Con questo post iniziamo una serie di pezzi dedicati ai Cucari del Veneto. E' il nostro modo di prepararci alla 10° Biennale Internazionale del Fischietto in Terracotta che si terrà a Canove di Roana a partire dal 24 aprile 2011. Buona lettura!
Succede spesso che un passaggio generazionale porti nel volgere di pochissimi anni alla perdita di un prezioso patrimonio di memorie e tradizioni che magari erano state custodite da quella famiglia e da quel territorio per secoli interi. Non è questo il caso degli Scuro di Nove, dove Luigi ha conservato con cura e dedizione le memorie di una famiglia impegnata da generazioni nella lavorazione della terracotta e nella realizzazione dei cuchi, i tradizionali fischietti veneti. E allora Luigi accetta di buon grado di parlarci di quella tradizione di cui lui è discendente diretto. E comincia parlandoci di questo paese del vicentino nel quale da circa trecento anni la produzione ceramica rappresenta il fulcro dell’economia, e dove fino a poche decine di anni fa buona parte dei novesi, donne e uomini, erano impiegati in questo settore.
I cucari di Nove
“I miei antenati erano ceramisti, naturalmente, perché la tradizione novese è questa. Si fa fatica a trovare famiglie di qui che non abbiano avuto a che fare con la ceramica, si fa molta fatica.”
Ovviamente nessun novese era cucaro a tempo pieno: lavoravano come modellatori, addetti alla fornace, vasai, stampatori, eccetera. Oggi il modello produttivo locale è fatto di piccole botteghe artigiane, ma allora lavorare come ceramisti significava essere impiegati come operai in grandi fabbriche: “Prima degli anni ‘30 c’erano 5 o 6 ditte grosse che impiegavano centinaia di operai. Allora avere un forno era impegnativo, perchè i forni andavano a legna, erano forni enormi. Adesso è più facile mettersi in proprio, perché acquisti un fornetto e lo riempi con una piccola quantità di pezzi.”
A margine di questo lavoro nelle fabbriche, c’era la produzione di cuchi,[1] che serviva per arrotondare la paga. Luigi ci racconta nel dettaglio fasi e tecniche di produzione: “I cuchi erano considerati dai ceramisti una produzione di secondo piano. Li facevano soltanto se gli rimaneva del tempo, e usavano soltanto materiale povero, rimanenze che avevano a disposizione. Si facevano di solito con la terra rossa usata per fare le pentole, le pignatte. Questa argilla se la preparavano da soli, anche perché all’epoca la materia prima costava molto di più di oggi in proporzione al prezzo di vendita degli oggetti. Non era un’argilla tanto pura, ma per fare questi oggetti qua la facevano andare bene. Se la procuravano in delle piccole cave vicino al paese. Raccoglievano un po’ di argilla e la mettevano a decantare con l’acqua in una buca che si facevano nell’orto di casa. Dopodichè la raccoglievano, veniva un po’ depurata, poi la mettevano ad asciugare e la usavano per fare i fischietti”.
I pezzi venivano cotti in rudimentali piccoli forni costruiti con mattoni a secco dentro al caminetto della cucina, appoggiati a uno dei due stipiti. Dentro se ne potevano ammucchiare un centinaio di dimensioni medio-piccole.[2] “Durante la cottura si arrivava a 700 gradi, non di più. Non è che con un forno casalingo si potesse arrivare molto al di sopra di queste temperature. Di conseguenza l’oggetto era più fragile, e tendeva ad assorbire l’umidità ed anche il colore.
Poi, una volta cotti, i fischietti venivano decorati a freddo. Sicuramente i colori utilizzati non erano molto resistenti: molti se li fabbricavano con delle terre naturali, e per farli tenere di più li mescolavano con un po’ di colla di pesce oppure usavano un po’ di latte. Oppure si usavano i colori da muro. Soltanto dopo, negli anni 60 i cucari hanno cominciato a fare oggetti più grandi e ricercati, e hanno iniziato usare gli smalti.”[3]
Nonno Giacomo e Nonna Antonia Scuro
Dopo questa introduzione generale sui cucari di Nove, chiediamo a Luigi di parlarci in maniera più specifica della produzione di cuchi nella sua famiglia E lui non deve faticare più di tanto a scavare tra ricordi sbiaditi per soddisfare la nostra curiosità: l’interesse e la dedizione verso questa tradizione lo hanno spinto a dedicarsi negli anni - insieme alla sorella Maria Gemma - ad un approfondito lavoro di ricerca sulla storia della sua famiglia e sulle forme dei cuchi prodotti dagli Scuro.[4] “Posso dire con certezza che nella mia famiglia i cuchi li faceva già il mio Bisnonno. E’ probabile che la tradizione dei cuchi nella mia famiglia sia ancora più antica, ma non è documentato. Sul Bisnonno invece c’è una testimonianza orale di Nonno, che mi raccontava di come suo Padre facesse i cuchi nella contrada di Silan.
Del lavoro di mio Nonno mi ricordo poco, purtroppo: ero proprio piccolo all’epoca. Lui di mestiere lavorava ai forni, e sapeva usare anche il tornio. Dei cuchi faceva lui sia le figure che la parte fischiante. Li faceva prevalentemente in casa, anche se si dice che anticamente i cucari modellassero spesso durante i turni alle fornaci. Stavano svegli la tutta la notte a vegliare il fuoco, e solo di quando in quando dovevano aggiungere la legna oppure controllare la temperatura. Quindi gli rimaneva tempo sufficiente per fare oggettini così.
Dopo la crisi mondiale del ’29-30, il lavoro nelle fabbriche era diminuito, ed allora per guadagnare qualcosa in più Nonno si dedicò in maniera più continua a produrre i fischietti.
Era molto veloce a modellarli, aveva molta manualità, e in casa tutta la famiglia partecipava alla produzione. Mi ricordo ancora la casa dove Nonno lavorava. Avevano costruito una piccola fornace nell’orto, fatta con i mattoni, ed un’altra in casa, nel camino. E poi in giardino c’era una buca per fare decantare la creta. Quindi tutta la produzione avveniva in famiglia”.
Come per altri centri di produzione dei fischietti, gli artigiani di Nove producevano cuchi che poi venivano venduti non solo nel paese, ma in tutte le sagre, le fiere, le feste patronali dei paesi circostanti. Lo smercio avveniva a cura degli stessi artigiani o tramite venditori ambulanti che li acquistavano all’ingrosso alla tariffa di 6 lire per 100 fischietti.
Una particolarità di queste zone era data dal fatto che spesso fossero i commercianti ambulanti di dolciumi a smerciare anche i cuchi. I cuchi venivano messi in sporte di paglia o ceste e trasportati con carrettini a mano. Solo in alcuni casi l’artigiano o l’intermediario aveva a disposizione un asino o un cavallo. Ad esempio per andare alla Sagra di San Simeone a Marostica si partiva all’alba, mentre per arrivare a Grisignano di Zocco, per la fiera del Soco, si doveva partire addirittura il giorno prima e pernottare in qualche fienile.[5]
Racconta Luigi: “Una volta pronti, i pezzi li smerciava mio Nonno direttamente, girando i vari paesetti qua intorno. Me lo raccontava mio Padre, che sin da bambino lo accompagnava spesso in questi viaggi. Poi iniziò a produrre i cuchi anche per degli intermediari, per dei commercianti che giravano le sagre. Compreso Giovanni Brunello di Mussolente.
Nonno ha continuato a fare i cuchi fino ai primi anni del dopoguerra, dopo di che non ne ha fatti più tanti. Fino al ’63, quando è scomparso, faceva qualche cosa se glie lo chiedevano. E non ha più girato le sagre”.
Luigi ha ricordi legati anche all’abilità di sua Nonna nel modellare la parte sonora dei fischietti. “Ricordo che quando ero molto piccolo – parliamo di 45-50 anni fa - c’era ancora un negozietto a Nove che vendeva frutta e verdura e in più aveva ‘sti cuchi. Li faceva una signora che mi ricordo già anziana quando ero bambino. E siccome mia Nonna era molto brava a far suonare i cuchi, questa signora le lasciava i cuchetti per aggiungere la parte fischiante. Ricordo che andavamo insieme al negozio di frutta e verdura e prendevamo una cassettina di cuchi. Mia Nonna se li portava a casa e li faceva suonare, ed in cambio riceveva qualche soldo. Facevano una serie di modelli a stampi, raramente modellavano i cuchi tutti a mano. Hanno smesso di venderli circa 30 anni fa, quando è morta questa signora”.
Giovanni Brunello
Luigi ci racconta anche di un personaggio tra i più amati dagli appassionati di fischietti, Giovanni Brunello di Mussolente. “Anche Brunello faceva le sagre, vendendo dolci e i cuchi che comprava da mio Nonno. Solo che lui lo faceva un po’ più in grande. Poi in un secondo momento[6] ha cominciato a fare i cuchi da sé ed ha avuto una sua storia importante come artigiano. Peraltro molti modelli che faceva lui erano modelli di mio Nonno. Io penso che spesso i cucari si facessero gli stampi a calco, utilizzando un pezzo finito di qualche altro artigiano. Facendo il calco sopra un fischietto finito, si perdevano alcuni particolari, alcune rifiniture. E questa è diventata la fortuna di Brunello, perché venivano fuori queste figure primitive molto belle a vedersi. Sono molto semplici, naif, ma anche molto espressive.
Penso che per farli usasse i materiali che trovava in giro: la creta, le terre che raccoglieva lui stesso o i colori che rimediava in qualche modo. E anche lui se li cucinava - come faceva anche mio Nonno - nella cucina, nel focolare.
Mi ricordo che nell’80 ci fu una famosa mostra sui fischietti a Vicenza.[7] Invitarono mio Padre e Brunello per fare delle dimostrazioni di come si facevano i cuchi, e c’era anche un mercatino dove si potevano vendere i pezzi. Andai anche io, e ricordo che Brunello aveva questi suoi oggetti che vendeva non so se a 1.000 o 2.000 lire. Iniziarono ad andare a ruba, ed il giorno dopo li vendeva per 3.000 lire. E la gente era li che protestava: ma come? Ieri costavano 2.000 e oggi 3.000! E pensare che oggi un collezionista se gli vendi un pezzo di Brunello per 100 euro non ci pensa neanche su. Se lo prende anche rotto!”.
I soggetti dei cuchi di Nove
Probabilmente il soggetto più noto della tradizione novese è il cuco che rappresenta un soldato napoleonico a cavallo di un galletto. E’ risaputo che questo soggetto abbia una precisa origine storica, risalente alle guerre napoleoniche. Nel 1796, il passaggio delle truppe francesi da Nove portò gravi danni alle colture, alle case, alla chiesa. Ma sopratutto a provocare risentimenti fu l’uccisione di alcuni abitanti da parte dei soldati. Fu allora che il malcontento popolare verso le truppe occupanti si espresse tramite l’arguta satira del fiero soldato messo a cavallo di un poco marziale galletto. Da allora il topos del soldato a cavallo del cuco è stato riprodotto in una infinita serie di varianti.
Secondo alcune ricerche,[8] altri soggetti tradizionali di Nove erano angeli, oseleti (uccellini), gaeti (galli), pavonsini (pavoni), bestiete (delle non ben definite - e proprio per questo affascinanti - “bestiole” a tre zampe), casette, angeli, gemelli (una coppia di bambini identici), arlecchin, e persino cuchi devozionali, con madonna e santi fischianti venduti durante le feste patronali.
Di antica tradizione è anche la così detta “cuca buffona”, un fischietto di fattura particolarmente raffinata e dotato di due fori di insufflazione che veniva utilizzato per delle burle. Soffiando in uno dei due si ottiene un normale fischio, ma se malauguratamente si sceglie il foro sbagliato si viene investiti da un getto di nerofumo - o di borotalco nella versione più innocua dello scherzo.
Ovviamente chiediamo a Luigi di raccontarci quali erano i soggetti del Nonno Giacomo e più in generale degli antichi cucari: “Mio Nonno faceva soprattutto i soggetti più tradizionali di queste parti. Ho fatto molte ricerche per vedere di individuare quelli che erano i suoi soggetti, ma non è facile trovare documentazione. In giro non si trova niente perché i cuchi erano oggetti destinati ai bambini, di poco valore, fatti di terra cotta male e dipinta a freddo. Quindi andavano presto rotti o si scolorivano, e venivano gettati.
Adesso se uno ha un cuco antico ci tiene, perché ne capisce la storia e il valore, ma fino a una trentina di anni fa non valevano niente. E i collezionisti hanno cominciato a raccogliere fischietti solo negli anni ’80. Molti anziani si ricordano ancora che c’erano questi personaggi che vendevano i cuchi, ma se poi chiedi loro informazioni più dettagliate difficilmente le ottieni.
Fortunatamente esiste una foto di uno degli ultimi banchetti che ha fatto mio Nonno. E si intravedono gli oggetti che lui faceva. Ho esaminato a lungo la foto per vedere se riuscivo a riconoscere i modelli. Si distingue poco, ma si vede il soldato, un arlecchino, si vede molto bene anche la bestieta. C’erano delle specie di istrioni, e dei gattini - questi ultimi probabilmente modellati da mio Padre. Comunque erano soggetti molto simili a quelli del Brunello, soltanto che erano lavorati meglio, in modo più rifinito.
Questa cuca buffona qua è l’unico oggetto che sono riuscito a recuperare di mio Nonno. Ne aveva lasciate 4 o 5, però grezze, in terra rossa. Le ha dipinte mia cugina successivamente.
Al Museo dei Cuchi di Cesuna c’è una raccolta di fischietti antichi che provengono da Nove, e probabilmente anche quelli son stati fatti da mio Nonno. E probabilmente ne sono sopravvissuti anche altri in giro, bisognerebbe cercare.”
Mario Scuro
Mario Scuro, padre di Luigi e figlio di Giacomo, è senza dubbio uno dei cucari di culto per appassionati e collezionisti. Consideriamo un privilegio poterne parlare con Luigi, che è certamente uno dei più approfonditi conoscitori del lavoro del Padre, dato che è stato non solo testimone, ma anche collaboratore della fase creativa che va dagli anni ’70 alla scomparsa di Mario.
Va premesso che nel secondo dopoguerra Nove vede un tracollo della produzione di cuchi e la stessa famiglia Scuro cessa la produzione. Questo a causa dell’avvento dei giocattoli industriali, ma anche della diminuzione delle sagre paesane. In paese rimane solo Severino Carraro ad assicurare la continuità.[9] “C’è stato un periodo di interruzione della produzione di cuchi della mia famiglia, da quando ha smesso mio Nonno a quando ha ricominciato mio Padre.
Mio padre ha fatto l’Istituto d’arte qui a Nove. Allora tutti i ceramisti che si inserivano nella produzione lavoravano in fabbrica di giorno e poi facevano questi corsi serali, dove imparavano molto bene a modellare ed a dipingere. Cominciavano abbastanza presto, perché dopo le elementari dovevano andare già a lavorare.
A differenza di Nonno, mio Padre era proprio un ceramista puro. E il discorso-cuco lo aveva un po’ lasciato perdere. Non si è mai impegnato a fare i cuchi per conto suo, li faceva quando suo Papà era in attività per dargli una mano. Faceva per lui modelli come il gattino, oppure il cagnolino, insomma dei modelli un po’ diversi da quelli tradizionali.
Mio Padre ha ripreso quindi a fare i cuchi dopo una ventina di anni di interruzione. Questo è avvenuto negli anni 70, quando qualcuno ha cominciato a chiederglieli. E non ha riprodotto da subito quelli della tradizione. Ha cominciato facendo pezzi più grandi, prevalentemente soggetti di sua creazione.
Dopo qualche anno qualcuno gli hanno chiesto di rifare quelli piccolini, com’erano un tempo, e lui ha fatto una serie di soldatini basandosi sulla sua memoria. I primi che ha fatto probabilmente erano abbastanza fedeli a quelli della sua infanzia. Poi in seguito deve avere preso spunto da qualche libro per le divise, quindi i pezzi sono diventati più raffinati ma si sono anche allontanati dalla tradizione. Il galletto e la bestieta se li ricordava molto bene, quindi quelli sicuramente li ha rifatti uguali a quelli di mio Nonno.
All’inizio andava nei laboratori per farseli cucinare, poi negli anni 80 si è preso un piccolo forno elettrico. Ha cominciato a dipingerli subito con colori ad acqua ragia. E poi si è spostato sull’acrilico, oppure su altre forme di colore. Mentre c’era il Carraro che usava ancora i colori naturali allungati con il latte, quindi molto più tenui.
Tra gli appassionati che hanno spinto perché riprendesse la tradizione dei cucari c’era il Professor Tonini,[10] che ogni tanto veniva da mio Padre e gli dava istruzioni…Perché lui non era un semplice collezionista, ma anche uno studioso di queste cose, ed un purista. Ci teneva che le cose venissero fatte secondo tradizione. Era proprio un bel personaggio!
Negli anni ‘70 il guadagno che si poteva ricavare dai cuchi era marginale. Per la verità è rimasta sempre una cosa marginale anche dopo, quando nell’83 mio Padre è andato in pensione ed ha iniziato a dedicargli più tempo. Anche se si era sviluppato il collezionismo e c’era un po’ più di mercato non è che ci fosse da arricchirsi. C’è anche da dire che il cuco è nato come oggetto usa e getta, quindi anche mio Padre quando faceva un fischietto non aveva la mentalità di pensare: sto facendo un oggetto che può valere. Soprattutto per gli oggetti più piccoli, che lui decorava a freddo, chiedeva forse 500 lire. Magari dava a questi oggetti un po’ di valore quando li smaltava e gli dava una certa rifinitura ceramica.[11]
E’ stato solo dopo che - parallelamente al collezionismo – sono venuti fuori una serie di autori che fanno pezzi artistici e che hanno anche un notevole valore. Poi mio Padre, come tutti i ceramisti, aveva la cultura dell’oggetto fatto in serie. In gran parte dei lavori in ceramica si fa un modello e poi se ne ricavava lo stampo per riprodurlo. E lui aveva ancora un po’ questa mentalità. Il galletto o la bestieta sono sempre fatti a mano, ma per i soldatini più piccoli lui si faceva lo stampo e dopo li riproduceva. Molto spesso dopo li rifiniva ed abbelliva a mano. Ad esempio mentre il soldatino piccolo è completamente fatto a stampo - uno uguale all’altro, se non per la colorazione - per i soldati un po’ più grandi faceva la base con lo stampo, quindi modellava a mano la faccia e in parte il vestito. Curava un po’ i particolari, di modo che venissero sempre uno un po’ diverso dall’altro.”
La continuità nella tradizione di famiglia
Lo stesso Luigi è un apprezzato cucaro. E non possiamo non terminare la nostra conversazione chiedendogli di parlarci della sua produzione.
Lui affronta l’argomento con grande modestia: “Anche io faccio i cuchi come li facevano mio Padre e mio Nonno, naturalmente per hobby, perché di lavoro faccio tutt’altro. Ho imparato perché mi divertivo a seguire mio Padre, a vedere come li faceva. A volte lo aiutavo a modellarne un certo numero, perché allora se ne vendevano anche abbastanza. Oppure lo aiutavo a dipingerli, o ancora li facevo suonare. Anche se trovate un cuco originale di mio Padre, potrebbe essere che l’ho fatto io, perché ho cominciato a farli 40 anni fa insieme a lui…Sicchè non è che i suoi fossero tanto diversi dai miei, non so chi riesca a riconoscere la differenza!
Però non ho mai avuto la velleità di mettermi a fare delle cose mie. Poi, dopo, quando lui è mancato, ho cominciato piano piano a farli. Un po’ per la richiesta, un po’ per delle casualità: ad esempio c’era mia sorella che si doveva sposare e mi chiesto di farle io le bomboniere di nozze. E allora mi sono messo a lavorare, e qualcosa faccio. Ho anche trovato un mio stile: mi sono molto staccato da quella che era la linea di mio Padre. Peraltro adesso io non lo uso quasi per niente lo stampo”.
Riferimenti Bibliografici
Giuseppe Luigi Scuro, Maria Gemma Scuro, Ruggero Zaltron, “Mario Scuro”, Cucari Veneti, quaderni della Ceramiche fischianti 1, 2006.
Nadir Stringa: “Spunti per una storia dei cuchi nel veneto”, in “A cavallo di…I cuchi a Scuola – atto secondo”, Istituto Statale d’Arte G. De Fabris di Nove, 1999.
Paola Piangerelli (cur.), “La Terra, il Fuoco, L’acqua, il Soffio la collezione di fischietti in terracotta del Museo nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma”, De Luca 1995.
Marzia Barbaro e Mario Brunetti, La terra che suona – Brevi annotazioni su una collezione”, in Sibilus - quaderni del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, volume 1, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo Caltagirone , 1993.
Mario Brunetti, “Le ceramiche popolari a fiato – viaggio nel veneto”, in I Fischietti in terracotta nella Tradizione Popolare Italiana, Maria Pacini Fazzi Editore 1989.
Andreina Ballarin (cur.), ”Ceramiche Popolari a Fiato di Tutto il Mondo”, Museo di Palazzo Chiericati - Vicenza, 1980.
I testi sono proprietà di Massimiliano Trulli, massitrulli@gmail.com, vietata la riproduzione. Le foto 1 (soldato napoleonico) e 4 (giostra con i cuchi) sono riprodotte per gentile concessione di Paolo Loforti, e la 2 (casetta con cuco) per gentile concessione della ex AAST di Caltagirone. La foto 3 (cuca buffona, di G. Scuro) è di M. Trulli e la foto 5 (cuco di L. Scuro) è presa dal sito web dei Cucari Veneti.
Note
[1] Le prime testimonianze di fischietti veneti oggi conosciute possono essere fatte risalire alla fine del ‘500-inizio ‘600, mentre per quanto riguarda il paese di Nove un cuco della seconda metà del ‘700 è conservato al Museo del locale Istituto d’Arte per la Ceramica. Sull’argomento esiste un ottimo saggio curato da Nadir Stringa: “Spunti per una storia dei cuchi nel veneto”, pubblicato nel 1999 sia all’interno del catalogo della mostra di fischietti “A cavallo di…I cuchi a Scuola – atto secondo”, tenutasi nell’Istituto Statale d’Arte di Nove dal 24 aprile al 30 maggio 1999, sia come estratto a se stante.
[2] N. Stringa, op. cit.
[3] Quella degli “arcicuchi” – ovvero pezzi unici di grandi dimensioni - è in quegli anni una tendenza che contribuisce in maniera decisiva al rilancio della tradizione dei cuchi veneti. L’idea nasce da Andrea Parini e Gino Barioli, rispettivamente direttore e presidente dell’Istituto di Arte Ceramica di Nove, che lanciano l’idea e organizzano fin dal 1962 manifestazioni dedicate.
[4] Questo lavoro di ricerca ha dato origine al volume “Mario Scuro”, Cucari Veneti, quaderni della Ceramiche fischianti 1, a cura di Giuseppe Luigi Scuro, Maria Gemma Scuro, Ruggero Zaltron, 2006.
5] N. Stringa, Op. Cit.
[6] Anche il volume a cura di Paola Piangerelli “La Terra, il Fuoco, L’acqua, il Soffio”, Museo nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, 1995, riferisce come Brunello abbia cominciato a modellare cuchi autonomamente proprio quando Giovanni Scuro smise di lavorare e di rifornirlo.
[7] Si tratta della mostra curata da Andreina Ballarin ed organizzata nel Museo di Palazzo Chiericati ”Ceramiche Popolari a Fiato di Tutto il Mondo” che si svolse dal dicembre 1980 al maggio 1981.
[8] Si vedano ad esempio i già citati volumi curati da Scuro e Piangerelli.
[9] Nadir Stringa, op. cit.
[10] Il Prof. Giovanni Maria Tonini è stato uno dei più autorevoli esperti e appassionati di cuchi veneti, e possedeva una splendida collezione di fischietti di tutto il mondo.
[11] Bisogna sottolineare che accanto ai fischietti tradizionali, dall’inizio degli anni ’70 Mario Scuro crea gli “arcicuchi” - pezzi unici di grandi dimensioni – tra i quali: bestie fantastiche, una giostrina con i cuchi, rielaborazioni del tema del soldato sul cuco, politici contemporanei”.
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