Memorie e suoni di Terra
conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore
conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore
Quello che pubblichiamo di seguito è il primo di una serie di serie di approfondimenti sui Maestri artigiani costruttori di fischietti del presente e del passato. Il nostro obiettivo è quello di dare un piccolo contributo alla conservazione di memorie e testimonianze preziose per la nostra cultura: quelle dei maestri che hanno vissuto in prima persona la fase tradizionale della produzione di fischietti; artigiani depositari di una tradizione secolare che fino a pochi decenni fa preparavano da soli – e con grande fatica - materie prime come creta e colori, usavano forni alimentati a legna, e magari provvedevano direttamente anche alla vendita dei loro manufatti, girando con i loro banchetti feste patronali e mercati.
Per questa ragione ci concentreremo maggiormente su quegli artigiani che abbiano un collegamento diretto con una produzione di tipo tradizionale, e questo a prescindere dalla loro notorietà, dalle loro quotazioni di mercato e dalla loro raffinatezza formale. La fonte principale di questo lavoro di ricerca sarà costituita da interviste realizzate con gli artigiani viventi, ma anche con le persone che sono state vicine ai maestri scomparsi, e che magari da loro hanno appreso le tecniche di produzione. Non trascureremo naturalmente le altre fonti, tutte le volte che queste saranno reperibili.
In questo viaggio – che attraverserà tutte le regioni italiane dove esiste una tradizione di produzione di ceramica sonora – cercheremo di approfondire aspetti come le “dinastie” di Maestri figuli dei vari centri di produzione; le tecniche per modellare, cuocere, colorare i pezzi; i soggetti dei fischietti tra continuità e inventiva del singolo artigiano; il “mercato” dei manufatti e la sua evoluzione e così via. I pezzi saranno curati, insieme all’Associazione Genius Loci, da Massimiliano Trulli - di Triggiano (Bari) - ricercatore esperto di servizi sociali per professione, ed appassionato di ceramiche sonore nel tempo libero. Arrivederci alla prossima tappa del viaggio. Ci auguriamo che vi appassioni!
MEMORIE E SUONI DI TERRA
conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche sonore
FELICE RICCI (CHECCO LALLO)
ultimo cocciaro di Vetralla
La Pro Loco di Vetralla ci aveva assicurato che non ci sarebbe stato difficile trovare Felice Ricci, l’ultimo “cocciaro” – ovvero artigiano della terracotta e dei fischietti - rimasto in paese. Ci sarebbe bastato arrivare al centro e chiedere di lui, o meglio ancora di “Checco Lallo” - il soprannome con il quale tutti lo conoscono in questo paese del viterbese. E di fatti lo troviamo se nza alcuno sforzo, convincendolo a parlarci del suo mestiere ed a mostrarci il suo a dir poco sorprendente laboratorio, costituito da una grotta scavata nel tufo. Non è una esagerazione dire che entrare nella bottega di Checco Lallo significa fare un salto indietro nel tempo. Se non fosse per alcuni flebili indizi di modernità aggiunti negli ultimi decenni – come le fioche lampadine che illuminano gli ambienti, o il forno elettrico – si potrebbe tranquillamente trattare di una bottega di 100 o anche 2 00 anni fa, o della ricostruzione di un antico laboratorio di ceramica fatta a scopo dimostrativo da un museo di arti e tradizioni popolari. Gli ambienti scavati nel tufo, il tornio di legno a pedale, i tre forni alimentati a legna, sono tutte testimonianze preziose di un mestiere tramandato di generazione in generazione attenendosi a tecniche e metodi produttivi rigidamente tradizionali.
La storia di Vetralla si intreccia da secoli con la produzione della terracotta. Ampiamente documentata dal locale museo è la produzione medievale. Soggetti e tipo di decorazione delle ceramiche vetrallesi presentano comunque un’accentuata omogeneità stilistica con la produzione dei centri dell’Alto Lazio (Tuscania, Viterbo, Vasanello, Sutri), ma anche di Toscana e Umbria (Ficulle). A Vetralla le botteghe – in realtà grotte scavate nel tufo - si concentravano su via dei Pilari, la strada che porta dal centro del paese alla contrada Mazzocc hio. All’interno delle grotte si depurava l’argilla, la si modellava, la si cuoceva nei forni a legna. La materia prima era invece ricavata dalle cave del vicino Monte Panese. I produttori di terracotta erano designati come “cocciari”, ma anche “pignattari”, o ancora “pilari” - da cui prende appunto origine il nome della via delle botteghe. Tra le più note famiglie di artigiani della terracotta ricordiamo - oltre ai Ricci - anche i Paolocci, i Gambellini, i Pistella. La loro presenza è documentata a Vetralla per lo meno dalla metà del secolo XIX.[2]
I produttori di terracotta continuavano ad essere numerosi a Vetralla fino alla metà del novecento. Ricci ricorda che quando lui era giovane ce n’erano attive almeno 14. “Prima della guerra saranno state pure di più. Di qui fino in fondo alla strada erano tutte grotte, mica c’era qualche bottega fabbricata con i mattoni! E facevano tutte questo mestiere. La mia famiglia aveva tre botteghe. E poi c’erano i Paolocci, i Pistella…Tutte famiglie che ce se campava”. La tradizione vetrallese voleva che i diversi artigiani o le diverse botteghe fossero designate con altrettanti soprannomi (“Qui si va tutti a soprannomi. Checco Lallo, Scimmia, Lecca Lume, Cicche Ciocce, Sorca...”). In particolare Checco Lallo è il soprannome che designa l’intera famiglia Ricci. Il soprannome prende origine da Ilario, nonno di Felice, ed ha identificat o anche il papà Francesco e il fratello Angelo. Checco Lallo ci racconta di un mestiere fatto con passione ma anche molto duro: “Io non lo augurerei ai giovani d’oggi di fare un mestiere come era qui 100-200 anni fa, ai tempi di mio Nonno, o di quando io ero piccoletto, 80 anni fa. Si soffriva il freddo, il caldo, l’umidità; bisognava andare a scavare la terra con piccone e pala, portarla col somaro, pulirla e impastarla a mano, sorvegliare il fuoco una notte e una giornata intera. Mica come adesso, che si trova tutto pronto: forno elettrico, creta, vernici… Ora che cambia il tempo e fino a maggio è dura lavorare con l’umidità. E di estate era anche peggio, perché di inverno almeno accendi il forno per riscaldare”. Per quanto riguarda i fischietti, Ricci ricorda che si trattava di una produzione economicamente marginale della bottega. Erano venduti prevalentemente ai bambini durante le fiere e i mercati di paese. Ma il reddito principale proveniva dalla vendita dei “cocci” da cucina: stoviglie, recipienti per la conservazione di bevande e alimenti, tegami da fuoco. In entrambi i casi – fischietti e altro tipo di prodotti - erano le stesse famiglie degli artigiani ad occuparsi della vendita. “Ognuno andava a un paese: chi Viterbo, chi Sutri, Monterosi, Civitavecchia, Monte Romano: tutte le fiere e i mercati che si facevano una volta a settimana. Si andava via con il carretto e toccava starci giù un giorno e una notte”. Alla base di questo sistema di distribuzione e commercializzazione, prevalentemente circoscritto all’area della Tuscia laziale, vi era una distribuzione delle aree di competenza tra le diverse famiglie di produttori.[3] La tipologia di soggetti dei fischietti era piuttosto limitata e comune a tutte le botteghe.“Avevano la forma degli animali: c’era la vacca, c’era i somarelli, il cavalluccio e il cavaliere sopra. I fischietti erano quelli. Le forme erano sempre quelle, cambiava solo la mano a seconda delle diverse botteghe. Lo stesso per piatti, bicchieri, vasi, pignatte: chi le faceva più panciute, chi con la bocca più grande chi più piccola, ma la forma era sempre quella”. La particolare qualità di creta ricavata dal monte Panese – piuttosto scura – e il suo rivestimento di cristallina, conferisce alle terracotte di Vetralla un colore che le ha valso il nome di “ceramica rossa”. La cottura avveniva in due fasi: una prima per ricavare il prodotto grezzo ed una seconda – a temperatura più alta - per fissare la vernice trasparente detta cristallina.
“Il forno bisognava farlo andare mezza nottata e una giornata per la prima cottura. Poi con la cristallina, per fonderla tutta, ci volevano 8, 9 ore, o anche 10. Pian piano devi far salire la temperatura. 8 ore di sicuro, perché devi raggiungere una certa temperatura, sinnò la cristallina non viene: o a legna o a gas, o a elettricità la temperatura deve essere comunque quella”. La colorazione si limitava a decorazioni gialle e verdi – piuttosto scarne o persino assenti sui fischietti, a volte più elaborate sui pezzi di maggiori dimensioni. Si trattava dei colori più facilmente disponibili e ricavabili dagli stessi artigiani con l’uso dei materiali locali. “Il giallo era ricavato da antimonio e terra bianca, un impasto che facevamo noi a mano. Il verde veniva dalla ramina, che ci procuravamo da chi faceva il rame. Facendo gli oggetti di rame usciva fuori lo scarto fine. Si metteva a mollo, si passava, e si faceva il colore. Poi si passava la vernice chiamata la cristallina. Prima facevamo tutto noi. Ora i barattoli sono belli e fatti, come questi”. A Vetralla ed in altri centri laziali ed umbri (Tuscania, Ficulle, Bagnoregio, ecc) era presente anche un diverso tipo di decorazione, caratterizzato da macchie color bruno o manganese. I motivi decorativi di Vetralla rappresentano tradizionalmente soggetti floreali, con alcune variazioni sul tema che caratterizzavano la produzione delle diverse botteghe. Le decorazioni a foglia di ulivo caratterizzavano ad esempio le botteghe dei Ricci e dei Gambellini, mentre i diversi rami della famiglia Paolocci rappresentavano in alcuni casi le rose, in altri ancora l’ulivo, ma anche margherite e quadrifoglio.[4] “Sulla ceramica si fanno ornamenti differenti: animali, fusti...Qui ci si facevano le foglie e i fiori, questi sono i disegni più conosciuti di Vetralla”. Ricorda ancora Ricci: “A quel tempo nelle famiglie che lavoravano la terracotta davano tutti una mano a fa: moglie, figli, marito, cugini, nipoti”. I lavoranti della bottega erano quasi tutti famigliari del capofamiglia, ed ognuno aveva un suo compito preciso all’interno di una sorta di gerarchia produttiva: spesso ai giovani venivano affidati i compiti dello scavo e della raccolta della creta, o il lavoro di prima “sgrossatura” dei pezzi in seguito rifiniti da capofamiglia ed artigiani più esperti. Alle donne spettava di solito il lavoro di decorazione.
Checco Lallo, che ha ormai superato la soglia degli 80 anni, ha smesso di lavorare la terracotta. Con lui è cessata la produzione dell’ultima grotta-laboratorio di Vetralla. L’artigiano ne parla non senza una punta di rammarico: “Sono 4 anni che non faccio più niente. Ho smesso come hanno fatto tutti. Se vi fate una passeggiata per via dei Pilari vedete tutto chiuso. E’ finito tutto e tutto abbandonato. Ora ci sono cose fatte a macchina, più rifinite, con terra migliore. E’ un mestiere finito, come il fabbro, o i tessitori che facevano i vestiti con la canapa. Anche quei mestieri sono finiti: ci sono le macchine”.
Per fortuna è possibile vedere ancora oggi alcuni splendidi pezzi di Ricci – fischietti e non solo - esposti al Museo del Territorio di Vetralla, insieme ad alcuni utensili della bottega, compresa la carriola usata per il trasporto della creta. Sul sito web http://www.musei-lazio.it/canonica-vetralla/ è visibile un video di Checco Lallo all’opera nella sua bottega.
Alcune belle immagini della bottega e delle opere di Checco Lallo sono invece visibili sul calendario a lui dedicato, sulla pagina http://www.ghaleb.it/calendario2007/calendario_2007.htm.
[1] Elisabetta De Minicis (cur.), Museo della Città e del Territorio, Vetralla – la sezione Ceramica, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2005
[2] E. De Minicis, op. cit.
[3] Luciano Marziano, “La Ceramica di Vetralla”, in D’A, rivista trimestrale di artigianato ed arti decorative, Anno XIX N° 1 (71), Gen/Mar 2008
[4] E. De Dominicis, op. cit.
La storia di Vetralla si intreccia da secoli con la produzione della terracotta. Ampiamente documentata dal locale museo è la produzione medievale. Soggetti e tipo di decorazione delle ceramiche vetrallesi presentano comunque un’accentuata omogeneità stilistica con la produzione dei centri dell’Alto Lazio (Tuscania, Viterbo, Vasanello, Sutri), ma anche di Toscana e Umbria (Ficulle). A Vetralla le botteghe – in realtà grotte scavate nel tufo - si concentravano su via dei Pilari, la strada che porta dal centro del paese alla contrada Mazzocc hio. All’interno delle grotte si depurava l’argilla, la si modellava, la si cuoceva nei forni a legna. La materia prima era invece ricavata dalle cave del vicino Monte Panese. I produttori di terracotta erano designati come “cocciari”, ma anche “pignattari”, o ancora “pilari” - da cui prende appunto origine il nome della via delle botteghe. Tra le più note famiglie di artigiani della terracotta ricordiamo - oltre ai Ricci - anche i Paolocci, i Gambellini, i Pistella. La loro presenza è documentata a Vetralla per lo meno dalla metà del secolo XIX.[2]
I produttori di terracotta continuavano ad essere numerosi a Vetralla fino alla metà del novecento. Ricci ricorda che quando lui era giovane ce n’erano attive almeno 14. “Prima della guerra saranno state pure di più. Di qui fino in fondo alla strada erano tutte grotte, mica c’era qualche bottega fabbricata con i mattoni! E facevano tutte questo mestiere. La mia famiglia aveva tre botteghe. E poi c’erano i Paolocci, i Pistella…Tutte famiglie che ce se campava”. La tradizione vetrallese voleva che i diversi artigiani o le diverse botteghe fossero designate con altrettanti soprannomi (“Qui si va tutti a soprannomi. Checco Lallo, Scimmia, Lecca Lume, Cicche Ciocce, Sorca...”). In particolare Checco Lallo è il soprannome che designa l’intera famiglia Ricci. Il soprannome prende origine da Ilario, nonno di Felice, ed ha identificat o anche il papà Francesco e il fratello Angelo. Checco Lallo ci racconta di un mestiere fatto con passione ma anche molto duro: “Io non lo augurerei ai giovani d’oggi di fare un mestiere come era qui 100-200 anni fa, ai tempi di mio Nonno, o di quando io ero piccoletto, 80 anni fa. Si soffriva il freddo, il caldo, l’umidità; bisognava andare a scavare la terra con piccone e pala, portarla col somaro, pulirla e impastarla a mano, sorvegliare il fuoco una notte e una giornata intera. Mica come adesso, che si trova tutto pronto: forno elettrico, creta, vernici… Ora che cambia il tempo e fino a maggio è dura lavorare con l’umidità. E di estate era anche peggio, perché di inverno almeno accendi il forno per riscaldare”. Per quanto riguarda i fischietti, Ricci ricorda che si trattava di una produzione economicamente marginale della bottega. Erano venduti prevalentemente ai bambini durante le fiere e i mercati di paese. Ma il reddito principale proveniva dalla vendita dei “cocci” da cucina: stoviglie, recipienti per la conservazione di bevande e alimenti, tegami da fuoco. In entrambi i casi – fischietti e altro tipo di prodotti - erano le stesse famiglie degli artigiani ad occuparsi della vendita. “Ognuno andava a un paese: chi Viterbo, chi Sutri, Monterosi, Civitavecchia, Monte Romano: tutte le fiere e i mercati che si facevano una volta a settimana. Si andava via con il carretto e toccava starci giù un giorno e una notte”. Alla base di questo sistema di distribuzione e commercializzazione, prevalentemente circoscritto all’area della Tuscia laziale, vi era una distribuzione delle aree di competenza tra le diverse famiglie di produttori.[3] La tipologia di soggetti dei fischietti era piuttosto limitata e comune a tutte le botteghe.“Avevano la forma degli animali: c’era la vacca, c’era i somarelli, il cavalluccio e il cavaliere sopra. I fischietti erano quelli. Le forme erano sempre quelle, cambiava solo la mano a seconda delle diverse botteghe. Lo stesso per piatti, bicchieri, vasi, pignatte: chi le faceva più panciute, chi con la bocca più grande chi più piccola, ma la forma era sempre quella”. La particolare qualità di creta ricavata dal monte Panese – piuttosto scura – e il suo rivestimento di cristallina, conferisce alle terracotte di Vetralla un colore che le ha valso il nome di “ceramica rossa”. La cottura avveniva in due fasi: una prima per ricavare il prodotto grezzo ed una seconda – a temperatura più alta - per fissare la vernice trasparente detta cristallina.
“Il forno bisognava farlo andare mezza nottata e una giornata per la prima cottura. Poi con la cristallina, per fonderla tutta, ci volevano 8, 9 ore, o anche 10. Pian piano devi far salire la temperatura. 8 ore di sicuro, perché devi raggiungere una certa temperatura, sinnò la cristallina non viene: o a legna o a gas, o a elettricità la temperatura deve essere comunque quella”. La colorazione si limitava a decorazioni gialle e verdi – piuttosto scarne o persino assenti sui fischietti, a volte più elaborate sui pezzi di maggiori dimensioni. Si trattava dei colori più facilmente disponibili e ricavabili dagli stessi artigiani con l’uso dei materiali locali. “Il giallo era ricavato da antimonio e terra bianca, un impasto che facevamo noi a mano. Il verde veniva dalla ramina, che ci procuravamo da chi faceva il rame. Facendo gli oggetti di rame usciva fuori lo scarto fine. Si metteva a mollo, si passava, e si faceva il colore. Poi si passava la vernice chiamata la cristallina. Prima facevamo tutto noi. Ora i barattoli sono belli e fatti, come questi”. A Vetralla ed in altri centri laziali ed umbri (Tuscania, Ficulle, Bagnoregio, ecc) era presente anche un diverso tipo di decorazione, caratterizzato da macchie color bruno o manganese. I motivi decorativi di Vetralla rappresentano tradizionalmente soggetti floreali, con alcune variazioni sul tema che caratterizzavano la produzione delle diverse botteghe. Le decorazioni a foglia di ulivo caratterizzavano ad esempio le botteghe dei Ricci e dei Gambellini, mentre i diversi rami della famiglia Paolocci rappresentavano in alcuni casi le rose, in altri ancora l’ulivo, ma anche margherite e quadrifoglio.[4] “Sulla ceramica si fanno ornamenti differenti: animali, fusti...Qui ci si facevano le foglie e i fiori, questi sono i disegni più conosciuti di Vetralla”. Ricorda ancora Ricci: “A quel tempo nelle famiglie che lavoravano la terracotta davano tutti una mano a fa: moglie, figli, marito, cugini, nipoti”. I lavoranti della bottega erano quasi tutti famigliari del capofamiglia, ed ognuno aveva un suo compito preciso all’interno di una sorta di gerarchia produttiva: spesso ai giovani venivano affidati i compiti dello scavo e della raccolta della creta, o il lavoro di prima “sgrossatura” dei pezzi in seguito rifiniti da capofamiglia ed artigiani più esperti. Alle donne spettava di solito il lavoro di decorazione.
Checco Lallo, che ha ormai superato la soglia degli 80 anni, ha smesso di lavorare la terracotta. Con lui è cessata la produzione dell’ultima grotta-laboratorio di Vetralla. L’artigiano ne parla non senza una punta di rammarico: “Sono 4 anni che non faccio più niente. Ho smesso come hanno fatto tutti. Se vi fate una passeggiata per via dei Pilari vedete tutto chiuso. E’ finito tutto e tutto abbandonato. Ora ci sono cose fatte a macchina, più rifinite, con terra migliore. E’ un mestiere finito, come il fabbro, o i tessitori che facevano i vestiti con la canapa. Anche quei mestieri sono finiti: ci sono le macchine”.
Per fortuna è possibile vedere ancora oggi alcuni splendidi pezzi di Ricci – fischietti e non solo - esposti al Museo del Territorio di Vetralla, insieme ad alcuni utensili della bottega, compresa la carriola usata per il trasporto della creta. Sul sito web http://www.musei-lazio.it/canonica-vetralla/ è visibile un video di Checco Lallo all’opera nella sua bottega.
Alcune belle immagini della bottega e delle opere di Checco Lallo sono invece visibili sul calendario a lui dedicato, sulla pagina http://www.ghaleb.it/calendario2007/calendario_2007.htm.
[1] Elisabetta De Minicis (cur.), Museo della Città e del Territorio, Vetralla – la sezione Ceramica, Davide Ghaleb Editore, Vetralla 2005
[2] E. De Minicis, op. cit.
[3] Luciano Marziano, “La Ceramica di Vetralla”, in D’A, rivista trimestrale di artigianato ed arti decorative, Anno XIX N° 1 (71), Gen/Mar 2008
[4] E. De Dominicis, op. cit.
Fonti foto
proprietà Massimiliano Trulli tranne le seguenti:
n. 4 - http://www.antichitera.it
n. 7 - http://www.elegantetruria.com
1 commento:
Felice Ricci (Checco Lallo) apre il libro "Handmade in Italy" di John Ferro Sims, 2002.
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