le caratteristiche - la semplicità e l’esilità delle forme - si sono accentuate nel corso della sua evoluzione artistica, quasi come se il Maestro aspirasse a raggiungere uno stile sempre più essenziale e puro e, proprio per questo, diretto e di grande impatto espressivo.<br />Salvino De Donatis: “<em>Faceva delle figure molto esili ed allungate ultimamente. Addirittura c’erano delle figure lunghissime e che poggiavano solo su una base molto piccola. Se vogliamo poco realistiche, però molto espressive.<br />Secondo me con queste figure allungate era tornato alle origini, ai suoi ricordi d’infanzia. Infatti i modelli, le linee di cui lui mi parlava e che si producevano nella bottega di famiglia all’inizio erano proprio così: semplici, stilizzate.</em> “<br /><br />I soggetti delle sue sculture riprendono anzitutto temi della vita quotidiana: la famiglia, ma anche pastori e soldati. Frequenti sono anche i temi religiosi come santi e madonne, di solito privi di fischietto.<br />Salvino De Donatis: “<em>La maggior parte dei soggetti erano figure umane. Oltre a qualche animaletto. Anche in questo caso lui ricordava molto queste figure che faceva da ragazzo, secondo me, con qualche elaborazione chiaramente.<br />Ha fatto tante figure con una serie di uccellini sopra. Gli piaceva fare i pastori, i pupi da presepe, anche se non c’era una tradizione di figure da presepe nella nostra famiglia. Ha fatto <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicunl9y3IXvjA0oRnX5qYCFOZ7Dflbpsar1gQ5rhmJ2nLXRNjnQU2lbMWNMHLNfd1pCweeCY9uJWSr6h7sU6-50x5-iZvBWK4M26u5GPtnkoXAShGEAUkJ6Jw-lowSWJtk8Z7fWODUldu6/s1600/P1040082.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650089909674111538" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicunl9y3IXvjA0oRnX5qYCFOZ7Dflbpsar1gQ5rhmJ2nLXRNjnQU2lbMWNMHLNfd1pCweeCY9uJWSr6h7sU6-50x5-iZvBWK4M26u5GPtnkoXAShGEAUkJ6Jw-lowSWJtk8Z7fWODUldu6/s320/P1040082.JPG" border="0" /></a>anche qualche soldato. Lui ricordava l’esperienza della guerra, ha perso anche un fratello che non è mai tornato dalla Russia.”<br /></em><br />Claudia De Donatis: “<em>Un soggetto ricorrente delle sue sculture era la famiglia, con queste mamme e papà con tanti figli in braccio e sulle spalle, quasi a simboleggiare l’affetto e l’unità del nucleo familiare.“<br /></em>Oltre che nello stile della modellatura, buona parte del fascino delle sculture di Vito De Donatis risiede nell’uso degli smalti.<br />Salvino De Donatis:<em> “Oltre a realizzare queste figure gli piaceva molto decorarle. Siccome gli piaceva moltissimo lo smalto, la maggior parte dei suoi fischietti sono tutti smaltati.<br />Spesso in questa decorazione utilizzava dei puntini, delle piccole linee…Un lavoro molto di pazienza, ma a lui non interessava quanto ci metteva a realizzare un oggetto. L'aspetto commerciale non gli interessava.<br /><br />Ricordo che a volte avevo difficoltà nel cuocere i suoi pezzi - perché ovviamente io continuavo sempre a portare avanti il resto della produzione della bottega. E lui ogni tanto me lo rimproverava. Diceva: ma quando mi cuoci i lavori? Faceva pressione perché non lasciassi troppo indietro il suo lavoro, insomma</em>!”<br /><br />Le sculture del Maestro De Donatis rispondevano ad un’esigenza personale di ricerca artistica, che prescindeva da ogni intento commerciale e non si poneva il problema di andare incontro ai gusti del pubblico.<br />Salvino De Donatis: “<em>Il prezzo di questi oggetti all’epoca, quando si vendevano, era sempre modesto. A parte che qualcuno lo regalava proprio, come se non valesse. Aveva una modestia che di questi tempi non esiste più. E poi lui aveva proprio il gusto di donarle queste cose. Perchè li faceva proprio per passione</em>.”<br /><br />Claudia De Donatis: “ <em>Queste sculture e fischietti li faceva per passatempo, non immaginava che col passare del tempo potessero acquistare un grande valore. E purtroppo i maggiori riconoscimenti al suo lavoro sono arrivati dopo la sua morte, quando molti collezionisti ed appassionati di arte popolare hanno iniziato ad apprezzare e ricercare i suoi pezzi.”<br /><br />Si rimane colpiti dal grande affetto verso Vito De Donatis che traspare dalle parole della sua famiglia. A oltre 10 anni dalla sua scomparsa Vito costituisce per loro un punto di riferimento da molti punti di vista, professionale, ma anche umano. La nipote Claudia, che all’epoca della sua scomparsa era appena una bambina, dice di lui: “Sono rimasta molto attaccata a mio Nonno. Forse è per il modo in cui si lavorava e si viveva in famiglia: eravamo sempre insieme e condividevamo tutto. E poi Nonno era molto attaccato alla famiglia, ci teneva moltissimo.”<br /><br /></em>La famiglia De Donatis possiede una splendida collezione di sculture del Maestro Vito, ma nonostante il valore di questi pezzi, la scelta fatta è quella di non sfruttarli a fini commericiali:<br />Salvino De Donatis: “<em>Questi sono tutti fischietti suoi. Diciamo che è la nostra collezione di famiglia. Soprattutto mia figlia Claudia ha insistito per non commercializzarli. Ora sono difficili da vedere perché sono tutti ammassati in questo angolo, ma un giorno contiamo di realizzare uno spazio espositivo tutto per lui.”<br /></em><br />Per i pezzi lasciati a metà dal Maestro perchè ancora da cuocere o smaltare, la scelta fatta è stata quella di portarli a termine ma rispettandone al massimo lo stile.<br />Salvino De Donatis: “<em>Li abbiamo cotti e smaltati anche dopo la sua scomparsa. E’ rimasto ancora qualche pezzo grezzo, che ancora conto di smaltare e di cuocere. Di solito faccio una smaltatura semplice, bianca, senza intervenire con i colori che lui usava. Cerco di non alterare troppo i suoi pezzi e di rispettarne lo spirito. Però siccome a lui piaceva lo smalto, li smalto e di lascio così, bianchi.”<br /></em><br /><strong><span style="color:#ff0000;">Serafino ed Alessandro Manco<br /></span></strong><br />Più d’una generazione della famiglia Manco si è distinta per la raffinatezza dei suoi fischietti e dei pupi da presepe, una raffinatezza legata sia alla loro abilità di modellatori che di decoratori. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs_UjBCCQlVpK2Er0TiXeRWbEOcD30o8NaXnFi54Nl5Mz9ZRDFY30Y7cGrmynze9wtcelC1nnjrFATdrUZsOHTQ-Qigx9GNVU7sN056-q8fpRvwbwN9uy_weURtnXP81Zr02k4y1VyQt1t/s1600/foto+Severino+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650085992274804546" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 210px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjs_UjBCCQlVpK2Er0TiXeRWbEOcD30o8NaXnFi54Nl5Mz9ZRDFY30Y7cGrmynze9wtcelC1nnjrFATdrUZsOHTQ-Qigx9GNVU7sN056-q8fpRvwbwN9uy_weURtnXP81Zr02k4y1VyQt1t/s320/foto+Severino+manco.JPG" border="0" /></a><br />Già negli anni ’80 il più noto e apprezzato Maestro di fischietti in terracotta dell’intero Salento era probabilmente Serafino Manco, e negli ultimi decenni il figlio Alessandro ne ha ereditato la fama, conservandola fino alla sua recente scomparsa.<br /><br />Peppino Carella, uno dei maggiori esperti e fautori del rilancio della ceramica sonora, racconta di come il suo innamoramento con i fischietti sia legato ad una visita alla bottega dei Manco. Nel corso degli anni ’50 e ‘60 la produzione di fischietti in Puglia ed in tutta Italia era progressivamente quasi cessata, e in larga parte se ne era persa anche la memoria; in una società affamata di modernità, i giocattoli in plastica e altri prodotti di tipo industriale avevano sostituito il fischietto popolare come oggetto del desiderio di bambini e adulti.<br />Fu nel 1976 che il Signor Carella – che aveva una attività di commerciante nel campo della ceramica - visitando Cutrofiano, notò nella bottega dei Manco alcuni galletti di terracotta con le piume vere; erano i fischietti realizzati da Severino, già anziano, insieme ai figli. Ne fu affascinato, e chiese notizie su questi curiosi oggetti. Il Maestro gli spiegò che continuava a produrli e portarli nelle fiere più per abitudine che per convenienza, dato che ormai erano ben poco richiesti.<br />Se è possibile individuare un momento iniziale nel processo di riscoperta e valorizzazione del fischietto pugliese, fu probabilmente questo. Nella mente di Peppino Carella si accese una scintilla; ordinò a Severino Manco alcune centinaia di fischietti, e verificò che riscuotevano un certo interesse verso un pubblico diverso e più colto da quello delle fiere paesane. Di li a poco iniziò una ricerca che lo portò a rintracciare gli altri produttori di fischietti presenti sul territorio pugliese e in tutta Italia, fino a realizzare ad Ostuni la sua fortunata Mostra Mercato del Fischietto.<br /><br />Ma Serafino Manco non è stato solamente il caparbio custode di un’antica tradizione produttiva, ma anche un autore in grado di innovare profondamente il fischietto con la sua fantasia e abilità di modellatore e decoratore. Come abbiamo già accennato, fu lui nel secondo dopoguerra uno dei primi produttori ad andare oltre le tipologie classiche di fischietti salentini, introducendo nuovi soggetti, di fattura più raffinata. Presso un maestro figurinaio imparò la lavorazione a stampo e da allora inizio a produrre una grande varietà di fischietti ispirati a personaggi della vita quotidiana ritratti con bonaria ironia, anche per l’apposizione del fischietto all’altezza delle terga.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn2" name="_ftnref2">[2]</a><br />La sua bottega prese inoltre a realizzare anche pupi da presepe altrettanto raffinati, sempre a stampo.<br /><br />Forse al Maestro Serafino si deve l’invenzione di un tipo di fischietto che diverrà poi una caratteristica della bottega dei Manco. Si tratta di personaggi con la testa unita al collo da una sottile molla di metallo, in modo da creare a ogni minimo movimento un effetto di oscillazione particolarmente efficace nell’attirare bambini ed altri compratori nelle fiere.<br />Racconta il figlio Alessandro: “<em>Questi fischietti con la testa che si muove li faceva già mio Padre. Dopo avere fatto il fischietto con lo stampo, si fa un buchettino sul collo, si mette una molla fatta arrotolando il fil di ferro, e poi si inserisce su la testa. Il ferro va inserito prima della cottura, e si mette in forno il fischietto tutto intero. Dopo la cottura il ferro diventa un po’ più sottile e la testa si muove meglio.”<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbu5rcyLGtmfaVgcu8yB1tuepEwpM4bcPmrgPCZ7Znqx516PhW0gvd8yyqTtOiOzlFBCiQON3KS1j8FOXj7WD_ZXBuyFZyve5yuByWMcIYhqoJnsVsodHZD945WFmSE10T1BdkRXdMHAyp/s1600/foto+a+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650085448167847682" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 235px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhbu5rcyLGtmfaVgcu8yB1tuepEwpM4bcPmrgPCZ7Znqx516PhW0gvd8yyqTtOiOzlFBCiQON3KS1j8FOXj7WD_ZXBuyFZyve5yuByWMcIYhqoJnsVsodHZD945WFmSE10T1BdkRXdMHAyp/s320/foto+a+manco.JPG" border="0" /></a><br /></em>Dopo la scomparsa di Serafino, i figli continuarono nel solco della tradizione produttiva di famiglia. Con il crescere di interesse verso i fischietti ed i pupi da presepe tradizionali, i fratelli Manco si dedicarono a tempo pieno a questa produzione, abbandonando l’attività di vasai e stovigliai.<br /><br />Alessandro Manco acquistò particolare fama non solo per la produzione dei fischietti a stampo, ma di pezzi unici di notevole bellezza e a volte anche di grandi dimensioni. Noti sono ad esempio i suoi grandi galli, una elegante rielaborazione dei classici galletti salentini.<br /><br />Vito De Carlo ci racconta di Alessandro, come uno dei Maestri pugliesi più raffinati ed eleganti: “<em>Era molto lezioso, sia per quanto riguarda le forme che per la decorazione. Faceva cose molto elaborate, molto raffinate. E poi usava colori non troppo marcati, ma piuttosto tenui: colori mediterranei, come il rosa chiaro o il celeste sul bianco. Era una decorazione molto delicata.<br />Caratterialmente era una persona dolce e piacevole, di una riservatezza infinita</em>.”<br /><br /><strong><span style="color:#ff0000;">Luigi e Armando Toma<br /></span></strong><br />I fischietti di Luigi ed Armando Toma erano stilisticamente molto diversi sia dai pezzi dei Manco che da quelli di Vito De Donatis. Il modellato e l’uso dei colori di questi due fratelli di Torrepaduli (Ruffano) erano senz’altro meno raffinati e più istintivi, ma non per questo i loro pezzi erano dotati di minore forza di suggestione. La loro fama si deve anzi proprio alla grande forza espressiva dei loro fischietti genuinamente naif. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-kNcgewyNBAOD_-9ZaTIu8PhZiZR8jv3tcNM8yRKeZEKBoMUyCwCnqiYl0NkxCXEHqDWNNXXEFOw876cJbmNHoyFK9cf9z7LpPGVJ_zl1cJeRrCMp91wS99sVuLGmvcIdd9g2-_CbFLXm/s1600/foto+Armando+Toma.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650087114724343762" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 315px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg-kNcgewyNBAOD_-9ZaTIu8PhZiZR8jv3tcNM8yRKeZEKBoMUyCwCnqiYl0NkxCXEHqDWNNXXEFOw876cJbmNHoyFK9cf9z7LpPGVJ_zl1cJeRrCMp91wS99sVuLGmvcIdd9g2-_CbFLXm/s320/foto+Armando+Toma.JPG" border="0" /></a><br /><br />Tutti coloro che hanno avuto modo di conoscerli sottolineano come i due fratelli fossero molto diversi sia dal punto di vista caratteriale che per aspetto fisico.<br />Beppe Lo Bosco, appassionato e collezionista di ceramica fischiante che ha avuto modo di conoscere in maniera piuttosto approfondita i fratelli Toma, dice di loro: “<em>Fisicamente, ma anche come carattere, erano uno il contrario dell’altro: Luigi piccolo e minuto, di poche parole; Armando un omaccione con una faccia rossa e più esuberante.”<br /></em><br />Conferma Vito De Carlo: “<em>Luigi era molto riservato, non è che si aprisse facilmente. Armando era molto più estroverso e a parere mio anche più intraprendente. Il fatto che collezionisti e commercianti si interessassero al suo lavoro gli fece capire che evidentemente quello che faceva aveva un valore.”<br /></em><br />Il mestiere di Luigi Toma era quello di realizzare al tornio tegami da cucina. Le testimonianze concordano sul fatto che si trattava di tegami di ottima fattura.<br />Per quanto riguarda i fischietti, i suoi soggetti più noti corrispondono a quelli tradizionali del Salento: il cavallo a tre zampe, il carabiniere (con e senza cavallo), il cane ed altri mammiferi sempre rigorosamente a tre zampe, l’uccellino sul piedistallo, la pupa con le gambe sproporzionatamente lunghe e l’ampia gonna a campana realizzata al tornio.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn3" name="_ftnref3">[3]</a> Luigi dava tuttavia a questi soggetti una interpretazione personale ed inconfondibile, modellandoli in maniera molto essenziale, quasi ingenua.<br /><br />Vito De Carlo: “<em>Quando l’ho conosciuto - parlo di 25 anni fa - Luigi Toma era rimasto uno dei pochissimi che faceva ancora fischietti tradizionali come il carabiniere sul cavallo. All’epoca faceva solo 4 o 5 modelli di fischietti, non andava oltre. Poi quando c’è stata l’esplosione del fischietto ha iniziato a fare una serie di altri personaggi. Era apprezzato da molti appassionati, che glie ne facevano fare – e ne collezionavano - tantissimi.<br />Secondo me fare i fischietti rimaneva per lui un fatto prettamente di gioco. Sicuramente poi fu un po’ pressato da questa richiesta di collezionisti e di appassionati, ma probabilmente anche allora ne faceva un numero maggiore ma con lo stesso spirito giocoso</em>.” Ed in effetti, nonostante il suo successo crescente tra gli appassionati, probabilmente Luigi non si rese mai conto in pieno del valore e della dignità artistica dei lavori che realizzava. I prezzi dei suoi fischietti, anche quelli di maggiori dimensioni, erano infatti estremamente contenuti.<br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB6BR1O5FU64XJd6wn2AKc5B320NrQ0S5_jHLvFDGxyyVqX5tMyxdKwFcBiLQr8QHxtxG7fRzARo2ojtZB8UfCxNa9Grp9HkiNUbGzKsxvraJUF9fKRR-IsX01P8sb3T62jbtkrUlyU6Kr/s1600/pezzi+armando+toma.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650086647134921618" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 263px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgB6BR1O5FU64XJd6wn2AKc5B320NrQ0S5_jHLvFDGxyyVqX5tMyxdKwFcBiLQr8QHxtxG7fRzARo2ojtZB8UfCxNa9Grp9HkiNUbGzKsxvraJUF9fKRR-IsX01P8sb3T62jbtkrUlyU6Kr/s320/pezzi+armando+toma.JPG" border="0" /></a>Parte del fascino e della forza espressiva dei fischietti di Luigi Toma vanno attribuiti - oltre che al suo stile minimalista - alla materia prima da lui usata: una creta colta dallo stesso artigiano e da lui depurata in maniera sommaria. Anche il metodo di cottura molto rustico contribuiva a dare ai pezzi una colorazione particolare. Nel loro insieme, tutti questi elementi donavano ai fischietti di Luigi Toma il fascino dell’oggetto arcaico e fuori dal tempo.<br /><br />Beppe Lo Bosco: “<em>La creta che lui cavava da solo era così impura che spesso sul pezzo finito noti il brillante del ferro, oppure l’emergere di una pietruzza di calce.<br />All’inizio usava una terra diversa, ancora più sporca e più scura. Poi qualcuno deve avergli detto che non andava bene per il mercato, e lui ha fatto uno sforzo per raffinarla maggiormente.<br /><br />Non aveva un forno suo. Forse qualche volta usava anche il forno di altri, ma di solito cuoceva i pezzi in campagna, dentro un bidone di ferro. Con questa tecnica i pezzi a volte venivano mezzi bruciati, con un effetto affascinate.”<br /></em><br />Nella maggior parte dei casi i pezzi di Luigi Toma non venivano colorati affatto, lasciando così a vista questa creta di consistenza e colore così suggestivi. Spesso, la decorazione dei pezzi era costituita - più che dai colori - da sommari solchi nella creta che simboleggiavano il piumaggio di un uccello. Altre volte dei fori rappresentavano occhi e bottoni di un personaggio. Ma il principale metodo per decorare e arricchire i pezzi era forse l’uso di un comune filo di metallo, con il quale Luigi Toma aggiungeva al cappello del carabiniere il pennacchio, inseriva un uccellino un piedistallo, costruiva le ruote di un carretto, e così via.<br />Tuttavia, succedeva occasionalmente che Luigi colorasse i suoi pezzi, sempre in maniera molto essenziale: di solito stendeva sui pezzi un fondo monocromatico sopra al quale venivano a volte evidenziati dei particolari con sommarie pennellate di colore diverso, altre volte disegnati semplicemente dei tratti e dei puntini.<br />Secondo alcune testimonianze, più che a una scelta stilistica la decisione di colorare o meno un pezzo dipendeva dalla occasionale disponibilità di vernici.<br />Beppe Lo Bosco: “<em>Quando qualche amico muratore gli regalava dei colori avanzati allora colorava i pezzi.<br />Ad esempio il rosa è proprio quello delle masserie pugliesi. Si limitava a colorarli tutti di rosa, azzurro, giallo, verde. A volte poi colorava con un colore più scuro dei particolari come la cresta, le ali e il becco dell’uccellino, o semplicemente tracciava sui pezzi dei tratti e dei puntini. Ho provato a fare degli esperimenti, decorando i suoi pezzi grezzi con colori diversi e in maniera più raffinata. Ma l’effetto è molto meno affascinante, decisamente non convincono altrettanto.”<br /><br /></em>Lo stesso Luigi fornisce un’interpretazione alternativa del perché decorava solo alcuni fischietti: “<em>Quando cuocevo i fischietti spesso ce n’erano uno o due che venivano fuori dal forno sporchi, e allora li dovevo pitturare</em>.”<br /><br />Alcuni aspetti pittoreschi del modo di essere e di lavorare di Luigi Toma contribuirono probabilmente ad accrescere la sua fama, incuriosendo gli appassionati di fischietti e a creando attorno a lui un’aura quasi di leggenda. Ad esempio, i racconti di chi lo ha conosciuto rimarcano spesso la strambezza e l’allegra confusione della rimessa che aveva adibito a laboratorio e del furgoncino che utilizzava per la vendita dei pezzi.<br /><br />Vito De Carlo: “<em>La prima volta che lo vidi fu una immagine spettacolare. Veniva da un mercatino con questo carrozzino modello Ape a tre ruote con tutte le sue pentole appese. Quando arrivava sentivi prima un gran frastuono di pentolame: “tititin - tititin”; poi arrivava l’Ape carica di tutte queste stoviglie appese. D’altronde doveva tenere tutto a vista, perché poi nei mercati non è che lui esponesse la merce su un banchetto: li vendeva direttamente sul carretto. Era una cosa davvero folcloristica!”<br /></em><br />Il collezionista Paolo Loforti, che lo andò a trovare nei primi anni ’90,<a title="" style="mso-footnote-id: ftn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn4" name="_ftnref4">[4]</a> descrive invece l’ambiente da lui adibito contemporaneamente a laboratorio, magazzino, rivendita, garage per l’Ape: fischietti e altre ceramiche traboccavano su grandi mensoloni, nel furgoncino, dentro casse sparse lungo i muri. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7BacDHVtUYt4xdqMuRdtVQ9tl_6cBYzwqecv_QSXJHboS9iUWB-BJJD2zwYlxoDBPsqRMgsWKBNtArmVWr9G5VGzvuQi9c9C3WD8ako9cL0IeK0asCSqOEYP-9bJr46tRicMToFUpFo8p/s1600/pezzi+armando+toma+2.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5650088671220749698" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi7BacDHVtUYt4xdqMuRdtVQ9tl_6cBYzwqecv_QSXJHboS9iUWB-BJJD2zwYlxoDBPsqRMgsWKBNtArmVWr9G5VGzvuQi9c9C3WD8ako9cL0IeK0asCSqOEYP-9bJr46tRicMToFUpFo8p/s320/pezzi+armando+toma+2.JPG" border="0" /></a><br /><br />Beppe Lo Bosco: “<em>Una volta siamo arrivati di domenica e lui aveva addosso l’abito buono, quello della festa. Per mostrarci come lavorava si mise al tornio, ma senza togliersi quell’abito. Si mise semplicemente una parannanza e infilò una sola scarpa da lavoro, quella che poggiava sul pedale, mentre all’altro piede aveva la scarpa lucida</em>.”<br /><br />Vito De Carlo: “<em>Una cosa affascinante di Luigi Toma che io non ho mai visto in nessun’altra bottega era questo arnese che utilizzava per impastare l’argilla. Lui andava per i campi, prendeva questi sassi di creta, li metteva in questa specie di catino di ferro con una ruota che girando macinava, schiacciava queste pietre di creta, poi lui aggiungeva un po’ d’acqua e faceva la creta. Ed ecco il motivo per cui il colore dei suoi pezzi non è mai uniforme. Perché non usava una creta pura.”<br /></em><br />Armando Toma, fratello minore di Luigi, è tra i due quello che ha raggiunto una minore notorietà, anche a causa della sua prematura scomparsa.<br />A differenza di Luigi, Armando non ha lavorato tutta la vita come figulo, ed anche quando sull’onda della ripresa di interesse verso i fischietti in terracotta ricominciò a fabbricarne, non risulta che abbia mai realizzato tegami o altri oggetti al tornio.<br />Vito De Carlo: “<em>A differenza di Luigi, il fratello Armando ha ripreso a fare il fischietto, non lo ha fatto tutta la vita. Forse li ha fatti da bambino insieme al fratello, però poi ha ripreso a fare i fischietti quando ha cominciato ad esserci la richiesta del mer</em>cato.”<br /><br />La produzione dei due Maestri aveva importanti punti di contatto – i soggetti erano grosso modo analoghi e si individuano caratteristiche comuni nella maniera di modellare – ma anche non poche differenze.<br />Beppe Lo Bosco: “<em>Armando era più raffinato sia nella modellatura che nella decorazione. Luigi era forse più espressivo, ma non era ad esempio tecnicamente in grado di fare cavalli alti come quelli di Armando.”<br /></em><br />A differenza di Luigi, Armando faceva della decorazione uno dei punti di forza dei suoi fischietti, applicando a freddo ai suoi pezzi una gamma di colori vivacissima.<br />Beppe Lo Bosco: “<em>Gli accostamenti di colori di Armando a volte sono un pugno nell’occhio, ma sorprendono per espressività e vivacità</em>.”<br /><br />I pezzi più famosi di Armando Toma sono i cavalli a tre zampe, ma anche i galletti, i carabinieri, e una folta schiera di personaggi antropomorfi e zoomorfi.<br />Vito De Carlo: “<em>Ovviamente i suoi pezzi più famosi sono questi cavalli molto snelli, anche di grandi dimensioni. Quando l’ho conosciuto, attorno all’87, lui partecipava alla fiera di Taviano. La prima settimana di settembre fanno questa fiera inerente la ceramica e lui con un suo banchetto vendeva questi cavalli. Probabilmente i fischietti li faceva per quell’occasione, ma non come lavoro continuativo.<br />Mi confidò che c’erano degli architetti milanesi che gli ordinavano una grande quantità di cavalli, e non sapeva neanche lui il perché. Poi abbiamo capito che li rivendevano come oggetto d’arredamento per le case della borghesia colta del Nord Italia.<br />Ma cavalli a parte aveva una gamma di soggetti infinita. Faceva anche dei fiori molto belli con cui decorava i pezzi”<br /></em><br />Come accaduto per Vito De Donatis, anche i fratelli Toma ottennero un importante riconoscimento tributato loro dal Gruppo Cucari Veneti. La mostra di ceramiche fischianti organizzata a Nove nel 1997 vide infatti Luigi Toma e i suoi fischietti come ospiti d’onore, mentre nel 1998 fu il turno di Armando.<br /><br /><span style="color:#ff0000;">NOTE<br /></span><a title="" style="mso-footnote-id: ftn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref1" name="_ftn1">[1]</a> Ne hanno parlato ad esempio Mario Giani, “Vito De Donatis, artigiano e artista cutrofianese”, in Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano n° 4/5, Ed. Congedo, Galatina, 2.000.; Alfredo Liguori, <a href="http://opac.khi.fi.it/cgi-bin/hkhi_de.pl?t_idn=u63185f">op. cit</a>, e Paolo Loforti “A caccia di Fischietti – cronache di un collezionista”, in Sibilus 4, Agenzia Autonoma di Soggiorno e Turismo di Caltagirone, 2004.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref2" name="_ftn2">[2]</a> P. Piangerelli e F. Sgrò, “Puglia”, in Paola Piangerelli (cur.), La Terra, il fuoco, l’acqua, il soffio, la collezione dei fischietti in terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari a MNATP, Edizioni De Luca 1995.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref3" name="_ftn3">[3]</a> Curiosamente manca tra i suoi pezzi il gallo; realizzava invece occasionalmente le trombette dritte e ritorte, modellandole al tornio.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref4" name="_ftn4">[4]</a> Paolo Loforti, op. cit.</p><br /><p align="justify"><span style="color:#ff0000;">FOTO</span><br /><span style="color:#000000;">1. Cavalli a tre zampe di Armando e Luigi Toma</p></span><span style="color:#000000;">2. e 3. Fischietti di Vito De Donatis (coll. Lo Bosco) </span><br /><span style="color:#000000;">4. Severino Manco (foto d'epoca)</span><br /><span style="color:#000000;">5. Alessandro Manco (foto Lo Bosco)</span><br /><span style="color:#000000;">6. Armando Toma (foto Lo Bosco)</span><br /><span style="color:#000000;">7. e 8. Fischietti di Armando Toma (coll. Lo Bosco)<br /></span><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#ff0000;">I testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata</span></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-27593703387524974302011-09-05T21:13:00.024+02:002011-09-06T22:08:32.967+02:00I Maestri dei fischietti salentini: De Donatis, Falcone, Manco, Toma<div align="center"><span style="color:#ff0000;">Memorie Suoni di Terra - </span><span style="color:#ff0000;">conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore </span><br /></div><br /><div align="center"><span style="color:#ff0000;">(</span><span style="color:#ff0000;">I PARTE)</span></div><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648967105477759458" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjU6NC8pr9UXX0690yzWfli5UfuUGDYUL2k0foljUsj_oucOlm04LPdAkAXQd08anRB7zEScRzXbLIuPTETFupzjPPSxkR_FZBXdPLEQyxj15kVJ2FR172byWxVL2OEfsJyyD5xTL1OPmeM/s320/pezzi+luigi+toma+2.JPG" border="0" /><br /><br /><p align="justify">“<em>Non si viveva di soli fischietti</em>!” Quante volte, durante le interviste con gli artigiani della terracotta, ci siamo sentiti ripetere questa frase. Per quanto attaccati a questa tradizione appresa dai loro avi ed pò magica di plasmare la terracotta facendone uscire un suono, quasi tutti i costruttori tradizionali di fischietti - dalla Sicilia fino al Veneto - ci hanno sempre spiegato che il reddito ricavato da questi oggetti era sempre stato marginale nell’ambito della loro attività di vasai, fornaciai, figurinai.<br /><br />Quasi tutti gli artigiani, appunto, ma non tutti. Fanno eccezione i produttori di Ruffano e Curofiano, due paesi del Salento interno che distano tra loro appena 15 km, e nei quali la produzione e la vendita dei fischietti ha rappresentato nel corso del XX secolo una risorsa importante per le numerose botteghe di artigiani figuli, a volte la principale.<br />E’ quanto emerge dalla testimonianza dei 4 artigiani che abbiamo intervistato. Si tratta di alcuni dei Maestri del fischietto più apprezzati da appassionati e collezionisti, o che comunque possono vantare con questi Maestri una discendenza diretta.<br /><br />Spiega Salvino De Donatis, ceramista di Cutrofiano e figlio di Vito De Donatis: “I<em> fischietti si modellavano sopratutto in inverno e si vendevano durante le fiere estive. Mio Nonno aveva 7 figli, e tutti davano una mano a modellarli, così riuscivano a farne una grande quantità. Ci riempivano delle cassette e poi verso marzo, quando cominciavano le fiere, andavano avanti a venderli per tutta la stagione fino all'estate.<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm1AH_hLAfzIdKp9mmM6XEdOHAxG_lTvYBRZaMS5gJD2GKbc-CzXYv4hA-4iTz6NnopZdb-eAVHC_e7RFTD9ybToaP7f6tieKlwSn-C1DWMLXQWFi1EZ8bLtfaSQqBdNXsosqJwCo_snhA/s1600/foto+de+donatis.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648967889158140722" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgm1AH_hLAfzIdKp9mmM6XEdOHAxG_lTvYBRZaMS5gJD2GKbc-CzXYv4hA-4iTz6NnopZdb-eAVHC_e7RFTD9ybToaP7f6tieKlwSn-C1DWMLXQWFi1EZ8bLtfaSQqBdNXsosqJwCo_snhA/s320/foto+de+donatis.JPG" border="0" /></a>Quando mio Nonno andava in giro per fiere e mercati vendeva tantissimi oggetti piccoli, come i fischietti, ma anche le campanelle e le stoviglie in miniatura. All'epoca non c'erano molti giocattoli, e questi erano i regali che si acquistavano ai bambini nei giorni di festa.<br /><br />Poi bisogna tenere presente che ogni paese ed ogni fiera avevano una loro caratteristica particolare, nel senso che si vendeva di più un certo prodotto o un altro. Quindi nella bottega si faceva di tutto, però in occasione della fiera si produceva di più quel tipo di cose.<br />Ad esempio per Maglie facevamo molte campanelle e fischietti. A Lecce andavano di più le miniature: si portavano dei carri interi pieni sopratutto di miniature. E quindi per quelle occasioni si riempivano forni interi di fischietti o miniature. Mentre nel periodo di Pasqua veniva fatta questa fiera della Madonna della Luce a Galatina e lì dovevamo portare tanti cofani, quelli per fare il bucato.<br />Poi magari anche tra gli artigiani c'era quello specializzato più in una produzione, e quindi portava alle fiere più quegli oggetti. Mio Nonno era specializzato più in questi giocattoli: il fischietto, la miniatura, e la campanella. Ma in particolare Nonno era uno specialista del fischietto, così come lo era mio Bisnonno e chiaramente mio Padre.”<br /></em><br />Anche Vittorio Falcone, produttore di Ruffano e fratello di Errico, ci conferma che nella sua bottega la vendita dei fischietti superava quella degli utensili in terracotta: “<em>Si guadagnava più con il fischietto che con il resto della produzione. Allora i bambini compravano molto i fischietti e le miniature dei tegami per la cucina, perché non c’erano giocattoli di plastica."<br /></em><br />Altro produttore di Ruffano è Luigi Manco, figlio di Serafino e fratello di Alessandro. Racconta Luigi: “<em>Di fischietti ne vendevamo tanti soprattutto ai mercati: i giovani allora li compravano e li regalavano alla fidanzata, o le fidanzate al fidanzato. O magari si regalava all’amico o alla comare</em>.” Da notare che la bottega dei Manco realizzava e vendeva inoltre pupi da presepe.<br /><br />Ultimo Maestro intervistato è Luigi Toma, che lavorava a Torrepaduli, frazione di Ruffano. Toma ci racconta come la produzione di fischietti fosse tutt’altro che marginale, anche da un punto di vista numerico: “<em>Di fischietti ne modellavo 70-80 al giorno. E poi ne cuocevo 5-600 pezzi alla volta. Di più non si poteva, perché se vai piano-piano riesci, ma se fai di corsa un terzo dei fischietti ti si rompono</em>.”<br /><br />Una ulteriore conferma dell’importanza dei fischietti nell’economia delle botteghe figule salentine ce la fornisce l’autorevole studio del Museo Nazionale di Arti e Tradizioni popolari sui fischietti tradizionali italiani.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn1" name="_ftnref1">[1]</a> E’ infatti documentato che nei primi decenni del XX secolo fossero numerose le aziende artigiane del Salento che realizzavano fischietti, e che tra i principali paesi produttori c’erano Ruffano, Cutrofiano e San Pietro in Lama. Una cosa molto interessante che emerge da questo studio è come un secolo fa queste botteghe non si limitassero a una produzione destinata alle fiere locali. Era anche usuale la commercializzazione dei fischietti salentini in altre regioni italiane - come la Calabria - e persino all’estero - in particolare in Albania e Grecia.<br /><br /><strong><span style="color:#ff0000;">Le forme dei fischietti tradizionali del Salento</span></strong><br />Negli ultimi decenni, i fischietti salentini e pugliesi sono stati caratterizzati da una esplosione di forme e colori all’interno dei quali non è facile rintracciare quali siano i soggetti più antichi e aderenti alla tradizione. Il testo del MNATP<a title="" style="mso-footnote-id: ftn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn2" name="_ftnref2">[2]</a> e le interviste realizzate con gli artigiani ci consentono però di dire che all’inizio del XX i fischietti venissero foggiati in un numero limitato di<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYKIEXkIKrpfB4xApnguLorWuBB43oUs158KkAosEiY_cMsPR0zLGpJWy5wDO8HiyR_QIumVutg4OlzOgqJ32QZiSSyXcfMH-S-jgeCJhW3t-7rEgQ63xB64gN36Sw7djUOTKwC5m9nQki/s1600/pezzi+luigi+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648968544684533458" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 279px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiYKIEXkIKrpfB4xApnguLorWuBB43oUs158KkAosEiY_cMsPR0zLGpJWy5wDO8HiyR_QIumVutg4OlzOgqJ32QZiSSyXcfMH-S-jgeCJhW3t-7rEgQ63xB64gN36Sw7djUOTKwC5m9nQki/s320/pezzi+luigi+manco.JPG" border="0" /></a> forme: l’uccello, il gallo, il cane, la tromba, il cavallo, il carabiniere ed il fischietto ad acqua noto con il nome di calandra. Erano fischietti modellati prevalentemente a mano, di fattura elementare, spesso decorati sommariamente o non decorati affatto. Non si trattava di fischietti globulari, ed il modulo sonoro era dunque aggiunto alla figura.<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>Facevamo i modelli di fischietti antichi, come la trombetta, i cavallucci, i cagnolini. E poi il carabiniere in divisa - a cavallo e anche senza cavallo.<br />I fischietti li facevamo tutti a mano, tranne il carabiniere. Quello dovevamo per forza farlo a stampo perché c’erano tutti i particolari della divisa e del cappello.<br />C’erano anche quelli fatti con il tornio, ad esempio se dovevi fare una figura con la pancia vuota dentro.<br />Facevamo anche il fischietto ad acqua. Si metteva un uccello sopra e fischiava come un fringuello. Si chiama calandra.</em>”<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>I soggetti che andavano di più erano qualche animaletto – come l’uccello, il galletto, il cagnolino – e le figure antropomorfe.<br />Mio Padre mi racconta che modellavano queste figure un pò allungate, un pò stilizzate. Chiaramente dovevano essere figure molto semplici, perché bisognava farne tante e venderle per pochi soldi, quindi non andavano a curare troppo i dettagli.<br />E poi in casa si è sempre parlato anche di questo fischietto ad acqua, la famosa calandra. Il nome calandra proviene da un uccello che nidificava molto in queste zone e faceva questo suono particolare</em>.”<br /><br />Si tratta di iconografie tutto sommato simili a quelle dei fischietti popolari delle altre regioni d’Italia (e non solo). In Salento, tuttavia, si registrano alcune particolarità.<br />Ad esempio il fischietto raffigurante Il cavallo – con o senza l’aggiunta del cavaliere – di solito è rappresentato con tre gambe: due davanti ed una sola dietro.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn3" name="_ftnref3">[3]</a><br />Vito De Carlo, appassionato e cercatore di fischietti pugliesi sin dagli anni ‘80, ipotizza che la diffusione del fischietto del cavallo in questi paesi del Salento sia legata ad una tradizionale gara di cavalli che si teneva a Torrepaduli (frazione di Ruffano e, al pari di questo, luogo di produzione di terracotta): “<em>Per la festa di Sant’Oronzo, in agosto, vi era questa gara in cui i cavalli erano costretti a trainare dei pesi enormi. Dovevano spostare dei carri appesantiti con pietre e altri pesi, e chi parteggiava per un cavallo o per l’altro menava frustate a destra e a manca per farlo camminare. Questa specie di gara è durata fino a una decina di anni fa, poi l’hanno vietata perché ritenuta troppo cruenta.</em>”<br /><br />Riguardo al galletto – altro soggetto classico del fischietto – quello prodotto in Salento aveva spesso la coda adornata da vere piume di uccello. Ci racconta ancora Vito De Carlo: “<em>I galli con le piume d’uccello vere, molto utilizzati ad esempio nella bottega dei Manco, erano molto comuni in Salento e si trovavano spesso anche nei mercatini. Le piume servivano <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf52Idhzwu6WjaJX51dLLyHb6glj7q7il9UhU9iUmD3bouinWxGI2hyphenhyphenlcco8C4j3CMoDaicmJj_Be1xXXOpzGP5f1_kee2UJ7sY3g9pm2yWw4Z3P70cuYiWel7wj70-gNZBpJa1I5R0H_M/s1600/foto+luigi+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648969064684181954" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjf52Idhzwu6WjaJX51dLLyHb6glj7q7il9UhU9iUmD3bouinWxGI2hyphenhyphenlcco8C4j3CMoDaicmJj_Be1xXXOpzGP5f1_kee2UJ7sY3g9pm2yWw4Z3P70cuYiWel7wj70-gNZBpJa1I5R0H_M/s320/foto+luigi+manco.JPG" border="0" /></a>per rendere più appariscenti e gradevoli i pezzi, ma anche per risparmiare tempo. Infatti fare la coda di creta e dipingerla richiede più lavoro che inserire le piume</em>.”<br /><br />Per quanto riguarda infine il fischietto a forma di tromba ritorta, Piangerelli e Sgrò<a title="" style="mso-footnote-id: ftn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn4" name="_ftnref4">[4]</a> ipotizzano che si tratti della riproduzione in miniatura e a scopo ludico delle trombe utilizzate durante il lavoro agricolo; queste, sempre in terracotta, erano utilizzate nei campi per le segnalazioni. E sin da tempi remoti la trombetta era anche acquistata durante la fiera di San Rocco - che si tiene proprio nel paese di Ruffano - in segno di devozione verso il santo.<br /><br />Certo è che dalle testimonianze degli artigiani non è possibile risalire all’origine di queste iconografie. Anche i Maestri più anziani riferiscono di avere appreso a modellare i fischietti in questo modo dai propri antenati, e di averli riprodotti fedelmente.<br />Vittorio Falcone: “<em>Il cavallo lo abbiamo sempre fatto con tre zampe, 2 d’avanti e 1 di dietro. E poi facevamo il galletto con le piume dietro che sembrava un gallo ruspante.<br />Spesso questi fischietti li facevano i piccoli. Ne faceva uno il genitore e poi ti diceva: falli così. E ne devi fare 100, altrimenti non vai a dormire. E noi dovevamo completare quei 100 pezzi prima di smettere.”<br /></em><br />Luigi Manco: “<em>Il gallo lo abbiamo sempre fatto con o senza piume vere, anche all’epoca di mio Nonno”<br /></em><br /><strong><span style="color:#ff0000;">I fischietti a stampo</span></strong><br />Queste iconografie “arcaiche” dei fischietti salentini sono state perpetuate dai produttori fino ad oggi. Allo stesso tempo, nella seconda parte del XX secolo, si è assistito a una grande diversificazione delle forme, tanto che il Salento può essere considerato una delle aree con la maggiore ricchezza di iconografie di fischietti tradizionali.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn5" name="_ftnref5">[5]</a> Sempre la ricerca del MNATP<a title="" style="mso-footnote-id: ftn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn6" name="_ftnref6">[6]</a> ha verificato che questa diversificazione dei soggetti avviene a partire dal secondo dopo guerra, e viene facilitata dal ricorso sempre più ampio alla tecnica dello stampo da parte di un certo numero di botteghe – comprese quelle di De Donatis e Manco.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn7" name="_ftnref7">[7]</a> Con l’uso degli stampi, la necessità vitale di contenere i tempi di esecuzione dei fischietti – che ovviamente dovevano avere un prezzo modesto – non era più di ostacolo all’introduzione di soggetti nuovi ma anche più accurati sia nella fattura che nella decorazione. Alcune botteghe iniziano dunque a produrre una gamma molto ampia di soggetti zoomorfi e soprattutto antropomorfi, come personaggi della vita di paese e delle campagne o militari in uniforme, tutti soggetti rappresentati spesso in chiave satirica.<br />Rispetto alla decorazione, il fischietto grezzo o ricoperto da una semplice smaltatura monocromatica viene sempre più spesso sostituito da pezzi decorati con una ampia gamma di vivaci colori a freddo. Gli artigiani si sforzano di utilizzare questi colori per evidenziare particolari dei vestiti o delle espressioni del volto, fino ad acquisire abilità proprie dei figurinai-decoratori. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnpSUMMmWdZrKmAljx6pZiq3ZiV0phAQly2FrQd5fgnsKDW4RsenSPTohcbmO3Q2CkxccjpPMpy2sZqIUm0feTiOhdFpkRAZ3OgNHJQJnJ7Jtf38LsfVskQ3-iszcYw7WOLZ7CaTp7sNRs/s1600/pezzi+falcone.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648969917467759090" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnpSUMMmWdZrKmAljx6pZiq3ZiV0phAQly2FrQd5fgnsKDW4RsenSPTohcbmO3Q2CkxccjpPMpy2sZqIUm0feTiOhdFpkRAZ3OgNHJQJnJ7Jtf38LsfVskQ3-iszcYw7WOLZ7CaTp7sNRs/s320/pezzi+falcone.JPG" border="0" /></a><br />Ad esempio la bottega Manco, che in precedenza aveva prodotto i soggetti dei fischietti più classici ricoprendoli con una smaltatura nera, bianca o marrone,<a title="" style="mso-footnote-id: ftn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn8" name="_ftnref8">[8]</a> coglie in pieno le nuove opportunità offerte dalla tecnica dello stampo, ed inizia a realizzare un grande numero di soggetti di grande raffinatezza formale.<br /><br />Luigi Manco: “<em>Facevamo molti soggetti. Gran parte dei modelli che faccio tutt’ora e che vedete qui sono modelli antichi: i cavalli, i carabinieri, i corazzieri, e gli altri soldati; le donne con l’ombrellino, le calandre di diverso tipo, i galli, il gobbo, eccetera. Lavoriamo con la fantasia: troviamo sempre soggetti nuovi e poi li realizziamo come ci viene in testa.<br /><br />Per poter fare più veloce si fa una forma di gesso: così con lo stesso tempo a disposizione, invece che 10 fischietti se ne fanno 50. Fai un originale e poi ricavi lo stampo versandoci sopra il gesso. Poi si mette la creta nello stampo, si uniscono le due metà, si preme un pochettino ed esce la sagomina.<br />Le mani si usano comunque: ad esempio in questo fischietto l’ombrellino, la borsetta e le mani sono aggiunte dopo aver usato lo stampo. E al carabiniere si aggiunge a mano un braccio – per fargli fare il saluto - e i piedi. E naturalmente si aggiunge il fischietto dietro e si decorano tutti a mano.<br />Questi stampi puoi utilizzarli per quanti anni vuoi. Ho ancora quelli di mio Padre e mio Nonno.”<br /><br /></em>Bisogna sottolineare che la tecnica dello stampo non ha sostituito in Salento il fischietto modellato a mano: al contrario, nei decenni seguiti al secondo dopo guerra e fino al giorno d’oggi convivono entrambe le tipologie di fischietto, e di solito lo stesso artigiano utilizza entrambe le tecniche. Infatti, se le botteghe Manco e Falcone si sono specializzate prevalentemente nella realizzazione di fischietti a stampo, quelle dei Toma e De Donatis li realizzano quasi interamente a mano. D’altronde sono molte e significative le eccezioni: Alessandro Manco realizzava a mano degli splendidi pezzi unici; i famosi cavalli a 3 zampe di Errico Falcone (non i cavalieri) sono realizzati a mano; Luigi Toma utilizzava spesso degli stampini per i visi dei personaggi antropomorfi, ed ha anche realizzato alcuni carabinieri con retro piatto ricavati chiaramente da uno stampo; <a title="" style="mso-footnote-id: ftn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn9" name="_ftnref9">[9]</a> per quanto riguarda infine i De Donatis, Mario Giani, visitando nel 1995 la loro bottega, nota la presenza di fischietti fatti da stampi anche risalenti all’inizio del secolo, come un soldato in uniforme ottocentesca. <a title="" style="mso-footnote-id: ftn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn10" name="_ftnref10">[10]</a><br /><br /><strong><span style="color:#ff0000;">Le “dinastie” di figuli del Salento<br /></span></strong>De Donatis, Falcone, Manco, Toma sono tutte famiglie di produttori figuli di antica tradizione. In alcuni casi questo è confermato anche da ricerche realizzate a partire dagli archivi anagrafici.<a title="" style="mso-footnote-id: ftn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftn11" name="_ftnref11">[11]</a> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicJbr0kH5DXNqlBOtrWp69dOwfvKyvqRKPor_KYzfcl54ptxc0omlW-G_8XYs3q_R_TsH9-VKToPvezC-L1Wrgil8yTVd8Spav0L9N1Yi9B6xuyw_L9d_1jnuiBqbZVVDt35anNTg5s1ms/s1600/foto+luigi+toma.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648970441804865458" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 231px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEicJbr0kH5DXNqlBOtrWp69dOwfvKyvqRKPor_KYzfcl54ptxc0omlW-G_8XYs3q_R_TsH9-VKToPvezC-L1Wrgil8yTVd8Spav0L9N1Yi9B6xuyw_L9d_1jnuiBqbZVVDt35anNTg5s1ms/s320/foto+luigi+toma.JPG" border="0" /></a>In ogni caso è la memoria orale degli ultimi discendenti di queste famiglie a raccontare di generazioni e generazioni di artigiani impegnati nella lavorazione della terracotta. Di solito gli artigiani intervistati non sono in grado di ricordare un antenato appartenente alla loro linea di discendenza diretta che facesse un mestiere diverso dal loro. E tutti i membri maschi – e non di rado anche le femmine – di queste famiglie, spesso molto numerose, erano dediti alla bottega di famiglia.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>Qualcuno ha fatto delle ricerche ed è risalito - con documenti alla mano - fino al 1650. Sin da allora a Cutrofiano i De Donato erano artigiani figuli. La “s” finale del cognome si è poi aggiunta nel tempo. Comunque da quello che mi raccontava mio Padre, e da quanto ricordo io stesso, tutti i nostri antenati, a cominciare da mio Nonno e dal mio Bisnonno, lavoravano la terracotta.<br /><br />Tra i 7 figli di mio Nonno i maschi lavoravano tutti al tornio, mentre le femminucce erano più addette ad altre cose, come la preparazione dell’argilla.<br />Questo non vuol dire che le donne lavorassero di meno. Ad esempio, in famiglia si racconta sempre di questa Zia particolarmente attaccata al lavoro, praticamente non smetteva mai. Oggi, a 83 anni, ha un fisico asciutto come il mio, ed ancora bada all’intera famiglia. E questi artigiani di un tempo sono anche persone cariche di ironia, molto ironiche ed autoironiche</em>.”<br /><br />Luigi Manco: “<em>Il Padre di mio Padre, che si chiamava Lucio, faceva questo mestiere. E così ancora suo Padre, che si chiamava Giuseppe. Poi è venuto mio Padre, che era del 1903, e quando aveva 15 anni già aveva il laboratorio. Quindi io e i miei fratelli siamo della quarta discendenza.<br /><br />Eravamo 6 figli, tre maschi e tre femmine. Noi 3 maschi abbiamo preso il mestiere di mio Padre, mentre delle tre femmine una faceva la tessitrice al telaio, un’altra faceva la ricamatrice e cuciva vestiti e l’ultima faceva il ricamo. Eravamo tutti artigiani insomma.<br /></em><br /><em>Io e i 2 fratelli maschi - Alessandro e Antonio - abbiamo continuato tutta la vita a lavorare la terracotta. Quest’ultimo, che era il più grande di tutti, se ne andò in Svizzera nel ’57 - perché qui, si moriva di fame. Ma partì con la speranza che quando tornava si metteva su un suo laboratorio. Mi diceva sempre: quando torno lavori per me. Poi è successa una sventura, ha avuto un incidente sul lavoro. Faceva il pittore, è caduto da 4 metri di altezza ed è morto. Aveva 46 anni, ha lasciato una moglie con due figli ed incinta dell’ultimo, che non ha mai conosciuto il Padre</em>.”<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>I Falcone hanno una tradizione antica nel fare questo mestiere, non so nemmeno io da quando. Sicuramente mi ricordo di mio Nonno ed anche di mio Padre.<br />La mia generazione eravamo 5 fratelli e tutti lavoravamo la terracotta. Di femminucce non ce n’erano.<br />Mio fratello Errico era il più famoso di noi per i fischietti, ma lavoravamo insieme e ci scambiavamo sempre i ruoli</em>.”<br /><br />Luigi Toma: “<em>Anche mio Papà e mio Nonno facevano questo mestiere</em>.” E senz’altro anche il fratello di Luigi – Armando Toma - almeno in gioventù ha imparato il mestiere dal Padre, tanto è vero che dopo un periodo di interruzione è tornato a produrre dei fischietti particolarmente apprezzati dagli appassionati.<br /><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>L’apprendistato in bottega</strong></span><br />L’apprendistato dei Maestri figuli di Ruffano e Cutrofiano è stato analogo a quello di tanti artigiani del secolo scorso. Già dall’infanzia si cominciava a frequentare la bottega per imparare il mestiere e ben presto si era costretti a lasciare la scuola dedicandosi a tempo pieno al mestiere della terracotta.<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>Sono entrato in bottega dopo la classe V elementare. Allora si usava così, anche se eri un bambino lavoravi come un operaio. Non potevi dire di no, altrimenti in famiglia non si mangiava.<br />A me il mestiere lo ha insegnato Antonio Falcone, mio papà; lui ha lavorato fino ad 82 anni ed<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDNMg9w6UffFrwNaUFcNrd8ddiexIFQLV1EIvKPFn6w2wnP-UlgYn6NO1XnKSaGG_nCU5OEv4PgrGmqGzZFoMy2kwAA5RniC2nXA4kTrtfb2xt-uAdpLRf5-X_GJRHE-_oGzXELbFvkR86/s1600/pezzi+de+donatis+2.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648971938648214418" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDNMg9w6UffFrwNaUFcNrd8ddiexIFQLV1EIvKPFn6w2wnP-UlgYn6NO1XnKSaGG_nCU5OEv4PgrGmqGzZFoMy2kwAA5RniC2nXA4kTrtfb2xt-uAdpLRf5-X_GJRHE-_oGzXELbFvkR86/s320/pezzi+de+donatis+2.JPG" border="0" /></a> ha fatto sempre fischietti, perché allora si vendevano</em>. “<br /><br />Luigi Manco: “<em>Ho iniziato a 7 anni, che ancora facevo le elementari. Mio Padre mi diceva: “quando esci dalla scuola vieni direttamente al laboratorio e cominci a fare qualcosa.” Ed effettivamente io e i fratelli quando uscivamo dalla scuola frequentavamo il laboratorio per imparare il mestiere. E praticamente ci siamo imparati. Poi sai, ti incominci ad appassionare e non vuoi più fare altro. Infatti ho fatto anche altre cose, ma a me mi piace fare solo questo. A volte mio Padre mi mandava a fare altri mestieri ma io protestavo: “Papà non mi piace!” “E che cosa vuoi fare?” chiedeva lui. “Qui voglio lavorare, qui voglio imparare</em>!”.<br /><br />Rivelatore è poi il racconto di Salvino De Donatis, che ci spiega come in realtà non sia possibile stabilire una età in cui cominciò ad affiancare il padre Vito nel lavoro, semplicemente perché la dimensione familiare era così strettamente legata a quella lavorativa da rendere le due cose inscindibili. Casa e bottega erano in fondo la stessa cosa e per quanto indietro possa andare la sua memoria, Salvino ricorda di avere avuto in qualche modo sempre a che fare con l’argilla e con l’attività produttiva.<br />Salvino De Donatis: “<em>Da bambino ho iniziato a lavorare subito, anche perchè per noi il laboratorio e la casa non erano cose separate, erano tutto un agglomerato, diciamo. Avevamo la cucina e in quello stesso ambiente - un po’ staccato dal camino - c’era il tornio. D’inverno mia Madre scaldava l’acqua che serviva a mio Padre per lavorare e gliela portava. Poi preparava da mangiare mentre lui lavorava e magari gli diceva: assaggia le pittule, che sono calde. E lui si puliva un po’ le dita dall’argilla per mangiare. Son cose che a me sono rimaste impresse.<br />Ed io da ragazzino vivevo circondato dall’argilla ovunque. E da quanto mi ricordo ero proprio piccolo ma ero già impastato di quell’argilla. Credo che quando sono nato, che all’epoca si partoriva in casa, mia Madre mi avrà preso con le mani sporche di argilla. E infatti guarda caso io continuo: la nostra casa è qui, sopra al laboratorio: questo rapporto tra famiglia e lavoro non si è mai interrotto!”<br /></em><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Le antiche botteghe e la loro produzione<br /></strong></span>I laboratori tradizionali di Ruffano e Cutrofiano sono stati quasi interamente smantellati, e infatti nessuno dei Maestri intervistati lavora ancora nell’antica bottega di famiglia. Come testimonianza rimane qualche vecchia foto e magari qualche oggetto salvato a ricordo della bottega nella quale questi artigiani hanno passato buona parte della loro vita.<br />Chiediamo a questi Maestri di descriverci come erano fatte le loro botteghe e che tipo di produzione realizzavano – oltre ovviamente ai fischietti.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>Qui in paese non è rimasto niente di botteghe antiche, se non quella di un Colì che ha ancora il forno a legna. Non è in uso, chiaramente, però ancora la conservano per il suo valore storico. E’ l’unica che abbiamo a Cutrofiano.<br />D’altronde le botteghe di quando lavoravano i nostri nonni erano piccoline. Non erano <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlf878HL8iyPKIU76zfa0AsNHbqgIwCf_H69no_R2r0sGSKv-WZkWkjNvSEpQXN7m0CUbS7IgjTvGbFYSZU9qlpc9rp5_n2HqrIZcTi6xP-t8egM5ozUQQnII85qnz6gdMouymtCt00bcu/s1600/foto+vittorio+falcone.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648972613970508978" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 226px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlf878HL8iyPKIU76zfa0AsNHbqgIwCf_H69no_R2r0sGSKv-WZkWkjNvSEpQXN7m0CUbS7IgjTvGbFYSZU9qlpc9rp5_n2HqrIZcTi6xP-t8egM5ozUQQnII85qnz6gdMouymtCt00bcu/s320/foto+vittorio+falcone.JPG" border="0" /></a>adeguate al lavoro che si fa oggi, quindi sono state demolite, purtroppo.<br />E’ stato così per la bottega della mia famiglia, che era in questo stesso posto dove lavoro adesso, ma tanti anni fa era costituita da tre stanzette molto piccole.<br /><br />Nella nostra bottega si facevano stoviglierie di uso domestico, come pentole e pignatte. Una produzione caratteristica era ad esempio il cofano, che serviva a fare il bucato. Era composto da tre pezzi: questo cofano - che era il recipiente più grande - poi c'era un vaso più piccolo, chiamato linbu - che serviva a far uscire l'acqua - e poi c'era il vacaturu - un recipiente tipo brocca che serviva a prendere l'acqua e a versarla dentro al cofano.<br />I torni chiaramente all’epoca erano tutti azionati col piede, non erano elettrici. Uno ancora ce l’ho, era di mio Padre.<br /><br />Le stoviglie venivano smaltate appena, perchè allora se ne usava pochissimo di smalto. Non erano pezzi belli rifiniti come adesso, si metteva questo strato di smalto così sottile che quasi non si attaccava, e finiva per essere caratteristico dell'oggetto.<br /><br />All'epoca, mio Nonno realizzava anche le tegole in terracotta per i tetti delle case. E mi raccontava mio Padre che c'erano giorni in cui occupavano tutta la zona circostante alla bottega con queste tegole stese ad asciugare. Poi magari veniva un temporale, e tutti i fratelli dovevano riportarle di corsa al coperto prima che la pioggia le rovinasse.<br /><br />Si facevano anche tantissimi oggetti piccoli. Oltre ai fischietti, anche le campanelle, i salvadanai, le miniature. Le miniature erano una riproduzione in scala ridotta di tutti gli oggetti che servivano in casa all'epoca e che diventavano giocattolo per i bambini. Si facevano oggettivi non più grandi di 2 centimetri. Io continuo a portare avanti questa tradizione della miniatura.”<br /><br /></em>Luigi Manco: “<em>La nostra bottega con la fornace a legna era in fondo a via Santa Maria di Leuca, dove ora ci sono le case popolari. L’abbiamo lasciata negli anni ’90, quando il Comune si è impossessato di tutto il terreno e l’ha buttata a terra.<br />C’erano tre stanze. Nella prima modellavamo, la seconda era per mettere i pezzi ad asciugare, e nella terza dormivamo, così poi alla mattina ti alzavi e ti mettevi subito al lavoro. A fianco a dove dormivamo c’era anche la fornace.<br />La nostra vita è stata un po’ sacrificata, però dico la verità: per me è stata una soddisfazione.<br /><br />In questa bottega facevamo tutto, sempre con il tornio: tegami, piatti, coppe, bugie rotonde con sopra il manico – che erano come i cestini che si usavano una volta. E anche lo scaldino in cui si metteva il fuoco dentro e si teneva sulle gambe per riscaldarsi.<br />Quello è il tornio a pedale di quando era ragazzino mio Padre. Con il suo tornio e il mio lavoravamo uno di fronte all’altro. Me lo hanno chiesto ma non lo dò a nessuno, quando lo vorrò dare via lo porterò al museo.”<br /></em><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>La preparazione dell’argilla</strong></span><br />I Maestri continuano il loro racconto, descrivendo le varie fasi della lavorazione della terracotta, cominciando dalla preparazione della materia prima.<br />I banchi di argilla erano abbondanti sia a Cutrofiano che a Ruffano, ed ovviamente nelle botteghe del Salento - e fino ad anni piuttosto recenti - erano gli artigiani stessi ad occuparsi della preparazione della creta e nella maggior parte dei casi anche della sua estrazione .<br />Tutti i maestri intervistati sottolineano che si trattava di un lavoro faticoso, e che costituiva una<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP2qft3fgUpk3sLZu79u0JtszwV87VXUvzxKjfe2Py90Pd6SBPMHvMqxKX59zHHNz0KqopUoDUn4Ze8m2oTBHgHZ6omNVRX8ihp4Y5Yo_tLHQkoNJ9YWQCrDR51jz_0Y43oU-FO64kZp1g/s1600/pezzi+luigi+toma.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648973456031300642" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgP2qft3fgUpk3sLZu79u0JtszwV87VXUvzxKjfe2Py90Pd6SBPMHvMqxKX59zHHNz0KqopUoDUn4Ze8m2oTBHgHZ6omNVRX8ihp4Y5Yo_tLHQkoNJ9YWQCrDR51jz_0Y43oU-FO64kZp1g/s320/pezzi+luigi+toma.JPG" border="0" /></a> parte non indifferente del lavoro della bottega.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>Qui a Cutrofiano ce n’è parecchia di argilla e per la lavorazione si utilizzava quella del posto.<br />Per quanto riguarda l’argilla bianca, quando si scavavano i pozzi per l’acqua ne usciva molta. C’erano diversi operai specializzati nel realizzare proprio questi pozzi e ogni artigiano prenotava presso di loro l’argilla. L’artigiano poi andava con un cavallo e un carretto, la pigliava e se la portava alla bottega.<br />Se invece l’artigiano aveva bisogno dell’argilla rossa, chiedeva il consenso per poterla cavare al proprietario di un terreno dove si trovava questa argilla. Si toglieva la parte superficiale e poi si cavava l’argilla buona.<br />Poi bisognava fare tutto il processo di preparazione. La terra veniva essiccata, poi messa a bagno, poi impastata con i piedi, in fine raffinata con le mani. L’argilla umida veniva impastata con quella che noi chiamiamo la farina, cioè l’argilla secca passata al setaccio. Così con i piedi e con le mani si impastava quella morbida mischiata con un po’ di argilla in polvere. E veniva fuori l’impasto per fare gli oggetti.<br /><br />Ricordo che in estate essiccare l’argilla era più facile, ma quando era primavera bisognava stare attenti. Andava messa al sole però stando sempre attenti a non farla bagnare dalla pioggia. L’argilla quando è asciutta assorbe subito l’acqua, e quindi diventa una poltiglia. A quel punto anche se la fai essiccare nuovamente è inservibile, perché rimanegono delle parti più dure. Quella callosità, la cadda diciamo noi, era un problema per l’artigiano, perché non si riusciva a lavorare. E quindi se pioveva era la rovina, comprometteva ore di lavoro.<br />Di conseguenza si stava molto attenti al tempo e in caso di pericolo bisognava rientrare la creta nella bottega. Ragione per cui la creta in fase di essiccazione la trattavamo proprio come fosse un oggetto finito, si aveva la stessa cura</em>.”<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>La creta si andava a cavare in campagna. Qui a Ruffano c’è la qualità rossa, quella da cucina, mentre quella bianca veniva da Montemesola in provincia di Taranto.<br /><br />Preparare la creta era un lavoro faticoso, perché era sporca e bisognava togliere tutto il materiale cattivo. Dovevi togliere tutte le pietruzze, altrimenti durante la cottura il calore le faceva diventare calce e la pietra saltava lasciando il buco nel pezzo. Adesso si passa tutta al setaccio con le macchine e non c’è più pericolo.<br />Poi bisognava impastarla prima con i piedi, e poi a mano - come le donne fanno i maccheroni.”<br /><br /></em>Luigi Manco: “<em>Con quella rossa si fanno le pentole, le pignatte per poter cucinare. Invece con quella bianca non puoi cucinare, è semplicemente per fare dei lavori più fini. I fischietti si possono fare con terra bianca e rossa, quella che avanza.<br /><br />Quella rossa andavamo noi a prenderla. Dovevamo togliere prima uno strato di terra che poteva essere a seconda di mezzo metro, un metro, un metro e mezzo. Una volta tolto questo strato poi sotto c’era la terra buona.<br />Con la zappetta la tagliavi, la mettevi al sole, la facevi asciugare tutta. Poi si portava al laboratorio e la mettevi in un angolo, e come ti serviva la prendevi.<br />Si doveva pestare fino a ridurre le zolle a pezzi piccoli come una nocciolina. La mettevi a bagno e poi la dovevi impastare con i piedi, perché prima non c’erano le impastatrici.<br />Era un lavoro duro perché con i piedi nudi nell’acqua faceva molto freddo. Purtroppo questo mestiere è bello perchè ti inventi tante cose e rimani soddisfatto, ma passi pure molti di sacrifici. Prima però, oggi hai tutto: tornio elettrico, forno a gas, impastatrici…”<br /></em><br />Luigi Toma: “<em>La terra la prendevo qui a Torre, fuori dal paese. Si doveva prima togliere la parte di sopra, per esempio si scavava un metro, perché quella sopra non vale.<br />Prendevo la terra, la mettevo a bagno e poi ci passavo sopra con i piedi. La mettevo qui, mi toglievo le scarpe e i calzettoni e impastavo con un movimento così, come una danza. E si mischiava la terra con la polvere di argilla finchè non si impastava bene. Non dovevi aggiungere molta acqua, perché altrimenti serviva troppa polvere. Poi è uscita la macchina impastatrice e allora non abbiamo più usato le gambe</em>.”<br /><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>La modellatura</strong></span><br />Per quanto riguarda la modellatura dei manufatti, particolarmente significativa è la testimonianza di Luigi Manco, che ci racconta la fatica di una ordinaria giornata di lavoro in bottega: “<em>Il giorno facevamo la roba grossa e la notte la roba piccola. Si lavorava così.<br />Dormivamo 3 o 4 ore al massimo, e poi ci alzavamo verso l’una-le due e facevamo i fischietti lavorando con il lume di petrolio o con la lanterna. Così dall’1 di notte fino alla mattina facevi già una giornata di lavoro, poi dalle 7 della mattina fino alla sera alle 5, alle 6 o anche alle 7 facevi un’altra giornata.<br />Alla sera, quando tornavamo dalla bottega, ci mettevamo tutti in famiglia e si mangiava. Perché allora si mangiava una volta al giorno solamente, la sera. Poi quando finivi di mangiare <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq7k0s0i0sFjbq0M1A31CeMgbuH0dGylq-Kf6EG4I19x_B6nReS-acMGCU_gemaYl4kZOEtFkopnwUkpZMvzhcY3Or4a_jRmZI_mK1wkbnVfbaXWum8rnMq0SA9TDXHBuJ4PajXDhI_N7Z/s1600/pezzi+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648974282270275986" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjq7k0s0i0sFjbq0M1A31CeMgbuH0dGylq-Kf6EG4I19x_B6nReS-acMGCU_gemaYl4kZOEtFkopnwUkpZMvzhcY3Or4a_jRmZI_mK1wkbnVfbaXWum8rnMq0SA9TDXHBuJ4PajXDhI_N7Z/s320/pezzi+manco.JPG" border="0" /></a>- alle 8 o alle 9 al massimo - ti andavi a coricare.<br />Insomma facevi 18-19 ore di lavoro. Oggi chi lo fa? Oggi un giovane non ha quella pazienza, quell’amore. Perché devi essere appassionato per fare questo lavoro</em>.”<br /><br />Sempre Luigi ci sorprende spiegandoci di come, a volte, nelle botteghe degli anziani artigiani resistano sino ai giorni nostri tecniche di lavorazione considerate scomparse ed obsolete: “<em>Abbiamo sempre usato il tornio a pedale, non abbiamo voluto modernizzarci prendendo un tornio elettrico. Siamo all’antica. Ogni tanto qualcuno veniva nel laboratorio e rimaneva stupito nel vederci lavorare con il tornio a pedale. Dicevano: ma come fate? Eppure io mi trovo meglio così.”<br /></em><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>La cottura nel forno a legna</strong></span><br />Alla modellatura seguiva ovviamente la cottura dei pezzi, eseguita rigorosamente nelle fornaci a legna.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>Noi di fornaci a legna ne avevamo 3, che alternavamo a seconda del materiale da cuocere: quanto più grandi erano gli oggetti più era grande il forno, proprio per una questione di convenienza.<br />Una fornace era grandissima, una casa insomma. Tanto che io quando ero troppo piccolo avevo paura addirittura a entrarci, perché pensavo di cadere dentro ai fori del solaio che divideva la camera di cottura dalla una camera di combustione. Questo forno più grande mio Padre lo ha usato fino agli anni ’60 o giù di lì.<br />Poi, quando sono cresciuto, nella maggior parte dei casi si usava quello medio. Anche questo era comunque un forno abbastanza grande: avevi bisogno di 100 fascine per portarlo a temperatura.<br />E poi c’era quello più piccolino che si usava per gli oggetti piccoli. Non era proprio piccolissimo, intendiamoci! Sarà stato di 2 metri cubi, mentre quello grande era di 4 e quello medio di 3 metri cubi.<br /><br />Ricordo che il forno si accendeva la sera: si cominciava - per dire - alle 8 o alle 9 di sera, una volta finito di infornare. E si continuava fino alla mattina alle 7 o alle 8. Bisognava accenderlo gradatamente per fare salire la temperatura pian piano.<br /><br />Abbiamo continuato a usare fino agli anni ‘70 i forni a legna più piccoli, fino a che non abbiamo preso il forno a gas nel ‘75. Per i primi anni si usavano entrambi, sia quello a gas sia a legna. Poi negli anni ’80 abbiamo smesso definitivamente e li abbiamo demoliti, anche perché i vicini iniziavano a lamentarsi del fumo. Prima qui era campagna, poi sono cominciate le costruzioni ed abbiamo dovuto smettere di bruciare la legna.”<br /><br /></em>Vittorio Falcone: “<em>I pezzi li mettevamo nel forno a legna, e li cocevamo a 800 gradi di caloria. Se li facevi smaltati dovevi rimetterli al forno a 1.200 gradi di caloria.<br />Per la verità prima era davvero a legna, nel senso che per alimentare il forno c’erano le fascine soltanto. Poi abbiamo iniziato a usare la sansa di olive, che costa meno ed ha meno ingombro.”<br /><br /></em>Ancora una volta Luigi Manco rappresenta un singolare esempio di sopravvivenza di tecniche di produzione tradizionali. Il Maestro utilizza ancora oggi la cottura a legna: “<em>Uso sempre il forno a legna. E’ più faticoso, ma ritorniamo al discorso di prima: io sono fatto così, non mi piace la roba meccanica, mi piace lavorare all’antica. Per la prima cottura si arriva sui 900 gradi, mentre per la seconda, con la roba tutta smaltata, si arriva sui 1.100, 1200, 1300.”<br /></em><br />Cuocere i pezzi non richiedeva minore maestria che modellarli. Non poteva infatti essere lasciata al caso né la disposizione degli oggetti nel forno – che andavano impilati in un certo modo per guadagnare spazio ed evitare che i pezzi si rovinassero – né la scelta dei tempi con i quali aumentare o diminuire la temperatura.<br /><br />Luigi Toma: “<em>I pezzi li dovevi mettere nel forno uno sopra l’altro in un certo modo. Ad esempio la parte rotonda doveva andare con parte rotonda e il becco con il becco.<br />Con il forno a legna dovevi stare attento a capire quando smettere di buttare la legna. Se non <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlWkV-rDBCzvsWLuDd3kefb0W9v_Fd79GonQxWqBY2MhEIx6EiV_-KGIFvz7F3psOH8fK-oklRtyS2S2UZwP6wWSv5kI8OL6KWV0BizOgJwez1D-mi9MDfVEOxw82zQcAWSwxjgCFNWOZF/s1600/foto+fratelli+falcone.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648974934014079186" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 245px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhlWkV-rDBCzvsWLuDd3kefb0W9v_Fd79GonQxWqBY2MhEIx6EiV_-KGIFvz7F3psOH8fK-oklRtyS2S2UZwP6wWSv5kI8OL6KWV0BizOgJwez1D-mi9MDfVEOxw82zQcAWSwxjgCFNWOZF/s320/foto+fratelli+falcone.JPG" border="0" /></a>ti regolavi bene con la temperatura il collo di qualcuna delle pentole che stavano sotto si schiacciava. E i vasi fatti in quel modo non li volevano neanche regalati!<br />Nel forno avevamo una piccola buca così per vedere dentro. E allora ti regolavi: nella prima cottura se la creta era proprio rossa significava che dovevi smettere di alimentare il fuoco. Oppure decidevi: butto la legna ancora tre o quattro volte.<br />Per la seconda cottura, quando vedevamo che le pentole si lucidavano poco poco, allora subito si doveva alimentare più piano.”<br /></em><br />Anche nel raccontare della fase della cottura, i Maestri figuli salentini confermano che non sempre i fischietti rappresentavano una produzione marginale. Se a volte questi piccoli manufatti riempivano gli spazi lasciati liberi da oggetti più grandi, altre volte veniva cotto un forno appositamente per questi piccoli oggetti.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>I fischietti e gli altri oggetti piccoli li mettevamo in questi spazi che rimanevano tra un vaso e l’altro nell’infornata.<br />Però se ad esempio arrivava una fiera e mio Padre aveva bisogno di un centinaio di fischietti, era capace di farli tutti in una giornata – era molto veloce a fare queste cose – e riempirci un fornettino. Il fornettino lo costruiva lui stesso con dei mattoni che preparava quando aveva tempo e che teneva sempre a disposizione. E poi per cuocere ci volevano 4-5 ore</em>.”<br /><br />Luigi Toma: “<em>Quando preparavamo i fischietti per il fuoco ne mettevano 5-600, e li sistemavamo uno sopra l’altro.”<br /></em><br /><strong><span style="color:#ff0000;">La decorazione dei fischietti</span></strong><br />Dopo la cottura, i fischietti salentini erano spesso lasciati grezzi, oppure decorati - a freddo o con lo smalto - in maniera piuttosto essenziale. Venivano utilizzati materiali poveri - come calce e vernice per l’edilizia, o avanzi di smalto - e di solito ci si limitava a ricoprire i pezzi con un unico colore, magari sottolineando qui e li qualche particolare con una vernice diversa.<br /><br />Salvino De Donatis: “<em>Per la colorazione, all'epoca c'era la calce che faceva da base, e poi si applicavano i colori che servivano anche ai pittori per dipingere le case. Di smalti se ne usavano pochissimi per una questione di costi. Anzi, molti fischietti rimanevano grezzi sempre per una questione di costi. All'epoca si risparmiava su tutto, anche sui colori</em>.”<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>I fischietti si pitturavano con semplice pittura da muro. Usavi prima il bianco e poi sul bianco mettevi i colori che volevi</em>.”<br /><br />Più elaborata era la colorazione dei fischietti della bottega Manco. Come abbiamo detto, Serafino e i suoi figli erano stati tra i primi ad andare oltre il fischietto salentino più arcaico ed essenziale, specializzandosi nella realizzazione di figure a stampo piuttosto raffinate anche nella colorazione. Per questi pezzi si utilizzava una gamma di colori ampia per sottolineare i particolari del viso, dei vestiti, del pelo degli animali, e così via.<br />Luigi Manco: “<em>All’epoca i colori li compravamo in polvere, e dovevamo andare a prenderli a Maglie. Per preparare il colore dovevi aggiungere a queste polveri un po’ di colla del falegname, che serviva come fissante, così non andava via il colore</em>.<br /><em>La colla una volta era solida, la dovevi pestare e sciogliere col caldo e ne mettevi un po’ nel colore. Aggiungevi alla polvere un po’ di acqua e colla e poi impastavi bene bene. E dovevi tenere questi colori sempre sul fuoco, perché quando la colla inizia a raffreddare allora poi i colori non puoi usarli più. Così dovevi tenere un tegame sopra al braciere, con l’acqua calda e i bicchieri dei colori dentro a bagnomaria. E li dovevi tenere sempre al caldo in modo che rimanevano sciolti.<br />Poi c’era anche il trasparente, quello lucido. Ne mettevi un poco sopra e il pezzo diventava lucido. Si usava a seconda del colore: se era chiaro non mettevi il trasparente, ma per esempio sul nero, o su un rosso scuro, se ne metteva un po’ e veniva una cosa più bella</em>.”<br /><br /><strong><span style="color:#ff0000;">Le fiere paesane e lo smercio dei prodotti </span></strong><br />Le principali occasione per smerciare fischietti ed altri prodotti erano per gli artigiani le fiere di paese. Altre volte si utilizzava il porta a porta, magari barattando la merce con prodotti alimentari. Normalmente era la famiglia dell’artigiano a occuparsi della vendita, senza l’utilizzo di intermediari.<br /><br />Luigi Manco: “<em>Eravamo molti artigiani di Cutrofiano, Lucugnano, Torre, che partecipavamo alle fiere. A noi è capitato di arrivare fino ad Avetrana o Taranto. Allora si andava con il traino: partivi alle 4 della sera e arrivavi alla mattina alle 6.<br /><br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKywP9yar1CSmjA4ixI84dHUf6RqCBGmuF2L_i_7cJlJ57HKkXerb8awEnmbjhcS9982k727EjLCFuFi3oWHVMyZPqYeugIi4RjT-0g9uqSHpxbwm1uT4gu9S9v0DG_lB0wYen9TOOiGu8/s1600/pezzi+serafino+manco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648975583222899506" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 251px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKywP9yar1CSmjA4ixI84dHUf6RqCBGmuF2L_i_7cJlJ57HKkXerb8awEnmbjhcS9982k727EjLCFuFi3oWHVMyZPqYeugIi4RjT-0g9uqSHpxbwm1uT4gu9S9v0DG_lB0wYen9TOOiGu8/s320/pezzi+serafino+manco.JPG" border="0" /></a>Non si guadagnava tanto. Delle volte andavi ai mercati e non vendevi tutta la merce. E allora per finirla dovevi girare per le case private a smerciare la rimanenza. Per una pentola ti davano in cambio per esempio un litro d’olio o un chilo di pane. Questo tipo di scambi si faceva allora, parlo del 1946-47.<br />Il traino non era nostro, veniva in affitto, e dopo la fiera lo mandavi via. E tu per finire la merce te la facevi a piedi o al massimo con qualche bus, quando c’era. Praticamente io una volta l’ho fatta a piedi da Nardò a qui. Anche da Santa Cesaria Terme a qui – che sono 38 km - l’abbiamo fatta a piedi. Quando arrivavi a casa eri sfinito.<br /><br />Purtroppo quella era la vita che si doveva fare allora! Ma grazie a Dio siamo ancora qui. Anche mio Padre è sopravvissuto 88 anni lavorando sino all’ultimo, eppure ne ha fatta di strada a piedi! E dormivamo a terra, eh! Magari mettevamo sotto un sacco pieno di paglia.<br />Poi piano piano abbiamo iniziato a prenderci le comodità: la macchina per esempio. Purtroppo è stata una vita un po’ dura per noi. Comunque sono dei bei ricordi!”<br /></em><br />Salvino De Donatis: “<em>Quelle che facevano mio Nonno e mio Bisnonno sono le fiere che io continuo a fare anche oggi. Sono la Madonna della Luce a Galatina, la Madonna Addolorata a Maglie, San Giuseppe a Nardò. Poi c’è Ugento e una fiera specifica proprio per gli oggetti in terracotta a Taviano, chiamata la Tappedda. Poi c'era Sant'Irene a Lecce.<br /><br />Quando ero piccolo ed ho cominciato a girare per le fiere, già si usava il camioncino, ma mi hanno raccontato molto dei viaggi fatti con il carretto. Succedeva qualche volta che il cavallo era stanco e non riusciva ad arrivare alla fiera; magari si buttava per terra e non voleva proseguire. O magari il carretto cadeva e riportava dei danni. E allora solo a fatica e con alcune ore di ritardo si riusciva a raggiungere il paese, quando tutti erano già là. Storie così, che raccontate adesso magari sembrano delle sciocchezze, ma bisogna considerare quanti sacrifici erano stati fatti all'epoca per produrre i pezzi e poterli vendere in quella fiera.<br />Poi i miei Zii mi raccontavano di certi stratagemmi che si usavano per fare andare più forte il cavallo, come con il peperoncino messo lì al cavallo… non so quanto fosse un fatto vero e quanto me lo dicessero per farmi ridere</em>.”<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>La mia famiglia faceva le fiere di San Rocco, di San Marco qui a Ruffano, e della Madonna Addolorata a Maglie.<br />Da bambino io ci andavo, e noi figli vendevamo i fischietti per contro nostro, nel senso che gli incassi erano nostri. Praticamente era un modo con cui i genitori ci invogliavano a lavorare. Allora un fischietto piccolo poteva costare 50 lire, 100 quelli più belli.<br /><br />Più di recente in una fiera esposi i miei fischietti con il cartellino del prezzo che era di 5.000 lire. Il signore del banco vicino al mio era incredulo: ma a quanto li venti questi fischietti? 5.000 lire? Ma come è possibile? Io li ho pagati 5.200 all’ingrosso!<br />In effetti erano proprio fischietti miei. Li avevo venduti a Colì di Cutrofiano a 3.500 lire l’uno e loro li avevano rivenduti a questo commerciante con un sovrapprezzo. In conclusione non ci fu modo di fare affari per questa persona, dovette chiudere bottega!”<br /></em><br />Luigi Toma: “<em>Andavo a 15 o 20 fiere in tutto l’anno, altrimenti non riuscivo a lavorare. Anche perché lavoravo per conto mio e dovevo fare tutte le cose da solo</em>.”<br /><br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Il futuro delle botteghe artigiane<br /></strong></span>Buona parte dei Maestri salentini sono oggi in pensione. Per loro la prospettiva è purtroppo quella di non avere eredi in grado di proseguire l’attività di famiglia.<br /><br />Vittorio Falcone: “<em>Ora siamo rimasti in 3 fratelli. E tutti e 3 siamo già in pensione. Con i nostri figli niente, la terracotta sparisce.<br />Anche i fischietti li abbiamo fatti fino a 6-7 anni fa, ma man mano che finiscono non se ne facciamo più.<br />Anche volendo non ha più senso: 15 anni fa i fischietti li vendevi a 5 euro, adesso si vendono a 2 euro e mezzo!</em> “<br /><br />Luigi Toma: “<em>Quando ho smesso io di lavorare è finito tutto. Ho una figlia che vive con me e un’altra a Ruffano, ma sono femminucce e non lavorano la terracotta</em>.”<br /><br />Fa fortunatamente eccezione la famiglia De Donatis, nella quale Salvino - che è oggi un uomo di mezza età - ha degnamente preso il posto del padre Vito nella conduzione dell’attività di famiglia. E già dopo di lui si affaccia una nuova generazione che sembra possedere per il mestiere della terracotta la stessa passione di quelle che l’hanno preceduta.<br /><br />Vito De Donatis: “<em>Mia figlia Claudia ormai è proprio del mestiere. Lavora da sempre insieme a me, io dico che è l’erede di mio Padre. Invece la Paola va all’Università: ieri ha dato un esame però come vedi è già qui in bottega che ci dà una mano.<br />Io sono contento che continuino questo lavoro. Gli dico sempre: se trovate di meglio fate pure un altro mestiere, però dovete trovare di meglio! A parità di condizioni conviene fare questo lavoro, che è molto creativo, lascia molti spazi, molta libertà. Dal punto di vista economico non so se convenga, ma qualche soddisfazione morale te la dà</em>.”<br /></p><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5648976309266639938" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihY-mbJRD3faysRLYjuXYuSaOVFjZuKmO7F-AZR8-V2uLEUL1iBJGjJRxjNSq0DlAEoOz6Ozcybw4qBFkhwC6WGlKUKoC5AeAFDxjbOacGz3KmSSbd4O7hoZraGX0Su7I79MVnwlAIGH-5/s320/pezzi+de+donatis+3.JPG" border="0" /><br /><br /><div align="justify"><strong><span style="color:#ff0000;">NOTE<br /></span></strong><a title="" style="mso-footnote-id: ftn1" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref1" name="_ftn1">[1]</a> Paola Piangerelli e Francesca Sgrò, “Puglia” ,in Paola Piangerelli (cur.), La Terra, il fuoco, l’acqua, il soffio, la collezione dei fischietti in terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari a MNATP, Edizioni De Luca 1995.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn2" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref2" name="_ftn2">[2]</a> P. Piangerelli e F. Sgrò, op. cit.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn3" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref3" name="_ftn3">[3]</a> Interessante è l’analogia con il cavallo a tre gambe di Pignataro di Broccostella, in Provincia di Frosinone. In questo caso si tratterebbe di una rappresentazione fallica: nella prospettiva frontale del fischietto la gamba di dietro può sembrare un lungo fallo. Ne è prova il fatto che questo fischietto venisse donato alle giovani spose come augurio di fertilità.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn4" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref4" name="_ftn4">[4]</a> P. Piangerelli e F. Sgrò, op. cit.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn5" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref5" name="_ftn5">[5]</a> Ci riferiamo comunque a fischietti prodotti da botteghe e artigiani tradizionali. Si prescinde quindi dalle produzioni più recenti, sia quelle di tipo più prettamente commerciale che quelle artistiche.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn6" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref6" name="_ftn6">[6]</a> P. Piangerelli e F. Sgrò, op. cit.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn7" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref7" name="_ftn7">[7]</a> Si trattava di una tecnica non particolarmente complessa, ma comunque estranea alla tradizione produttiva dei vasai salentini, da sempre abituati ad utilizzare il tornio e la modellazione a mano libera. I primi costruttori di fischietti a introdurre questa tecnica dovettero rivolgersi molto probabilmente alle botteghe dei figurinai, specializzati nell’utilizzo di stampi per la realizzazione di santi e figure da presepe.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn8" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref8" name="_ftn8">[8]</a> P. Piangerelli e F. Sgrò, op. cit.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn9" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref9" name="_ftn9">[9]</a> Questi carabinieri - presenti ad esempio nella collezione Lo Bosco - hanno una notevole somiglianza con quelli dei Manco, tanto da far supporre che lo stampo sia stato ricavato proprio da un fischietto di questi ultimi.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn10" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref10" name="_ftn10">[10]</a> Questo ceramista di grande raffinatezza noto anche come Clizia, lo scrive nel libricino ciclostilato e distribuito in un numero limitato di copie “Tre Uomini in Tenda, scorribanda appulo lucana nel mondo dei fischietti”, Anemos, 1995. Sempre in questo libricino, Clizia nota anche come Alessandro Manco in alcuni casi utilizzi ancora gli stessi stampi del Padre e del Nonno.<br /><a title="" style="mso-footnote-id: ftn11" href="http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=8744581526859114307#_ftnref11" name="_ftn11">[11]</a> Si veda ad esempio l’articolo di Alfredo Ligori “Vito De Donatis, artigiano e artista cutrofianese”, in Quaderni del Museo della Ceramica di Cutrofiano n° 4/5, Ed. Congedo, Galatina, 2.000</div><br /><div align="justify"></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#ff0000;">FOTO</span> </div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">1. Fischietti tradizionali di Luigi Toma: uccello, cavallo a tre zampe, tromba, carabiniere, pupa, cane </span></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">2. Vito e Salvino De Donatis (foto Lo Bosco)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">3. Fischietti di Luigi Manco: calandra, gallo con piume vere, personaggio con testa semovente (foto Croce)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">4. Luigi Manco nel suo laboratorio </span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">5. Fischietti di Errico Falcone (coll. Lo Bosco)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">6. Luigi Toma al tornio (foto Lo Bosco)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">7. Vittorio Falcone </span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">8. Fischietti di Luigi Toma decorati (coll. Lo Bosco)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">9. Fischietti di Severino Manco </span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">10. I fretelli Falcone al tornio in una foto d'epoca </span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">11. Fischietti di Severino Manco (coll. Garzia)</span><br /></div><br /><br /><div align="justify"><span style="color:#000000;">12. Sculture a tema religioso (senza fischietto) di Vito De Donatis (coll. Lo Bosco)<br /></span></div><br /><p><br />Galli di Armando Toma (coll. Lo Bosco)</p><br /><p><span style="color:#ff0000;">I testi sono di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata</span></p><br /><div align="center"><span style="color:#ff0000;"><strong>Segue II parte</strong></span></div>Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-62637958510554085312011-08-17T22:51:00.022+02:002011-08-18T00:08:00.181+02:00Inaugurazione de “La Semina dei Fischietti” a San Giorgio Scarampi<div>
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<br /><div align="justify"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdMaU5trnhI9OrbDHN7S5TH7g77mgcNXCqIj0hUtemKl9TD3bZCG6T8LqkB9EaVZPkoj3AiDW2rUBoaGyL2mjhHQNCZB-wUN1eDzif8lxcZErMs0RFDCuYS-Z0fuiJjue_V75BHu1xPMZ3/s1600/san+giorgio.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641943090202646866" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhdMaU5trnhI9OrbDHN7S5TH7g77mgcNXCqIj0hUtemKl9TD3bZCG6T8LqkB9EaVZPkoj3AiDW2rUBoaGyL2mjhHQNCZB-wUN1eDzif8lxcZErMs0RFDCuYS-Z0fuiJjue_V75BHu1xPMZ3/s320/san+giorgio.JPG" border="0" /></a>La locandina dell’evento annunciava una “Giornata di festa a San Giorgio Scarampi, con l’esposizione dell’artista russo Valery Kurtmulaev”. Ma quella che si è inaugurata il 15 agosto 2011 non è una mera mostra di ceramiche fischianti, nè la semplice personale di un ceramista. Il numeroso pubblico che ha deciso di trascorrere il Ferragosto a San Giorgio Scarampi ha potuto constatare che La Semina dei Fischietti è un evento artistico complesso, di grande raffinatezza, profondità e impatto emotivo.
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<br />D’altronde ormai da molti anni Anemos e Arti Vaganti - che insie<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4wizlBetooTvGYM9hyI_f0V9TtQIZIa2DePB_ADTfeIugPAcyXFuGEhdpcmYYkIpNeUnYGYa3KLX8P2X2mQpnhvKGd3z2dMyjOR4aU5scqmQVPO0hlAPVLY2aBFXaw_QOoPQww8a5-5Jt/s1600/inaugurazione.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641945913160296818" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4wizlBetooTvGYM9hyI_f0V9TtQIZIa2DePB_ADTfeIugPAcyXFuGEhdpcmYYkIpNeUnYGYa3KLX8P2X2mQpnhvKGd3z2dMyjOR4aU5scqmQVPO0hlAPVLY2aBFXaw_QOoPQww8a5-5Jt/s320/inaugurazione.JPG" border="0" /></a>me alla Scarmpi Foundation <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEht2hRnyt_x6gk9H0uQnD9OtIIhMx-qKzn49pljdwiUOLBpFMs8XHAEJlBEdQTlpcBzb4_3EkQu2wHY8zXegNr5RzGyen0xSPMbiyNwujN6gRur645lHZkg0371NohUL2cHEwd6xTIhCNVP/s1600/inaugurazione.JPG"></a>hanno ideato e organizzato la giornata - ci hanno abituati a operazioni di questo livello: eventi di grande bellezza e carica innovativa, in cui si mescolano diversi linguaggi espressivi, dalla ceramica sonora, ad altre arti plastiche e figurative, alla musica, alla poesia.
<br />
<br />Incantevole cornice della Semina dei Fischietti è stata ancora una volta San Giorgio Scarampi ed il suo splendido Oratorio dell’Immacolata – è la terza volta dopo le mostre “Bacco e i suoni dell’anima” e “Guarda l’uccellino”. E questo minuscolo paese delle Langhe astigiane ha risposto con il consueto entusiasmo, regalando a tutti i visitatori i suoi panorami mozzafiato, la squisita ospitalità dei suoi abitanti, gli altrettanto squisiti prodotti enogastronomici nell’area.
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<br /><strong><span style="color:#ff0000;">Pesci acquatici e pesci volanti
<br /></span></strong>Tema principe della mostra è quello del pesce, rappresentato nel suo naturale elemento <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZNDcmL39j0MJYDDGkIEjADEJoEtNabZmafJWliq3TlNJFSccL2I_CLn5GKASlV6MkUuNfaMtuHUYcIzG-cwbmXPnAZjBtIlhXl3fWH1Q8rKK9iymsE4aayzCXNfCBzPNhyphenhyphenCwSlrXU75mb/s1600/fischietti+in+forno.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641936397696561474" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZNDcmL39j0MJYDDGkIEjADEJoEtNabZmafJWliq3TlNJFSccL2I_CLn5GKASlV6MkUuNfaMtuHUYcIzG-cwbmXPnAZjBtIlhXl3fWH1Q8rKK9iymsE4aayzCXNfCBzPNhyphenhyphenCwSlrXU75mb/s320/fischietti+in+forno.JPG" border="0" /></a>acquatico, ma anche trasfigurato e capace di spiccare il volo verso altri lidi, facendosi messaggero di libertà e poesia.
<br />E difatti per preparare il terreno alla trasformazione di questi pesci in creature aeree e rendere possibile il loro volo sulle Langhe, nelle settimane precedenti all’inaugurazione, un gruppo di artisti, poeti ed amici ha dato vita ad una visionaria “semina dei pesci”. Centinaia di fischietti a forma di pesce e con inciso sulle squame il nome di un poeta sono stati lanciati nel greto dei fiumi piemontesi, fecondandoli. Altre semine sono ancora previste nelle prossime settimane (sono stati usati esclusivamente pesci di terra cruda, che si sciolgono al contato con l’acqua senza contaminare l’ecosistema di questi corsi d’acqua).
<br />L’operazione si richiama ad una tradizione dei popoli Maya, che erano soliti seminare nel terreno fischietti come rito propiziatorio ed auspicio di fertilità.
<br />
<br />Entrando nell’Oratorio dell’Immacolata - l’ambiente che ospita la mostra - il colpo d’occhio è emozionante. Già la piccola chiesa sconsacrata - con le sue pareti spoglie e completamente bianche - è di per se incantevole. La scelta consapevole dei curatori della mostra è stata quella di rispettare in pieno la magia e l’incanto di questo luogo. Si è resistito alla facile tentazione di sovraccaricare l’ambiente di opere, realizzando invece una mostra essenziale, fatta di poche installazioni scelte e collocate con gusto nella navata e nel transetto dell’Oratorio.
<br />Un po’ alla volta i visitatori entrano nel piccolo ambiente, osservano le opere, hanno la possibilità di girare tutto attorno ad esse, e magari di accostarvisi per soffiarci dentro e provarne il suono.
<br />
<br /><strong><span style="color:#ff0000;">Le sculture fischianti di Kurtmulaev
<br /></span></strong>Indubbiamente uno dei principali motivi di interesse della Semina dei Pesci è costituito dalle <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHUTNAJzZGO3nApBTiBxmWmLjY1POwJiNNPSR0WPuE-1q7BToARiUEOFyayW5vnSn8UP3SrJBH40Z7YNynkmWvRelOBRTE-_PbNY3U9jHBU1nA1l0sly9kUHsnQ79lDc4l6UcQPE_x2qDH/s1600/talic.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641942383651817154" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHUTNAJzZGO3nApBTiBxmWmLjY1POwJiNNPSR0WPuE-1q7BToARiUEOFyayW5vnSn8UP3SrJBH40Z7YNynkmWvRelOBRTE-_PbNY3U9jHBU1nA1l0sly9kUHsnQ79lDc4l6UcQPE_x2qDH/s320/talic.JPG" border="0" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjdccp7fqtJhANp2dLmYyvvI0JU8cq4B7zWI2wD8mik9i4JLS_fOh6eMlzH4NXwLyUpnTlOCy1wwXVfsiyE7YRw-h9-CNSnvho6udmxM68DVDMyV6i8efyO9AL0eDwo2_ctV34ifRqYyJg/s1600/orco.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641939476639839874" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgjdccp7fqtJhANp2dLmYyvvI0JU8cq4B7zWI2wD8mik9i4JLS_fOh6eMlzH4NXwLyUpnTlOCy1wwXVfsiyE7YRw-h9-CNSnvho6udmxM68DVDMyV6i8efyO9AL0eDwo2_ctV34ifRqYyJg/s320/orco.JPG" border="0" /></a>sculture di Kurtmulaev.
<br />Sono ormai molti anni che questo artista russo è diventato uno degli autori di riferimento per gli amanti della ceramica e dei fischietti in terracotta. Tuttavia Kurtmulaev è noto quasi esclusivamente per i suoi fischietti di piccole dimensioni. In questo caso i visitatori hanno invece l’occasione unica di vedere le sue sculture di grandi dimensioni – tutte rigorosamente fischianti. Si tratta peraltro di pezzi mai esposti prima e realizzati nella primavera del 2011 ad hoc per la Semina dei Fischietti. Per preparare questi pezzi il Maestro Kurtmulaev ha lavorato per un intero - e molto intenso - mese di lavoro trasferendo sull’argilla una serie di idee e suggestioni elaborate con il decisivo contributo creativo di Armando Scuto.
<br />
<br />Sono in particolare 3 le sculture di grandissime dimensioni presenti in mostra firmate da Kurtmulaev. In primo luogo un Orco benigno con un lungo corpo da serpente e 4 grandi teste; l’opera – lunga alcuni metri e composta da moduli scomponibili – è stata assemblata per la mostra di San Giorgio Scarampi in 4 tronconi che danno la suggestione visiva di uscire e poi rientrare dalle pareti della <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz8yRfL1A-iQxBCMFDVgQKrk91bGilzuwxLJnXyOmGx8NgO0jqnSH7nDWyuubxTduRgC-tFPw2-HFShRY4JRvsWEbQbGI8G25oMghAzkJbPieOa-0nt5PSuuMNd51tSJwBDRxhzlV_7-6G/s1600/torre+uccellini+1.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641943576910264194" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhz8yRfL1A-iQxBCMFDVgQKrk91bGilzuwxLJnXyOmGx8NgO0jqnSH7nDWyuubxTduRgC-tFPw2-HFShRY4JRvsWEbQbGI8G25oMghAzkJbPieOa-0nt5PSuuMNd51tSJwBDRxhzlV_7-6G/s320/torre+uccellini+1.JPG" border="0" /></a>chiesa; dentro di sé l’Orco cova uova di p<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIMDCoH_hLwjEnMQk9Y6lpPo8TSBf0zGZZEelnOG0CViMTfzxeg7MrrAuSth2FMrZ0AmrOW-YAf3nOZCPjIR4-w1cxc01rT0Y82JAvBXj2yOG_xuHd9MX7mvYsEs29pRAwNa224uqohDSU/s1600/torre+uccellini+2.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641944449564993906" style="FLOAT: right; MARGIN: 0px 0px 10px 10px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIMDCoH_hLwjEnMQk9Y6lpPo8TSBf0zGZZEelnOG0CViMTfzxeg7MrrAuSth2FMrZ0AmrOW-YAf3nOZCPjIR4-w1cxc01rT0Y82JAvBXj2yOG_xuHd9MX7mvYsEs29pRAwNa224uqohDSU/s320/torre+uccellini+2.JPG" border="0" /></a>esce e di altri animali che una volta cresciuti spiccano il volo e lasciano il loro incubatore.
<br />Poi c’è Taluc - il dio del vento – che siede pensieroso; al collo porta una collana di pesci, e altri pesci riempiono anche una cesta che il Dio ha accanto a se; sono pesciolini del tutto simili a quelli seminati nei fiumi del Piemonte dai “visionari” di Artivaganti e Anemos. <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCE4Lt1SLu8u7ws_PmjArChAbnFOGlVCZ4mnUmUNEM-1hOEyizLqQaiLp4uhbTTDdJZ5J3CqXOyP4rgkYr_G7jMjkj17LeH3WQmUU293FjSH-FoGz1Y5Tux6vJwk9QcaQsF6xg9ENMqFh8/s1600/curiosi.JPG"></a>
<br />In fine, circondata da un piccolo bosco di rami bianchi, c’è la lunga torre di casette per gli uccellini.
<br />
<br />A parte questi tre pezzi, altrettanto suggestive sono le altre sculture fischianti realizzate da Kurtmulaev – meno imponenti ma comunque di grandi e medie dimensioni. Si tratta di pesci e creature bizzarre e mostruose che osservano curiose cosa accade nel nostro mondo abbarbicate ai cornicioni della chiesa, o si calano da una finestra, oppure ancora circondano devotamente il Dio del vento.
<br />
<br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Le altre installazioni
<br /></strong></span>Ma la Semina dei Pesci non è una mostra costruita solo sulle ceramiche fischianti del <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgf124Sc9Ol9k6nbNtNiqcFHipEGrZs0QtvXAWh7HNKNMpZVsCW7BUpBz5qEzIsRr_RZ7B_lQv5H1Ku6q0CLP6QjM-dKi9LhLsDIucJt3hKNyCnof4AyBFOBfeGvawQvSRc4dmRmibDobhS/s1600/nuvola+di+pesci.JPG"></a>Maestro <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK2WVwKoo60fwne2FNH26gwlvPwpUw7LQqcaOQlbwiQ__BL_CmIr2yEReb3lJ9EIwM6VnD280jwoI0JpO_7VhGAnXbO6fr453ezjeRzYvifLImafIhpg_1UgPxNMXYm6XloRCro2518K3W/s1600/nuvola+di+pesci.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641946544264743698" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK2WVwKoo60fwne2FNH26gwlvPwpUw7LQqcaOQlbwiQ__BL_CmIr2yEReb3lJ9EIwM6VnD280jwoI0JpO_7VhGAnXbO6fr453ezjeRzYvifLImafIhpg_1UgPxNMXYm6XloRCro2518K3W/s320/nuvola+di+pesci.JPG" border="0" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYLCbiL8UHg-ZbJV4qk5AEXg8IigD1nMLMAocUqriejE6AaOVlh8pUrIFXXOo1rVur7l39iYSGE6dnM4mVydgGV4u8qOwoSQBx8FshCKIXfuNpWazwFzqSGmV3SATbprI_hchJyMtAPKin/s1600/pesce+di+matite.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641940885684047746" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYLCbiL8UHg-ZbJV4qk5AEXg8IigD1nMLMAocUqriejE6AaOVlh8pUrIFXXOo1rVur7l39iYSGE6dnM4mVydgGV4u8qOwoSQBx8FshCKIXfuNpWazwFzqSGmV3SATbprI_hchJyMtAPKin/s320/pesce+di+matite.JPG" border="0" /></a>russo. Come abbiamo già accennato si tratta di un evento complesso che si basa anche su installazioni fatte con materiali eterogenei o su forme espressive come la poesia.
<br />
<br /><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgS3HUeajP3jPUvCpvKSXzFxV-FmIKEqRlrEYU2iyZid79WTGjLGDaiaD20-za-NsxSOMUuiAR2CTdl8trnoeLyIpokeM_xQpftE5LIzQr0FOOqEHYaVAqh65_sU4y0zkwK5XRGl5D50K1G/s1600/pesce+di+matite.JPG"></a>Una nuvola costituita da coloratissimi pesci alati sospesi nell’aria lasciava letteralmente a bocca aperta i visitatori. La torre dei pesci è costituita da circa un migliaio di pesciolini, realizzati interamente in carta da Emiliana e Mapi Griotti. Rappresenta la perdita di materia dei pesci, finalmente liberi di diventare creature aeree e spiccare il volo. Un’opera di grande effetto che ha richiesto un lavoro certosino sia per la costruzione dei pesci che per l’allestimento della torre (sono serviti tre giorni solo per fissare i pesci alla struttura di metallo che fa da supporto).
<br />
<br />Altra opera di grande suggestione è il grande pesce realizzato da Lino Barazzetti utilizzando quasi 2.000 matite colorate come tessere di un coloratissimo mosaico.
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<br /><strong><span style="color:#ff0000;">La poesia <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj8aqID59T8jDfTEypjhRgkSlsfVMKt8uo9jH8vNGnFuAwSmOGUVNhiERQNPFkzJ-1jx-8HZbCqSFrYA_nluat4-HBYFKLvULyKroIb3sRTFY-m8dGUF6YxVqZUW6gHRiJzS28NO8JIW6eQ/s1600/poesie.JPG"></a>
<br /></span></strong>Protagonista dell’evento è stata anche la poesia, grazie a quattordici brevi composizioni sul tema dei pesci, dell’acqua e del volo. Le poesie, composte – spesso ad hoc – da altrettanti poeti, sono state lette da alcuni degli autori durante l’inaugurazione della mostra, sono state riprodotte sul catalogo della mostra, e sono state persino consumate dal fuoco insieme al forno di carta sul quale erano state affisse.
<br />
<br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Il forno di carta
<br /></strong></span>Nonostante la bellezza della mostra e la potenza lirica dei poeti, il cuore della festa è stato però il forno di carta che ha “preso possesso” della piazza di San Giorgio Scarampi. Sin dal pomeriggio del giorno prima e per tutta la giornata del 15 agosto, una squadra di persone guidate dal <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEEu3cTiYNBhMRkjhbev0cLylHm0LhRzALCV3vdDUgG1aZYpHZw5_PolIINgXOqkHZY9fZZJxj8jOtx5abYJ9384Vdi6naxQi1eoRjI0b9ve3QUzK8M_KWDgmEqmG7sWiN9wNIybq6uY0U/s1600/mastro.JPG"><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641938145327245010" style="FLOAT: left; MARGIN: 0px 10px 10px 0px; WIDTH: 240px; CURSOR: hand; HEIGHT: 320px" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEEu3cTiYNBhMRkjhbev0cLylHm0LhRzALCV3vdDUgG1aZYpHZw5_PolIINgXOqkHZY9fZZJxj8jOtx5abYJ9384Vdi6naxQi1eoRjI0b9ve3QUzK8M_KWDgmEqmG7sWiN9wNIybq6uY0U/s320/mastro.JPG" border="0" /></a>“Mastro fornaciaio” Gianfranco Valente si sono adoperati per preparare il forno - costruito con carta, stoffa, argilla, legna, sotto lo sguardo incuriosito ed ammirato di cittadini di San Giorno e villeggianti. Nel forno sono stati caricati un centinaio di fischietti crudi, dai più piccoli ed umili giocattoli per bambini fino ad alcune sculture di grande dimensione e notevole pregio di Valeri Kurtmulaev. Solo dopo le 17 il forno era pronto per l’accensione.
<br />Chi ha esperienza di forni di carta sa bene che ognuno di essi fa storia a sé, e che sono tantissime le variabili che possono influire sulla buona riuscita dell’“impresa”: condizioni del vento, umidità, qualità della lega e dei pali di sostegno, e così via. Sarebbe disonesto tacere il fatto che nonostante il grande impegno non tutto è andato sempre per il verso giusto (anche chi scrive ha fatto parte della “squadra” guidata dall’infaticabile Valente!). Vi è stato anzi un momento critico, in cui il forno si è inclinato pericolosamente e sembrava che fosse inevitabile un suo rovinoso collasso. A quel punto Taluc ci ha messo una buona parola, ed anche la luna si è affacciata nel cielo serale di San Giorgio Scarampi, portando il suo presagio benigno. Alle 23 era ormai chiaro che la cottura stava andando a termine con esito positivo, e dopo 15 ore di lavoro quasi ininterrotto i nostri fornaciai si sono concessi una cena.
<br />
<br /><span style="color:#ff0000;"><strong>Una grande festa popolare
<br /></strong></span>La festa è andata avanti fino a notte fonda attorno alle braci ancora ardenti del forno di carta. Abitanti di San Giorgio e visitatori erano perfettamente mescolati tra canti, balli, chiacchiere e bevute in una unica chiassosa comitiva in cui era quasi impossibile distinguere gli uni dagli altri. Anche da questo si vede la riuscita di un giorno di festa!
<br />
<br />Altra grande festa c’è stata il mattino dopo, soprattutto per i bambini che la sera precedente avevano sorvegliato pazientemente il fuoco anelando i fischietti del forno di carta loro promessi. Il mattino dopo tutti i bambini di San Giorgio Scarampi si sono presentati puntualmente all’incasso (chi avrebbe immaginato che in paese c’erano tanti giovanissimi!). E il paese era tutto un fischiare!
<br />
<br />Chi si fosse perso l’inaugurazione de La Semina dei Fischietti non disperi, perché avrà occasione di recuperare. Sarà possibile continuare a visitare l’esposizione presso l’Oratorio dell’Immacolata fino a dicembre. Ed è anche possibile procurarsi il curatissimo catalogo della mostra - richiedendolo alla Fondazione Scarampi.
<br />
<br /><div>
<br /><div><img id="BLOGGER_PHOTO_ID_5641948521127160290" style="DISPLAY: block; MARGIN: 0px auto 10px; WIDTH: 320px; CURSOR: hand; HEIGHT: 240px; TEXT-ALIGN: center" alt="" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5vXtQ6MNrdRPqwPAQZTbzbUMycBfzVpbTT_uF81bHEcX0kZhjGCaoWpU7CMCqAF81Bb_0SwOEK_dkUzYvZ0wrpopdtC7Y2I_saQ31QpR9nmVmjKGQDdPPeWIlvmiswKSX9BUM6TtR7UkN/s320/festa.JPG" border="0" />
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<br /><div><span style="color:#ff0000;">FOTO</span></div></div>
<br /><div>1) veduta di San Giorgio Scarampi
<br /></div>
<br /><div>2) Armando Scuto, presidente di Anemos, durante l'inaugurazione
<br />3) fischietti nel forno </div>
<br /><div>4) Taluc, il dio del vento
<br /></div>
<br /><div>5) una delle teste dell'Orco</div>
<br /><div>6) e 7) La casa degli uccellini</div>
<br /><div>8) La "nuvola" di uccellini di carta</div>
<br /><div>9) Il grande pesce di matite
<br />10) il "maestro" Gianfranco Valente prepara il forno</div>
<br /><div>11) Musicisti
<br />
<br /><em><span style="color:#ff0000;">Il testo dell'articolo è di Massimiliano Trulli. Le foto di Armando, Salvo, Massimiliano</span></em></div></div></div></div></div></div></div></div></div></div>
<br />Massimiliano Trullihttp://www.blogger.com/profile/03197568034816969747noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-8744581526859114307.post-1225418803138416132011-08-02T13:06:00.000+02:002011-08-02T13:06:34.624+02:00FIERA DEL FISCHIETTO A GALATINA - I Ed. - 25.09.11<div style="text-align: center;">
<b><span style="font-size: large;"><span><span style="background-color: yellow;"> 25 SETTEMBRE 2011</span></span></span></b></div>
<div style="text-align: center;">
<b><span style="font-size: large;"><span><span style="background-color: yellow;"> PRIMA FIERA DEL FISCHIETTO - GALATINA (LECCE)</span></span></span></b></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCnzt5R34hAOu6REcNxaDeeX2lNkcnAXDMtajiS9KHEIXBpWcElNdFts48odmYaCazq-J-duKC5sMSf8b_AUuE_R7beKltlzEzIv0o54IDTdn-pt1BGSpVytrK_VdIj-HYI-gQpUp0q8c/s1600/fischietti+in++terracotta+di+Pico.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" id=":current_picnik_image" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiloFckjpuRd8H_n6k0i-Zk10n2Iw1q4CXW4MUe-1sstuXGk123HkKfsyktZHPsH0kRH-BJ5m5kz7pKQprAeC2u8KGOvbXr4ktVsVDL5c2UVPKF4Rqeu_5YDKwNLpUizxp2tKuZor21wCc/s1600/15605261631_9wQqn.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhCnzt5R34hAOu6REcNxaDeeX2lNkcnAXDMtajiS9KHEIXBpWcElNdFts48odmYaCazq-J-duKC5sMSf8b_AUuE_R7beKltlzEzIv0o54IDTdn-pt1BGSpVytrK_VdIj-HYI-gQpUp0q8c/s1600/fischietti+in++terracotta+di+Pico.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
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<span style="font-size: large;"><span><span style="background-color: white;">Avviso per tutti gli appassionati della Ceramica Sonora, per gli artigiani costruttori di fischietti, per i grandi ed i piccini!</span></span></span></div>
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<span style="font-size: large;"><span><span style="background-color: white;"> <b>Segnaliamo questo nuovo evento!</b> A <b><span style="color: red;">Galatina</span></b> in provincia di Lecce si terrà nella domenica del <b style="color: red;">25 Settembre 2011</b> la prima <b style="color: red;">Fiera del Fischietto</b></span></span>. </span></div>
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<span style="font-size: large;">Una fiera nella quale si potranno ammirare ed acquistare fischietti prodotti da diversi artigiani. </span></div>
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<span style="font-size: large;">La Fiera è organizzata dalla Pro Loco di Galatina. </span></div>
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<span style="font-size: large;">Per informazioni è possibile contattare il presidente della Pro Loco Nino Rigliaco cell. 333.1253640</span></div>
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(i fischietti nella foto sono creati da <a href="http://fischietti.blogspot.com/">Pico</a>) </div>
Tinahttp://www.blogger.com/profile/07712787875618166252noreply@blogger.com0