Memorie e Suoni di Terra
conversazioni con i Maestri costruttori di ceramiche
sonore
Cavalluccio di Ferentino (P. D'Orazio e R. Tersigni) |
“Il fischietto popolare deve stare in piazza, non chiuso dentro un
museo!” Ecco come può essere riassunto in poche parole un impegno ormai trentennale:
quello di Paola D’Orazio e di suo marito Roberto Tersigni, che insieme hanno
fondato l’associazione culturale J’Api - Arti e tradizioni popolari della Ciociaria.[1]
Sono infatti ormai 3 decadi che questi
due ceramisti di Sora hanno riscoperto i fischietti e gli altri oggetti della
tradizione figula ciociara e li hanno riproposti ad un pubblico vasto. La
particolarità ed il valore dell’operazione culturale da loro portata avanti sta
proprio in questo: Paola e Roberto non si sono rivolti alla piccola cerchia
degli appassionati e dei collezionisti di ceramiche popolari. Al contrario,
sono riusciti a coinvolgere e interessare moltissime persone comuni a questo
lavoro di riscoperta della tradizione. Ci sono riusciti riportando la ceramica
popolare nelle fiere di paese. Ed a pensarci bene si è trattato di una idea di
una semplicità disarmante: fino al recente passato ed alla crisi
dell’artigianato, queste fiere avevano rappresentato per secoli i principali luoghi
deputati allo smercio delle terrecotte.
Ma facciamo un passo indietro: la Ciociaria è stata storicamente
un territorio ricco di centri di produzione di ceramiche di uso popolare, come
Arpino, Broccostella, Ceprano, Ceccano, Ferentino, Pontecorvo, Veroli. Poi - a
partire dal secondo dopoguerra - vi è stato un veloce declino delle botteghe
artigiane, che già a fine anni ’80 erano completamente scomparse.
All’inizio di quel decennio,
Paola e Roberto erano due giovani affascinati dalla ceramica popolare. Si
rendevano conto che questa tradizione produttiva andava rapidamente scomparendo
dal loro territorio, e prima che fosse troppo tardi decisero di intraprendere una
ricerca: visitarono i luoghi di produzione e di smercio, individuarono gli
ultimi artigiani, e iniziarono a frequentarne le botteghe.
Per ripercorrere la storia dei
fischietti e delle terrecotte ciociare ci siamo quindi affidati a questa coppia.
In mancanza di testimonianze dirette da parte degli artigiani tradizionali -
gli ultimi di loro sono scomparsi già da molti anni – si tratta senz’altro dei principali
depositari della tradizione figula del Sud del Lazio.
Paola: “La ricerca che abbiamo fatto è stata molto, molto interessante. Ormai
sono 30 anni che giriamo. Non ci siamo limitati a ricercare gli oggetti, ma ci
siamo chiesti perché erano fatti in un certo modo, siamo andati a cercare le
motivazioni.
Siamo arrivati appena in tempo! Abbiamo trovato ancora qualcuno che
stava ancora lì lì per chiudere l’attività. Poi questi personaggi sono morti ed
è finito tutto li!”
Roberto: “Broccostella e Arpino sono stati gli ultimi centri a cessare la
produzione di terracotta popolare. E allora noi ci siamo concentrati su questi
centri, abbiamo conosciuto gli artigiani e abbiamo riscoperto la loro produzione.”
Paola: “Poi abbiamo fatto il giro delle fiere, e anche da queste abbiamo colto
un pochino quella che è la tradizione nostra.”
Alla scoperta delle ultime botteghe
Durante la loro ricerca Paola e
Roberto hanno avuto l’opportunità di visitare sia le botteghe dei pignatari -
che producevano con il tornio tegami e altri utensili di uso domestico - sia
quelle dei figurinai - che realizzavano figure a stampo come statuine
devozionali e presepi. Conoscere e veder lavorare gli ultimi artigiani figuli della
Ciociaria ha rappresentato per loro un’esperienza fondamentale che ne ha
rafforzato l’amore per la ceramica popolare. Frequentare le loro botteghe li ha
motivati a raccogliere le memorie e le tradizioni di cui questi artigiani erano
custodi e tramandarle ad altri.
Si trattava di botteghe mai
toccate da un processo di modernizzazione produttiva, e che utilizzavano strumenti e tecniche di lavoro particolarmente
tradizionali: la creta veniva cavata a mano e depurata battendola con mazze di
legno e setacciata grazie a lastre di stagno bucate. I pezzi venivano poi lavorati
con il tornio a pedale oppure con stampi di gesso. La cottura avveniva ancora in
grandi fornaci alimentate a legna, e per la decorazione venivano utilizzati
esclusivamente smalti e pennelli autoprodotti dagli stesi artigiani.
Roberto: “La pubblicazione Ceramica Popolare del Lazio[2] è stata fondamentale
per il nostro lavoro. Ci abbiamo trovato moltissimi spunti per le nostre
ricerche. Ad esempio abbiamo ricavato da lì indicazioni sui luoghi di
produzione e sulle genealogie dei pignatari.”
Paola: “A Broccostella una volta c’era
una strada che si chiama via di Pignataro, dove lavoravano gli artigiani. Lì abbiamo
conosciuto Antonio Di Cresci, l’ultimo torniante. Usava ancora il tornio a pedale.
La moglie invece faceva questi fischietti modellati tutti a mano.
Riproducevano animali da cortile più che altro, come galline e pavoni.
Ad Arpino c’era Emilio Mastroianni, l’ultimo della dinastia di artigiani
figurinai di questa famiglia. Faceva oggetti piccoli come i fischietti, le
statuine del presepe, e il Peppino che piscia.”
Roberto: “Abbiamo conosciuto un po’ anche
Rocco Abbatangeli di Ceprano. Lui non faceva fischietti, però, solo le
pignatte. Al tornio era velocissimo.
A Cascano[3]
c’era Biagio Di Cresci, che ha lo stesso cognome di quello di Broccostella.
Siamo andati a trovarlo che era già vecchio. Prendemmo da lui una serie di
cocci.”
Paola: “L’ultima è stata Maria. Era una signora di Broccostella che ci ha
aiutato molto a capire quali erano le tradizioni locali. Questa Maria venne
proprio nel nostro laboratorio, e ci fece vedere come faceva i fischietti. Con
quelle mani era incredibile!
Faceva soprattutto il fischietto del cavaliere con il cavallo a tre
zampe, ed anche un uccello con una coda lunga lunga, che lei chiamava pavone.
Spesso lavorava con la terra più grezza, proprio quella di Broccostella”
Roberto: “Ora sono tutti scomparsi, non ci sta più nessuno né a Ceprano, né a
Arpino, nè a Broccostella.
In generale ne è rimasto pochissimo di artigianato in queste zone. C’è
giusto qualche anziano che fa i canestri o le ciocie.”
I fischietti fatti a mano di Broccostella e
Ferentino
I fischietti in terracotta sono
senz’altro tra i prodotti della tradizione ceramica ciociara che hanno
suscitato maggiormente l’interesse di Paola e Roberto. Ed anche nelle fiere da
loro frequentate sono tra gli oggetti sui quali si concentra l’attenzione del
pubblico.
Ciufolitt (R. Tersigni) |
|
Nella tradizione produttiva
ciociara sono presenti due diverse tipologie di fischietti: quelli modellati a mano nelle botteghe dei pignatari
e quelli realizzati a stampo dagli artigiani figurinai.
Alla prima tipologia appartiene
quello che probabilmente è il fischietto più conosciuto e riconoscibile della
tradizione ciociara: quello proveniente dall’area di Broccostella che
rappresenta il cavaliere a cavallo. L’animale è sempre rigorosamente modellato
con tre sole zampe: due anteriori e una sola posteriore. Paola e Roberto hanno verificato come questo
fischietto venisse regalato alle spose di Broccostella, che lo conservavano
nella camera da letto. Per questa ragione si pensa che la gamba posteriore del
cavallo rappresentasse un simbolo fallico, e che il dono avesse per la coppia
di sposi un significato augurale di fertilità e felicità coniugale.
Paola: “Secondo me il
cavallo a tre zampe è il personaggio più bello della nostra tradizione. Perché
ha una sua storia, una collocazione. Si sa quale origine e che significato ha.
Era un regalo che si faceva alle spose di Broccostella. Ci diceva Maria
che le spose lo mettevano sopra il comò della camera da letto. E ci raccontava
che più il cavallo era grande e più era forte il suo significato, quindi si
faceva quasi a gara a regalare alle spose questi cavalloni sempre più grandi.”
Roberto: “Anche gli artigiani facevano a gara a chi lo faceva più alto e più
lungo, era una specie di virtuosismo. E per farli più belli mettevano sulla
base del cavallo degli animali: cagnolini, pecorelle, galline.”[4]
E’ interessante notare che in
occasione della fiera di Balsorano, gli artigiani di Broccostella ritoccavano
la figura del cavaliere per fargli assumere le sembianze di San Giorgio. Con
poche modifiche, questo soggetto decisamente profano assumeva quindi una
valenza religiosa e devozionale.
Roberto: “Per la fiera di Balsorano il cavalluccio a tre zampe di Broccostella
diventava San Giorgio e il drago. Era la festa dei fischietti, e quelli di
Broccostella andavano lì a vendere i loro oggetti.”
Paola: “E’ sempre lo stesso personaggio, però lo facevano diventare San
Giorgio, perché a Balsorano si venerava questo santo patrono.”
Viene da Ferentino un altro
fischietto tradizionale che riproduce le sembianze di un cavallo. In questo
caso il cavalluccio è privo di cavaliere, e le sue forme sono molto essenziali,
quasi stilizzate. In questo caso Paola e Roberto non hanno trovato alcun
artigiano in attività che ancora producesse i cavallucci, e si sono quindi
rifatti ai pezzi della collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni
Popolari . [5]
Il fischietto più semplice di
tutti era però probabilmente il ciufolitt, le cui fattezze riproducevano
sommariamente le sembianze di un uccellino. Nonostante la sua semplicità, il fischietto
era dotato di un foro digitale che permetteva di ottenere un suono bitonale e
di una piccola appendice alla base, che faceva da impugnatura.
Roberto: “Il ciufolitt è invece il fischietto più piccolo. Si regalava ai
ragazzini, perché poi era il fischietto che costava di meno. Viene sempre da
Broccostella.
Ciufolitt (R. Tersigni) |
Una volta, mentre stavamo facendo una fiera, un vecchio mi raccontò una
storia su questi ciufolitt. Era il 1946, e questo vecchio c’avrà avuto una
decina d’anni. Col nonno erano andati da Sora a San Donato dove c’era la fiera
di Santa Costanza. Erano andati a piedi, e considera che sono una ventina di km
di cammino. Una volta arrivati andarono alla messa e poi a vedere il mercato
con le cuccetelle,[6]
i fischietti, le cannate, eccetera. E allora il nipote diceva: Tatò, accatteme
i ceufelitt! - Nonno, comprami i ciufolitt. E il Nonno gli rispose: “Tramentime
e ce ne jàme! – guardiamo solamente e poi ce ne andiamo!”.
Ci sono testimonianze del fatto
che per lo meno a Broccostella fossero normalmente le donne della famiglia ad
occuparsi della produzione dei fischietti.[7] Gli
uomini - gli unici in grado di effettuare la lavorazione al tornio - si
occupavano invece della modellatura di un fischietto noto con il nome di
cucurro e della brocca con il fischio.[8]
I fischietti a stampo di Veroli ed Arpino
Nella Ciociaria vi erano anche
altri centri di produzione – come Veroli e Arpino - nei quali i fischietti
erano realizzati nelle botteghe dei figurinai. Abbiamo già accennato come questi
artigiani non erano soliti modellare i
singoli pezzi a mano, ma realizzavano un unico prototipo dal quale ricavavano
poi il calco in gesso. Questo permetteva loro di realizzare pezzi più
raffinati, dato che la riproduzione in serie permetteva una maggiore
accuratezza sia nelle forme che nella decorazione.
Cavaliere (Maria - Broccostella) |
Ad Arpino erano
attive due famiglie di figurinai, i Mastroianni e i Palma. In questo centro la
produzione di fischietti è cessata da decenni, ma fortunatamente possiamo
rifarci alla collezione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari per
avere una idea della tipologia di pezzi realizzati dagli artigiani di Arpino nei
primi anni del ‘900. In questa collezione sono presenti in particolare alcuni
fischietti realizzati da Felice Mastroianni (1860-1937). In alcuni casi si
tratta di pezzi a tema religioso, come Gesù Bambino e San Cataldo. Vi sono poi
alcuni esemplari di un fischietto ad acqua, composto da un vasetto - modellato
al tornio - sormontato da un uccellino - ricavato da uno stampo.
La bottega dei Palma produceva
invece fischietti con le sembianze di paperelle, soldati, pesci.[9]
Ci sono in fine testimonianze
della realizzazione di fischietti a stampo anche a Veroli da parte
dell’artigiano Barno, detto Carniccio. [10]
Fischietti a parte, Paola e
Roberto hanno indagato sulla produzione di una serie di altri oggetti, come le
campanelle, le pipe di coccio, le brocche, e una figura satirica nota come il
“Peppino che piscia”.
Rispetto alle campanelle, il già
citato libro “Ceramica Popolare del Lazio” nota come questi oggetti avessero
nella tradizione ciociara una valenza diversa da quella magica-apotropaica a
loro attribuita in altre are geografiche. Le scritte rinvenute su molte
campanelle sembrano infatti indicare che queste fossero utilizzate come dono di
corteggiamento.
Paola: “I campanelli
si regalavano alle ragazze. Era una specie di dichiarazione d’amore. E poi se
la ragazza accettava la corte regalava al ragazzo una pipa di quelle di
coccio.”
Roberto: “Il Peppino che piscia invece è una statuetta che raffigura appunto un
bambino che fa pipì in un vasetto, ed è originario di Isola del Liri. Qualcuno
che incontriamo alle fiere ci dice che era un fischietto, ma io penso che si
confondano. Anche perchè lo faceva Emilio Mastroianni di Arpino, e lui non ha
mai fatto fischietti. Probabilmente stava solo sulle bancarelle in mezzo i
fischietti, e per questo qualcuno crede di ricordare che fischiava.”
Rubando il mestiere con gli occhi
Abbiamo già detto come Paola e
Roberto non si siano accontentati di svolgere un lavoro di ricerca fine a se
stesso: si tratta di due bravi produttori di ceramiche che hanno dato nuova
vita agli oggetti della tradizione figula ciociara. In questo modo, dopo aver raccolto
il testimone dalle mani degli ultimi artigiani, hanno poi proseguito il loro
lavoro. Nel loro laboratorio di Sora si realizzano a tutt’oggi una serie di
oggetti della tradizione figula ciociara che altrimenti sarebbero solamente un
ricordo del passato.
Roberto: “Messe insieme tutte le notizie possibili abbiamo ricominciato la
produzione, perchè ormai praticamente era finito tutto.
Per imparare a fare questi oggetti abbiamo osservato gli artigiani che
lavoravano. Perché nessuno di loro ti insegna niente, sono gelosi!
Abbiamo visto come facevano i fischietti a Broccostella, le campanelle
ad Arpino, e come Abbatangeli lavorava al tornio. E quindi abbiamo messo
insieme queste tecniche e le abbiamo messe in pratica. E poi, per molti degli
oggetti che abbiamo rifatto ci siamo ispirati a “Ceramiche Popolari del Lazio”.
Abbiamo preso da quel libro tante forme.
pietre di manganese utilizzate per gli smalti |
Paola: “Roberto lavora anche al tornio, ad esempio fa le campanelle. Ed io mi
sono un po’ più specializzata sulla decorazione, oltre che sulla modellazione
di oggetti particolari. Io sono più perfezionista nel modellare, mentre lui ha
la mano più rapida. D’altronde per gli oggetti popolari dovrebbe essere così.”
Nel riprodurre questi oggetti, i
due ceramisti-ricercatori pongono la massima attenzione al rispetto delle forme,
ma anche delle tecniche produttive degli artigiani tradizionali. Non è
infrequente per loro utilizzare materiali desueti come la terra grezza raccolta
in un campo e depurata a mano, o sgretolare le pietre di manganese per
ricavarne il caratteristico colore marrone, e persino adoperare l’ossido di piombo
per l’invetriatura dei pezzi.
Paola: “Abbiamo preso un po’ di creta proprio a Broccostella. E’ molto impura,
e prima di utilizzarla per fare questi oggetti si deve lavorare, pulire,
battere. Però è bellissima: rossa, ruvida. E’ la terra proprio delle pignatte.
Ad esempio questi fischietti li ho rifatti uguali come li faceva Maria,
usando la creta rossa di Broccostella. La creta pirofila ci assomiglia, ma
questa è un'altra cosa.”
Roberto: “A Broccostella la decorazione era proprio una cosa primitiva: tutti
questi oggetti venivano lasciati grezzi, oppure si decoravano con appena e un
po’ di manganese e piombo. O magari si
ricoprivano solo con il piombo, per farli venire lucidi.
E anche noi la decorazione la facciamo tutta con il manganese. Sono
queste pietre qui, che io sbriciolo e faccio diventare polvere. E poi la
mischio al piombo e la cuocio a 900 gradi. E’ un lavoro che si fa solo ogni
tanto, tanto ne serve talmente poco…”
Paola: “In alcuni dei nostri pezzi si vede proprio la scolatura del manganese,
che fa una serie di effetti strani. Perché ad alte temperature fonde e a volte
vengono fuori delle cose bellissime.”
Oppure usiamo solo piombo. Certo, il piombo è tossico, quindi lo usiamo
su pochissimi oggetti, soltanto per i fischietti.”
Roberto: “Anche i legnetti per fare i buchi al fischietto te li devi fare da
solo, non è che si comprano. E io ogni tanto me li faccio.
Sono di bosso, che poi è una siepe con quelle foglioline ovali. Il
bosso va bene perché è un legno compatto, abbastanza elastico, durissimo. Il
loro nome tradizionale è cautature.”
Paola: “Cautature viene da cautare, che significa appunto scavare. Perché erano
gli arnesi per scavare l’argilla, no?”
Fare cultura in nelle piazze
La partecipazione alle fiere
rappresentava per gli artigiani ciociari un’imprescindibile fonte di reddito, alla
quale ci si preparava con mesi di anticipo. Anche per la popolazione si trattava
di appuntamenti importanti da diversi punti di vista: come occasione di
socializzazione, per il loro significato religioso, e anche per aspetti pratici
come la possibilità di acquistare prodotti altrimenti difficili da reperire.
Bisogna sottolineare che il Sud
del Lazio vanta in questo campo una tradizione antichissima: le fiere di Sora,
Arpino, Pontecorvo sono documentate addirittura sin dal medioevo.
Sulle bancarelle non mancavano utensili
e giocattoli in terracotta. In alcuni casi questi prodotti finivano anzi per
caratterizzare la fiera tanto da darle il nome: è il caso della “Fiera dei
coccetti” che si teneva a Ceccano i primi di agosto di ogni anno, o di quella “delle
Campanelle” che si teneva la prima domenica di settembre ad Arpino.
Le cautature per fare i fori ai fischietti |
In queste stesse fiere anticamente
frequentate da pignatari e figurinai Paola e Roberto sono tornati a proporre
gli oggetti della tradizione artigianale.
Per loro le fiere non
rappresentano solamente una occasione di vendita, ma sono parte integrante del
lavoro di ricerca. Spesso capita soprattutto che gli anziani si avvicinino al loro
banchetto stimolati dalla presenza di un determinato oggetto che non vedevano
più da tempo. Ne scaturiscono discussioni che rappresentano una preziosa fonte
di informazioni.
Roberto: “Facciamo
ogni anno la fiera del Crocificco di Isola Liri, quella del Perdono di
Balsorano che si tiene il 2 di agosto, quella di Santa Costanza a San Donato,
quella di Arpino. Queste sono le fiere più importanti.
A Balsorano non c’era più la fiera dei fischietti ed a Arpino non c’era
più la fiera delle campanelle. E noi siamo tornati li per riportare i
fischietti e le campanelle, e la gente si ricordava di questi oggetti.”
Paola: “Proprio a partire da quello che la gente ci diceva durante le fiere
noi abbiamo fatto un passo indietro e ci siamo attrezzati a rifare gli oggetti
che ci chiedevano. Perché le persone ci dicevano: ah si, un tempo sulle
bancarelle si vendeva questo, si vendeva quell’altro. E noi abbiamo rifatto
tutti questi soggetti.
Quando la gente si ricorda è una grande emozione. L’esperienza più bella è stata quando siamo tornati a Isola Liri la seconda domenica di luglio, quando loro fanno la festa del Crocifisso. Era una fiera importantissima, e gli artigiani portavano i cocci, le coccinelle, i fischietti, il Peppino che piscia.
Noi siamo tornati lì invitati dal comitato dei festeggiamenti e ci
hanno detto: rifate il Peppino perché non lo troviamo più. Noi ne facemmo un
centinaio di esemplari, e ci sembravano
pure tanti. Dopo mezz’ora tutti gli abitanti del paese stavano davanti alla
nostra bancarella: erano impazziti! Le signore tutte a comprare le cuccetelle!
Insomma, la fiera si fa il sabato e la domenica, e il sabato alle 8 di
sera erano finiti tutti i Peppini.
Quella è stata una esperienza proprio bella, le persone volevano proprio
rivedere queste cose. Ora ci torniamo ogni anno, ed ogni anno è sempre un
successo.”
L’allestimento della bancarella dell’
Associazione J’Api è molto curato, e nulla è lasciato al caso. Numerosi
pannelli illustrati e volantini servono a fornire alcune nozioni di base sulle
terrecotte ciociare.
Anche i singoli prodotti in
vendita sono accompagnati da un breve testo che spiega in maniera sintetica
origine, significato, nome tradizionale dell’oggetto.
Volta per volta si pone una
particolare attenzione proprio alla storia di quella particolare fiera o degli
oggetti artigianali prodotti nell’area.
Al di là del riscontro ottenuto
in termini di vendite - di solito positivo - la partecipazione alle
fiere ha insomma un indubbio valore culturale e divulgativo rispetto alle tradizioni
locali.
Uno dei pannelli didattici per le fiere |
Roberto: “Quando andiamo in
giro siamo – diciamo così - tirati a lucido. Facciamo sempre un allestimento di
10 – 12 cartelli. Uno spiega le fasi della lavorazione al tornio, uno il
funzionamento del forno, eccetera. Sono tutte cose che incuriosiscono, e la
gente si ferma.
E ogni oggetto venduto è accompagnato da un libricino che ne racconta
l’origine e la storia.
Non ci interessa fare un prototipo di fischietto e tenerlo chiuso in
una bacheca, o fare una semplice rievocazione. Noi quando usciamo ci portiamo
appresso 1.000 fischietti e magari ne riportiamo indietro 500. Noi a questo
teniamo: a riproporre quell’oggetto, a vendere un grande numero di fischietti.
A parte che noi vendiamo a prezzi molto bassi, abbiamo fischietti da 2 o 3 euro.
E allora la gente se li compra.
Ora c’è un'altra fiera che vogliamo fare, quella di San Giuseppe, che
si tiene a Marzo ad Atina. Si faceva
anticamente una fiera sempre di fischietti e di cuccetelle. E noi vorremmo
ritornare in questo paese e fare rivivere questa tradizione.
Dovremmo fare qualche cartellone, ritrovare qualche immagine di
com’era. Ritrovare e rifare qualche oggetto tipico del posto.”
Il laboratorio di via Marsicana
Non sarà la bottega di un artigiano tradizionale, ma
visitare il laboratorio dell’associazione J’Api a Sora, in via Marsicana, è una
esperienza molto interessante. Qui Paola e Roberto, oggi aiutati dalla figlia,
realizzano ancora le ceramiche tradizionali ciociare. Lo fanno nel tempo
libero, dato che di sole ceramiche popolari non si vive.
Paola: “Questo era proprio il nostro lavoro fino a una decina di anni fa, poi
abbiamo cominciato a fare anche altre cose. Io sono assistente sociale al
Comune di Sora, e Roberto insegna italiano e storia a scuola. Mia figlia
continua la produzione ma con grande difficoltà, non è facile. Si è dovuta
orientare sulle bomboniere e su un discorso più commerciale.
Adesso abbiamo meno tempo di una volta, ma non pensiamo di lasciare
perdere, è troppo interessante. E poi c’è soddisfazione, perché queste cose
hanno successo. E allora te ne rendi conto e vai avanti.”
Nel laboratorio è anche possibile
– magari insistendo un po’ – vedere alcuni oggetti storici, quelli che Paola e
Roberto hanno raccolto all’inizio della
loro ricerca e che oggi custodiscono gelosamente.
Paola: “I pezzi antichi che ci sono rimasti sono sacri per noi: anche se ce li
chiedono non li diamo a nessuno. Di questa signora Maria abbiamo ad esempio una
cassetta di fischietti. Qualcosa addirittura la teniamo nascosta. Anche perché
più passa il tempo più queste cose sono impossibili da trovare. A dire la
verità a volte le cose che abbiamo nascosto non ci ricordiamo neanche più bene
dove si trovano… Insomma siamo diventati un po’ fissati!”
La "preziosa" cassetta dei fischietti di Maria |
[1] J’Api, Via Marsicana, 104, 03039 – Sora (Frosinone), tel. 0776 825561.
Alcune informazioni sintetiche sulla ricerca svolta sono visibili al sito
http://fischiettidellaciociaria.wordpress.com/about/
[2] Elisabetta Silvestrini
(curatrice), Ceramica Popolare del Lazio, Museo Nazionale delle Arti e
Tradizioni popolari, Quasar 1982
[3] Cascano si trova nella
Provincia di Caserta, ma nella produzione delle botteghe di questo paese è
rilevabile una notevole omogeneità produttiva con quella del basso Lazio.
[4] Nell’articolo di Roberto
Biagi ed Anna Rita Pontremolesi “Fischietti del Lazio - contenuto in Salvatore
Cardello (curatore), SIBILUS 4, Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di
Caltagirone, 2004 - si fa l’ipotesi che
oltre alla funzione ornamentale, il cane posto alla base del fischietto
simboleggi la fedeltà tra i coniugi, rafforzando così il significato
beneaugurale del fischietto.
[5] Esemplari di questi
fischietti sono presenti - oltre che nel già citato testo di E. Silvestrini -
anche in: Paola Piangerelli (curatrice) La Terra , il Fuoco, L’Acqua, il Soffio – la
collezione dei fischietti di terracotta del Museo Nazionale delle Arti e
Tradizioni Popolari, Edizioni De Luca 1994.
[6] Si tratta di miniature
delle stoviglie in terracotta. Venivano realizzate con le stesse tecniche delle
stoviglie vere e proprie e regalate come giocattoli alle bambine.
[7] Oltre alla testimonianza
di Paola e Roberto – di cui abbiamo già detto - lo si afferma anche in P.
Piangerelli, op. cit.
[8] Le informazioni sono
tratte da E. Silvestrini, op. cit.
[9] Questi ultimi erano per la
verità realizzati a mano, a testimonianza del fatto che la dicotomia tra le
tecniche produttive non sia da intendersi in maniera rigida. Si veda E.
Silvestrini, op. cit.
[10] E. Silvestrini, op. cit.