Memorie e Suoni di Terra
conversazioni con i maestri artigiani costruttori di fischietti in terracotta
Nei paesi della provincia di Perugia dove una volta erano radicate le botteghe di vasai, sono state due donne le ultime artigiane a portare avanti la produzione di fischietti in terracotta: si tratta di Anna Boni e Ede Napoletti. Ce ne parlano la stessa Signora Ede e Temistocle Reali - figlio di Anna e di suo marito Lorenzo Reali.[1]
Temistocle Reali: “Anche Mamma aveva imparato a fare i fischietti, così li facevano sia lei che Papà. Mamma, però era più virtuosa.”
Il ruolo delle donne nella ceramica popolare
Da questo punto di vista ci sono molti esempi documentati: a Nove (Vicenza), Antonia Scuro – moglie di Giacomo e mamma di Mario - era particolarmente abile nel modellare le parti fischianti da applicare poi ai cuchi fatti a stampo; [3] a Pignataro di Broccostella (Frosinone), la modellatura dei fischietti era addirittura una mansione prettamente femminile, portata avanti fino ai primi anni ’80 da Stella Adinolfi e dalla figlia Vincenza Santucci.[4]Ma torniamo alla tradizione dei vasai nella provincia di Perugia. A Montefalco e Torgiano fino a pochi decenni fa erano numerose le botteghe dei vasai. E se Deruta è nota sin dalla prima metà del ‘500 per la produzione di ceramica colta, la frazione di Ripabianca era specializzata già nell’800 nella modellatura di terrecotte non decorate.
Due botteghe artigiane tra passato e presente
In questo contesto fatto di piccole botteghe a gestione famigliare, si inseriscono le vicende di Anna Boni ed Ede Napoletti. Entrambe si maritarono con artigiani vasai che avevano alle spalle una solida tradizione famigliare: la prima sposò Lorenzo Reali, che aveva la sua bottega a Montefalco, mentre Ede Napoletti sposò Umbero Berti, vasaio di Ripabianca.
Io ho fatto il vasaio fino alla classe terza media, lavoravo con il tornio. Quando ho smesso avevo 18-19 anni. Ho discusso con mio Papà perché lui voleva che io continuassi. Ma il lavoro non era redditizio. Volevo formarmi una famiglia e mi serviva il famoso posto fisso. E allora me ne sono andato. E mio Papà ha continuato da solo.
La fornace a legna che usiamo adesso è rifatta, mentre quella è antica. Io penso che sia senz’altro dell’800 o dei primi del ‘900. Hanno fatto anche degli studi e dicono che è una delle fornaci più antiche in assoluto."
L'estrazione e la preparazione dell'argilla
Invece la terra nostra che scavamo giù al terreno è questa. C’è tanta lavorazione da fare: bisogna romperla a mano con il martello, poi si mette a bagno, poi si passa sui rulli per farla fina, e poi va all’impastatrice. E dopo è pronta."
Poi dopo questa roba si metteva ad asciugare e bisognava stare attenti che l’inverno non gelava e che l’estate non veniva tanto sole - perché se no dopo crepavano."
Uno dei passaggi più impegnativi e che richiedevano maggiore esperienza ed abilità era per le botteghe di vasai quello della cottura dei pezzi. Temistocle Reali ed Ede Napoletti ci illustrano come è fatta una fornace a legna e come vengono disposti all’interno i pezzi. Il primo si aiuta in questa spiegazione mostrandoci alcune vecchie foto della fornace di famiglia a Montefalco, mentre la seconda ci porta a visitare le sue due fornaci: la prima è quella storica della bottega Berti, la seconda è quella più recente e più piccola, ma costruita in maniera assolutamente aderente alla tradizione.
Nella camera c’erano 12 fori, così quando aumentavamo il fuoco le fiamme andavano fuori da questi spiragli. Altrimenti se è tutto sigillato scoppia .”
Per cuocere i pezzi senza che si rompessero era necessario in una prima fase far salire la temperatura in maniera molto graduale per effettuare la cosiddetta fase della tempera. Poi bisognava portare su la temperatura fino a circa mille gradi. L’esperienza insegnava ai vasai diversi stratagemmi per intuire la temperatura raggiunta e il livello di cottura dei prodotti all’interno della fornace. Oltre al colore dei pezzi e dei fumi, venivano a volte utilizzati dei piccoli oggetti chiamati provarelli: questi venivano collocati in punti della fornace facili da raggiungere ed estratti al momento opportuno per testare il livello di cottura.
Temistocle Reali: "Il forno arrivava a circa 1.000 gradi di caloria, tutto con la legna. La durata dipendeva da che tipo di materiale era dentro. Se c’erano per esempio i vasi grandi durava di più, se erano piccoli durava meno.
Ai pezzi bisognava dargli una tempra, non potevi dargli il fuoco immediato. Bisognava fare il fuoco lentamente per 8-10 ore, poi dopo piano piano si aumentava.
Si facevano i turni per vegliare il fuoco, e la notte la faceva sempre Mamma. Passate le 48 di fuoco la cottura era completa, E dopo il forno doveva stare quasi una settimana che si raffreddava. Dopo noi si apriva piano piano davanti e toglievamo i pezzi.
Papà a un certo punto era diventato anziano ed aveva architettato di fare un'altra fornacetta più piccola. L’ha fatta lui in miniatura. Con questa si finiva prima: con 7-8 ore di cottura si faceva.”
Ede Napoletti: "Si fa fuoco da sotto, da quella buca li. Prima coi ceppi, con la legna irta, fino a che gli si da la tempera. Poi si chiude la buca grande e si apre quest’altra buchetta. E da qui si mette la legna piccola. Una volta per risparmiare si metteva anche la sansa delle olive. Perché la buttavano via, non costava niente, e allora la andavamo a prendere.
Per la tempera ai vasi grandi ci vogliono 30 ore di fuoco basso, piano piano. E invece quell’altri 20 ore, 10 ore, 8 ore, secondo lo spessore dei vasi.
Adesso controlliamo la temperatura con la termocoppia che avemo messo. Mentre una volta facevamo coi provarelli. Si mettevano nel forno questi piccoli oggetti con lo smalto. Poi si levava il provarello dal forno usando uno spiedo. Quando era cotto lo smalto lucido era cotta anche la fornace.”
Solo in alcuni casi era necessario infornare i pezzi nuovamente per dar loro il “secondo fuoco”. Né Ripabianca ne Montefalco avevano una tradizione consolidata relativamente alla decorazione dei pezzi. Ovviamente per quanto riguarda gli utensili da cucina era necessario impermeabilizzarli dando al biscotto una mano di cristallina.
Temistocle Reali: “A certi pezzi, come le caraffe per l’acqua, si metteva la vernice che facevamo noi con il piombo. Perché il biscotto è poroso, se gli metti l’acqua fuoriesce. E allora con la vernice interna si saldava tutto.”
Le fiere di paese
Fondamentali erano per l’economia delle botteghe le fiere dove gli stessi artigiani vendevano i propri pezzi.
Facevamo solo queste 2 fiere, e ci rimettevano un po’ in sesto economicamente. Andavamo direttamente noi a vendere.
Ede Napoletti: “Si andava alle fiere col carretto e col cavallo. Si facevano anche i mercatini rionali, ma le fiere grandi erano Foligno, Spoleto, Santa Maria degli Angeli, Cannara, Spello.
Col cavallo dovevi farti la notte e arrivare la mattina alla fiera, perché Spoleto siamo a
Ede Napoletti: “Io sono troppo affezionata alle fiere. Quando arrivo dovete vedere quanto mi vogliono bene, in quanti mi abbracciano e mi salutano! Mi è piaciuto sempre andarci, e ringraziando Iddio continuo ancora. Certo, col camion è tutta un'altra cosa!
I fischietti realizzati in quest’area del perugino erano di fattura piuttosto semplice. Normalmente il biscotto era lasciato grezzo, o al limite la decorazione consisteva in una semplice invetriatura. Anche la varietà di soggetti prodotti era limitata. Il fischietto più comune e più famoso di questa zona dell’Umbria è senz’altro il cavallo, con o senza il cavaliere. Ma si producevano anche le forme del gallo, l'ocarina, un richiamo da caccia.
Prevalentemente si trattava di fischietti modellati a mano. Facevano eccezione i soldati a cavallo, per i quali modellare i particolari dell'uniforme avrebbe richiesto una quantità di tempo eccessiva. In questo caso ad esempio nella bottega Reali venivano usati degli stampi per realizzare varie tipologie di soldati che venivano collocati sopra i cavalli modellati a mano. Si trattava di stampi monovalva, ed ovviamente i cavalieri avevano il retro piatto.
Temistocle Reali: "Papà faceva il cavallo che gli fischiava dietro il sedere. Il sopra, il cavaliere, che era un bersagliere oppure un altro soldato, era fatto con lo stampino. E poi faceva il galletto e per qualche amico cacciatore faceva anche quello per richiamare le tortore. Questi fischietti senz’altro li facevano anche il Nonno ed il Bisnonno.”
Ede Napoletti: "Mio marito faceva i fischietti, ed ho imparato da lui. Allora facevano le ocarine, le trombette, il cavallo. Adesso li vogliono tutti con il cavaliere e abbiamo inserito i cavalieri.
Di solito a fare queste cose uno ci si mette più l’inverno che ha più tempo e non sta tanto in giro. E ti dedichi a fà qualcosina.Poi li cuocevamo a legna, anche perchè vanno coi vasi, va tutto insieme.
Dopo sono morti i vecchi e nessuno più dei figli ha continuato. A Ripabianca ci sono solo io che faccio fischietti, e a Deruta non c’è nessuno più che li fa.
A Torgiano hanno smesso del tutto. Ci sono rimasti due artigiani ma fanno più che altro pentole da fuoco, queste cose qui. Nessuno più ha fatto i fischietti. Così a Montefalco: morto Reali non ci sono più fischietti, perché nessuno ha imparato.
La principale occasione di vendita dei fischietti erano le fiere di paese, dove i fischietti - insieme alle campanelle e alle miniature di utensili da cucina - rappresentavano i giocattoli più ambiti dai bambini.
Temistocle Reali: “I fischietti erano per i ragazzini, mentre per le bambine si facevano i brocchettini piccoli: mio Papà faceva lo scolatore per la pasta, il tegame, la marmitta.
Portavamo tutto alle fiere, e qualche fischietto si vendeva dentro casa. A quell’epoca potevano costare 10-15 lire, era la cosa che costava di meno. Era alla portata di tutti il fischietto."
Ede Napoletti: “Li vendevamo sulle piazze, c’erano proprio le bancarelle coi fischietti. Prima erano giocattoli, li compravano per i bambini. Non avevano st’importanza che hanno adesso.
Se un vaso costava 100 lire, un fischietto costava forse 1 lira, 50 centesimi. Poi mica se ne facevano tanti...Eran più che altro le persone anziane che non facevano altro, e allora mettevano su quella bancarellina di
Oltre l’artigianato
Temistocle Reali: "
Papà non sapeva modellare, però alla Mamma non gli ha mai dato soddisfazione: diceva che lei non era una vera cocciara: solo lui sapeva usare il tornio! Papà era una persona di spirito, erano battute spiritose che lui faceva.
Questa è tutta roba di Mamma: ha fatto i ritratti di Garibaldi, Bixio, Moro. Mamma era molto devota e faceva anche figure religiose. Ha fatto Gesù Cristo, l’ultima cena, San Francesco che scaccia il diavolo, Santa Chiara, l’Anninciazione, il Papa Luciani.
Ha fatto le fasi di lavorazione della creta: questo è dove si batte la creta con la verga di ferro, e questo è dove si impasta. Ha fatto i buoi quando caricavano le uve per la vendemmia.
Questi devono essere Adamo ed Eva, e questi Giulietta e Romeo.
Si è fatta il ritratto da sola, e ha fatto anche il Papà.
Mamma faceva molti fischietti: faceva vari animali come le tartarughe, il bue, il pinguino. Le piaceva anche firmarli, ecco: Anna Boni Reali.
Anche i santi avevano il fischio, ma per la verità io dopo l’ho levato. Non mi piaceva tanto che avessero il fischio di dietro. Delle volte glie lo dicevo: Mamma, che fai con questo fischio!
Faceva solo il grezzo. Però qualcuno richiedeva dei pezzi pitturati, e allora la pittura la faceva un pittore. Però secondo me quando gli metti la vernice li rovini.
Quando mia Mamma era anziana gli estimatori venivano a trovarla da tutta Italia e anche dall’estero. Ho anche delle lettere di molti studiosi di arte popolare che si sono interessati. A casa era sempre un via vai.
Mia Mamma è stata anche chiamata a insegnare alle scuole: la chiamavano per insegnare a modellare la terracotta. E pensare che non c’aveva neanche la licenza elementare!"
Quanto a Ede Napoletti, gli appassionati di ceramica popolare le hanno tributato numerosissimi riconoscimenti. Nel
Le nuove leve dei fischietti al femminile
Il modo migliore di terminare queste note sui fischietti al femminile è probabilmente quello di menzionare alcune delle donne che - al pari dei colleghi di sesso maschile - hanno reinventato la tradizione del fischietto dando a questa una piena dignità artistica. In questo senso c'è solo l'imbarazzo della scelta: Paola Biancalana a Ficulle, Nicoletta Paccagnella a Nove, Maria Bruna Festa a Matera, Nagase Hiroko a Lecce, sono tutte autrici apprezzate e che hanno fatto della ceramica fischiante il centro della loro ricerca ceramica.
[1] Anna Boni e Lorenzo Reali sono scomparsi rispettivamente nel 2002 e nel 1992.
[2] Si veda ad esempio Francesca Sgrò, “I produttori dei fischietti di terracotta: aspetti di culture artigiane”, in Paola Piangerelli (cur.), La terra, il fuoco, l’acqua, il soffio – la collezione dei fischietti in terracotta del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1995
[3] Si veda L. Scuro, M. G. Scuro, R. Zaltron, Mario Scuro – quaderni delle ceramiche fischianti 1, Cucari Veneti 2005.
[4] Si Veda F. Sgrò, op. cit.; Stella Adinolfi e Vincenza erano rispettivamente moglie e figlia del vasaio Armando Cantucci.
[5] La Giostra della Quintana è un torneo cavalleresco ed una manifestazione storica in costume che si svolge a Foligno la cui esistenza è documentata dal secolo XV.
FOTO
1. Ede Napoletti (foto di Paolo Loforti)
2. Fischietto di Anna Boni (bersagliere a cavallo)
3. Anna Boni e Lorenzo Reali (foto Famiglia Reali)
4. Fischietto di Ede Napoletti (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)
5. La fornace attualmente in uso presso la ditta Berti
6. Antica bottega Reali (foto Famiglia Reali)
7. Provarello
8. Fischietto di Lorenzo Reali (collezione Museo dei Cuchi di Cesuna)
9. Sculture di Anna Boni (carabinieri e Vittorio Emanuele)
Testi di Massimiliano Trulli massitrulli@gmail.com - riproduzione vietata
1 commento:
Grazie a Massimiliano! il articolo è molto interessante!Ci vediamo. Rachel, Tierra Viva
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