Benvenuto: “Qua è una zona dove l’argilla non manca: nelle Golene del Po ed in queste campagne la terra è tutta argillosa. E allora i bambini, i ragazzi oppure anche gli adulti vedevano nelle fiere questi fischietti - che all’epoca erano uno dei divertimenti più ricercati - e poi cercavano di imitarli col fango. Andavano nelle campagne, oppure lungo i fiumi, prendevano le argille e poi le lavoravano. Facevano dei lavoretti spontane, e qualcuno un po’ più abile riusciva a far suonare il fischietto o a costruire qualche ocarinetta così, senza pretese. ”
Giuseppina: “Quando giriamo con i nostri pezzi da queste parti, ancora oggi troviamo tante persone che dicono: “anche io facevo l’ocarina”.
Benvenuto: “Ad esempio qui nella fattoria didattica è esposto un fischiettino fatto da un personaggio di queste parti, che mi ha raccontato la storia di come imparò a farli un giorno che c’era il temporale. Perché qui vengono dei grossi temporali, e una volta non c’era altra alternativa che rimanere chiusi in famiglia. E allora un vecchio lo chiamò nella stalla e gli disse: “Vieni qua con mi, che ti insegno a fare una bella robina”. E gli ha insegnò a fare i fischietti.
E di queste storie ce ne sono tantissime: sono storie semplici, di una produzione spontanea. Non sono storie di bottega, di una tradizione ceramica vera e propria o di forme ricercate.”
Oltre al fischietto, un altro oggetto profondamente legato alle tradizione del territorio è l’ocarina politonale ed in grado di produrre una vera e propria melodia. A questo proposito è bene fare da subito una precisazione sul significato attribuito da queste parti al termine ocarina.
Benvenuto: “Nel nostro dialetto “ocarina” può riferirsi all’ocarina vera e propria, allo strumento, ma anche al fischietto, e persino ai piccoli giocattoli improvvisati di argilla. Ocarina è insomma tutto quello che si fa col fango.”
Al di là di questi passatempi fabbricati da bambini e adulti, la tradizione della terracotta nel Delta del Po è legata soprattutto alla produzione di mattoni per l’edilizia.
Benvenuto: “Da queste parti non c’è mai stata una tradizione di botteghe di ceramica vera e propria. La nostra era una tradizione un po’ povera: c’erano tantissime fornaci che facevano i mattoni. Questo perché c’era la materia prima, ma anche il sistema di trasporto: fino ai primi del ‘900 per il trasporto dei mattoni si usavano le barche. Era molto più pratico che portarli con muli o cavalli. Partendo da qua si poteva far arrivare la merce fin sopra Treviso grazie a vari sistemi idraulici fatti di sbalzi e chiuse.”
L’apprendistato nelle fornaci: rubando il mestiere con gli occhi
In una di queste fabbriche di laterizi Idelmo Fecchio iniziò 90 anni fa o giù di lì a produrre le sue ocarine. Frequentava le fornaci fin da bambino, prima perché ci lavorava sua madre e poi - appena diventato adolescente - perché aveva cominciato a lavorarci lui stesso. E fu così che osservando quello che facevano gli artigiani esperti, imparò anche lui come si fa a far fischiare la terra.
Ci raccontano di questi suoi esordi Idelmo stesso e la sua famiglia.
Idelmo: “Le prime cose le ho fatte che avevo 10-12 anni; facevo queste colombine. Poi a 14 anni, nel 1924, lavoravo nella fornace di mattoni e ho iniziato a fare le prime ocarine. Non c’era molto da mangiare, e io mi adattavo a fare anche questi lavori. Le copiavo dagli altri. Oppure ne compravo una nelle fiere, per 50 centesimi, e poi la ricopiavo. E un po’ alla volta ho imparato”.
Giuseppina: “Praticamente ha imparato perché tanti anni fa nelle feste paesane c’erano questi fischietti, queste ocarine. E lui ne era innamorato, ma non poteva comprarle perché non aveva soldi. Era di una famiglia poverissima; tra l’altro suo Papà era morto giovanissimo. E visto che sua Mamma lavorava in una fornace dove facevano i mattoni, lui andava lì e piano piano ha iniziato a fare delle ocarine. E da li gli è presa la passione e non ha mai smesso.”
Benvenuto: “Iniziò a lavorare anche lui in una fornace. E durante le pause o durante l’attesa del forno lui faceva questi lavoretti. Perché la fornace dei mattoni andava avanti a cuocere anche dei giorni, e allora qualcuno ingannava il tempo durante la veglia facendo queste cose.”
La produzione di fischietti e ocarine nel Delta del Pò
E il racconto a più voci continua. La famiglia Fecchio ci descrive la modalità di lavorazione dei fischietti e delle ocarine ai tempi in cui Idelmo era giovane. Le modalità di approvvigionamento della materia prima tra gli scarti della fornace o sul greto del fiume, la cottura del tutto assente o solo approssimativa tra le braci del focolare domestico, la decorazione per nulla ricercata, sono tutti elementi che ci confermano di come si trattasse di una produzione particolarmente povera e realizzata con mezzi precari.
Idelmo: “Gli strumenti per lavorare me li facevo da solo, e per fare un’ocarina ci mettevo anche due ore. Bisogna intonarle e ci vuole il suo tempo. L’argilla la prendevo dove lavoravo, dove facevamo i mattoni.”
Giuseppina: “Oppure la terra l’andava a prendere proprio sulle Golene, dove l’argilla non mancava.
Quella delle ocarine era la sua passione sin da bambino, ma non faceva solo quelle. Ha sempre avuto molta abilità manuale, faceva anche i cesti, le culle, eccetera.”
Benvenuto: “Per fare le ocarine si possono usare anche stampi, ma dalle nostra parti si è sempre fatto tutto a mano. Si usano solamente dei pezzettini di legno come contro-stampo. Ci sono dei coni ben definiti come misure, per avere la scala giusta. Poi ognuna è sempre un po’ diversa dall’altra di qualche mezzo tono, perché è sempre un prodotto artigianale.
Non è che i pezzi fossero sempre cotti. Visto che erano lavoretti spontanei, spesso venivano adoperati anche crudi. Magari si lasciavano essiccare e si dava solo una mano di colore. I più fortunati riuscivano a fare le cotture perchè avevano qualche parente che aveva una fornace, oppure che ci lavorava. Oppure si cuocevano nelle cucine di casa, proprio nel braciere della cucina.
Anche mio Papà ha il forno solo dagli anni ’80, ma prima cuoceva i pezzi nel forno della cucina. E ogni tanto, quando qualcuno di noi andava a muovere le braci e magari rompeva un’ocarina o un fischietto, allora era un disastro, si apriva un grande conflitto in famiglia!”
Benvenuto: “Di solito i pezzi erano colorati a tinta unita, con il rosso o il blu, non erano fischietti molto variopinti. E si usavano delle comuni vernici, non si adoperavano colori a fuoco.”
Benvenuto: “Le ocarine che riusciva a fare le vendeva, ma non con una bottega. Qualcuno ricorda ancora Idelmo che prendeva su la sua cassettina e le andava a vendere. Si fermava in osteria, o le faceva vedere ai bambini, e così via.
Era un personaggio! Anche durante la processione si metteva lì a suonare e qualcosina vendeva, però mai delle grandi quantità.”
Benvenuto: “Non è che da queste parti siano state tramandate alcune forme di fischietti in particolare. Per il fischietto sicuramente c’è sempre stata la forma di uccello, la colombina. D’altronde è tutto materiale di cui purtroppo non è rimasto niente. I pezzi non li cuocevano o erano mezzi cotti nella fornace di casa. Non erano cose a cui davano importanza, e sono andate perse. I pezzi più vecchi in circolazione sono quelli che ha fatto mio Papà nei primissimi anni ’70.
Per l’ocarina vera e propria la forma è sempre stata quella allungata, anche se mio Papà ha fatto anche qualche ocarina più schiacciata o qualche forma di animale.”
Un personaggio bizzarro
La produzione di fischietti e ocarine ha accompagnato tutta la vita di Idelmo come una passione profonda ed incrollabile anche di fronte alla crisi di interesse verso questi oggetti che seguì la seconda guerra mondiale. Per alcuni decenni, e fino alla recente riscoperta e valorizzazione dei fischietti, rimase l’unico artigiano del Polesine a portare avanti caparbiamente questa tradizione. Dobbiamo quindi dire grazie a Idelmo se non è andato definitivamente perduto un importante patrimonio della cultura materiale di questo territorio e se oggi le istituzioni locali, come l’Ente Parco del Delta del Po, hanno potuto riprendere e valorizzare queste tradizioni produttive a fini turistici. A lungo, tuttavia, l’ostinazione di Idelmo nel proseguire una produzione ormai desueta e antieconomica gli ha valso la fama di personaggio eccentrico, quasi balordo.
Giuseppina: “Fino a 20 anni fa Idelmo era un po’ considerato un personaggio stravagante per la sua abitudine di mettersi lì a fare le ocarine. Quando ho conosciuto Benvenuto e ci siamo fidanzati, suo Papà era conosciuto in paese come il “nonno delle ocarine”. In dialetto mi dicevano: “Ah, te fà l'amore al fiolo del vecio dele ocarine!” E me lo dicevano un po’ sotto intendendo che era un personaggio strano.”
Gli davano da mangiare veramente poco, e allora mangiavano erba, ortiche, tutto quello che cresceva in maniera spontanea. Alla fine della guerra è rincasato dalla Germania che pesava
Dopo, nell’età un po’ critica, diciamo dalle medie fino a 22 anni, è un mondo che mi è sfuggito dalle mani nella maniera più assoluta. Ma a partire dai primissimi anni ’80 mi è tornata questa voglia di fare attraverso l’argilla. E’ stata una esigenza molto forte, non so da dove sia nata.
Mi hanno spinto molto le prime uscite che facevo per portare in mostra i prodotti di mio Padre. Ormai cominciava a diventare anziano, e non poteva più girare da solo con il motorino, così andavamo insieme in macchina. Sarà stato anche l’interesse che trovavamo con il banchetto, soprattutto delle persone anziane che si avvicinavano e dicevano: “finalmente qualcosa che mi ricorda quando ero bambino e facevo queste cose qui. Anche io le facevo, sai? Andavo lungo il fosso con i miei fratelli, impastavo l’argilla, e la facevo anche suonare.”
Rispetto alle forme dei miei fischietti, inizialmente ho seguito un po’ le orme di mio Padre. Ma poi successivamente ho preso la mia strada. La differenza tra i prodotti miei ed anche di Giuseppina e quelli di mio Papà è che lui non si è mai confrontato con altri autori. Ha la sua visione, il suo stile. Io invece ho avuto la fortuna di vedere il Museo dei Cuchi di Cesuna, di conoscere Armando Scuto e gli altri collezionisti. Girando di quà e di là mi sono confrontato anche con altri costruttori di fischietti. Insomma vuoi o non vuoi, l’occhio vede e influenza le cose che fai. Ho sempre la mia mano, la mia linea, però sicuramente sono stato contagiato anche da un mix di ispirazioni.”
Delle nostre figlie una è ancora troppo piccola, l’altra ogni tanto si mette a fare queste cose, anche con la pittura. Però è ancora presto per dire se si tratterà di una cosa durevole.”
La fattoria didattica “L’Ocarina” di Grillara
Oggi Giuseppina e Benvenuto si dividono tra il lavoro della loro azienda agricola e l’impegno della fattoria didattica, che accoglie ogni anno centinaia di visitatori e li accompagna alla scoperta delle tradizioni del territorio del Delta del Po. Ovviamente le ocarine e i fischietti sono il pezzo forte di questi percorsi educativi. Alcune splendide bacheche in legno fatte da Benvenuto stesso mettono questi prodotti in mostra, mentre dei pannelli didattici ne illustrano la storia.[3] Ma soprattutto, bambini e adulti vengono invitati a impastare l’argilla con le proprie mani per sperimentare in prima persona come si fa a far fischiare la terra.
Giuseppina: “La nostra attività principale rimane l’azienda agricola. Abbiamo anche alberi da frutto. Insomma lavoriamo la terra in due maniere: abbiamo la nostra terra come contadini e poi abbiamo anche la terra per le ocarine!”
Benvenuto: “Anche mio Padre faceva attività didattica con alcune scuole che venivano qua. Gli facevamo fare una visita alla fattoria e poi facevano qualche fischietto ed ocarina. Era organizzato più alla buona, poi pian pianino abbiamo fatto il salto di qualità con i locali.
Dai primi anni del 2000 la fattoria didattica è entrata nel circuito dei luoghi di interesse culturale del Parco del Delta del Po. Abbiamo risistemato i locali, e grazie al sostegno del Parco abbiamo fatto dei pannelli didattici che servono a dare un filo logico al discorso.
Saltuariamente vengono anche dalle superiori, ma sono più che altro gli istituti alberghieri, che si occupano di turismo e fanno visite guidate piuttosto che laboratori veri e propri.
E poi ci sono anche gli adulti: alcuni gruppi organizzati scelgono come opzione di visitare la fattoria didattica, e quindi una decina di gruppi all’anno vengono.”
Giuseppina: “Anche quando vengono gli adulti i laboratori riescono molto bene: spesso gli adulti conservano la passione per la loro terra e per il lavoro manuale, e si impegnano tanto. All’inizio eravamo un po’ imbarazzati quando arrivano gruppi di adulti. Ci chiedevamo: ed ora cosa gli facciamo fare? Poi alla fine gli facciamo fare più o meno le stesse cose dei piccoli, e gli danno molta soddisfazione! E poi vengono fuori un sacco di storie che ci raccontano sulle loro tradizioni.”
Ma l’impegno della famiglia Fecchio nella valorizzazione dei fischietti e delle ocarine tradizionali del loro territorio si esprime anche attraverso i banchetti di fischietti e ocarine allestiti di quando in quando durante le fiere e le sagre.
Benvenuto: “Ultimamente si sta riscoprendo il banchetto delle ocarine: stanno un po’ rievocando le sagre di una volta, e spesso ci chiamano per fare una dimostrazione di questo particolare mestiere. Ad esempio a Badia Polesine una volta si faceva la sagra dei cuchi. Quando l’hanno rispolverata ci hanno chiamati. A volte, magari, lavorando sul posto si crea il momento magico, l’atmosfera, e allora si vende un po’.
Per il resto non è che di ocarine e fischietti ne vendi tante. Qualcosa vendiamo durante le visite guidate, quando i visitatori prendono qualche ricordino del luogo. D’altronde non abbiamo una fabbrica, non saremmo in grado di stare dietro ad una richiesta di mercato molto più alta di quella attuale. E poi il fischietto è molto laborioso, porta via tanto tempo: quando lo si vende si prende qualcosa, ma è più un fatto di soddisfazione che di reale guadagno.”
Un secolo intero a far fischiare l’argilla
Idelmo, 102 anni in questi giorni, continua imperterrito a lavorare la creta ed a regalarci deliziosi fischietti ed ocarine. Non possiamo dire se il segreto della sua longevità sia proprio questa sua passione incrollabile per la terra sonora o piuttosto le amorevoli cure di Benvenuto, Giuseppina, e della moglie Romilda. Di certo possiamo dire che recentemente, dopo essere stato costretto a letto per quasi due mesi da un incidente, il suo primo pensiero appena alzatosi dal letto è stato quello di tornare a modellare i suoi amati prodotti.
Benvenuto: “Idelmo il 22 febbraio 2012, su consiglio del fisioterapista, da coricato sul letto piano piano l'abbiamo messo sulla sedia. Il suo primo desiderio da seduto è stato quello di andare al suo solito posto a tavola e di avere subito a disposizione un pezzo di terra per poter dargli il suono! Così gli ho procurato subito il materiale. Per me ha fatto un altro miracolo!”
Idelmo: “Lavoro tutti i giorni, a volte anche la domenica. Di fischietti ne ho una cassa piena. Per fortuna che ho una vista forte!”
Testi di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com, vietata la riproduzione
NOTE
[1] In particolare durante le edizioni V e IX e X del concorso, tenutesi rispettivamente nel 2001, nel 2009 e nel 2011, la giuria ha attribuito riconoscimenti ai fischietti di Benvenuto.
[2] Tra i gruppi che hanno suonato in concerto le ocarine di Benvenuto Fecchio citiamo il Gruppo Ocarinistico Budriese diretto da Emiliano Bernagozzi e i Cavranera, ocarina solista Fabio Galliani.
[3] L’occasione per inaugurare questo nuovo allestimento è stata il 100° compleanno di Idelmo Fecchio. L’Associazione Anemos, Il Museo dei Cuchi, il Gruppo Cucari Veneti, e decine di artigiani e artisti del fischietto hanno voluto rendere omaggio al cucaro più anziano d’Italia donando una bella collezione di fischietti, il tutto di fronte a una grande folla festante.
FOTO
1. Idelmo Fecchio (foto Daniele Ferroni); 2. Fischietto di Idelmo Fecchio (collezione famiglia Fecchio); 3. Fischietto di Idelmo Fecchio (collezione M. Trulli); 4. Insegna della fattoria didattica (foto O. Chieco); 5. Fischietti di Idelmo Fecchio (collezione A. Scuto); 6. Fischietto Benvenuto Fecchio (collezione Famiglia Fecchio); 7. Foto Giuseppina Fecchio (collezione Famiglia Fecchio); 8. Bacheche costruite da Benvenuto Fecchio; 9. Benvenuto Fecchio al lavoro (foto M. Trulli).
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