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venerdì 30 marzo 2012

Fischietti umbri al femminile - Ede Napoletti e Anna Boni Reali

Memorie e Suoni di Terra

conversazioni con i maestri artigiani costruttori di fischietti in terracotta

Nei paesi della provincia di Perugia dove una volta erano radicate le botteghe di vasai, sono state due donne le ultime artigiane a portare avanti la produzione di fischietti in terracotta: si tratta di Anna Boni e Ede Napoletti. Ce ne parlano la stessa Signora Ede e Temistocle Reali - figlio di Anna e di suo marito Lorenzo Reali.[1]

Ede Napoletti:Mio marito faceva le terrecotte e i fischietti, e pian piano mi sono appassionata a queste cose. Non lavoravo al tornio, non lo so usare. Ma facevo le rifiniture, i decori. L’ho fatto per tanti anni.”

Temistocle Reali: “Anche Mamma aveva imparato a fare i fischietti, così li facevano sia lei che Papà. Mamma, però era più virtuosa.”

Il ruolo delle donne nella ceramica popolare

A ben vedere non si tratta di un caso così eccezionale. Anche se allarghiamo lo sguardo alle altre regioni d'Italia, è ormai riconosciuto che le donne abbiano avuto un ruolo non trascurabile nella produzione artigianale legata alla terracotta. E se nelle dinastie di vasai erano i figli maschi a essere iniziati all’arte del tornio ed a ereditare un giorno la gestione della bottega, è altrettanto vero che figlie e mogli davano immancabilmente un contributo importante nel portare avanti l’attività.

Alle donne erano affidate operazioni comunque faticose - come trasportare e impastare l’argilla - o per le quali era necessaria una notevole abilità – come eseguire le decorazioni e rifinire i pezzi. Tra le mansioni spesso affidate alle donne vi era inoltre la modellatura e la decorazione di alcune delle produzioni più umili della bottega, come appunto i fischietti in terracotta.[2]

Da questo punto di vista ci sono molti esempi documentati: a Nove (Vicenza), Antonia Scuro – moglie di Giacomo e mamma di Mario - era particolarmente abile nel modellare le parti fischianti da applicare poi ai cuchi fatti a stampo; [3] a Pignataro di Broccostella (Frosinone), la modellatura dei fischietti era addirittura una mansione prettamente femminile, portata avanti fino ai primi anni ’80 da Stella Adinolfi e dalla figlia Vincenza Santucci.[4]Ma torniamo alla tradizione dei vasai nella provincia di Perugia. A Montefalco e Torgiano fino a pochi decenni fa erano numerose le botteghe dei vasai. E se Deruta è nota sin dalla prima metà del ‘500 per la produzione di ceramica colta, la frazione di Ripabianca era specializzata già nell’800 nella modellatura di terrecotte non decorate.

Due botteghe artigiane tra passato e presente

In questo contesto fatto di piccole botteghe a gestione famigliare, si inseriscono le vicende di Anna Boni ed Ede Napoletti. Entrambe si maritarono con artigiani vasai che avevano alle spalle una solida tradizione famigliare: la prima sposò Lorenzo Reali, che aveva la sua bottega a Montefalco, mentre Ede Napoletti sposò Umbero Berti, vasaio di Ripabianca.

Ed entrambe si impegnarono a fondo nell'attività della bottega di famiglia. Non disdegnavano i lavori più umili, ma possedevano anche un estro creativo destinato a esprimersi sopratutto in tempi recenti attraverso la modellatura di fischietti e - per quanto riguarda la Boni - di sculture in terracotta.

Si tratta dunque di due storie personali con alcuni punti in comune, ma con un epilogo molto diverso. In seguito alla crisi della terracotta, all'inizio degli anni '90 la produzione della famiglia Reali è cessata. E’ d’altronde questa la sorte toccata dal secondo dopo guerra in poi a buona parte delle botteghe di vasai del perugino. Lo stesso Temistocle Reali – che era stato avviato al mestiere di vasaio sin dall'infanzia – una volta raggiunta la maggiore età dovette cercarsi una diversa professione.

Ede Napoletti è invece riuscita nell'impresa non facile di dare continuità alla propria attività artigianale ed a trasmetterla a figlio e nipote.

Temistocle Reali: “In famiglia abbiamo avuto generazioni di vasai: mio bisnonno Leopoldo, mio nonno Anagarzio, mio Papà Lorenzo, ed io.

Io ho fatto il vasaio fino alla classe terza media, lavoravo con il tornio. Quando ho smesso avevo 18-19 anni. Ho discusso con mio Papà perché lui voleva che io continuassi. Ma il lavoro non era redditizio. Volevo formarmi una famiglia e mi serviva il famoso posto fisso. E allora me ne sono andato. E mio Papà ha continuato da solo.

A Montefalco ce n’erano parecchi di vasai: erano 7-8 all’epoca. Poi è rimasto solo mio Papà. Tutti gli altri sono morti, e dei figli non ha proseguito nessuno.
Così a Montefalco il mestiere del vasaio è sparito completamente. Ed anche da altri paesi."

Ede Napoletti: “Son tanti anni che facciamo queste cose: nonni, bisnonni…di generazione in generazione. Nel ‘38 ho sposato Berti Umberto, mio marito, e sono venuta a vivere qui. A Ripabianca c’erano altre 3 fornaci, tutte a legna. Oggi tutte hanno smesso, i vecchi sono morti e i giovani hanno cambiato mestiere e non fanno più i cocci.
Poi mio marito è morto a 55 anni. Ma abbiamo continuato insieme a mio figlio Silvestro e mio nipote Fabrizio. Mio nipote lavora sul tornio e ha imparato molto bene. Ora ho un pronipote e chissà se anche lui vorrà fare questo mestiere.”

Ovviamente i due racconti sul mestiere di vasaio si sviluppano su piani cronologici diversi. Reali parla al passato e con una certa nostalgia della bottega e della fornace di famiglia oggi smantellate, e che si trovavano nel rione dei vasai di Porta Caimano. La Signora Napoletti racconta invece di quello che tutt'ora rappresenta il suo mestiere - pur con le dovute differenze rispetto al passato.

Temistocle Reali: "La bottega purtroppo l’abbiamo venduta, con grande rammarico. Avevamo una bella casetta nel rione di via Porta Camiano fatta tutta con mattoni e travi di legno. Sotto c’era il laboratorio, e da un altro ingresso si andava alla fornace. Era casa e bottega, praticamente. Purtroppo non se ne vedono più di botteghe così.”

Ede Napoletti: ”Ora abbiamo costruito un nuovo fabbricato, ma prima vivevamo tutti in quella casa. E’ la casa paterna di mio marito dove mi sono sposata e dove sono nati i miei figli. E li accanto erano il vecchio laboratorio e la fornace.

La fornace a legna che usiamo adesso è rifatta, mentre quella è antica. Io penso che sia senz’altro dell’800 o dei primi del ‘900. Hanno fatto anche degli studi e dicono che è una delle fornaci più antiche in assoluto."

L’azienda famigliare dei Berti è riuscita a sopravvivere alla crisi del settore puntando tutto sulla tradizione: a tutt'oggi vengono
adoperati fornace a legna e persino creta estratta e depurata localmente senza l'utilizzo di procedure industriali. In questo modo i Berti si sono assicurati una nicchia di clienti
costituita da cultori della ceramica popolare realizzata con materiali e procedimenti rigorosamente
tradizionali.

Ede Napoletti: "Tra i nostri prodotti e quelli fatti dagli altri c’è molta differenza! Cominciamo dalla terra: la terra che si compra e viene dalla Toscana, è degassata. Vorrebbe dire che è depurata. Viene cavata dal suolo come tutta la terra, ma poi passata con tanti macchinari che gli levano tutte le impurità. E allora non ha tutta una serie di sostanze minerali. La nostra, essendo come si trova in natura c’ha la resistenza, non è sfiancata.Così i vasi nostri possono stare al gelo quanto gli pare, ma non si rompono. Quelli fatti con la terra toscana invece si sfaldano.
E poi anche il forno a legna è molto diverso: il colore che gli può dare la fiamma non glie lo può dare il gas!

E’ faticoso ma ci siamo nati con questo mestiere: padri, figli, nipoti. Se io levassi il forno a legna perderei tanti miei clienti. Sono tutta gente istruita: dottori, professori, professionisti. Non prendono vasi se non sono fatti qui, perché noi manteniamo ancora la tradizione.”

L'estrazione e la preparazione dell'argilla

Temistocle Reali ci racconta la lunga e faticosa procedura utilizzata quando lui era un ragazzino per cavare l'argilla vicino a Montefalco, presso la cava di San Clemente, e poi per renderla pronta per l'uso: "L’argilla si procurava fuori del paese. Quando ero giovane ci sono andato anche io con mio Papà. C’erano dei banchi di argilla, andavamo alla cava col piccone, levavamo la terra, e venivano via dei pezzi fatti come dei libretti. Poi venivano con i buoi e la portavano su in paese.

Una volta su, l’argilla veniva spezzettata con un’ascia e buttata dentro una buca nel laboratorio. Poi dentro aggiungevamo un po’ d’acqua e veniva come un impasto. Poi si metteva l’argilla su un bancone lungo e con la verga di ferro si batteva 20-30 volte su e giù. Così veniva amalgamata, se no era tutta a tocchi, a pezzettini. Poi dopo la mettevamo un po’ fuori ad asciugare, se no era troppo molle. E poi si rimetteva su un altro bancone e si faceva come si fa il pane, si impastava. Perché se non era compatta non si poteva fare niente. E poi si lavorava. Oggi la terra arriva già pronta, non fai altro che prendere i tocchi di questa terra e metterla in lavorazione."

Come già accennato, i Berti hanno deciso di continuare a fare uso della terra locale da loro stessi estratta e depurata. Anche se oggi la procedura è resa più agevole dall'uso di mezzi meccanici come l'escavatrice e l'impastatrice, si tratta di una scelta senz'altro onerosa dal punto di vista dei tempi di lavorazione.

Ede Napoletti: “Noi c’abbiamo ancora la terra nostra dal campo: la estraemo l’argilla. Solo che adesso la scavamo con l’escavatore.
Questa è la terra che viene già pronta dalla Toscana, la usiamo ma ci facciamo solo certi lavori, perché è terra più fina.

Invece la terra nostra che scavamo giù al terreno è questa. C’è tanta lavorazione da fare: bisogna romperla a mano con il martello, poi si mette a bagno, poi si passa sui rulli per farla fina, e poi va all’impastatrice. E dopo è pronta."

La tornitura dei pezzi

Temistocle elenca quelli che erano i prodotti più comuni delle botteghe dei vasai, tutti rigorosamente realizzati con il tornio a pedale: "Mio Papà era un tornitore, faceva ad esempio le famose brocche per l’acqua. All’epoca le brocche erano indispensabili, perché in casa non ce l’avevamo l’acqua. Avevamo delle fontane pubbliche dove si andava ad attingere con queste brocche. Poi le donne le mettevano in testa, avvolgendo una specie di fazzoletto per tenerle sulla testa in equilibrio.
Poi Papà faceva i catini, vasi grandi dove adesso piantano i limoni. All’epoca però erano per fare il bucato, con la cenere. Facevamo anche questi mortai per il sale, perché il sale allora era grosso, e bisognava pestarlo. E i boccali per il vino che usavano nelle bettole.
Faceva anche quegli orci grandi per l’olio da un quintale- 1 quintale e mezzo. Grandissimi erano, però il guadagno non era tanto.

Noi facevamo i pezzi tutti a occhio, non è che avevamo le misure. Ormai l’esperienza era talmente tanta che si faceva un pallocco di creta di una certa misura e i vasi venivano grosso modo tutti uguali.

Poi dopo questa roba si metteva ad asciugare e bisognava stare attenti che l’inverno non gelava e che l’estate non veniva tanto sole - perché se no dopo crepavano."

A questo proposito è interessante notare come molti torni della zona avessero una particolare caratteristica: l'artigiano lo utilizzava stando seduto non su uno sgabello, ma sul pavimento, con le gambe incrociate: "Come tutti i vasai, Papà usava il tornio con la gamba, però stava seduto. Invece gli altri, in questa zona, erano messi come gli arabi, per terra. Se va a Deruta li trova ancora questi vasai che fanno queste robe."
Anche rispetto a questa fase della lavorazione, l'impresa Berti ci riserva una sorpresa: in un angolo del moderno capannone utilizzato per la lavorazione scorgiamo un anacronistico tornio a pedale tuttora in funzione.

Ede Napoletti: "Usiamo il tornio elettrico, ma certe rifiniture le facciamo ancora con questo tornio a pedale. Perché quello è troppo veloce."

La cottura nella fornace

Uno dei passaggi più impegnativi e che richiedevano maggiore esperienza ed abilità era per le botteghe di vasai quello della cottura dei pezzi. Temistocle Reali ed Ede Napoletti ci illustrano come è fatta una fornace a legna e come vengono disposti all’interno i pezzi. Il primo si aiuta in questa spiegazione mostrandoci alcune vecchie foto della fornace di famiglia a Montefalco, mentre la seconda ci porta a visitare le sue due fornaci: la prima è quella storica della bottega Berti, la seconda è quella più recente e più piccola, ma costruita in maniera assolutamente aderente alla tradizione.

Temistocle Reali: "Una volta fatti, i pezzi si mettevano sui forni. Il nostro forno era fatto con una camera larga una metrata e 10. Dentro i pezzi andavano incastrati, e poi l'entrata del forno si chiudeva con la creta. Non si usava quella buona, ma un altro tipo di cretone grezzo che si andava a prenderlo lungo le strade. Mi ricordo che poi toccava sempre fare questione perché magari facevamo una buca e prendevamo una carriolata di terra. E per fare amalgamare bene questa terra prendevamo lo scarto della paglia, quella fina-fina, e la mescolavamo insieme. La faceva stare più ferma.

Nella camera c’erano 12 fori, così quando aumentavamo il fuoco le fiamme andavano fuori da questi spiragli. Altrimenti se è tutto sigillato scoppia .”

Ede Napoletti: "La fornace vecchia è molto grande: per fare il fuoco si scendeva sotto alla camera di cottura con una scala. L’abbiamo chiusa e abbiamo fatto quella più piccola che usiamo adesso. Comunque nonostante che sono passati tanti anni in questa fornace ancora si potrebbe cocere.
Ancora oggi cociamo solo a legna, abbiamo quella sola di fornace. Degli studiosi di terrecotte sono venuti tante volte a fare fotografie, perché noi siamo restati gli unici che hanno i forni a legna, non c’è più nessuno. Questi sono i vasi nostri, hanno questi colori chiari perché glie li da la fiamma.

La fornace c’ha 12 camini, sono buchi da cui viene su il fuoco.
Oggi il forno lo vedete pieno perché lo abbiamo aperto ma non abbiamo ancora sfornato. E allora vede come sono messi dentro i pezzi: i vasi piccoli vanno dentro a quelli grandi. La fornace deve essere tutta piena perché la legna costa.
Quei mattoni tengono i vasi, perché ogni vaso non deve pesare sopra quell’altro, se no il coccio di terra cruda si rompe, no? Invece così ognuno è indipendente, riposa sui mattoni e si regge per conto suo.”

Per cuocere i pezzi senza che si rompessero era necessario in una prima fase far salire la temperatura in maniera molto graduale per effettuare la cosiddetta fase della tempera. Poi bisognava portare su la temperatura fino a circa mille gradi. L’esperienza insegnava ai vasai diversi stratagemmi per intuire la temperatura raggiunta e il livello di cottura dei prodotti all’interno della fornace. Oltre al colore dei pezzi e dei fumi, venivano a volte utilizzati dei piccoli oggetti chiamati provarelli: questi venivano collocati in punti della fornace facili da raggiungere ed estratti al momento opportuno per testare il livello di cottura.

Quanto alla durata della cottura, per i pezzi grandi e di maggiore spessore erano necessari anche tre giorni e altrettante notti di lavoro ininterrotto. Inevitabile per gli artigiani era darsi dei cambi, ed ancora una volta le donne facevano la loro parte.

Temistocle Reali: "Il forno arrivava a circa 1.000 gradi di caloria, tutto con la legna. La durata dipendeva da che tipo di materiale era dentro. Se c’erano per esempio i vasi grandi durava di più, se erano piccoli durava meno.

Ai pezzi bisognava dargli una tempra, non potevi dargli il fuoco immediato. Bisognava fare il fuoco lentamente per 8-10 ore, poi dopo piano piano si aumentava.

Si facevano i turni per vegliare il fuoco, e la notte la faceva sempre Mamma. Passate le 48 di fuoco la cottura era completa, E dopo il forno doveva stare quasi una settimana che si raffreddava. Dopo noi si apriva piano piano davanti e toglievamo i pezzi.

Poi io entravo dentro la buca di sotto dove si buttava la legna, e andavo a prendere la cenere, perché bisognava levarla. E allora Papà me ce mandava a me perché ero magro magro. E io tiravo fuori questa cenere.

Papà a un certo punto era diventato anziano ed aveva architettato di fare un'altra fornacetta più piccola. L’ha fatta lui in miniatura. Con questa si finiva prima: con 7-8 ore di cottura si faceva.”

Ede Napoletti: "Si fa fuoco da sotto, da quella buca li. Prima coi ceppi, con la legna irta, fino a che gli si da la tempera. Poi si chiude la buca grande e si apre quest’altra buchetta. E da qui si mette la legna piccola. Una volta per risparmiare si metteva anche la sansa delle olive. Perché la buttavano via, non costava niente, e allora la andavamo a prendere.

Il tempo che ci vuole dipende da che vasi: se lei inforna quei vasi grandi che vede li, quelli vanno 70 ore notte e giorno. Servono sulle 70 o 65 ore, dipende dalla qualità della legna. Il mio figliolo e mio nipote fanno mezza nottata per ciascuno.

Per la tempera ai vasi grandi ci vogliono 30 ore di fuoco basso, piano piano. E invece quell’altri 20 ore, 10 ore, 8 ore, secondo lo spessore dei vasi.

Noi andiamo sui 1.000 gradi di cottura. Altrimenti il coccio è cotto relativamente, non ha quella resistenza. Invece se lei suona un vaso mio è come il ferro, c’ha un suono argentino.

Adesso controlliamo la temperatura con la termocoppia che avemo messo. Mentre una volta facevamo coi provarelli. Si mettevano nel forno questi piccoli oggetti con lo smalto. Poi si levava il provarello dal forno usando uno spiedo. Quando era cotto lo smalto lucido era cotta anche la fornace.”

Solo in alcuni casi era necessario infornare i pezzi nuovamente per dar loro il “secondo fuoco”. Né Ripabianca ne Montefalco avevano una tradizione consolidata relativamente alla decorazione dei pezzi. Ovviamente per quanto riguarda gli utensili da cucina era necessario impermeabilizzarli dando al biscotto una mano di cristallina.

Ede Napoletti: “Noi facciamo solo terrecotte grezze, la tradizione qui è il grezzo. Se fa qualcosa di smaltato ma roba piccola. Se questi vasi li facciamo smaltati gli leviamo tutto: la tradizione nostra è quella, non possiamo uscirne.”

Temistocle Reali: “A certi pezzi, come le caraffe per l’acqua, si metteva la vernice che facevamo noi con il piombo. Perché il biscotto è poroso, se gli metti l’acqua fuoriesce. E allora con la vernice interna si saldava tutto.”

Le fiere di paese

Fondamentali erano per l’economia delle botteghe le fiere dove gli stessi artigiani vendevano i propri pezzi.

Temistocle Reali: “Facevamo le fiere di Foligno. Quella del 15 settembre abbinata con la Quintana[5] era la fiera grande. Poi c’era anche la fiera di San Feliciano, a gennaio.

Facevamo solo queste 2 fiere, e ci rimettevano un po’ in sesto economicamente. Andavamo direttamente noi a vendere.

Ci spostavamo con il cavallo. Non era nostro, ce lo prestavano, ma Papà era bravo a maneggiarla questa bestia. Anche io andavo, e dormivamo per terra. Mettevamo sotto un po’ di paglia e si dormiva.”

Ede Napoletti: “Si andava alle fiere col carretto e col cavallo. Si facevano anche i mercatini rionali, ma le fiere grandi erano Foligno, Spoleto, Santa Maria degli Angeli, Cannara, Spello.

Col cavallo dovevi farti la notte e arrivare la mattina alla fiera, perché Spoleto siamo a 44 km.”

La Signora Napoletti mostra poi di essere particolarmente attaccata alle fiere. Pur avendo passato i 90 anni Ede conserva una invidiabile vitalità, e non rinuncia a portare in giro i suoi vasi.

Ede Napoletti: “Io sono troppo affezionata alle fiere. Quando arrivo dovete vedere quanto mi vogliono bene, in quanti mi abbracciano e mi salutano! Mi è piaciuto sempre andarci, e ringraziando Iddio continuo ancora. Certo, col camion è tutta un'altra cosa!

I cavalieri e gli altri fischietti

I fischietti realizzati in quest’area del perugino erano di fattura piuttosto semplice. Normalmente il biscotto era lasciato grezzo, o al limite la decorazione consisteva in una semplice invetriatura. Anche la varietà di soggetti prodotti era limitata. Il fischietto più comune e più famoso di questa zona dell’Umbria è senz’altro il cavallo, con o senza il cavaliere. Ma si producevano anche le forme del gallo, l'ocarina, un richiamo da caccia.

Prevalentemente si trattava di fischietti modellati a mano. Facevano eccezione i soldati a cavallo, per i quali modellare i particolari dell'uniforme avrebbe richiesto una quantità di tempo eccessiva. In questo caso ad esempio nella bottega Reali venivano usati degli stampi per realizzare varie tipologie di soldati che venivano collocati sopra i cavalli modellati a mano. Si trattava di stampi monovalva, ed ovviamente i cavalieri avevano il retro piatto.

Per forme e tipo di decorazione questi fischietti ricordano da vicino quelli di altre zone dell'Umbria (Ficulle), ma anche di altre regioni del centro Italia, come Montelupo in Toscana o la Tuscia laziale (Vasanello, Vetralla).

Temistocle Reali: "Papà faceva il cavallo che gli fischiava dietro il sedere. Il sopra, il cavaliere, che era un bersagliere oppure un altro soldato, era fatto con lo stampino. E poi faceva il galletto e per qualche amico cacciatore faceva anche quello per richiamare le tortore. Questi fischietti senz’altro li facevano anche il Nonno ed il Bisnonno.”

Ede Napoletti: "Mio marito faceva i fischietti, ed ho imparato da lui. Allora facevano le ocarine, le trombette, il cavallo. Adesso li vogliono tutti con il cavaliere e abbiamo inserito i cavalieri.

Di solito a fare queste cose uno ci si mette più l’inverno che ha più tempo e non sta tanto in giro. E ti dedichi a fà qualcosina.Poi li cuocevamo a legna, anche perchè vanno coi vasi, va tutto insieme.

Dopo sono morti i vecchi e nessuno più dei figli ha continuato. A Ripabianca ci sono solo io che faccio fischietti, e a Deruta non c’è nessuno più che li fa.

A Torgiano hanno smesso del tutto. Ci sono rimasti due artigiani ma fanno più che altro pentole da fuoco, queste cose qui. Nessuno più ha fatto i fischietti. Così a Montefalco: morto Reali non ci sono più fischietti, perché nessuno ha imparato.

Invece qui abbiamo la fortuna di seguitare, perché mio figlio Silvestro li fa meglio di me, ha imparato. Anche se io un tocco glie lo do sempre. Si è appassionato, e così seguiterà la mia tradizione."

La principale occasione di vendita dei fischietti erano le fiere di paese, dove i fischietti - insieme alle campanelle e alle miniature di utensili da cucina - rappresentavano i giocattoli più ambiti dai bambini.

Temistocle Reali:I fischietti erano per i ragazzini, mentre per le bambine si facevano i brocchettini piccoli: mio Papà faceva lo scolatore per la pasta, il tegame, la marmitta.

Portavamo tutto alle fiere, e qualche fischietto si vendeva dentro casa. A quell’epoca potevano costare 10-15 lire, era la cosa che costava di meno. Era alla portata di tutti il fischietto."

Ede Napoletti: “Li vendevamo sulle piazze, c’erano proprio le bancarelle coi fischietti. Prima erano giocattoli, li compravano per i bambini. Non avevano st’importanza che hanno adesso.

Se un vaso costava 100 lire, un fischietto costava forse 1 lira, 50 centesimi. Poi mica se ne facevano tanti...Eran più che altro le persone anziane che non facevano altro, e allora mettevano su quella bancarellina di 2 metri con tutti ‘sti fischietti. E poi anche le campanelle. Ci son dei paesi che facevano la festa tradizionale della campanella.”

Oltre l’artigianato

E' importante sottolineare che negli ultimi decenni di attività, Anna Boni ebbe la possibilità di rivelare le sue doti di artista istintiva e popolare. Forse perchè più libera da incombenze legate alla cura ed alla sussistenza economica della propria famiglia, in questo periodo dette sfogo a tutta la sua creatività nella modellatura di vere e proprie sculture di terracotta, con o senza modulo sonoro. Il figlio Temistocle ci mostra la discreta collezione di questi pezzi che ancora conserva.

Temistocle Reali: "La Mamma ha iniziato a modellare nel 1961-62. Faceva delle vere sculture, anche senza scuola, perché mia Mamma c’aveva la terza elementare.

Papà non sapeva modellare, però alla Mamma non gli ha mai dato soddisfazione: diceva che lei non era una vera cocciara: solo lui sapeva usare il tornio! Papà era una persona di spirito, erano battute spiritose che lui faceva.

Questa è tutta roba di Mamma: ha fatto i ritratti di Garibaldi, Bixio, Moro. Mamma era molto devota e faceva anche figure religiose. Ha fatto Gesù Cristo, l’ultima cena, San Francesco che scaccia il diavolo, Santa Chiara, l’Anninciazione, il Papa Luciani.

Ha fatto le fasi di lavorazione della creta: questo è dove si batte la creta con la verga di ferro, e questo è dove si impasta. Ha fatto i buoi quando caricavano le uve per la vendemmia.

Questi devono essere Adamo ed Eva, e questi Giulietta e Romeo.

Si è fatta il ritratto da sola, e ha fatto anche il Papà.

Mamma faceva molti fischietti: faceva vari animali come le tartarughe, il bue, il pinguino. Le piaceva anche firmarli, ecco: Anna Boni Reali.

Anche i santi avevano il fischio, ma per la verità io dopo l’ho levato. Non mi piaceva tanto che avessero il fischio di dietro. Delle volte glie lo dicevo: Mamma, che fai con questo fischio!

Faceva solo il grezzo. Però qualcuno richiedeva dei pezzi pitturati, e allora la pittura la faceva un pittore. Però secondo me quando gli metti la vernice li rovini.

Quando mia Mamma era anziana gli estimatori venivano a trovarla da tutta Italia e anche dall’estero. Ho anche delle lettere di molti studiosi di arte popolare che si sono interessati. A casa era sempre un via vai.

Mia Mamma è stata anche chiamata a insegnare alle scuole: la chiamavano per insegnare a modellare la terracotta. E pensare che non c’aveva neanche la licenza elementare!"

Quanto a Ede Napoletti, gli appassionati di ceramica popolare le hanno tributato numerosissimi riconoscimenti. Nel 1993 a lei è andata la vittoria della prima Biennale Internazionale del Fischietto in Terracotta di Canove - sicuramente la rassegna più importante del settore. E più di recente la Biennale dei Fischietti Città di Matera le ha tributato un premio per il fischietto tradizionale nell’ambito della II edizione del 2010.

Le nuove leve dei fischietti al femminile

Il modo migliore di terminare queste note sui fischietti al femminile è probabilmente quello di menzionare alcune delle donne che - al pari dei colleghi di sesso maschile - hanno reinventato la tradizione del fischietto dando a questa una piena dignità artistica. In questo senso c'è solo l'imbarazzo della scelta: Paola Biancalana a Ficulle, Nicoletta Paccagnella a Nove, Maria Bruna Festa a Matera, Nagase Hiroko a Lecce, sono tutte autrici apprezzate e che hanno fatto della ceramica fischiante il centro della loro ricerca ceramica.

NOTE

[1] Anna Boni e Lorenzo Reali sono scomparsi rispettivamente nel 2002 e nel 1992.

[2] Si veda ad esempio Francesca Sgrò, “I produttori dei fischietti di terracotta: aspetti di culture artigiane”, in Paola Piangerelli (cur.), La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio – la collezione dei fischietti in terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1995

[3] Si veda L. Scuro, M. G. Scuro, R. Zaltron, Mario Scuro – quaderni delle ceramiche fischianti 1, Cucari Veneti 2005.

[4] Si Veda F. Sgrò, op. cit.; Stella Adinolfi e Vincenza erano rispettivamente moglie e figlia del vasaio Armando Cantucci.

[5] La Giostra della Quintana è un torneo cavalleresco ed una manifestazione storica in costume che si svolge a Foligno la cui esistenza è documentata dal secolo XV.

FOTO

1. Ede Napoletti (foto di Paolo Loforti)

2. Fischietto di Anna Boni (bersagliere a cavallo)

3. Anna Boni e Lorenzo Reali (foto Famiglia Reali)

4. Fischietto di Ede Napoletti (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)

5. La fornace attualmente in uso presso la ditta Berti

6. Antica bottega Reali (foto Famiglia Reali)

7. Provarello

8. Fischietto di Lorenzo Reali (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)

9. Sculture di Anna Boni (carabinieri e Vittorio Emanuele)

Testi di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie a Massimiliano! il articolo è molto interessante!Ci vediamo. Rachel, Tierra Viva

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