Cardello continua il racconto: “Da bambino avevo avuto in regalo ben pochi fischietti. Mi piaceva maledettamente il ciclista a mezzotondo,[3] mentre detestavo le figure dei santi, non so per quale motivo. Il ciclista è un fischietto comunissimo di Caltagirone. In occasione di qualche festa Papà me ne acquistava uno che ovviamente durava pochissimo. La mia generazione è stata proprio l’ultima a vedere queste sagre di quartiere o paesane in cui si smerciavano i fischietti. Poi con il passare degli anni si era persa completamente la tradizione. Solo Judici continuava a farne, ma principalmente per gli ospiti stranieri o i turisti.
Essendo passato, come ho detto, dalla giovinezza alla maturità nel tempo di un lampo, in seguito ho ritrovato con i fischietti quello che non avevo avuto nella mia fanciullezza. Da quel momento in poi, come un drogato che inizia con una dose e poi deve aumentare il dosaggio degli stupefacenti, anche io sono diventato un fischio-dipendente!”
Una splendida collezione in attesa di un museo
La nostra conversazione avviene all’interno dei locali dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Caltagirone. Salvatore Cardello ci parla della splendida collezione di fischietti appartenenti a questa istituzione: “Il nucleo principale, arrivato nel 1992, è costituito dai 2.500 fischietti circa della collezione di Mario Brunetti e Marzia Barcaro, marito e moglie. Brunetti era capitano dell’esercito, e durante la sua attività ha girato il mondo collezionando fischietti, e poi aveva tanti amici che glie ne portavano.[4]
Poi, ogni anno, grazie alla rassegna ed al Premio Parini[5], la dotazione si è incrementata simpaticamente e gratuitamente di omaggi provenienti da parte di artigiani di tutta Italia. Questo ci ha consentito oggi di avere circa 5.000 fischietti di tutto il mondo. Ovviamente gran parte della dotazione sono fischietti italiani, di tutte le regioni d’Italia”.
Ed è a questo punto che il Dott. Cardello ci racconta la parte più negativa ed incredibile della storia:
“Purtroppo i fischietti sono tutti accatastati. Sin dal 1988 l’intenzione era quella di creare un museo, ma per motivi principalmente legati a questioni di carattere logistico – cioè la mancanza dei locali - il museo non si è mai riuscito a farlo, e quindi 5.000 fischietti dormono dentro questi armadi.”
Non si stratta di una espressione ad effetto, ma della descrizione letterale della realtà. Gli impiegati dell’Azienda Autonoma[6] iniziano ad aprire alcuni degli armadi disseminati un po’ in tutta la sede dell’ente, e noi stentiamo a credere a quello che vediamo apparire. Da ciascun armadio escono fuori centinaia di splendidi e coloratissimi fischietti. Il Dott. Cardello ci spiega sommariamente il contenuto di ciascun ripiano, e dalle sue parole si capisce perfettamente l’affetto che lo lega a questi fischietti. Si intuisce anche che per lui ogni pezzo ha una sua storia:
Qua c’è la coloratissima Puglia, con Vannina Grilli, Massarelli, De Donatis. Questi sono i famosi santini di Lascaro e Caizzi. Il santo col fischio nasce da noi, ma poi lo abbiamo trovato anche in altre situazioni. Qualcuno mi diceva “ma il santo col fischietto nel popò è irreverente!”. Eppure da noi ed in Puglia si fanno, in altri posti non ne ho trovati.
Questi sono di Fulvia Celli che è di Feltre e fa ottima ceramica raku che applica anche ai fischietti. Un anno ha avuto assegnato da noi anche il premio Parini, è stata l’unica donna ad essere premiata in queste 14 edizioni.
Qua ci sono quelli di Caltagirone. Judici ci aveva promesso che a museo fatto ci avrebbe regalato tutta la sua produzione.
Guarda che belli questi, sono di Santina Grimaldi. Lo stile femminile si vede subito.
Questo lo ha fatto un artigiano che si chiamava D’Annunzio, che era un abruzzese trapiantato a Torino. Era l’anno che avevamo dedicato la rassegna al circo, e D’Annunzio fece un fachiro indiano sdraiato sui chiodi. Quando realizzò questo fischietto ci sentimmo per telefono e mi spiegò che stava male. E questo è un fischietto particolare perché fu l’ultimo da lui modellato. Ce lo dette a marzo, e ad aprile, il mese successivo, scomparve con un male incurabile. Ed io tutte le volte che lo vedo in questa posizione quasi mi commuovo. Così disteso, mi fa pensare ad un ecce homo o ad un Cristo di mantegnana memoria. Ed è un pezzo che mi tocca il cuore.
L’ultima volta che abbiamo esposto questi fischietti è stato nel 2003. Quindi sono 6 anni che dormono, come dico io. Per me è un motivo di grande amarezza.
Oltre il danno c’è anche la beffa. Certe volte vengono in città alcuni artigiani che ci avevano regalato i fischietti. Cercando il museo dei fischietti e non trovandolo se la prendono o con me o con il Dottor Judica[8], convincendosi magari che avremmo perpetuato una truffa, cioè che ci saremmo appropriati delle donazioni da loro destinate al museo dei fischietti. In realtà non ci siamo appropriati neanche di un fischietto. I pezzi che hanno dato all’Azienda sono tutti qua.
Devo dire che proprio per evitare furti, tutti i fischietti sono fotografati, catalogati e repertoriati. Non vorrei che un domani in eventuali spostamenti sparisse qualche pezzo ovviamente pregiato. Già all’ epoca delle mostre qualche volta abbiamo assistito a delitti di questo tipo. Una volta nel giorno di Pasqua sparì un pezzo di Giani, torinese, detto Clizia, al quale avevamo quell’anno dedicato il premio Parini. Fu probabilmente una signora ad appropriarsene, perché per portarlo via serviva una borsa capiente.
Inoltre, ogni anno nello spostarli da qui al luogo della mostra, si correvano rischi di rottura, perché il fischietto è cosa fragile. Viceversa, con un museo in pianta stabile uno sistema i fischietti una volta per tutte, e poi può permettersi di renderli visibili a tutti ma in piena sicurezza.
Io dico semplicemente che è un peccato. E’ un assurdo anche dal punto di vista economico: ad una stima approssimata la collezione varrà almeno 250.000 euro. E questo a volere fare una stima molto prudente, credetemi. Perché ogni anno per motivi di bilancio dell’Azienda Autonoma i fischietti venivano stimati, ma utilizzando parametri molto bassi. Ad esempio si attribuiva a ciascun fischietto un valore di 5.000 o 10.000 lire dell’epoca, tranne quelli per cui si sapeva effettivamente il valore di mercato. Ma il fischietto a 5 euro tu non lo trovi più. Oggi a Caltagirone per un fischietto a forma ci vogliono almeno 15 euro. E poi ci sono pezzi di valore molto maggiore: penso ad esempio ai fischietti di Biavati, artista di Ferrara, che hanno delle quotazioni di tutto rispetto. E quindi si dovrebbe valorizzarla questa collezione.
Di recente hanno allestito in città una piccola esposizione a cura della Provincia (9). Hanno preso in prestito circa 200 fischietti della collezione. Hanno esposto in pratica solo gli autori insigniti del premio Parini. Ma si tratta appena di 200 pezzi su 5000, puoi fare il conto.”
Purtroppo oggi il rischio non si limita solo al perdurare di questa situazione. Un ancor più serio pericolo incombe sulla splendida collezione di fischietti di Caltagirone: nell’ambito delle riforme che riguardano l’attribuzione delle competenze sulla promozione del turismo, l’Azienda Autonoma rischia lo scioglimento. Non è chiaro che fine farebbe in quel caso la collezione, e non è azzardata l’ipotesi che la sua proprietà andrebbe alla Regione Sicilia, e che i fischietti verrebbero trasferiti a Palermo, per essere magari dimenticati in qualche deposito.
Fortunatamente esistono scenari anche più positivi, e proprio ultimamente si è fatta strada una ipotesi che potrebbe rappresentare una buona soluzione: il Museo Regionale della Ceramica di Caltagirone, i cui locali attuali sono completamente saturi, sta progettando di ampliarsi. In particolare si pensa di restaurare e adibire a museo i prestigiosi spazi del Sant’Agostino, proprio in cima alla famosa scalinata di ceramiche. A quel punto l’AAST potrebbe donare l’intera collezione ad un museo della Ceramica rinnovato ed in grado di valorizzarla in pieno creando una sezione dedicata alla ceramica sonora. Così il Dott. Cardello commenta questa ipotesi:
“Per lo meno in questo modo i fischietti resterebbero a Caltagirone, perché se partissero per Palermo non li vedremmo mai più tornare indietro. La paura più grande è questa – ci confida Cardello - che la collezione possa svanire in tanti rivoli.
La speranza che qualcosa possa muoversi è l’ultima a morire. Io mi auguro di vedere il museo aperto prima di chiudere gli occhi, il che ovviamente mi auguro accada il più lontano possibile!”
Le rassegne dei fischietti di Caltagirone
La discussione con il Dott. Cardello si sposta sulla rassegna dei fischietti. Purtroppo anche qui il suo racconto parla di una bella favola conclusasi – almeno per ora – senza lieto fine:
“Della rassegna sono state fatte 14 edizioni, dal 1988 fino al 2003.
La prima mostra era dedicata ai pezzi del Centro Giacomo Judici, dato che Mario Judici ha una buona raccolta di fischietti. La seconda, nell’89, è stata Fischietti e Religiosità, considerato che il fischietto religioso è un soggetto molto presente da noi. Poi nel ’90 abbiamo dedicato la mostra al tema satirico, con Fischietti e Potere. Nel ’91 c’è stata una rassegna dedicata al mondo delle favole, tema che considero il mio cavallo di battaglia. Ovviamente non si può non fare il collegamento tra i fischietti e le favole, in quanto sono entrambe dimensioni legate ad un mondo fanciullesco.
Nel momento in cui il sottoscritto pensava alla futura mostra cercava di legarla per quanto possibile ad un avvenimento dell’attualità o a una ricorrenza. Nel 1993 abbiamo celebrato la scoperta dell’America del 1492 con la mostra Fischietti e Nuevo Mundo, nel 2000 abbiamo fatto un omaggio al Giubileo con Fischietti ed Anno Santo, nel 2001 Fischietti e Odissea nello Spazio, nel 1992 abbiamo dedicato ai paesi dell’Est Europa Fischietti e Libertà.
Tutti i fischietti della collezione non li abbiamo mai esposti, perché gli spazi della mostra non sarebbero mai bastati. Lo spazio principale era dedicato al tema di quell’anno, e poi allestivamo una piccola selezione di fischietti dedicata a tutte le regioni italiane e al resto dei paesi. Ne abbiamo sempre esposti circa 500, il 10% del totale.
La prima stanza la dedicavamo sempre alle tecniche di produzione. Quindi mettevamo in mostra i semplici strumenti artigianali con i quali i nostri artigiani realizzavano il fischietto.
Sono stati 18 anni di lavoro molto intensi. Non vi dico le nottate: nell’ultima settimana prima della rassegna io quasi dormivo qua. Credo che abbia danneggiato anche la mia carriera in banca, dato che mi dicevano sempre: Cardello, tu hai la testa nei fischietti!"
I fischietti calatini
Salvatore Cardello persona di grande cultura e sensibilità, mostra di essere anche altrettanto gentile ed ospitale. Lo avevamo contattato – da perfetti sconosciuti – per chiedergli la disponibilità ad una breve chiacchierata sui fischietti siciliani. Dopo avere accettato prontamente, finisce anche per dedicarci una intera giornata, durante la quale ci accompagna a visitare le istituzioni culturali di Caltagirone, ci presenta alcuni degli artigiani più rinomati della città, ci parla di temi a noi cari come fischietti e arte popolare:
“In siciliano il fischietto qualcuno lo chiama friscalettu. Però noi teniamo a differenziare il friscalettu dal frischittu. Il friscalettu per noi è un flauto a canna corta. Il fischietto in terracotta invece è più corretto chiamarlo frischittu.
Il fischietto veniva destinato ai bambini, soprattutto durante le feste pasquali. Ovviamente durava lo spazio tra Pasqua e il Lunedi dell’Angelo, perché giustamente, cadendo a terra si rompeva. E bisognava attendere un altro anno per poter avere il fischietto.
Oggi chi viene a cercare i fischietti a Caltagirone è il collezionista o lo studioso. L’aspetto ludico, l’aspetto fanciullesco, si è perduto completamente, e difficilmente con i tempi che corriamo ritornerà. E’ un qualcosa che rimane a livello di recherche du monde perdu.
Le tecniche di lavorazione
Da noi i fischietti si facevano con le forme o al tornio, erano presenti tutte e due le tecniche. Anche perché alcuni vanno fatti obbligatoriamente con il tornio, quindi pezzo per pezzo. E’ il caso del vaso con l’uccellino sopra che si trova un pò dappertutto, a Caltagirone come a Vetralla, nel Lazio. E’ un fischietto che assume nomi differenti: da noi il nome dialettale è u ruscignolo. Sarebbe uno storpiamento di usignolo, ed è un fischietto ad acqua. Quando ci soffi dentro simula il cinguettio di un uccellino.
E poi fare un fischietto dalla forma è facile, ma riuscire a farlo suonare no. Ogni fischietto va provato, e se non si mangia tanta e tanta creta, proprio se non si mastica la creta, soprattutto le prime volte, non è facile ottenere un suono.
Questi fischietti venivano decorati a freddo, con colori fatti dagli stessi a artigiani. Usavano ad esempio il pericolosissimo verde manganese, o tritavano particolari tipi di pietra con l’ossido di ferro per trovare il rosso. Erano tutte sostanze pericolose, però allora non ci si pensava, coloranti ancora non ce n’erano a livello chimico. Allora si usava ciò che passava la natura.
Il fischietto era il primo impatto del ragazzo che veniva avviato alle botteghe artigiane: per fargli fare qualcosa gli davano delle forme e un pò di creta e cercavano di fargli fare dei fischietti di quelli a semitondo. Infatti i nostri fischietti di solito non sono a tutto tondo, ed hanno il dispositivo sonoro dalla parte che rimane bianca e piatta. Quindi il fischietto era proprio il lavoro fatto dai ragazzi di bottega. Poi magari il Mastro della bottega li dipingeva, li rifiniva. Soprattutto, il maestro collocava il fischietto con un po’ di barbottina. Come ho detto, il fischietto non è facile farlo fischiare, occorre una certa maestria per trovare gli angoli giusti nella creta, scavandoli con un particolare pezzettino di legno che mi pare che loro chiamano becco di passero. Perché tante volte non si trova l’angolazione e allora l’argilla non fischia.
Quando il cosiddetto ceramista acculturato doveva offendere qualcuno che non valeva lo appellava sempre con l’espressione “si cosa ri fari sulu frischitti” cioè: tu non sei buono per fare un vaso decorato, per fare una maiolica, per fare una scultura. Sei buono solo ed esclusivamente per fare i fischietti. Ed era la massima offesa che si potesse fare ad un ceramista.
Anche oggi il fischietto, nonostante gli studi e la rivalutazione da parte degli antropologi, ancora viene considerato da alcuni un lavoro di infimo ordine. Un ceramista che realizza fischietti viene quasi considerato un prostituto. Per particolari occasioni, se magari debbono partecipare ad una rassegna, allora indossano l’abito di rito, fanno magari per l’occasione una cosa pulita, però che non avrà un seguito.
I soggetti del fischietto siciliano
Come soggetti più comuni c’è ovviamente la tradizione di raffigurare i diversi santi. Poi ci sono delle figure caricaturali, che possono essere la dama del bel mondo, o il massarotto, cioè quello che sovraintendeva al lavoro degli operai e faceva da tramite con il padrone, normalmente un nobile. Era in poche parole il famoso Calogero Sedara del Gattopardo.
Il fischietto ad acqua, o ruscignolo, secondo me è una reminiscenza del periodo spagnolo. Ogni dominazione che noi abbiamo avuto, oltre a portarsi qualcosa ha lasciato qualcosa. Non dimentichiamoci che i tanto deprecati saraceni - o musulmani - sono quelli che hanno dato il maggior apporto in campo ceramistico. Specialmente nella composizione e nella realizzazione degli smalti.
Altri prodotti della ceramica popolare
Con le stesse forme dei fischietti si faceva un dolce che noi chiamiamo mostarda. La cotognata vera e propria era per l’alta borghesia, mentre per il ceto popolare si usava fare la mostarda con il vino cotto. Dopo aver pestato l’uva, il mosto invece che farlo fermentare veniva fatto bollire. Poi veniva condensato e con farina oppure amido si faceva un impasto che si faceva solidificare dentro a queste formelle.
I pasturari erano gli artigiani che si dedicavano a fare i pasturi del presepe. In realtà facevano pastori, ma anche altri personaggi che poi rappresentavano lo spaccato la nostra società, fino alle figure sacre e ai Re Magi. Cioè nel gergo sotto il termine pastori venivano ricomprese tutte le figure del presepe. E i pasturari erano coloro che facevano questi presepi popolari, normalmente a stampo.
Tante e tante volte i pasturi avevano gli stessi tratti dei fischietti. Lo stesso soggetto tu lo trovavi con il fischietto a Pasqua e senza fischietto a Natale, come personaggio del presepe.
Normalmente si usavano gli stessi stampi e le attività si confondevano, perché chi faceva l’uno faceva l’altro. Ricordo che quando ero piccolo non vedevamo l’ora che arrivasse l’Epifania, perché il 6 gennaio, quando si smontava il presepe, le arance vere che c’erano appese ci servivano da frutta. Per cui aspettavamo sempre che finisse Natale per mangiare le arance, perché erano tempi di fame e di povertà assoluta.
Poi vi erano anche i cosiddetti presepi d’elite, del Bongiovanni Vaccaro, del Papale. Però venivano commissionati o dalle famiglie benestanti oppure dalle chiese”.
Alla fine di questa chiacchierata appassionata ed interessante, il Dott. Cardello si congeda con una battuta: “Vi dico l’ultima a proposito del social network Facebook. Scartabellando su internet mi sono iscritto pure io. Antonio Navanzino, mio amico e costruttore di fischietti, mi ha scritto: “compare Turi, ci sei pure tu? Pure qui sei venuto a fischiare?” Cioè ormai mi sono personificato come quello dei fischietti. E ho risposto al buon Antonio: “Si ma il fischio, cioè il fiato, non è più quello di una volta”.
NOTE
[1] La “Mostra del Fischietto – fischietti siciliani e pugliesi da collezioni pubbliche e private” si è tenuta dal 27 marzo al 10 aprile 1988 al Palazzo Libertini, Caltagirone, a cura di: Comune di Caltagirone, Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo di Caltagirone, Centro Studi G. Judici.
[2] Mario Judici, ceramista e cultore di tradizioni popolari, è considerato il più importante produttore di ceramica sonora della Sicilia attualmente in attività. A lui dedicheremo uno dei prossimi articoli.
[3] La maggior parte dei fischietti siciliani erano ricavati, per questione di economicità, da matrici monovalve . Il risultato era un fischietto con retro piatto.
[4] Brunetti e Barcaro hanno peraltro scritto delle interessanti cronache dei loro viaggi alla ricerca dei fischietti sia in Italia che in Europa. Tali racconti sono pubblicati rispettivamente su Sibilus 1 e 3.
[5] Il premio, abbinato alle rassegne del fischietto di Caltagirone e dedicato al Maestro calatino Andrea Parini, può essere considerato forse il riconoscimento più prestigioso per i costruttori di ceramiche sonore. E’ è stato assegnato nel 1992 a Diego Poloniato, nel 1993 a Mario Judici, nel 1994 a Salvatore Leone, nel 1996 a Riccardo Biavati, nel 1997 a Federico Bonaldi, nel 1998 a Mario Giani (Clizia), nel 1999 a Innocenzo Peci, nel 2000 a Fulvia Celli, nel 2001 a Gianfranco Budini.
[6] Cogliamo l’occasione per ringraziare il Sig. Trigili e gli impiegati dell’AAST, che con grande gentilezza ci hanno messo a disposizione informazioni e documentazione necessari a realizzare questo articolo.
[7] Il vero nome di questa artigiana è Sabina Santos. Di lei parlano Brunetti e Barcaro in Sibilus 3.
[8] Il Dott. Francesco Judica, già Direttore dell’AAST, è stato insieme al Dott. Cardello uno dei principali promotori delle rassegne.