Con questo post inauguriamo una nuova rubrica dal titolo "Le Botteghe della Ceramica Sonora". A differenza della rubrica "Racconti e Suoni di Terra" - che i lettori del blog già conoscono e che riguarda gli artigiani tradizionali - si tratterà di una serie di interviste ad artisti che hanno saputo reinventare e rinnovare questa tradizione dei fischietti in terracotta.
Buona lettura!
Bisogna riconoscere che il momento scelto era stato infelice: è domenica mattina quando cerchiamo Giovanni Fisco e Vincenzo Arena per chiedere loro di parlarci dei fischietti e delle ceramiche di Sciacca. Così troviamo le loro botteghe chiuse, così come buona parte di quelle del centro storico. Per fortuna ci vengono incontro la grande ospitalità e gentilezza di questi artigiani: contattati telefonicamente, entrambi accettano di buon grado di incontrarci e di aprire apposta per noi la loro bottega. E c’è di più: fattasi ora di pranzo tra una chiacchiera e l’altra, Giovanni non esita a invitarci a casa sua per continuare a discutere davanti a un piatto di pasta con i pistacchi.
Dopo avere parlato nei precedenti post di Caltagirone e delle sue ceramiche fischianti, ci sembra doveroso soffermarci anche su un altro importante centro produttivo della Sicilia, come Sciacca (Agrigento). Lo facciamo ancora una volta dando voce ad alcuni degli artigiani più bravi ed apprezzati dagli amanti dei fischietti in terracotta, come sono appunto Arena e Fisco.
Sciacca e la sua antichissima tradizione nella lavorazione della terracotta
Una delle prime cose che Giovanni Fisco ci spiega è che ci troviamo in una terra che da secoli incrocia la sua storia con quella della lavorazione della creta.
“Io non sono uno studioso, ma dicono che la tradizione nella produzione di terracotta a Sciacca è anche precedente a quella di Caltagirone. Anche perché qui c’è il mare e gli arabi arrivarono prima, portando le loro tecniche e dando nuovo impulso all’attività artigianale.”
Dopo avere parlato nei precedenti post di Caltagirone e delle sue ceramiche fischianti, ci sembra doveroso soffermarci anche su un altro importante centro produttivo della Sicilia, come Sciacca (Agrigento). Lo facciamo ancora una volta dando voce ad alcuni degli artigiani più bravi ed apprezzati dagli amanti dei fischietti in terracotta, come sono appunto Arena e Fisco.
Sciacca e la sua antichissima tradizione nella lavorazione della terracotta
Una delle prime cose che Giovanni Fisco ci spiega è che ci troviamo in una terra che da secoli incrocia la sua storia con quella della lavorazione della creta.
“Io non sono uno studioso, ma dicono che la tradizione nella produzione di terracotta a Sciacca è anche precedente a quella di Caltagirone. Anche perché qui c’è il mare e gli arabi arrivarono prima, portando le loro tecniche e dando nuovo impulso all’attività artigianale.”
Ed in effetti nelle grotte del Monte Cronio – l’odierno Monte San Calogero - sono state ritrovate terrecotte risalenti al periodo di transizione fra l'età della pietra e quella del bronzo.
La città nasce probabilmente nel IV o V secolo a.c. durante la colonizzazione magno-greca della Sicilia. Era nota come Terme Selinuntine, in quanto utilizzata come centro termale dalla vicina Selinunte. Inoltre, già allora il centro era noto e apprezzato anche per le officine di vasai.
Poi nell'840 Sciacca venne occupato dagli Arabi, che dettero alla città il nome attuale e un nuovo impulso alla produzione figulina. E la produzione continuò anche sotto la dominazione Normanna, a partire dal 1087 e nei secoli successivi.
Dopo la II metà del '400 la ceramica di Sciacca era nota in tutta la Sicilia. Il prodotto più pregiato dei ceramisti saccensi erano le maioliche loro commissionate per ornare palazzi e chiese.
Dice con orgoglio Vincenzo Arena: “Sciacca fino al ‘700 era famosa per le piastrelle. Abbiamo pavimentato chiese di qualsiasi parte d’Italia!”
I fischietti tradizionali di Sciacca
La città nasce probabilmente nel IV o V secolo a.c. durante la colonizzazione magno-greca della Sicilia. Era nota come Terme Selinuntine, in quanto utilizzata come centro termale dalla vicina Selinunte. Inoltre, già allora il centro era noto e apprezzato anche per le officine di vasai.
Poi nell'840 Sciacca venne occupato dagli Arabi, che dettero alla città il nome attuale e un nuovo impulso alla produzione figulina. E la produzione continuò anche sotto la dominazione Normanna, a partire dal 1087 e nei secoli successivi.
Dopo la II metà del '400 la ceramica di Sciacca era nota in tutta la Sicilia. Il prodotto più pregiato dei ceramisti saccensi erano le maioliche loro commissionate per ornare palazzi e chiese.
Dice con orgoglio Vincenzo Arena: “Sciacca fino al ‘700 era famosa per le piastrelle. Abbiamo pavimentato chiese di qualsiasi parte d’Italia!”
I fischietti tradizionali di Sciacca
Ovviamente non manchiamo di chiedere ai nostri artigiani della tradizione produttiva di fischietti a Sciacca. Ci spiega Arena che i fischietti erano già presenti a Sciacca nel XVIII secolo.
“Sul fischietto tradizionale di Sciacca si hanno pochi riferimenti storici, perché nei 150 anni di interruzione della produzione tante informazioni si sono perse. Né ci sono libri e testimonianze sull’argomento, anche perché si trattava di oggetti poveri, che andavano nelle mani dei bambini, e poi magari cadevano a terra, si rompevano e venivano buttati. I pastori antichi, invece, ancora si trovano. Perché la gente se li conservava per fare il presepe. E poi magari si tramandavano di padre in figlio.
Sicuramente si ricorda che c’erano i fischietti del galletto e di alcune forme antropomorfe. Anticamente si facevano a Sciacca anche delle figure di santi, ma non sappiamo per certo se esisteva il santo a fischietto.
Da notare che a differenza di Caltagirone e di altri posti dove i fischietti li facevano tradizionalmente con lo stampino, da noi si modellavano tutti a mano, lo stampo non si conosceva”.
“Sul fischietto tradizionale di Sciacca si hanno pochi riferimenti storici, perché nei 150 anni di interruzione della produzione tante informazioni si sono perse. Né ci sono libri e testimonianze sull’argomento, anche perché si trattava di oggetti poveri, che andavano nelle mani dei bambini, e poi magari cadevano a terra, si rompevano e venivano buttati. I pastori antichi, invece, ancora si trovano. Perché la gente se li conservava per fare il presepe. E poi magari si tramandavano di padre in figlio.
Sicuramente si ricorda che c’erano i fischietti del galletto e di alcune forme antropomorfe. Anticamente si facevano a Sciacca anche delle figure di santi, ma non sappiamo per certo se esisteva il santo a fischietto.
Da notare che a differenza di Caltagirone e di altri posti dove i fischietti li facevano tradizionalmente con lo stampino, da noi si modellavano tutti a mano, lo stampo non si conosceva”.
Oblio e riscoperta della ceramica
Come ci spiega Arena, questa tradizione produttiva così antica scomparì nel XVIII secolo per venire ripresa solo di recente.
“A Sciacca la produzione ceramica si interrompe nel tardo settecento e riprende a metà novecento, quindi c’è stata una interruzione di un secolo e mezzo.
Da quello che dicono gli storici la produzione è cessata a causa della concorrenza. Nonostante le produzioni pregiate, la concorrenza fece prevalere altri centri più attrezzati o che lavoravano meno sulla qualità.”
“A Sciacca la produzione ceramica si interrompe nel tardo settecento e riprende a metà novecento, quindi c’è stata una interruzione di un secolo e mezzo.
Da quello che dicono gli storici la produzione è cessata a causa della concorrenza. Nonostante le produzioni pregiate, la concorrenza fece prevalere altri centri più attrezzati o che lavoravano meno sulla qualità.”
Nel 1940 la ceramica rifiorisce grazie al pittore e ceramista Calogero Curreri. E tra gli anni 60 e 70 una serie di artisti che si dedicano contemporaneamente alla ceramica, alla pittura ed alla scultura rilanciano ulteriormente la produzione. Oggi esistono nella città vecchia decine di botteghe che riprendono disegni e colori degli antichi maiolicari saccenti. Esiste anche un Istituto d’arte che forma nuove generazioni di ceramisti ed espone importanti reperti del passato.
Apprendistato e evoluzione stilistica di due artigiani
Chiediamo ai due artigiani di raccontarci dei loro esordi nel settore della ceramica e della loro evoluzione artistica.
Fisco: “Eravamo una famiglia di operai e l’unica persona che portava i soldini in casa era Papà. Quindi io ho fatto tutti i mestieri da piccolo: aiutavo a portare la croce in casa insomma.
Ho intrapreso il mestiere tramite mio fratello, che è pittore e ceramista, ed è stato anche insegnante all’Istituto d’Arte.
Ho iniziato facendo la produzione classica, ma a un certo punto ho detto basta. Dagli anni ‘80 ho iniziato a fare ceramica artistica. Tutti mi criticavano, e ancora oggi per molta gente io sono il folle della situazione, ma non mi interessava più quel tipo di ceramica, e ho dato un taglio netto.
Oggi credo di fare qualcosa di diverso da quello che fanno gli altri”.
Arena: “Mio Padre lavorava in campagna, mentre io mi sono formato lavorando presso un artigiano prima di aprire la mia bottega. Io sono del 1952, ed allora non c’era la legge sullo sfruttamento minorile: quindi all’età di 10-12 anni ero già in bottega.
Dal principale avevamo il forno a legna, dove ho imparato come si sistema la legna, come si inforna, come viene chiuso il forno, eccetera. Tutte cose che io ho immagazzinato e fanno parte della mia cultura di artigiano, anche se magari adesso il modo di lavorare è cambiato.
Ad esempio ho imparato anche come si fanno i lustri con il fumo, cosa che quasi nessuno sa più fare. Parlo non dei lustri metallici fatti con le sostanze chimiche che si comprano oggi, ma dei lustri veri e propri, quelli delle maioliche ispano-moresche. Quei riflessi si facevano appunto utilizzando i fumi in riduzione di temperatura. E così avviene che il verde rame diventa bronzo, o che il giallo diventa oro. E’ una tecnica che hanno inventato gli arabi. Oggi tutti parlano di fare il raku, ma secondo me nella nostra tradizione abbiamo delle tecniche di qualità superiore, come questa.Fisco: “Eravamo una famiglia di operai e l’unica persona che portava i soldini in casa era Papà. Quindi io ho fatto tutti i mestieri da piccolo: aiutavo a portare la croce in casa insomma.
Ho intrapreso il mestiere tramite mio fratello, che è pittore e ceramista, ed è stato anche insegnante all’Istituto d’Arte.
Ho iniziato facendo la produzione classica, ma a un certo punto ho detto basta. Dagli anni ‘80 ho iniziato a fare ceramica artistica. Tutti mi criticavano, e ancora oggi per molta gente io sono il folle della situazione, ma non mi interessava più quel tipo di ceramica, e ho dato un taglio netto.
Oggi credo di fare qualcosa di diverso da quello che fanno gli altri”.
Arena: “Mio Padre lavorava in campagna, mentre io mi sono formato lavorando presso un artigiano prima di aprire la mia bottega. Io sono del 1952, ed allora non c’era la legge sullo sfruttamento minorile: quindi all’età di 10-12 anni ero già in bottega.
Dal principale avevamo il forno a legna, dove ho imparato come si sistema la legna, come si inforna, come viene chiuso il forno, eccetera. Tutte cose che io ho immagazzinato e fanno parte della mia cultura di artigiano, anche se magari adesso il modo di lavorare è cambiato.
Oggi in un centro storico come questo non posso usare queste tecniche. Una volta ci ho provato e sono arrivati i vigili del fuoco, perché pensavano che stesse andando a fuoco tutto.
I fischietti moderni
Passando alla produzione di fischietti, bisogna dire che sia Arena che Fisco hanno il merito di avere coniugato tradizione e innovazione in una felice sintesi plastica.
Di eccezionale bellezza sono ad esempio i fischietti che troviamo nella bottega di Giovanni Fisco, che ci racconta: “Ora sono 20 anni che faccio fischietti. Me lo ha insegnato un vecchio figulo, che già allora era anziano ed adesso è morto. Come soggetti creo degli animali fantastici. Poi mi piace l’arte africana, per cui in alcuni pezzi mi sono ispirato alle maschere africane. Poi ovviamente riproduco dei soggetti classici siciliani come il galletto, gli animali, i santi.
Tutti i pezzi che vedi qui dentro sono fatti a mano. Quelli grandi sono fatti con sfoglie di creta: le accartoccio, compongo separatamente i vari elementi, e poi comincio a montarli. Un fischietto di queste dimensioni non lo puoi fare tutto in un pezzo. E’ la stessa tecnica che usiamo per vestire le statuette di creta: fai uno scheletro e poi lo vesti.
Nei miei pezzi grandi il fischietto è aggiunto con un pezzettino di creta a parte alla figura principale. In quelli piccoli invece il fischio è modellato direttamente con la figura.
I colori dei miei fischietti sono sempre molto vivaci perché la Sicilia è questa: da noi basta aprire la finestra per vedere questi colori!
Uso principalmente colori acrilici. Ho fatto varie prove, ne ho fatti anche a smalto con la seconda cottura. In altri uso un po’ di fissativo acrilico, che rende i pezzi lucidi come se fossero fatti a smalto, ma semi-lucidi, come fossero di cera.
Ci racconta invece Arena: “A fare i fischietti ho imparato da bambino osservando come li facevano gli altri. Non ho avuto un vero maestro, perché in fondo l’artigiano deve “rubare il mestiere” al maestro, nel senso che spesso il principale non ha interesse a insegnare i suoi segreti agli altri.
I soggetti che realizzavo io erano tutti animaletti, come uccelli, foche, gattini, e così via.
Mentre tutti realizzavano un fischietto monotonale, io ero riuscito a fare anche delle ocarine a 5 note. Era una figura a forma di fico, un po’ rotondeggiante, in modo ottenere una cassa di risonanza e i 4 fori.
Un’altra specificità che a Sciacca facevo solo io era il fischietto ad acqua.
Li lasciavo in terracotta non decorata o li dipingevo con colori acrilici, senza seconda cottura.
I miei fischietti erano sempre modellati a mano. Da piccolo lavorando in bottega ho imparato a modellare ed a tirare fuori da un pezzetto di creta qualunque forma. A mio parere allora gli artigiani imparavano una grande gestualità, una manualità che ora si è persa. Il tipo di mercato ci porta ad abbandonare questo tipo di produzioni, oggi alla fine succede che gli artigiani fanno tutti le stesse cose.
La crisi della ceramica di Sciacca
Tutti e due gli artigiani ci raccontano di una situazione difficile per le botteghe di Sciacca, causa di una competizione spietata che troppo spesso va a discapito della qualità.
Fisco nota come ci sia un parallelismo tra la crisi della ceramica attuale e quella vissuta da Sciacca nel tardo ‘700: “La ragione che fece cessare la produzione in quell’epoca è la stessa che rischia farla scomparire ora: la concorrenza!
Oggi si sta facendo una ceramica di cattiva qualità. Se un piatto tu lo dai a 40 o 50 euro, non puoi fare una decorazione come si deve.
Io fortunatamente faccio ceramica artistica, quindi la mia clientela è diversa da quella di massa. Io più che il turista aspetto che venga il cliente con gusti un po’ particolari. Ma per il resto in giro le botteghe hanno quasi tutte le stesse cose, e questo perché c’è questa concorrenza.
Abbiamo un Istituto d’Arte dove si insegna la ceramica, ma bisogna dire che escono dei ragazzi che fanno sempre le stesse cose che fanno i vecchi. Il rinnovo non c’è stato insomma.
Anche Arena è dello stesso avviso: “Con la crisi è nata una concorrenza spietata che va a discapito della qualità. E chi fa ceramica di qualità è destinato a chiudere.
Molti degli articoli che abbiamo nelle botteghe sono adatti al turista che si vuole portare via un oggettino. La ceramica non sarebbe questa, ma purtroppo il pezzo importante a volte capita di venderlo e a volte non capita.
Io mi sono impegnato per fare un prodotto di qualità, che ci rappresenti, ma inizio a chiedermi: ne vale la pena? Perché alla gente poco importa di avere un oggetto raffinato, preferisce risparmiare 5 euro. E lo stesso prodotto si può fare con minor tempo senza che la gente se ne accorga.
Il mercato della ceramica di Sciacca è troppo limitato. Le botteghe non possono sostenersi con 20 giorni di turismo l’anno. Bisognerebbe trovare nuove forme di fare impresa, per fare conoscere il nostro prodotto. Ad esempio si dovrebbero organizzare delle manifestazioni di settore serie, non legate a questioni di mero folclore.
Di eccezionale bellezza sono ad esempio i fischietti che troviamo nella bottega di Giovanni Fisco, che ci racconta: “Ora sono 20 anni che faccio fischietti. Me lo ha insegnato un vecchio figulo, che già allora era anziano ed adesso è morto. Come soggetti creo degli animali fantastici. Poi mi piace l’arte africana, per cui in alcuni pezzi mi sono ispirato alle maschere africane. Poi ovviamente riproduco dei soggetti classici siciliani come il galletto, gli animali, i santi.
Tutti i pezzi che vedi qui dentro sono fatti a mano. Quelli grandi sono fatti con sfoglie di creta: le accartoccio, compongo separatamente i vari elementi, e poi comincio a montarli. Un fischietto di queste dimensioni non lo puoi fare tutto in un pezzo. E’ la stessa tecnica che usiamo per vestire le statuette di creta: fai uno scheletro e poi lo vesti.
Nei miei pezzi grandi il fischietto è aggiunto con un pezzettino di creta a parte alla figura principale. In quelli piccoli invece il fischio è modellato direttamente con la figura.
I colori dei miei fischietti sono sempre molto vivaci perché la Sicilia è questa: da noi basta aprire la finestra per vedere questi colori!
Uso principalmente colori acrilici. Ho fatto varie prove, ne ho fatti anche a smalto con la seconda cottura. In altri uso un po’ di fissativo acrilico, che rende i pezzi lucidi come se fossero fatti a smalto, ma semi-lucidi, come fossero di cera.
Ci racconta invece Arena: “A fare i fischietti ho imparato da bambino osservando come li facevano gli altri. Non ho avuto un vero maestro, perché in fondo l’artigiano deve “rubare il mestiere” al maestro, nel senso che spesso il principale non ha interesse a insegnare i suoi segreti agli altri.
I soggetti che realizzavo io erano tutti animaletti, come uccelli, foche, gattini, e così via.
Mentre tutti realizzavano un fischietto monotonale, io ero riuscito a fare anche delle ocarine a 5 note. Era una figura a forma di fico, un po’ rotondeggiante, in modo ottenere una cassa di risonanza e i 4 fori.
Un’altra specificità che a Sciacca facevo solo io era il fischietto ad acqua.
Li lasciavo in terracotta non decorata o li dipingevo con colori acrilici, senza seconda cottura.
I miei fischietti erano sempre modellati a mano. Da piccolo lavorando in bottega ho imparato a modellare ed a tirare fuori da un pezzetto di creta qualunque forma. A mio parere allora gli artigiani imparavano una grande gestualità, una manualità che ora si è persa. Il tipo di mercato ci porta ad abbandonare questo tipo di produzioni, oggi alla fine succede che gli artigiani fanno tutti le stesse cose.
La crisi della ceramica di Sciacca
Tutti e due gli artigiani ci raccontano di una situazione difficile per le botteghe di Sciacca, causa di una competizione spietata che troppo spesso va a discapito della qualità.
Fisco nota come ci sia un parallelismo tra la crisi della ceramica attuale e quella vissuta da Sciacca nel tardo ‘700: “La ragione che fece cessare la produzione in quell’epoca è la stessa che rischia farla scomparire ora: la concorrenza!
Oggi si sta facendo una ceramica di cattiva qualità. Se un piatto tu lo dai a 40 o 50 euro, non puoi fare una decorazione come si deve.
Io fortunatamente faccio ceramica artistica, quindi la mia clientela è diversa da quella di massa. Io più che il turista aspetto che venga il cliente con gusti un po’ particolari. Ma per il resto in giro le botteghe hanno quasi tutte le stesse cose, e questo perché c’è questa concorrenza.
Abbiamo un Istituto d’Arte dove si insegna la ceramica, ma bisogna dire che escono dei ragazzi che fanno sempre le stesse cose che fanno i vecchi. Il rinnovo non c’è stato insomma.
Anche Arena è dello stesso avviso: “Con la crisi è nata una concorrenza spietata che va a discapito della qualità. E chi fa ceramica di qualità è destinato a chiudere.
Molti degli articoli che abbiamo nelle botteghe sono adatti al turista che si vuole portare via un oggettino. La ceramica non sarebbe questa, ma purtroppo il pezzo importante a volte capita di venderlo e a volte non capita.
Io mi sono impegnato per fare un prodotto di qualità, che ci rappresenti, ma inizio a chiedermi: ne vale la pena? Perché alla gente poco importa di avere un oggetto raffinato, preferisce risparmiare 5 euro. E lo stesso prodotto si può fare con minor tempo senza che la gente se ne accorga.
Il mercato della ceramica di Sciacca è troppo limitato. Le botteghe non possono sostenersi con 20 giorni di turismo l’anno. Bisognerebbe trovare nuove forme di fare impresa, per fare conoscere il nostro prodotto. Ad esempio si dovrebbero organizzare delle manifestazioni di settore serie, non legate a questioni di mero folclore.
Il declino della produzione dei fischetti
La crisi e la concorrenza al ribasso, non risparmiano neanche la produzione dei fischietti.
Fisco ci spiega: “di fischietti ne faccio qualcuno per i collezionisti, ma non se ne vendono poi tanti”.
Arena ha addirittura deciso di sospendere la produzione di ceramica sonora, tanto che nella sua bottega non troviamo neanche un fischietto. Fortunatamente, ci confida che è sua intenzione riprendere la produzione, realizzando un prodotto innovativo.
“15 anni fa gli artigiani di Sciacca che facevano fischietti in maniera più professionale erano 3-4. Ma poi il collezionismo ha spinto molti artigiani a produrne anche loro. Magari ne facevano di meno costosi e di qualità inferiore, perché ovviamente per abbassare i costi qualche cosa devi togliere. A un certo punto successe che a molti turisti sembravano troppe 5.000 lire di allora per un fischietto, e allora ho capito che non era più il caso di continuare a farne, ed ho smesso del tutto.
C’è un mercato di qualità per i cultori, ma è di nicchia, non fa la differenza. Oggi i fischietti li fanno un po’ tutti, e se ne trovano di bassissima qualità. Io penso che il prodotto non deve essere così: il souvenir in se non ha più senso, ne abbiamo le case piene e dopo un po’ li buttiamo via.
L’intenzione è quella di tornare a fare i fischietti, di farne una serie diversa da quelli che facevo prima. Mi sono messo in testa di fare delle ocarine a 7 note. Non è detto che riesca, perché è una cosa da maestri. Però ci vorrei provare. Saranno colorati con una seconda cottura, usando tecniche particolari. L’intenzione c’è ma io ho tante nuove intenzioni. Poi spesso mi manca il tempo però”
L’ultima domanda che rivolgiamo ai due artigiani è se hanno un erede pronto a prendere il testimone della loro produzione. Rispondono con un pizzico di amarezza di non avere apprendisti o figli che hanno intrapreso la loro stessa professione.
Fisco: “Mi dispiace, ma la bottega rischia di chiudere quando io mi ritirerò dall’attività. Mi piacerebbe molto insegnare il mestiere a un ragazzo e portare avanti questo discorso. Solo che i giovani appena mettono piede dentro al negozio ti chiedono: quanto mi dai? Peccano di presunzione questi ragazzi, non ci si può discutere. Non cercano un Mastro per imparare. Cercano il guadagno immediato, e non hanno nessuna voglia di rinnovare la ceramica.
Però ultimamente c’è un ragazzo che mi ha chiesto di poter imparare la tecnica dei fischietti, e col mio aiuto sta facendo qualcosa”.
Arena: “Ho 2 figlie femmine, nessuna delle quali si occupa di ceramica. Una si sta laureando in lettere classiche e l’altra ha iniziato ingegneria. Mi dispiace, ma la ceramica la faranno gli altri”.
NOTE
Le foto dei fischietti - pubblicate per gentile concessione di Paolo Loforti - rappresentano nell'ordine pezzi di G. Fisco (pesce), V. Arena (pesce palla) G. Fisco (animale fantastico, maschera asfricana, uccello), V. Arena (pesce-uccello), G. Fisco (3 maschere africane) .
Le informazioni storiche sono ricavate dal volume “Le città della ceramica – maioliche e porcellane in Italia, Touring Club Italiano in collaborazione con l’Ass. Italiana Città della Ceramica, 2001
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